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La resa dei conti


CAPITOLO QUARTO

"Quiconque n'a pas de caractère n'est pas un homme, c'est une chose."

(Nicolas de Chamfort)

"Forza dai, adesso si ricomincia". Mi dico nella testa mentre arrivo all'ultimo gradino delle scale che mi portano alla camera della tortura. Ho cosi tanto lavoro sulla scrivania che mi viene da piangere. Meno male che al muro ho attaccato qualche cartolina... Posti esotici, mare limpido, palme... e tanta voglia di vacanze. Cartoline che però non fanno diminuire la massa di carta che si accumula ogni giorno accanto al pc. Eppure je bosse, e je bosse anche duro porca miseria. Ordinata e sistematica mi viene il cardiopalmo se non rispetto una data. Ci ho messo veramente passione per far funzionare le cose, e soprattutto per cercare di farle funzionare nel migliore dei modi. Ma fosse servito a qualcosa poi? Mi ricordo che appena arrivata nella Grande Famiglia mi giunsero all'orecchio dei rumeurs de couloirs nei miei riguardi che dicevano proprio cosi: "Elle est trop jeune, trop blonde et trop mince pour être intelligente". Grandioso no? Ancora prima di poter mostrare la mia efficienza o la mia incapacità, la mia antipatia o la mia simpatia, ero già stata bollata da qualcuno come una deficiente congenita in quanto troppo giovane, troppo bionda e anche troppo magra. Alla faccia del Welcome on board... Ma và a ciapà i rat ! dicono a Milano.

Certo, forse prima di legarmela al dito avrei dovuto far prova di discernimento e analizzare semplicemente la provenienza della cattiveria gratuita. Cosa che feci dopo, in quanto nella mia infinita ingenuità di fresca e sottile biondina, ci misi del tempo (e molte umiliazioni) prima di capire che molte cattiverie provenivano soprattutto da una vecchia e inaridita donnona, che cercava disabotare quello che dicevo o facevo. Ma si sa: l'era del Giurassico nellagrande OI parigina non è mai finita. Iciles dinosaures restent toujours à leur place. Verdi di gelosia per legrazia delle giovani recrute, e fedeli alle loro abitudini ostili, queste tirannosaure Rex dei miei stivali ammuffiscono lentamente con le loro bocche acide e piene di ira. Del resto chi mai le schioda, quelle preistoriche funzionarie con il culo incollato su vecchie poltrone e vecchie procedure? Sono come i muri impregnati di amianto: tutti sanno che non dovrebbe essere li, che è perfino nocivo alla salute, eppure per non scardinare lo stato delle cose si fa finta di niente, tanto se non lo gratti troppo l'amianto non è poi cosi letale.

Ecco, io avevo "grattato" troppo. E grattando avevo permesso che le polveri velenose si sprigionassero nell'atmosfera, causando waves che disturbavano il letargo degli animali mai giunti al Cretaceo. A dire il vero per molti mesi mi ero messa in testa di voler dimostrare la mia professionalità, e con il sorriso sempre sulle labbra accettavo umilmente ogni genere di nefandezza. Alla faccia del Welcome on board...

Mi arrivavano i rimproveri della donna dal collo lungo su bigliettini gialli (post-it), incollati sistematicamente sui documenti con orgogliosa e sadica intransigenza, e che io accumulavo a mo' di Bibbia per evitare di commettere le stesse dimenticanze. Ma si può parlare di vere dimenticanze quando nessuno ti ha spiegato il lavoro? A posteriori so che il job avrebbe avuto bisogno di almeno un mesetto di training per il passaggio di consegne. Ebbene, io sono stata affiancata per due ore! Due sole ore, dove mi sono state vomitate quintali di informazioni che non sarebbero state memorizzate nemmeno su un disco fisso da 400 Go. E cosi il giorno seguente ero già sul campo, con la testa piena di info, e i temibili post-it gialli che cominciavano ad arrivare sul tavolo.

E fu in queste circostanze che sentii per la prima volta, per caso, da una porta semi aperta, la frase fatidica, madre di tutte le frasi dei funzionari con le pile scariche: "Je vais me mettre en congé de maladie". Era Jean, un collega già navigato a dirla. Probabilmente scoglionato fino ai diverticoli intestinali. In teoria, il congé avrebbe dovuto essere congé (ossia ferie) e basta. Ma con accanto la parola "maladie" acquistava tutto un altro significato: ci si assentava volutamente per una vacanza... per malattia. "Ossimoro benedetto, non vado a lavorare e me ne sto' a letto! " Insomma quasi una specie di malattia... premeditata. E chi lo biasimava quel povero omino con la sua faccia tonda come una mela. Seppi in seguito, che il suo grande capo lo harselait fino all'esaurimento. Perchè qui più uno lavora e più viene inculato. Meno, invece, si dà da fare, e più gli altri lo lasciano tranquillo. In pratica non lavorare bene, o non lavorare affatto, è il modo migliore per... non lavorare. Ma non era finita. La seconda frase che memorizzai in breve tempo fu: "Allez, ouvre ton parapluie." En bref : fai attenzione a come ti comporti, e "attends-toi une pluie de commentaires sur ce que tu fais ici". Alla faccia del Welcome on board...

Comunque quel poveretto di Jean, in depressione ci finì davvero, chiudendo una carriera ventennale di tutto rispetto all'interno della stessa organizzazione. Le règlement est fait pour nous défendre. Quando il suo superiore diretto aveva dato le dimissioni, i gradini più alti avevano riempito la testa di Jean con una serie di croccanti e gustose salades per convincerlo a riprendere anche le mansioni dell'agente uscente. "Savoir dissimuler est le savoir des rois" (Cardinal de Richelieu). E giù Jean con straordinari, mal di stomaco e lotte intestine per cercare di portare avanti il lavoro in condizioni estreme. Lui, povero funzionario di serie B, con le maniche rimboccate per far funzionare un servizio normalmente gestito solo da gente con il pedigree. E Jean quel lavoro lo aveva fatto per quasi due anni, facendosi un culo al quadrato moltiplicato per due. E lo aveva fatto talmente bene che il suo staff non aveva mai lavorato in modo cosi puntuale ed efficiente. E giù i "bravo, bravo" dei suoi capi, parole vuote attorcigliate al collo di Jean come un guinzaglio ad un chiwawa. "Savoir dissimuler est le savoir des rois" (Cardinal de Richelieu).

Ma quando finalmente arrivò il momento del concorso per il posto in questione, chissà come mai il vincitore fu... un altro. Le règlement est fait pour nous defendre. Il pollo in questione fu silurato senza fronzoli. In sostanza, dopo un esame passato brillantemente, Jean il chiwawa si sentì dire : "Vous avez les capacités mais le poste a été pris par quelqu'un d'autre". Che in altri termini significava: "Ti abbiamo trombato fin che ci ha fatto comodo, ora non ci servi più torna nei tuoi ranghi. Anzi no, aspetta, prima devi formare il tizio che ha vinto il concorso."

E infatti qualche giorno dopo con la stessa voce mielosa dei "bravo, bravo" del passato, il grande capo era tornato sulla soglia del vecchio ufficio di Jean, informandolo del fatto che avrebbe dovuto trasmettere al novizio, e nel più breve tempo possibile, tutta la competenza accumulata negli anni. "Ma come?" Pensò Jean, "Non sono stato preso per fare il lavoro che porto avanti già da due anni, però sono colui che dovrebbe formare chi ha vinto il concorso per quello stesso posto?" Fu a quel momento che Jean il chiwawa cominciò a ringhiare come un mastino. Prima con i colleghi e nei giorni successivi con i superiori, fino ad arrivare al grande capo che lo mise alla gogna facendogli subire ogni sorta di umiliazione, tra le quali il fatto di proporlo per un grado inferiore viste le sue nuove mansioni professionali.

Però Jean era un battant e non voleva mollare. "La valeur ne dépend pas du grade" ripeteva al suo staff. "Je sais qui je suis et je sais le travail que je fais", o ancora "Je mènerai ma croisade tout seul" diceva ai suoi boss. Ma alla fine si ritrovò annientato davvero perchè come scriveva Voltaire nella Education d'un prince: "La valeur sans pouvoir est assez inutile: c'est un tourment de plus..."

Ebbene io arrivai (anche se in un altro ufficio) proprio nel momento in cui Jean si stava mettendo in congé de maladie. C'e'chi dice che ai primi tempi si trattava solo di una "sfida" a colpi di certificato. C'e' chi dice che lui quella storia non l'aveva propria digerita e che male stava davvero. C'è chi dice che più che per sé stesso si preoccupasse del destino dei suoi collaboratori e del fatto di non aver saputo difendere il suo team. C'è anche chi dice che la notte aveva bisogno di una maschera di ossigeno per poter dormire normalmente talmente la sua salute fisica e mentale si stava degradando. Ma indipendentemente da quello che si dice, l'unica cosa certa è che Jean, chiwawa-mastino dal cuore sensibile, alla fine non fece davvero più ritorno al lavoro. Le règlement est fait pour nous défendre.

Solo anni dopo, ripensando alla storia di Jean, mi venne in mente la frase di un'altra collega, Sarah, che aveva ricevuto un trattamento simile: invece di un grado superiore era stata messa in mobilité interne, ossia a disposizione delle varie unità. "Pour pouvoir passer de grade il faut que quelqu'un meurt", diceva Sarah. Frase che non avevo collegato subito al povero Jean perchè rispetto a lui, Sarah era rimasta al lavoro accettando la silurata. In pratica si era ritrovata a fare da tappabuchi un po' ovunque per brevi periodi. Delusa per la situazione, ma tutto sommato contenta di poter conoscere lavori nuovi senza investirsi né troppo, né troppo a lungo, Sarah la Penelope moderna tesseva la sua tela, sperando in qualche necrologio all'interno della divisione nella quale prestava di volta in volta servizio. E alla fine, a furia di scagliare perniciose profezie agli imbrattacarte di turno, quella simpatica paraculo arrivò al suo fine. Non ci fu bisogno di un buon funerale per vederla passare di grado: una semplice pensione anticipata di una collega, regalò alla nostra eroina il suo ritorno di Ulisse.

Ma se per Sarah le cose erano andate bene, non potevo dire lo stesso per la mia relazione con la famosa collega. Ferma ai gradini più bassi dell'evoluzione culturale, la tizia in questione continuava con il suo atteggiamento aggressivo e boicottante, screditandomi subdolamente e compiacendosi della sua malvagità. La nostra reciproca dicotomia era ormai lapalissiana per tutti. Leggendaria come l'agiografia dei santi, la mutua avversione che ci legava, avrebbe potuto trasformarsi in conciliazione solo grazie ad un miracolo.

Eppure di tentativi io ne avevo fatti. Ci avevo messo, infatti, del tempo a capire che cercare di instaurare un normale rapporto di lavoro con gente di quel tipo era tempo sprecato, ma quando lo capii fu un momento orgasmico fe-no-me-na-le: L'expérience est un fruit tardif...

La litigata scaturì per un errore commesso da un'altra persona, ma visto che io le avevo inviato il documento senza (secondo lei) le dovute spiegazioni, la Madame dei miei stivali godeva nel rivalersi sulla sottoscritta. Premetto che al momento dei fatti ero incinta fino agli occhi, ergo il mio tasso di ormoni faceva gli straordinari. Premetto che avevo tentato una mediazione telefonica con la bronchiosaria armandomi di una pazienza zen nello spiegare calmamente la situazione di quel famoso dossier. Premetto anche, e sottolineo questa premessa assolutamente necessaria, che la maleducata mi aveva raccroché au nez mentre fornivo tali delucidazioni. Si proprio sbattuto il telefono in faccia, insomma mentre stavo parlando!

Scena numero uno: io con il mio dolce pancione (che spingeva contro la scrivania) con ancora in mano la cornetta, attonita di fronte al vile comportamento di questa maleducata che aveva interrotto barbaramente la conversazione telefonica. Lei in un altro ufficio, ancora trionfante per il gesto crudele e codardo commesso contro la futura puerpera. Scena numero due: io che appoggio la cornetta ancora allibita, mi infiammo dei mille ormoni latenti, e allora riprendo il telefono e parto all'attacco. Scena numero tre, finale della storia: la maleducata risponde e si becca in faccia il mio telefonico gancio destro che risuona sulla sua mascella come un: "saloppe! Questa è la prima e l'ultima volta che ti permetti di sbattermi il telefono in faccia!" "Quiconque n'a pas de caractère n'est pas un homme, c'est une chose"

Da quel momento i contatti diretti tra di noi cessarono completamente. "Elles s'aiment comme chiens et chats", pensavano tutti. Io mi ero trovata un terzo interlocutore per interagire con il servizio della vecchia arpia, e lei era restata disoccupata per la parte di lavoro che riguardava il mio ufficio. Non so nemmeno se la tipa cospirò un ufficiale tentativo di discredito nei miei confronti, fatto sta che il divorzio consensuale non dispiaceva a nessuna delle due, cosi la situazione fu tacitamente accettata dall'olimpo dirigenziale. L'expérience est un fruit tardif...

Certo, tutti questi pensieri non mi stavano tirando su di morale. Dovevo smetterla di torturarmi il cervellino con quei ricordi pénibles, ora dovevo cercare di sgonfiare quel cumulo di carta che sembrava invece lievitare sul tavolo a mò di panzerotto. Ma chi vedo arrivare? La mia cara collega Sophie (ex virologa, convertita alla religione dei conti, ed entrata nell'ordine monacale dei ragionieri) pronta a passarmi le informazioni per il prossimo, inutile, meeting.

"Hi Laura, everything ok?"

"Yes" rispondo io, "And you?"

"Ci vediamo la prossima settimana nella saletta piccola, per discutere come ottimizzare quel programma di cui ti ho parlato." Mi dice in inglese.

"No problem dearest, sono già eccitata dalla nuova procedura". Ironizzo bonariamente io, continuando nella stessa lingua. Ma lei, che è davvero caruccia, ci crede. Ed ecco dato il "la" per vedere i begli occhioni neri della biologa-ragioniera illuminarsi, e la sua bocca aprirsi per sciorinare tutti i vantaggi del nuovo progetto da lei lanciato. La guardo mentre si anima nella spiegazione, è un tornado. Mi piace il suo carattere, la passione che la arde nel darsi sempre nuovi targets è contagiosa. Sorrido leggermente, e sapendo che con lei posso scherzare, mi esce una battuta:

"Sai che io mi sono commossa cosi, come fai tu mentre spieghi, solo quando ho visto la tomba Dante, padre della lingua italiana?"

"Come on. Io invece mi sono commossa ancora di più... davanti al mio primo virus, però non ci campavo". Risponde.

Bella questa, ha ragione lei. Io la storia medievale, lei il virus, ma in fondo è un po' la stessa cosa... Io con la passione per Dante non c'ho di certo mai mangiato, non mi sono mai pagata un affitto e tanto meno un viaggio, ma da quello che so, nemmeno lei con la passione per i virus.

"Eddai Sophie, però anche senza queste cose siamo brave lo stesso: sappiamo dare i numeri, no volevo dire che sappiamo... lavorare con i numeri..."


E mentre ridiamo come due stupidelle vediamo entrare l'aitante ragazzotto della segreteria del reparto.

L'ex biologa prende garbatamente congedo, e io mi concentro sulla busta che il giovane dall'immobile postura tiene in mano. Faccio per allungare il braccio, ma il tizio non sembra interessato a passarmi il malloppo, anzi pare deviare meccanicamente su un altro argomento, dato che mi chiede in francese:

"Ci sarai per il party di Harold questa sera?".

Cavolo, me l'ero proprio scordato. "Ma certo che si" rispondo mentendo, e dentro di me penso che ne farei anche a meno di andare ad un dopo-cena con certi colleghi ma si sa... Social life is social life.

"Si, vengo. Del resto: no Laura, no party!" continuo io, rifacendomi ad una conosciutissima pubblicità di un divo di Hollywood per un aperitivo milanese. Lui mi guarda impassibile ma sembra non captare. Forse la pub passa solo in Italia? Eh si, vista la reazione del pietrificato. Vabbè cambio canale comunicativo, tanto mi sa che questo qui, del fatto che una mia compatriota stesse per sposarsi con quel brizzolato americano che si fa tre eleganti caffè al giorno, non gliene frega un fico secco.

"Et l'enveloppe, c'est pour qui?". Domando.

"Oui, j'avais oublié, c'est pour toi". E riparte sui suoi talloni. Che individuo singolare quello là... con il suo contegno calmo e compassato sembra quasi un manichino ambulante, in giacca e cravatta bien sûr. Annodare una conversazione con Mister Robot è un impresa davvero ardua. Caruccio è caruccio, ma sai quell'insipida perfezione che alla fine passa inosservata? Lo vedrei bene come body guard di un politico. Si, uno di quelli che non riesci a farlo ridere nemmeno se gli solletichi gli alluci con una piuma. Oppure come modello e statuario e impassibile che sfila per qualche nota casa di moda. Uno di quelli che incalza la passerella con quegli strambi abbinamenti di taglio e di colore che sembrano usciti da una pagliacciata, ma che costano un occhio della testa perchè la società degli stolti ha deciso di catalogarli come capi di haute couture.

Vabbè forse è meglio che mi concentri sulla posta. Prendo d'assalto la piccola busta incuriosita fino al midollo. Guarda un po' che strano... Una candida, esile, busta quadrata... Di solito mi arrivano buste marroni megagiganti, ma che sarà? La giro e non c'e' il mittente. Davanti, la scrittura è in inglese e ben delineata. Bhe allora la apro? Mica ci sarà dentro la polvere bianca dei terroristi no? Ed ecco che mi ritrovo a sorridere a bocca tirata da un lato mentre scopro di che si tratta. Ma guarda qua che storia... E' un bigliettino romantico, con l'immagine di un uomo ripreso da dietro che tiene in mano un mazzo di fiori. Questa è buona! Che strano, però, il biglietto all'interno è scritto in italiano. Non mi raccapezzo dalla ridarola. Rigiro la busta, leggo il testo, ma chi potrà mai? Incredula rileggo ancora: "Quando ti vedo nei corridoi mi sembri una dea...". "A ogni donna corrisponde un seduttore. La sua felicità sta nell'incontrarlo" (S. Kierkegaard). Busta scritta in inglese, testo in italiano...Uhmmm... O è un compatriota che scrive in un'altra lingua per depistarmi, oppure è uno straniero che scrive in italiano per lo stesso fine.

Oddio, oppure... è mio marito che mi scrive per mettere alla prova la mia fedeltà! E adesso che faccio? Se cosi fosse e tengo il segreto, mio marito potrebbe pensare che nascondo qualcosa. Ma se non fosse lui e glielo dico, quello pensa che io flirto nei corridoi. Dilemme cornélien: choisir entre l'amour et l'honneur. Bhe io glielo dico, però non subito, tanto oggi non è qui. Magari gli accenno giusto la cosa cosi valuto il suo comportamento. E se non dovesse essere lui... Ridacchio sotto i baffi. Certo che una sorpresa cosi, a fine mattina, è capace di tirarti su il morale anche se sei qui dentro! Ma allora l'idea di farmi il botulino per darmi una rinfrescatina mi sa che l'abbandono. E si, perchè se anche con le rughe cucco, allora posso aspettare per il "ritocchino", no?

Passano le ore e mi butto a capofitto tra le scartoffie, dimenticando per un po' la storia del biglietto. E' quasi ora di pranzo, mi dico. Io me ne vado a mangiare. Ma mentre sono nei corridoi mi torna ancora in mente la frase del romantico spasimante, cosi mi metto a pensare a come mi muovo nei meandri della OI. "A ogni donna corrisponde un seduttore. La sua felicità sta nell'incontrarlo" (S. Kierkegaard). E sto al gioco con me stessa: mi dò un immediato contegno, tiro tutta la colonna dal coccice in su, alzo il mento con fare aristocratico, e qui e là ancheggio in modo sbarazzino quando non c'e' nessuno all'orizzonte, giusto per prendermi in giro da sola. Eppoi chissà, se il tipo della card dovesse vedermi...Social life is social life.

Oggi il lunch lo passo da sola. My husband è fuori sede e io non ho preso altri rendez-vous. Ma che vedo? Ancora 'sta fila. Fila a badggiare per uscire, fila a badggiare dopo per rientrare, fila per il panino... Che palle, quasi quasi mi prendo uno yogurt e un bel libro, e me ne stò in disparte.

"Salut ma belle, quand-est-ce qu'on touche?". Mi giro, è Valérie, la belga, quella mattacchiona col chiodo fisso dei discorsi sul sesso e del giorno dello stipendio. Sul fatto di fare il countdown per intascare i dobloni, occorre dire che non ha poi tutti i torti, ma sul fatto dei doppi sensi... alla fine fa a tutti due marroni...

Però, a pensarci bene, forse anche il verbo per chiedere quando si prende lo stipendio, è usato da Valérie come doppio senso. Eh si, perchè in francese si dice "toccare", o meglio toucher, che nel contesto significa riscuotere la paga... e non altro... Ma si sa, Valérie resta Valérie. Una grande gnocca dal cuore d'oro.

Sorrido scuotendo la testa, perchè pur essendo un po' rompipalle con i suoi scherzi salariali e le sue allusioni sessuali a doppio senso, almeno è sempre sorridente, eppoi io sono di buon umore perchè... non mi devo più botulinare.

"Ciao Val, ça roule?".

Mi prende sottobraccio, mi porta in un angolo e mi dice in inglese con il suo marcato accento francese: "Ma colombe... Look at zsiiz (this)".

Guardo la sua testa piegata in avanti e le sue mani che tengono peccaminosamente a mo' di coppa il suo seno.

"Ma che hai fatto?" chiedo, pur sapendo la risposta viste le dimensioni dei suoi nuovi... polmoni.

"What the f..k! Baby, you really don't see it? New boobs, darling, brand new boobs! C'est mieux que les moules-frites, non?" E dicendo cosi, la simpatica giuliva si allontana.

E che cavolo, ma allora la mastoplastica l'ha fatta davvero. Ma non era in ferie in Belgio? Ah, ecco svelato l'arcano... Era in clinica per le due nuove tettazze. Bhe, del resto se non se le fa lei che parla sempre di certe cose nelle sue conversazioni, chi se le dovrebbe fare, le dinosaurone con il collo lungo? Mitica e giunonica Valérie, regina delle notti in bianco, capace di raccontare le sue avventure comme une chanson de geste. Mi resterà sempre impressa nella mente la prima volta che andammo a mangiare insieme, ormai anni or sono, al ristorante della OI. Ricordo che aveva preso come dessert un invitante cremoso tiramisù e mentre lo gustava, vistosamente in estasi, mi disse: "My dear, it's even better than sex!" Ogni volta che faceva delle battute le faceva in inglese, o se parlava in francese enfatizzava il suo accento di Liegi che era davvero fenomenale "comme si elle parlait avec une pomme dans la bouche... ou je ne sais quoi d'autre entre ses lèvres..."

Pensando ammirata, alle due nuove entries broncopolmonari di Valérie, mi faccio strada tra quel muro di schiene che è la coda per il panino. Sorry, non la spingo non si preoccupi, sa io non voglio quel materasso duro che qui chiamano sandwich. Vorrei solo un misero yogurtino che è proprio dietro di lei. Sorry, sorry non faccio la furba, suvvia non sacramenti, non le rubo mica il posto. Il suo mattone, pardon panino, glielo lascio tutto.

E voilà che arrivo cosi, mezza spiaccicata, alla cassa. C'e' Gerard oggi che dà il resto, niente-popò-di-meno che il direttore. Non si accorge nemmeno che la coda dei clienti che deve pagare è lunga. Lo vedo sbraitare contro una povera ragazzina. Sembra ancora un'adolescente boutonneuse, dev'essere nuova, e questo fatto, dentro la nostra OI, è già una tara. Ma poi il mio sguardo viene catturato dalla persona che è accanto ai due e che sembra aspetti un posto libero. Stazza da tavolo da biliardo, faccia equina, capelli da Medusa, sguardo che contempla dall'alto al basso fino all'impolitesse: quella è la vipera!

Il mio pelo è rizzato, con quella non si scherza. Ladite "vipera" è une dure à cuire, arrivata direttamente dal magico Graal di un'altra prestigiosa OI, e che da qualche tempo occupa diciamo... vistosamente (dato il volume adiposo) un posto di management di altissimo livello. Ergo, she was almost God... or she thought she was...

L'aveva chiamata "vipera" mia mamma. Non che mia madre lavorasse nella stessa struttura parigina (la mia mammina è già in pensione), ma dato che una volta al telefono le avevo raccontato della disciplina di ferro di questa tizia capace di ridurre il personale a delle misere carcasse, alla fine mia mamma le aveva trovato il grazioso e delicato nomigliolo di... vipera.

Questo "ras" in gonnella era conosciuta già nella società precedente come una vera ecatombe ambulante, distruttrice di carriere al solo schioccare delle dita.

I suoi rari "please" o "merci" suonavano come un ordine perentorio, pesante quanto una lapide. Anche il minimo e garbato cenno di contestazione durante i suoi meeting era impensabile, a meno che non si volesse andare incontro ad un suicidio professionale. (Mal)trattava i suoi subordinati come sudditi di basso rango con un godimento al limite del sadismo psicologico, soddisfando cosi l'atavico (ed eterno) gusto del comando più o meno latente in ognuno di noi. Amava giocare con i suoi subalterni come un bimbo all'asilo con il pongo, componendo e scomponendo percorsi professionali (e psiche annesse) con impareggiabile maestria. In pratica chiunque fosse gerarchicamente sotto di lei doveva essere pronto a qualsiasi ordine, persino virevolter en tutu se quest'ultima lo avesse chiesto. E se nel suo lavoro aveva sicuramente delle idee brillanti, la sua mancanza di umanità impediva di apprezzare pienamente le sue innate capacità intellettuali.

Poco male, in un prossimo futuro sembra che il narcisismo sfegatato e l'Io megalomane, non siano più da annoverare nelle patologie della personalità. O almeno cosi ho letto di recente in un articolo stilato da degli esperti americani chiamati a preparare la nuova edizione del Dsm (Diagnostic Statistical Manual), il manuale che definisce i principali problemi psichiatrici. Se non ricordo male essi spiegavano che il declassamento previsto sarebbe dovuto alla eccessiva diffusione del problema nella società. In sostanza, avere un irrealistico senso di superiorità, e una completa mancanza di empatia, non sarebbe quindi grave in sé, perchè a quanto pare le compagnie americane sono piene di persone con questo problema.

Ebbene la matrona - riabilitata con una botta di culo anche dagli strizzacervelli - era lì, davanti a me, alla ricerca di un tavolo libero. Ma visto l'affollamento del giorno, nemmeno Gerard era riuscito a compiere il miracolo. Ma si sa, she was almost God... or she thought she was... E cosi ecco apparire pane e pesci, no volevo dire il povero Mario (un cameriere di origine spagnola) da dietro la cucina, con un tavolino e una sedia per la Star in attesa. Sua Altezza Reale aveva il suo seggio, mentre la plebaglia di Maria Antonietta poteva continuare a mangiare – ma in piedi – le sue brioches.

"Esistono su questa terra solo delle creature miserabili, che eseguono una volontà altrui... Nessuno avrà il coraggio di dire: 'Non voglio', di innalzare un grido di fierezza?... La prigione è nel cuore degli uomini..." (M. Gorkij).

Finalmente pago il mio ticket. Quella bolgia incravattata mi angoscia. Prendo il mio yogurtino e da brava misantropa me ne vado da un'altra parte. Troppi colletti bianchi ovunque. Certo che quel pezzetino di stoffa impiccata al collo degli uomini fa sempre la differenza, eh? Non riesco ancora a spiegarmi come quei pochi centimetri annodati davanti all'altezza delle spalle, con la loro lingua da caimano perpendicolare, possano dare o togliere la giusta allure alle creature di sesso maschile?

E mentre me lo chiedo, sempre con il mio petit pot freddo tra le mani in attesa di trovare un posto adeguato dove afflosciarmi tranquilla, ecco arrivare da lontano il "soldatino". Il soldatino è in realtà una donna. La consideravo mia amica, una volta, quando avevamo condiviso per poco tempo lo stesso piano. Prima, cioè, che mi accorgessi che sotto quell'aria innocente si nascondeva un'ipocrita peste. "La moitié d'un ami, c'est la moitié d'un traître" (V. Hugo).

All'epoca il suo ufficio era situato proprio accanto al mio, ergo: si sentiva tutto. La mia collega Karen l'aveva battezzata "petit soldat" perchè quando camminava nei corridoi sembrava facesse parte dell'Armata Russa. Spalle geometriche e passo militare, Danielle la radioattiva, marciava per la OI come fosse a capo di un battaglione.

Ma guarda un po', "Madame la Caporala" mi fa da lontano un cenno di saluto, anche se a denti stretti. Ricambio con un debole sorriso, tanto le avevo già vomitato, molto cortesemente, le mie quatre vérités mesi or sono perchè "avec les brouettes on ne discute pas, on les pousse". Ormai ci potevano considerare cordialmente antipatiche l'una all'altra. Insomma per me ormai l'affare era veramente close, chiuso nella maniera più educata possibile. "La puissance ne consiste pas à frapper fort ou souvent, mais à frapper juste" (H. De Balzac)

Ero sicura, però, che il soldatino non aveva digerito la cosa, del resto per sua diretta ammissione, lei si sentiva toujours très correcte in tutto quello che faceva.

Très correcte quando "davanti" ti mostrava uno dei suoi soliti ipocriti sorrisi, eppoi correva dal superiore a riferirgli la tua giornata-tipo (eventuali telefonate private comprese, che anche lei chiaramente faceva ma che, altrettanto chiaramente, non dichiarava).

Très correcte quando chattava con altri colleghi in orari di ufficio, cambiando lo schermo all'arrivo del suo capo.

Très correcte quando si prendeva una mattinata intera per andare dal dottore, eppoi si scopriva che era passata anche in banca, dal notaio e pure dal panettiere.

Très correcte quando guardava seccata l'orologio se arrivavi due minuti in ritardo, eppoi si prendeva una pausa pranzo ben dilatata nel tempo per poter fare il suo fitness quotidiano.

Très correcte quando aspettava che il suo superiore andasse ad una riunione per chiudersi in ufficio e fare la sua lunga lista di fotocopie o telefonate private. Très correcte quando cercava di silurare la sua collega diretta proponendo al capo di spostarla d'ufficio, perche' spesso in ferie a causa dei suoi gravi problemi famigliari. Insomma, io con una cosi correcte non riuscivo proprio ad andare d'accordo. Se avessi potuto l'avrei messa in ginocchio sui ceci ogni fine giornata per scontare le sue ipocrisie.

Un, due, tre; un, due, tre, p a s - s o, m a r – c h e ! Il soldatino si stava allontanando, e con lui - ops, con lei - tutta la cattiveria del suo immacolato reggimento interiore. Cosi immacolato, che il termine francese di "sous-merde" le andava proprio a pennello.

Intanto vagando per i corridoi vedo finalmente una sedia. Appoggio le mie dolci natiche sul velluto, e penso che tutto sommato mia figlia ha ragione quando dice che la mia parte inferiore si sta afflosciando (ahimé la parte superiore ha già cominciato da tempo). Me l'ha detto proprio qualche giorno fa... Ma visto che Elena scherza sempre con la sua cara mammina, in verità non ci avevo creduto. Eh si, perchè questo è il periodo del "So tutto io, voi siete vecchi" (forse pensa anche "rincoglioniti", ma per ora non fa ancora certe uscite allo scoperto) e compagnia bella... Sorrido, e penso che anche ieri quando la stavo accompagnando a danza me ne aveva tirata fuori una delle sue.

"Mamma a quanto stai andando, stai planando o guidando?"

"Senti carina, sto andando a 50 Km/h perchè non ho voglia di arricchire il governo, come fa tuo padre, prendendo multe che posso evitare".

"Ma mamma che palle... Anche il flash ha sbadigliato!"

Ricordo di essermi messa a ridere di gusto. Bhe questa era davvero la quintessenza del sarcasmo adolescenziale. Mica male la battuta, Elena aveva ragione. Guidavo come una vecchia babbiona e ne andavo anche fiera.

In questo periodo cercare di battere mia figlia, sul ring della conversazione, mi pare uno sforzo titanico. La tipetta è capace di mettermi a knock out con delle circonlocuzioni nelle quali mi perdo già dopo la prima svolta, o con delle laconiche frasi del tipo: "Scusa ho l'iPod non sento", oppure "Mamma, adesso devo studiare, sai... la mia carriera scolastica è impegnativa...".

Insomma, seduta su quella sedia mi ritrovo a sorridere da sola pensando agli adolescenti di oggi. Mi divertono troppo, con il loro gergo, il loro Facebook, la loro musica e... il loro mondo. Eppoi, pensando a Elena, anche se a volte mi tratta un po' come una débile mentale, so che mi ama profondamente, e che alcune sue riflessioni sono (talvolta) pure fondate. Mi riprometto, quindi, di cominciare a frequentare la palestra per tonificare il mio lato B, il mio "back" quoi ! (che sembra ormai diventato più una U cadente che altro). Da domani, però. Oggi sono stanca... Lo sforzo fisico mi sfianca, ed ecco che mi ritrovo a pensare... Chissà cosa diventerà Elena da grande (e ci risiamo con le vecchie e stupide e domande di noi adulti ai bambini). In tutta sincerità mi farebbe piacere solo una cosa: che trovasse un lavoro che ama. Un lavoro per il quale alzarsi al mattino con passione e con gioia. Un lavoro che è parte della tua vita come l'aria che respiri. Insomma un lavoro ben diverso dal mio. Certo, io avrei voluto solo scrivere, scrivere e ancora scrivere. Cosi di fronte alla domanda: "scusi ma mi puo' spiegare il suo mestiere"? Avrei potuto rispondere: "Sono un architetto della pagina vuota. Costruisco mattoni di immagini e di idee, di fatti accaduti e di cose inventate. Spero di regalare emozioni a chi mi legge, ma anche sorrisi, e lacrime. Sono un ingegniere della parola, un distributore di fantasia. Il mio lavoro? Sono un designer di pensieri e parole. Sono una scrittrice".

E invece oggi come oggi cosa potrei dire sul mio lavoro? I'm just a fucking fonctionnaire...

Ormai sono arrivata alla conclusione che il vero lusso nella nostra misera esistenza umana è fare ciò che ti piace veramente. Se poi riesci anche a camparci con questa passione... tanto meglio. Certo, i ragazzi di oggi rispetto alla mia generazione hanno molti più stimoli, molte più opzioni, molte più possibilità di scelta. Gli ormai fluidi confini geografici permettono spostamenti in poche ore, e i sogni professionali di una volta, in paesi che sembravano a noi cosi lontani, si possono oggi concretizzare anche solo inviando una mail. Nonostante l'allarmante situazione di disoccupazione nella quale viviamo, i nostri figli hanno qualcosa di inestimabile che a noi mancava: il mare quasi infinito di possibilità di scelta. "La libertà consiste nell'essere padrone della propria vita e nel fare poco conto delle ricchezze" (Platone). Mentalmente, "solo" questa (grande) differenza, sembra inebriarmi tutti i sensi. Se avessi ancora la loro età... Poter scegliere, poter provare (tanto pagano i genitori), poter rischiare... Troppo forte! O ancora meglio... "assurdo", come direbbe mia figlia nel linguaggio vernacolare dei ragazzi di oggi. Però oggi come oggi troppi giovani sono senza lavoro. Diplomi, stages, masters eppure precari nella prospettiva più rosea...

Che strano, pensando a tutto ciò mi viene in mente un episodio accaduto qualche settimana fa, quando andai al comune a prendere uno contenitore speciale per riciclare i rifiuti che non vanno nella normale poubelle (la nostra cara "immondizia" suona male come parola, "poubelle" è molto più "belle" n'est-ce pas?). Comunque, ricordo che la mostruosa macchina sputa-ticket per pagare il bidone aveva le istruzioni illeggibili. Non essendo capace di decifrare correttamente la procedura da seguire, vidi uscire da un angusto bugigattolo un sottile dipendente comunale. Con la sua dolce barbetta, stile capretta di Heidi, mi si era avvicinato elencandomi i giusti passi da seguire per usare la sadica macchinetta spara-stickers. "Maschine kaputt" mi disse pensando che io fossi tedesca o giù di li. Gli avevo risposto in francese, dicendo che ero italiana. Ricordo che dal quel momento mi aveva sorriso e, forse apprezzando lo sforzo che avevo fatto per comunicare, si era messo a raccontarmi come la sua giornata-tipo fosse sempre disturbata da un troupeau di persone incapaci di utilizzare lo strizza-bollini comunale. In poco tempo avevamo simpatizzato. E cosi si era spontaneamente ritrovato a riassumermi la storia della sua vita in 10 minuti.

Mi aveva confessato quanto odiasse quel lavoro (e non solo a causa di noi cittadini rompicoglioni), e soprattutto del perchè era riuscito ad accettare il fatto di passare: "these bloody 30 years in this hole" (questo, e solo questo, me lo disse in inglese). Appresi che nonostante una laurea nel cassetto, egli aveva dovuto trovare un posto con uno stipendio sicuro, mettendo in disparte la sua passione per l'insegnamento. La sua era una situazione drammatica: il figlio aveva grave un problema fisico e sua moglie non stava troppo bene. In altre parole, il lavoro comunale era un lavoro punto e basta. Forse faceva anche schifo agli occhi di colui che aveva invece sognato di intraprendere una carriera accademica, ma per una famiglia in quelle condizioni il rischio della precarietà era pura pazzia. Il luogo di lavoro, poi, era vicinissimo a casa. Fatto non trascurabile, mi aveva spiegato, perchè se succedeva qualcosa al suo primogenito malato lui avrebbe potuto rientrare immediatamente tra le pareti domestiche. Me lo disse quasi con le lacrime agli occhi. E anche io mi ritrovai commossa da quella inaspettata confessione. Non conoscevo di persona quel povero funzionario comunale, ma il suo sfogo sincero mi aveva lacerato il cuore. "La libertà consiste nell'essere padrone della propria vita e nel fare poco conto delle ricchezze" (Platone).

Ricordo che presi ancora scossa la prova del pagamento del contenitore per il riciclo (ormai lo scopo della mia venuta era passato in secondo piano), e uscendo accennai un debole sorriso al "mio" omino comunale, grata per quella conversazione cosi importante, se non addirittura speciale per me. La sua barbetta grigia non mi pareva più quella di una capretta del cartone animato Heidi. Quel segno di vecchiaia aveva acquistato ai miei occhi un significato di levatura superiore. Un simbolo di martirio professionale accettato per garantire una certa tranquillità (almeno economica) famigliare. Altro che pascolare in un prato svizzero, a mio parere quel pover uomo rientrava a tutto diritto nel libro dei santi!

Seduta su quella sedia, con il mio yogurt ancora in mano, guardo l'orologio appeso al muro e mi rendo conto che è già ora di rientrare in ufficio. Che strano, mi affiora alla mente una frase, in francese stavolta, che mi riempie il cuore di un'enorme tristezza: Le temps ici semble ne pas vouloir passer...

D'un tratto, mi viene in mente un articolo di giornale, letto qualche tempo fa. Parlava della situazione dei bhutanesi, e di come il loro sovrano si adoperasse per il benessere dei suoi sudditi. Il "Re Drago" intervistato da un giornalista del Financial Times e incalzato da quest'ultimo sul fatto che il Pil del loro paese crescesse meno di quello della Cina, aveva replicato: "La felicità interna lorda è molto più importante del prodotto interno lordo".

Quel sovrano aveva capito tutto.

E io? La mia Felicità Interna Lorda, come se la cava rispetto al Pil?

Le lancette dell'orologio stanno giungendo alle ore due. Il mio battito cardiaco sembra marcare il sordo rumore dei secondi mangiati inesorabilmente dal tempo.

Devo rientrare tra le mie scartoffie, le mie muffe e le mie scagnozze. Stasera non devo fare tardi perchè c'è il party per Harold. Mi conviene lasciar cadere la penna alle sei in punto altrimenti non riesco a passare da casa, docciarmi e riuscire dopo aver lasciato alla mia dolce locusta famigliare la pastasciutta quotidiana. Mio marito è fuori sede a dire il vero, ma voglio stare un po' con mia figlia prima di andare a bere un bicchiere in onore del vecchio Harold. Ho ancora quattro ore davanti a me e faccio i salti di gioia. Quattro interminabili ore per sopportare il suono del telefono, del fax, della fotocopiatrice, delle tirate di cesso accanto al mio ufficio, e delle vocine ipocrite che ti fanno salamelecchi da un lato, impalandoti dall'altro. Quattro interminabili ore a cercare di far scendere una pila che, già entro fine giornata, duplicherà comunque. Quattro interminabili ore nel mio futuro di vita sprecata dentro queste quattro mura.

Le temps ici semble ne pas vouloir passer...

Le temps, ici, est immobile et statique. Je meurs ici, je suis en train de mourir ici...

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