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L'incidente

CAPITOLO 1

"Amy alzati, forza!"
Qualcuno la scuoteva. La bambina sentì freddo, quando le coperte furono spostate.
"Avanti tesoro, tirati su! Ecco brava, infila il cappotto, mettiamo le scarpe."
"Papà?" chiese preoccupata.
"Andiamo piccola, non c'è tempo da perdere, c'è stato un incidente. Non posso chiamare Carrie nel cuore della notte, dovrai venire con me. Hai capito, Amy?"
Sbadigliando e sfregandosi gli occhi, la bambina annuì. Il padre la prese in braccio, per guadagnare tempo. Scese le scale di corsa. All'ingresso, un giovanissimo valletto in livrea, mortalmente pallido, lo esortò:
"Presto, dottore, dobbiamo fare presto."
Davanti all'uscio, sostava una carrozza con lo stemma ducale sullo sportello aperto, pronta a partire. Il dottor Simmons non si fermò neanche a chiudere la porta di casa. Saltò sul mezzo già in movimento, atterrando con la figlia in braccio sul sedile imbottito.
"Amy, stai bene?" le chiese, una volta seduto.
"Sì, papà, ho sbattuto il gomito, ma è tutto così morbido che non mi sono fatta niente."
"Grazie a Dio, tesoro. Ascolta, quando arriveremo a destinazione voglio che tu faccia la brava. Sarai affidata a qualcuno e dovrai restare dove ti dicono finché non vengo a prenderti. Siamo intesi?" La bambina annuì, ancora mezza addormentata.
"Dove andiamo?"
"Alla residenza ducale di Somerset."
Amy guardò il padre confusa. Il dottor Simmons semplificò la risposta: "La casa di campagna del duca, tesoro."
Amy fece un cenno con il capo. A sette anni non poteva capire titoli e proprietà. Era abituata a vedere la gente per ciò che era: uomini, donne, vecchi, giovani, bambini, sani e malati. Essendo la figlia del medico del villaggio, veniva a contatto con parecchie persone, che lei divideva in due gruppi: simpatici e antipatici. Nella sua ingenuità non esistevano altri metodi di distinzione.
La carrozza correva a una velocità spaventosa. Il dottore stringeva la figlia, preoccupato per la sua incolumità. Aveva capito immediatamente la gravità della situazione, non appena il valletto aveva bussato alla porta. Erano, da poco, passate le dieci ed egli si apprestava ad andare a dormire, dopo aver sistemato lo studio per il giorno seguente. Carrie aveva fatto mangiare Amy, l'aveva lavata e messa a letto, come ogni sera. Alle nove, prima di tornare alla propria abitazione, lo aveva informato di avergli lasciato la cena sulla stufa, affinchè rimanesse calda.
Dopo aver gustato il pasto, nella quieta e umile cucina, il dottore era tornato nello studio. Aveva sterilizzato gli attrezzi e preparato la borsa. Era indispensabile averla sempre equipaggiata e pronta per ogni evenienza. Fu proprio mentre la chiudeva, che la porta di casa iniziò a tremare. I colpi furiosi, uniti alle grida concitate, lo avevano spinto a portare con sé la sua preziosa borsa. Aprendo la porta, aveva capito al massimo quattro parole, tra quelle pronunciate dal valletto agitato e ansimante:
"Incidente... testa... sangue... esanime!"
Senza perdere tempo, aveva consegnato la borsa al ragazzo ed era corso al piano superiore a prendere la figlia. In situazioni come quella, si chiedeva se non fosse il caso di assumere qualcuno che restasse nella loro abitazione, giorno e notte. Carrie era una cara donna, piuttosto semplice, ma affidabile; purtroppo, aveva una madre vedova e anziana, bisognosa di cure, perciò non poteva restare oltre un certo orario. Erano solo lui e Amy, la notte, da quando la balia assunta per nutrire la figlia, aveva frainteso la gratitudine del dottore. Imparata la lezione, aveva deciso di mantenere le distanze dalla nuova bambinaia. L'aveva scelta proprio per la peculiare diffidenza e la tendenza a non familiarizzare troppo. Non poteva però costringere la figlia a una vita del genere! Svegliarla di notte per portarla con sé, in chissà quale luogo. Stavolta era la residenza di un duca, ma avrebbe potuto essere una bettola piena di delinquenti! Non che capitasse spesso, ma doveva trovare una soluzione. Quando la carrozza si fermò, scoprì che la figlia era profondamente addormentata. La portiera si spalancò, invitandolo a uscire in fretta. Cercò di prendere la bambina, ma il valletto lo fermò.
"Correte dottore, penso io vostra figlia. L'affiderò alla signora Garret, che se ne prenderà cura."
Il dottor Simmons assentì, prese la valigetta ed entrò, seguendo il maggiordomo. Amy si sentì sollevare.
"Papà?"
Ma non fu la voce del padre che le rispose:
"Tranquilla piccolina, sono Alvin, ora ti porto dentro. Il dottore è
dovuto correre dal duca." Amy era impaurita. Quando il pesante portone si chiuse alle sue spalle, si guardò intorno. Tutto era enorme. Nella penombra, poteva vedere teste di cervi impagliate, statue che reggevano archi e frecce, dipinti di scene di caccia con animali morti. Si strinse al collo di Alvin, che cercò di tranquillizzarla.
"È tutto così insolito da far paura, lo so, l'ho pensato anch'io, la prima volta che sono entrato, ed ero piu grande di te."
La signora Garret, la governante, si avvicinò. Alvin le spiegò che il medico aveva portato con sé la figlia.
"Povera piccola, hai sonno? No? Vieni, andiamo in cucina a prendere biscotti e latte caldo" affermò la donna, allungando le braccia e prendendola. Fece un cenno ad Alvin e si allontanò.
Amy fu posata su una grande sedia, dotata di un comodo cuscino rosso, vicino a un camino in cui la brace sprigionava ancora calore. La signora Garret la aiutò a togliersi il cappotto.
"Santo cielo, bambina, sei in camicia da notte!" esclamò.
Amy alzò le spalle.
"Io stavo dormendo."
La signora Garret era una donna corpulenta, rigida con la servitù, ma estremamente materna.
"Povera cara, ora ci pensa Dana a te!" le disse, pizzicandole la guanciotta rosea.
Amy piegò la testa.
"Chi è Dana?"
La donna rise di gusto.
"Ma sono io, fragolina!" così dicendo andò a scaldare il latte. Prese un piatto, lo riempì di biscotti e apparecchiò un angolo della tavola, vicino alla bambina.
"Ecco tesorino, vieni a mangiare qualcosa."

Prima che Amy potesse muoversi, la signora Garret la prese con tutta la sedia e l'avvicinò al tavolo.
Amy intinse un biscotto nel latte, sotto lo sguardo attento della governante.
"Qual è il tuo nome, fragolina?"
La bambina masticò in fretta.
"Mi chiamo Amy."
"Ma che bellissimo nome!" si complimentò la donna, sistemandole i capelli color miele, dietro l'orecchio.

"Dana?!"
Entrambe si girarono, sentendo qualcuno chiamare. Sull'uscio della cucina, c'era un ragazzino poco più grande di lei.
"John? Che ci fai in piedi, a quest'ora?" lo rimproverò, bonariamente, la governante.
Lui scrollò le spalle esili.
"Ho sentito la carrozza e le voci."
Mrs Garret andò incontro al ragazzo. Gli toccò la fronte.
"Bene, non hai più la febbre!"
Quando gli posò la mano sulla schiena, lo vide sussultare. Gli afferrò il gomito e lo guidò fino al tavolo. Lo fece sedere vicino alla bambina.
"Aspetta, ti preparo una tazza di latte caldo. Puoi condividere i biscotti con Amy!" suggerì, andando verso la stufa.
John guardò con severa curiosità la ragazzina, che ricambiò lo sguardo. Amy addentò un altro biscotto. Lo vide aggrottare le sopracciglia.
"Sei arrabbiato?"
"Mio padre è morto!" rispose il ragazzino, serio.
Amy lo guardò con compassione.
"Anche la mia mamma."
"Beh, il mio è morto adesso!" ribattè John.
"Almeno, tu l'hai conosciuto! La mia mamma è morta quando sono nata!"
"Avrei preferito non conoscerlo!"

"John, Amy, cosa sono questi discorsi! John, tuo padre non è morto!" li rimproverò Mrs Garret, mettendo la tazza fumante davanti al ragazzo.
John prese due biscotti e li inzuppò nel latte. Poi, aprì la bocca il più possibile, per mangiarli entrambi. Amy lo guardava con occhi spalancati. Dopo aver ingoiato, le chiese:
"Cos'hai da guardare?"
Mrs Garret lo riprese.
"John, dovresti essere gentile con la signorina, suo padre è il dottore che sta curando il duca!"
Il ragazzo continuò a masticare. Dopo aver ingoiato, ancora una volta, affermò:
"Allora, sta perdendo il suo tempo! Ho sentito Robert dire a Gordon che il duca è morto!"
"Sciocchezze!" protestò mrs Garret. "Probabilmente, il valletto di tuo padre era talmente spaventato da riferire al maggiordomo che pareva morto! So per certo che non lo è!"
Amy guardò John mangiare l'ultimo biscotto.
"Non sei molto generoso!" lo rimproverò.
Il ragazzino masticò lentamente, gustandosi il dolcetto. Si pulì con il tovagliolo candido, che poi ripiegò con cura.
"Ti ho fatto un favore" le rispose sogghignando, "visto che sei senza denti."
Amy arrossì.
"Ricresceranno!"
Non si accorsero che qualcuno li stava spiando.
John scrollò le spalle. Amy decise che quel bambino faceva parte del gruppo degli antipatici! Peccato, perché era molto carino, anche se troppo pallido. Aveva dei bei capelli, neri come il carbone, e gli occhi verdi, i più verdi che avesse mai visto!
"Smettila di fissarmi!" la riprese, irritato dal modo in cui quella strana ragazzina lo guardava.
Amy sbattè le palpebre, nessuno l'aveva mai trattata così! Stava per affermare quanto fosse villano, quando sentirono delle voci esagitate. Amy riconobbe quella del padre, ma non quella austera della donna con cui discuteva.
"Non potete andarvene! Io non ve lo permetto!"
"Vostra grazia, non c'è più nulla che possa fare per vostro figlio. Come vi ho detto, dobbiamo solo aspettare."
"Allora resterete qui, ad aspettare con noi!"
"Vostra Grazia, capisco la vostra afflizione, ma non c'è un tempo stabilito per queste cose, potrebbero volerci ore, giorni, settimane! Ho altri pazienti. Sarò comunque disponibile, in ogni momento."
"Nessuno è più importante di mio figlio! Voi rimarrete qui, finché non arriveranno gli specialisti da Londra. Gordon ha già inviato un ragazzo, con una mia richiesta urgente, al nostro amministratore. Lui stesso contatterà i medici migliori, ma fintanto che non li avrò incontrati, voi non vi muoverete di qui!"
"Vostra grazia..." la voce del medico era implorante.
"Gordon, fai preparare la camera per il dottor Simmons. Mettilo vicino alla stanza di mio figlio! "
"Vostra Grazia, mia figlia è qui con me."
"Allora sistemeremo anche lei. Gordon, hai sentito? Trova una sistemazione per la bambina, poi manda qualcuno a prendere l'essenziale per il dottore e la figlia. Si tratterranno per tutto il tempo necessario!"
Amy guardava, come John, verso la porta.
"È la tua mamma?" chiese timorosa.
Quella prepotenza, nella voce femminile, le incuteva paura. Era una voce cattiva.
"No, non è mia madre, è mia nonna" spiegò il ragazzino.
Non c'era affetto nelle sue parole e l'espressione gelida del viso dimostrava una certa irritazione. Il dottore entrò in cucina, salutò con un cenno del capo e si avvicinò alla figlia. Sedendole accanto, le accarezzò la testa.
"Tesoro, dovremmo rimanere qui per qualche giorno."
Il tono rassegnato e l'aria stanca gli assicurarono un bacio sulla guancia. Il sorriso che si scambiarono padre e figlia fece ingelosire John. Lui non conosceva quel genere di affetto e, per quanto ci provasse, non riuscì a contenere l'invidia nei confronti di quella ragazzina.
"John, sei qui!"
Una bellissima giovane donna entrò timidamente. I lunghi capelli neri le scendevano sulla schiena, risaltando sulla candida vestaglia.
"Quando ho visto il tuo letto vuoto, mi sono spaventata!" sussurrò, avvicinandosi con cautela.
Il volto del ragazzo s'indurì.
"Davvero? Una cosa alquanto insolita, madre!"
Mrs Garret s'inchinò, cercando di distrarli dalla brutta piega che stava prendendo la conversazione.
"Vostra Grazia, avete bisogno di qualcosa?"
La duchessa sembrava inconsapevole di tutto quello che la circondava, notò Amy. Così, istintivamente, alzò la mano.
"Ciao, io sono Amy e lui è il mio papà Isaac, staremo qui per un po'!" terminò, sorridendo.
La duchessa la guardò come se fosse uno spirito fatato, mentre il figlio borbottava qualcosa sulle cattive maniere dei popolani. Il dottor Simmons, Isaac appunto, vide in quella fragile donna, coperta da una vestaglia troppo grande, una tristezza e un timore che non erano naturali in una persona della sua età e rango. Quando i loro sguardi si incrociarono, lei fu la prima a distoglierlo, mentre un estremo pallore la colpiva. Temendo uno svenimento, il dottore si avvicinò.
"Vi sentite male, Vostra Grazia? Siete di certo angosciata per vostro marito!"
Spaventata dalla sollecitudine di quell'uomo attraente, la duchessa si affrettò ad allontanarsi, mentre un'altra presenza si manifestava, imponente, nella cucina.
"Eliza! Chi vi ha dato il permesso di uscire dalle vostre stanze?" chiese la duchessa madre, entrando con impetuosità.
La giovane lady ebbe un tremito, prima che la donna più anziana la prendesse per un braccio, trascinandola fuori per affidarla a una donna robusta, vestita completamente di nero, che con poca grazia la sospinse verso la scala, diretta ai piani superiori. La duchessa madre si avvide dello sguardo accusatore del medico.
"Non che siano affari che vi riguardano ma, visto che starete qui per qualche tempo, devo avvisarvi che la mia povera nuora è molto malata. Soffre di una grave forma di isteria. Il mio adorato figlio non vuole che si sappia, per difendere il suo onore, capite. Se si venisse a sapere, sarebbe costretto a rinchiuderla a Bethlem, una soluzione inaccettabile. Vi assicuro che è seguita da un'infermiera professionale, altamente qualificata e che non lascia mai i suoi alloggi. Credo abbiate inteso, che questo spiacevole colloquio non è mai avvenuto!"
Senza aspettare repliche, uscì a testa alta. Il dottor Simmons non aveva dubbi sullo stato di salute della giovane duchessa ma, quanto alla natura del malessere, non credeva a una sola parola uscita dalla bocca della duchessa madre.
Mrs Garret si torceva le mani, il ragazzino schiacciava ogni briciola sul tavolo, con più forza del dovuto, e Amy guardava il padre incuriosita:
"Cos'è l'isteria papà?"
John si alzò di scatto, facendo cadere la sedia.
"Non sono affari tuoi, mocciosa!" l'aggredì, poi uscì come una furia dalla cucina.
Mrs Garrett raccolse la sedia.
"Non giudicatelo troppo severamente. Quel ragazzino ha un cuore davvero grande! Per sopravvivere, ha dovuto indurirlo ma, credetemi, nessuno ci riuscirebbe in questa famiglia, altrimenti!"
Si asciugò una lacrima, poi si diresse verso l'uscio. A un suo cenno, Alvin entrò.
"Accompagna il dottore e sua figlia, nelle loro camere" ordinò mestamente. Poi, senza aggiungere altro, sparì dentro a una porta nascosta da una tenda di pesante velluto blu. Il dottore prese in braccio la figlia.
"Andiamo a dormire, tesoro." sussurrò, baciandole la fronte. Amy si strinse al suo papà. Non era abituata a quel clima di rabbia e infelicità. Forse, la loro casa era piccola e vecchia ma, guardandosi intorno e osservando quel regale, immenso e freddo palazzo, pensò che non avrebbe scambiato nemmeno la sua tazza sbeccata con una delle loro fini porcellane.
"Papà, cos'ha il duca? John dice che è morto ma Dana, invece, pensa che sia vivo."
Il padre sospirò. Come poteva spiegare, alla figlia, che c'era una condizione intermedia, tra la vita e la morte, che non assicurava né l'una né l'altra!
"Vedi Amy, il duca è caduto da cavallo e ha battuto violentemente la testa. Da allora, non si è più svegliato!"
"Ma si sveglierà?" insistette la bambina.
"Nessuno può saperlo, tesoro. C'è chi si sveglia e chi invece..." lasciò la frase in sospeso, per non rattristarla troppo.
"Sai papà, credo che John preferirebbe che non si svegliasse" affermò Amy, convinta.
"No tesoro, ti sbagli, sono convinto che preghi ardentemente per una rapida guarigione. È suo padre!"
Amy non ne era molto convinta, ma accettò la stretta del suo papà, il bacio della buonanotte e la promessa che, entro pochi giorni, sarebbero tornati alla loro vita.

Non fu cosi. Per le sei settimane successive, la situazione restò immutata. Amy e il padre erano una presenza stabile e i domestici li trattavano con affettuosa cortesia. Degli specialisti che sarebbero dovuti arrivare da Londra, si sapeva solo che erano molto impegnati e che sarebbero giunti appena possibile. Al dottor Simmons,  era stata messa a disposizione una carrozza, con la quale recarsi dai suoi pazienti. Amy trascorse i primi giorni a perlustrare la tenuta. Aveva passeggiato tra i giardini ben curati ed esplorato il boschetto che delimitava il confine con i prati destinati al pascolo. Il quinto giorno era giunta alle stalle. Sbirciando all'interno, aveva visto John accudire un cavallo. Lo trattava con delicatezza e gli parlava con dolcezza. Non sembrava lo stesso ragazzino cattivo che aveva conosciuto.
Entrò furtivamente e si sedette sulla paglia, in un angolo nascosto. John stava medicando le ferite a Zeus, il sauro preferito da suo padre, il duca. Era un destriero dal carattere irascibile, ma il ragazzo aveva un dono: sapeva calmare e farsi ascoltare dagli amati cavalli.
"Non gli permetterò di farti ancora del male! Spero che non si svegli! Non ci spaventerà, non ci insulterà, non ci punirà, non userà mai più quella maledetta frusta su nessuno di noi!"
Amy rimase sconvolta da quello sfogo. Non riuscendo a trattenersi, si sporse per poterlo vedere. Si stava passando le mani sotto agli occhi, con rabbia. Stava piangendo? Lo vide spostare il cavallo verso la luce. Solo allora notò le striature che segnavano il manto della povera bestia. Portandosi una mano alla bocca, continuò a guardare il ragazzo pulire con cura ogni ferita, sussurrando parole a lei sconosciute. Uscì di nascosto, così com'era entrata.

Quella sera, mentre suo padre le rimboccava le coperte, Amy si azzardò a chiedere:
"Papà, devi guarire anche le persone cattive?"
Il dottor Simmons si fermò a guardarla.
"Perché questa domanda, tesoro?"
Amy alzò le spalle, come se non fosse niente d'importante, ma il padre vide i dubbi dentro a quegli occhi scuri.
"Vedi piccola, non si può definire qualcuno completamente buono o cattivo. A ognuno di noi capita di compiere azioni, o pronunciare parole non troppo gentili. Quando ti sgrido, mi dici che sono cattivo. Quindi non dovrei essere curato, se ne avessi bisogno?"
Amy lo scrutò intensamente. Poi, scosse la testa.
"Tu non sei cattivo!" affermò con certezza.
Il dottore sorrise, accarezzandole i capelli.
"Non puoi esserne sicura!"
La bambina annuì.
"Certo che lo sono! Tu non mi hai mai frustato!"
Il padre si fece serio.
"Nessun uomo frusterebbe i suoi figli!"
"Io credo che il duca abbia frustato John e anche il cavallo."
Per un momento, si limitarono a guardarsi.
"Amy è un accusa molto grave! Chi ti ha riferito queste cose?"
"Nessuno, papà, ho sentito John parlare al suo cavallo. Lo rassicurava che non sarebbe più stato frustato!"
"Amy, frustare un animale è sbagliato, ma comunque diverso dal farlo al proprio figlio!"
La bambina si girava una ciocca di capelli tra le dita.
"Lo so, ma da come ne parlava, ho capito che il duca non si limitava alla povera bestia. John diceva: non userà più la sua frusta su nessuno di noi! Credo stesse piangendo, ma pregava perché non guarisse".
Il padre rimuginò parecchio, su quanto riferito dalla figlia. C'era una paura quasi palpabile, in quella dimora. Avrebbe tenuto orecchie e occhi aperti continuando a curare il suo paziente.
"Lo sai che non viene mai niente di buono a origliare. Si possono fraintendere tante cose."
La bambina annuì.
"Papà? Pensi che il tuo unguento per le piaghe possa funzionare anche sui cavalli?"
Il dottore sorrise.
"Sì, credo proprio di sì. Te ne lascio un vasetto sul comodino, domattina." Poi, le baciò la fronte, "Buonanotte, fiorellino."
Amy fissava il soffitto, pensando al cane di Carrie. Era buono e dolce, prima che alcuni ragazzi cattivi lo bastonassero, tanto da portarlo in fin di vita. Fortunatamente guarì, ma divenne cattivo, aggressivo. Possibile che anche a John fosse successa la stessa cosa? Recitò le preghiere, una anche per lui, poi si addormentò.

Il mattino seguente, trovò il vasetto sul comodino, come promesso. Sapeva che il padre era uscito presto e che il ragazzino stava sicuramente studiando con il suo precettore, come ogni giorno. Si preparò e scese nelle cucine. A lei e al padre, non era concesso girare per il palazzo. Potevano far colazione, pranzare e cenare con il resto della servitù. La camera di Amy era vicina a quella di Mrs Garret. La signora era molto premurosa nei suoi confronti. Il padre, invece, dormiva nella stanza accanto a quella del duca. Scesa in cucina, trovò la solita confusione. Il cuoco, monsieur Bernard, per lei Berni, urlava ordini, mentre cameriere e valletti sistemavano vassoi e argenteria. Si avvicinò cauta, poi tirò il grembiule del cuoco per attirare la sua attenzione. Era piuttosto bassa per la sua età.
"Signor Berni, potrei fare colazione?" chiese educatamente. Il cipiglio dell'uomo svanì all'istante.
Come Mrs Garrett, anche lui, con la sua mole ingombrante, s'inteneriva di fronte alla dolcezza di quel faccino tondo.
"Mais oui, mia piccola melina" le rispose, pizzicandole la guanciotta piena. Poi, si rivolse alle cameriere:
"Forza, avanti, preparate il tavolo per la piccolina, non avete sentito, ha fame!"
In pochi minuti Amy sedeva con diversi tipi di dolcetti e una tazza di tè. Monsieur Berni aveva intuito che la bambina preferiva quelle pietanze, dopo averla vista storcere il naso quando le aveva presentato uova e aringhe. La guardava, soddisfatto, gustare ogni leccornia. Amy gli assicurava che non aveva mai mangiato niente di più buono e il cuoco gongolava, come se il complimento fosse venuto dal re in persona.
Mrs Garret entrò in cucina.
"Eccoti qui, fragolina. Hai dormito bene? Vedo che stai facendo colazione, brava! È il pasto più importante della giornata. È un piacere vedere un sano appetito, non è così monsieur Bernard?"
Il cuoco fece un cenno col capo.
"Proprio così, Mrs Garret. E, sapere che è tutto di suo gusto, aggiunge puro appagamento. Non è piacevole cucinare senza ricevere mai un complimento! Non chiedo che ogni piatto venga elogiato, certo che no! Basterebbe che, ogni tanto, mi venisse riferito che è stato gradito!"
"In questa casa, monsieur Bernard, i complimenti e la gratitudine sono stati messi al bando" aggiunse tristemente la governante. Amy finì di mangiare e ringraziò, con un bacio, Berni e Dana che, ormai, aspettavano quei gesti di tenerezza con trepidazione. Li lasciò sorridenti. Prese il quadernetto, la matita, il vasetto e si apprestò a uscire. Fuori, il sole era alto in cielo. La primavera era la sua stagione preferita. Si avviò verso il recinto, dove i cavalli pascolavano liberi. Si sedette sul grosso tronco di un albero, che qualcuno aveva sistemato sotto alla chioma di un salice piangente. Posò il vasetto, aprì il quaderno e cominciò gli esercizi. Il padre le aveva insegnato a leggere e scrivere già da un anno. Le lasciava sempre dei compiti da fare. Dopo aver risolto tutti i calcoli e completato le frasi, prese un foglio bianco e cercò di disegnare un cavallo.

"È orribile! Cosa dovrebbe essere un cane, un gatto o un maiale?" esclamò una voce beffarda.
Amy si girò verso il ragazzino che stava deridendo i suoi schizzi. Chiuse il quaderno.
"Lo sai che è da maleducati spiare i disegni altrui?" chiese stizzita.
Lui la fissò, posando un lucido stivale sul tronco, vicino alla sua gonna.
"Come lo è spiare le persone nelle stalle!"
La fulminò con lo sguardo, continuando:
"Quindi, mocciosa ficcanaso, chi è maleducato?"
Amy si guardò le mani, imbarazzata, e vide il vasetto vicino ai propri piedi. Con le guance rosse di vergogna, lo prese. Glielo avrebbe donato per scusarsi.
"Questo unguento lo prepara il mio papà. Fa guarire in fretta le ferite, puoi usarlo per il tuo cavallo."
Timidamente, gli porse il piccolo contenitore. John non lo prese. Amy alzò gli occhi, scoprendo che la fissava stupito.
"Prendilo, sono certa che gli farà bene" insistette, mettendoglielo tra le mani. Il ragazzino lo strinse, istintivamente.
"Perché?" chiese, senza aggiungere altro. Amy scrollò le spalle:
"Non mi piace vedere qualcuno soffrire".
Il ragazzo scoppiò a ridere.
"Che spasso, io invece ho imparato a detestare chi non soffre!" così dicendo si allontanò. Amy sapeva che stava mentendo.
L'aveva visto piangere per un cavallo! Si chiese perché le avesse risposto in quel modo. Provava pena per lui, anche se non perdeva occasione per ferirla. Però l'unguento l'aveva preso, pensò sorridendo.

Qualche giorno dopo, Amy stava passando davanti alle stalle. Entrò, per vedere come stava il povero animale. Non lo fece di nascosto ma, una volta dentro, rimase impietrita. John, senza camicia, cercava di stendersi l'unguento sulla schiena. Aveva parecchie cicatrici e alcune ferite recenti. Si contorceva, ma non riusciva ad arrivare al centro, dove le piaghe erano arrossate. Impulsivamente, si fece avanti.
"Dammelo, ti aiuto io!" esclamò.
Il ragazzo si girò di scatto, fulminandola con lo sguardo.
"Cosa ci fai qui?!" urlò. "Vattene, non ho bisogno di nessuno."
Amy non si fece intimidire, allungò la mano.
"Dammelo ho detto! Non l'hai messo in nessun punto infiammato. Così, non servirà a niente!"
Poi, glielo strappò di mano.
"Non mi metterai le tue sudice mani addosso!" l'avvisò, ma lei si portò alle sue spalle. Il ragazzino ruotò su se stesso, corruciato. Per un po', non fecero che girarsi intorno. Alfine, lui si arrese. La schiena gli doleva troppo, così sedette sullo sgabello, prendendosi la testa tra le mani. Amy si diede subito da fare. Con tocco gentile, cominciò a spalmare la crema, giallognola, sulla schiena del ragazzo. Una ragnatela si infittiva sotto le sue dita. Le lacrime le offuscavano la vista. Quanta sofferenza doveva aver provato.
Nessuno dei due parlò.
John sentiva quelle mani, delicate, massaggiare ogni ferita. Brividi caldi gli percorsero le membra. Nessuno era mai stato gentile con lui. Solo Dana, la governante, lo trattava in modo materno, quando il duca e la duchessa non erano presenti. Ma nessuno si era mai preso cura delle sue ferite. Nessuno le aveva mai viste. Eccetto sua madre! Rammentava la sua espressione compiaciuta, quando assisteva alle punizioni inflitte al figlio con quello scudiscio prezioso, tramandato, di generazione in generazione, come simbolo di educazione e potere. Mai, si era opposta al castigo. Ricordava un'unica volta in cui si era ribellata: il duca aveva colpito il suo cane e lei si era lanciata sull'amato volpino per proteggerlo, scatenando l'ira del marito. L'animale non era sopravvissuto e la madre aveva passato intere settimane con il suo dolore, chiusa in camera. Ma per John, non aveva mai mosso un dito, mai sofferto tanto da rintanarsi da qualche parte. Valeva meno di un animale. Amy richiuse il vasetto, lo posò vicino al ragazzo. Quando cercò di dire qualcosa, lui la anticipò.
"Ora, vattene!"
Amy non si aspettava una tale reazione, ma non si offese. Neanche lei sapeva cosa provare. Uscì, lasciandolo solo, ma portando con sé un po' della sua sofferenza.

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