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Il lavoro nobilita

CAPITOLO PRIMO

"Le travail est indispensable au bonheur de l'homme" (Alexandre Dumas fils)

Casanova, anche se veneziano, scriveva in francese perche' al suo tempo era "la langue la plus connue au monde". Anche il caro e vecchio Goldoni scrisse in francese la sua biografia. Oggi come oggi forse dovrei scrivere in inglese per stare al passo con i tempi, ma vivendo nel cuore dell'Europa I am writing as I speak dans ma vie normale. A mix of everything, a milk shake, ou un pot pourri. Bref, un peu de tout et un peu de rien... Comme ma vie.

This is my life: I'm just an idiot fonctionnaire...

File 979877 je dois ranger ça. Quel boulot de merde. C'est seulement lundi et j'ai hâte d'arriver au week-end. Il faut encore résister, courage...

Laura fatti forza, tieni duro ancora un po'... Sto parlando con me stessa, in un cauchemar ad occhi aperti. Nei miei soliloqui parlo spesso in lingue diverse. Lavoro da troppi anni all'estero e ormai linguisticamente sono imbastardita fino al collo. A Parigi la mia laurea italiana in Storia Medievale non mi è servita un granché. Sono impiegata in una grande società internazionale, mi occupo di contabilità e lavoro con i numeri. Però sono pagata bene e con la penuria di lavoro che c'è in giro non posso, anzi non devo, lamentarmi. Devo ringraziare in ordine alfabetico tutti i Santi che conosco solo per il fatto di avere un posto fisso. Questo è quello che mi dico per andare avanti. Un'enorme merdosa bugia di cui sono cosciente, ma che accetto per mero bisogno economico. Mi trascino ogni giorno davanti alla scrivania ripetendo tale litania lavorativa. Eppure non riesco a trattenermi dal chiedere a me stessa: bonté divine, ma che vita è se i tuoi sogni sono già morti a metà del cammino statistico della tua esistenza?

Quello che è bello quando si è bambini, o almeno bambini occidentali, è che normalmente non si lavora. Si va a scuola, si fa ricreazione, si gioca e si litiga, si studia, si mangia e si beve, si abbraccia la mamma eppoi si fa dodo. Non ci sono fatture che intimano un pagamento immediato, non ci sono assicurazioni che arrivano a scadenza, e soprattutto non ci sono i posti di lavoro. Quando sei bambino you don't even think that in the future you have to work. Certo, gli adulti ti fanno quelle solite domande stupide su: "che lavoro vuoi fare da grande?" Ma già da li inizia la menzogna lavorativa. Con questa semplice, e apparentemente innocua domanda, ti vendono nello stesso pacchetto l'implicita sicurezza che da grandi si possa veramente scegliere. Però, ponendo la questione, gli adulti non si prendono la briga di aggiungere anche che tutto dipenderà dalle raccomandazioni, dai figli di papà che ti passeranno davanti, dalle esigenze economiche della tua famiglia e dal budget a disposizione per farti studiare o viaggiare per renderti competitivo. Insomma facendoti la fatidica domanda è come se ti raccontassero fregnacce sullo stile del "C'era una volta". À l'école ho sentito spesso rispondere cose come: "da grande farò l'austronauta"; oppure "farò la pop star", oppure "farò il pilota". Eppure non mi risulta che nessuno dei miei vecchi compagni di classe sia diventato il nuovo Bill Gates, o il Re del pop Michael Jackson (pace all'anima sua), o la nuova Madonna. So, invece, che c'e' stato chi ha seguito il buon vecchio mestiere paterno diventando: panettiere, elettricista, orefice o impiegato di banca. E so anche che chi aveva il desiderio di diventare notaio si è poi trovato a fare il contabile in una società di telefoni. Lavori sicuramente seri e onesti, ma purtroppo ben lontani dai desideri di noi bimbi della classe 3 C. La dépression au travail fait plus de victimes...

Il telefono squilla e di colpo mi ritrovo di nuovo nella dura realtà. Nel frattempo c'e' una mia collega che arriva e inizia il rituale quotidiano del "Ça va". Eh si, perchè in questa Organizzazione Internazionale (che chiamerò OI per questione di brevità) quando ci si incrocia nei corridoi si sparano le solite cavolate. Anch'io le ripeto, anche se mi sento una vera débile. Ma il gregge lo fa e sarebbe maleducazione non ottemperare alle Sante Regole Professionali.

Volete sapere quali sono les mots banals échangés dans le couloir: Bhe, per il mattino normalmente si usa un piatto "Ça va?" Strascicando chiaramente l'accento, in modo che la "a" finale suoni zuccherina come un bonbon marcito al sole. Se vedi un anglofono invece è più sympa inforcarlo con un "How are you?". Il sorriso è d'obbligo perchè devi essere ossequioso, ma distante al tempo stesso. I francofoni aggiungono anche una nota... epidermica: si baciano spesso. Qui a Parigi ci scambiamo tre baci, a volte anche solo due, ma è ormai diventato di uso comune scambiarsi giusto un bacetto. Un inglese ti darà un "kiss" solo il giorno del tuo compleanno, ma per un francese o un belga i "bisous" si danno e si inviano anche per chiudere la telefonata. Anche gli uomini si baciano tra di loro. E se vedi la stessa persona più volte, non di rado ricominci la collezione di "sbavate di guancia".

Oggi mi trovo assai cool cosi alla mia collega regalo un famigliare "Ça roule?".

"Oui, ça roule". Mi risponde lei. "comme un lundi".

Eh si, perchè il lunedi tutti indossano la tunica del funerale. Il venerdi invece è festoso. C'è chi indossa la cravatta con su scritto "Thanks God it's Friday" e ci si scambia sorridendo una quantità industriale di "bon week end" nei corridoi. Have a nice w.e. qui, have a nice w.e. là, affrettando il passo per poter uscire alla svelta. In realtà nessuno si fila il tuo week end. Tutti sono già proiettati fuori dalle mure lavorative e se ne strafottono di come passerai il fine settimana. Però sarebbe scortese non dirtelo mentre cavalcano la via dell'uscita. Sarebbe una mancanza imperdonabile. Ma tornando ad oggi: la faccia è lunga per tutti. Ci aspetta una settimana davanti e il famoso buon w.e. dista, ahimé, ancora cinque fucking days ! Meno male che esistono i coffee breaks. Quelli sono sacrosanti per poter mettere la testa fuori dall'acqua e respirare a pieni polmoni.

"On prend un café vers 10h00?" Mi chiede Marianne tra una porta e l'altra. "Oui bien sûr. On s'appelle après?" Rispondo io.

"Ça marche. À plus."

Voilà la mia pausa caffè e' già riservata. In gergo: je suis prise.

Ricomincio il mio lavoro al computer e vado avanti a bosser duramente, per più di un'oretta. Vedo solo numeri, numeri e ancora numeri. Poi, però, mi basta uno sguardo alla cartolina che mia cugina mi ha inviato dalla Florida e. riparto con le mie seghe mentali. Il tempo sembra non voler passare e da brava masochista mi immergo per l'ennesima volta in riflessioni personali. Che cavolo ci faccio qui? What the hell am I doing here?

Quando ero bambina sognavo di diventare una scrittrice. Non una giornalista, no, quello e' per chi ama stare al freddo per attendere l'intervista o per chi ama viaggiare in paesi dove la guerra regna sovrana. Io avevo bisogno della mia famiglia intorno. Del ragu' fatto dalla nonna, del sorriso di mia mamma, degli occhi rassegnati di mio padre... Avevo bisogno del sapore di una casa, quel sapore dolce amaro che ti lega come un filo d'acciaio invisibile al solo punto certo in questa vita fatta di castelli di cartone. Ricordo che all'epoca pensavo ancora come fossero strani gli adulti che, con generalizzazioni mastodontiche, chiamavano "bambini" degli esseri umani come loro. Anche i grandi, riflettevo, sono stati a loro volta bambini, perchè allora perimetrarli in una categoria differente dalla loro... Non riuscivo proprio a spiegarmelo... Eppure anni dopo mi ritrovai anch'io ad utilizzare il termine "bambini"... Non so quando, e non so come, mi ero ritrovata dall'altra parte della barricata... "Si jeunesse savait, si vieillesse pouvait."

A quel tempo il telegiornale per me era una vera tortura. Lo consideravo un supplizio per tutti quei piccini che volevano guardare i cartoni animati, mentre invece lo schermo impietoso faceva scorrere immagini di crimini, di tasse sempre nuove e di notizie di disastri in chissà quale altra parte del mondo. Le notizie politiche mi parevano tutte uguali. Uguali le stesse facce scarne o grasse, rugose o levigate che sciorinavano paroloni incomprensibili per anestetizzare il solito malcontento popolare. Gli uomini politici poi, mi facevano carrement chier. Me li ricordo fatti in serie: spesso calvi, o con pettinature bislacche da "babbi di minchia", per nascondere il piu' possibile un problema che in certe scienze sperimentali viene definito "da separazione". E per non parlare della situazione della loro bocca. Bocche bisognose di un aiuto dentistico radicale: storte, tartarose, umide e lascive, veri sarcofagi di tutte le menzogne che sputano ogni giorno addosso alla povera gente comune.

Ma allora la grande frase "La politique est la science de la liberté!" (P.J. Proudhon) è solo un'ennesima cavolata megagalattica. Del resto anche adesso che sono cresciuta, quello che penso di alcuni politici è piuttosto chiaro: They're just idiots trying to fuck ordinary people like you, like me... Pensandoci bene, la classe nobiliare non è mai morta, elle a seulement été remplacée (sous le drapeau de la démocratie) par les politiciens. I nobili di oggi non abitano più in castelli, ma in parlamenti. Non hanno più schiavi personali, ma cittadini. Non girano più in carrozze, ma in aerei privati e in auto blu pagate dal popolo. Non hanno più teatri per divertirsi, ma intere reti televisive. Non hanno più le dame di corte, ma un harem di escort pronte all'uso. Non comandano più testi di scena allo Shakespeare del tempo, ma impongono la loro velina e prezzemolina di turno dopo averla manualmente testata (se maggiorenne ben inteso) in un ufficio pubblico o privato. E naturalmente non hanno più rendite terriere, ma stipendi mensili astronomici capaci di pagare mille pensioni in un solo mese... They're just idiots trying to fuck ordinary people like you, like me... E' quindi normale che da piccolina questa gentaglia mi facesse schifo, ma allora chissà perchè, ora che sono cresciuta, tous ces cons me font encore chier...

Ma anche loro soffrono. Lo dice anche la tv che anche i ricchi piangono. Non a caso leggevo today che l'hypertension touche 51 % des députés, mais la dépression? La dépression au travail fait plus de victimes... Spesso vista come una malattia immaginaria "questa cosa qui" meriterebbe un libro di per sè. Eh già, perchè se esiste chi se ne approfitta, c'e' anche chi di depressione muore. Nella nostra Organizzazione Internazionale il termine depressione è fuori moda. E' molto più fancy parlare di "burn out". Attenzione, non vuole dire "brûlé dehors". No, no. Si tratta sempre, forse, di una forma particolare de notre vieille connaissance, de notre aimable "dépression".

Eppure per il lavoro, da bambina, nutrivo un vero rispetto. Mio padre e' stato un buon esempio. Il classico povero cristo che si spacca la schiena per quello che forse oggi equivarrebbe a circa 1.200 EUR al mese. Da intascare naturalmene ringraziando genuflessi, perchè il padrone è il padrone.

Non mi ricordo nemmeno la faccia di mio papà quando io ero bambina. Quello che sapevo era che il marito di mia mamma, nonchè mio padre biologico, arrivava a casa la sera stanco come un mulo. Voleva mangiare tutti giorni pasta e bistecca, e non voleva troppo casino. Non era proprio male come padre perchè picchiava raramente, e perchè la domenica ci portava alle maratone della chiesa o al cinema a vedere "Ben Hur" e "Gone with the wind", il grande "Via col vento". Scoprire che avevo un papà buono come il pane fu una vera sorpresa. I really met my father when I was 20... Ormai alla fine della sua carriera da "pion qui bosse comme un chien", passava più tempo con noi. Lo scoprii tenero, sensibile e disponibile. E da allora cominciai a subodorare la menzogna dell'aura che ricopre il lavoro. Il lavoro me lo aveva allontanato per tutti questi anni, la sua responsabilità paterna lo aveva portato a dare al lavoro il tempo che non poteva consacrare ai figli. I debiti non permettevano altra via e lui l'aveva seguita. La dépression au travail fait plus de victimes...

Quando fui più grande alcune mie letture mi portarono a trovare spesso il concetto di "lavoro" in diversi libri. E anche quando la menzogna sembrava trovare storicamente e filosoficamente le ragioni per potersi riaffermare, la mia anima vomitava una ribellione feroce ma silenziosa. Incontrai nomi prestigiosi che si occuparono del lavoro. Dumas figlio scriveva che "Le travail est indispensable au bonheur de l'homme", ma per quel che mi riguarda arrivai alla conclusione che: o era un po' ipocrita, o si faceva di assenzio. Per Voltaire invece "Le travail éloigne de nous trois grands maux. L'ennui, le vice, et le besoin" e qui trovai conferma che in quello che scriveva qualcosa ci aveva azzeccato. Ma di tutte le frasi quella che mi faceva davvero scompisciare dalle risate era senza dubbio quella di un certo Luigi XIV: "Le travail n'épouvante que les âmes faibles". Vera chicca degna da Oscar, dato che proveniva dalla bocca di un re che non aveva mai lavorato in vita sua!

Visti i precedenti poco affidabili, allora una volta scrissi io una frase, che faceva più o meno cosi: "On est en train de gaspiller la seule vie qu'on a... en travaillant". Da adulta mi sono spesso chiesta quante persone trascorrerebbero al lavoro l'ultimo giorno della propria esistenza? Se si chiedesse ad un certo numero di persone di stilare un elenco di 5 cose da fare prima di tirare l'ultimo respiro, quanti indicherebbero la parola "lavorare"? Qualcuno forse metterebbe: "abbracciare i propri cari". Altri direbbero: "raccogliersi in preghiera". Altri ancora scriverebbero: "fare l'amore, l'amore e ancora l'amore". Ma quante persone davvero direbbero: "lavorare"? Non mi devo lamentare, e che cavolo! Con la crisi di oggi il posto fisso è un miraggio, un sogno, un punto di arrivo. Mi sgrido da sola e mi schiaffeggio mentalmente. Ma allora perché mi sento da schifo qui dentro?

Sono quasi le dieci e Marianne mi aspetta. Finisco una mail urgente, eppoi faro' un salto alla segreteria, tanto "chissenefrega" lei e' sempre in ritardo. Mi fa aspettare davanti alla cafèt' almeno cinque minuti prima che arrivi con passo serafico baciando a destra e a sinistra giovani aitanti assistenti, o segretarie babbione. Chissà come si è vestita oggi. Però per non essere italiana si veste bene, bisogna riconoscerlo. Le sono affezionata. Uscendo di fretta mi accorgo di una grave mancanza: accidenti, mi stavo dimenticando il pass e naturalmente un dossier!

Senza il pass non posso "badgiare" perchè qui i portieri... ti fanno un culo cosi. Era meglio nella precedente società internazionale. Là se ti vedevano entrare un paio di volte e regalavi loro un bel sorriso avevi l'ingresso assicurato, anche se magari nel frattempo ti eri tramutata in un terrorista kamikazer. Nella nostra OI, invece, col cazzo che passi attraverso le barriere automatiche se prima non scanni il tuo riconoscimento personale. Gli addetti alla sicurezza possono essere anche tuoi fratelli di latte, ma non li schiodi dalle procedure. Pare che nel passato ci siano stati dei gravi casi di concorrenza sleale. In sostanza da diversi anni ogni uscita (ed entrata) non solo deve essere registrata (badge) ma anche personalmente controllata da personale qualificato.

Senza il dossier, poi non posso uscire également. Mancherei alla prima regola della OI parigina. Mi hanno fatto una testa cosi quando sono entrata a far parte della Grande Famiglia: "Il faut toujours sortir du bureau avec un dossier, même quand tu vas aux toilettes, et surtout quand tu vas au café." L'impressione che dai è che stai andando ad una riunione, ad un corso, o alla ricerca di una firma su un documento. Ma se per pura sfortuna esci con il solo borsellino in mano l'etichetta di fainéant non ti sarà più tolta dalla schiena. Ici c'est une poubelle à ciel ouvert.

Nemmeno prendere una pausa con Marianne oggi mi ridà il sorriso. Il tempo fuori sembra degno di un film dell'orrore. Il cielo di color canna da fucile sembra fatto apposta per spingere al suicidio.

Tristezza, cinismo? No, solamente realtà. Continuo a far lavorare le mani, ormai sembrano scorrere da sole su un tapis roulant di procedure, autorizzazioni e firme. E mentre i miei arti inferiori proseguono il loro meccanico rituale di metà mattina dirigendomi al locale segreteria, la mia testa vaga di nuovo e mi ritrovo ancora una volta intrappolata tra i meandri del labirinto delle decisioni sbagliate di una vita. E a capo della lista ci trovo naturalmente la scelta professionale. Eh si, perchè il mondo del lavoro è impietoso e se non rientri nelle regole vieni bollato come elemento disturbante, moderno paria di una società che misura tutto con il metro del successo economico. E se gli esami scolastici sembrano ora un pallido ricordo, troppo presto ci si accorge che gli esami che dureranno una vita – quella lavorativa – sono solo cominciati. Ma se "leccare" il professore non ti è mai piaciuto perchè contavi sulla tua preparazione e sulla tua disciplina nella studio, allora è meglio restare un eterno studente perchè al lavoro le cose non funzionano cosi. Quando imbocchi la strada professionale ti rendi tristemente conto che: "le monde du travail est composé essentiellement par des insectes qui creusent leur trou". In altre parole, non c'è posto per i rapporti umani reali, spontanei e disinteressati. Se sei un abile manipolatore arrivi a scavare il tuo buco, e li fai riserva. Se sei un individuo genuino, ti liquidano subito, o ti riducono ad un vegetale.

Sul posto di lavoro la meritocrazia non esiste! Però esiste il nepotismo, la bustarella, i blow jobs e la spinta politica. Il nepotismo ti viene dipinto come un sacro diritto di trasmissione divina (dunque intoccabile per nascita), al fine di assicurare il pedigree della discendenza manageriale. Classico è il caso del figlio del capo che entra come stagiare e che in due mesi diventa junior professional. Sul posto di lavoro la meritocrazia non esiste!

La bustarella invece è la bustarella e basta. Le vie del denaro sono autostrade a quattro corsie, basta pagare l'adeguato pedaggio.

I blow jobs sono, per definizione, fluidi come... l'olio. Generalmente praticati da joung and healthy-farmer style girls, richiedono una certa preparazione per poter sopportare condizioni fisiche ed igieniche da vero atleta. Pare che camminare a carponi sia un buon esercizio tanto per cominciare... I generosi amano durante questo tipo di job - fatto o ricevuto - tenere le tende leggermente scostate. In quel caso il passaggio di categoria vale doppio perchè il trattamento viene fraternalmente e visualmente condiviso da altri colleghi di lavoro. C'e' chi dice che nella nostra OI, per un semplice lavoretto di pochi minuti, ci sia stata una giovane assistente che ha poi beneficiato di una carrierina più che decorosa. Ma sarebbe troppo semplicistico. Il blow job è una cosa seria basata su public relations di alto livello. Prima di tutto occorre cucire tutta una rete di strategie di comunicazione visive e verbali. Doppi sensi, giochi di parole e altre finezze linguistiche che non si lavorano in pochi giorni. Messieurs, allumer est un art! Tra tutte le vie di promozione rapida, questo è il tipo di lavoro che mi ispira più rispetto. Si tratta di un lavoro compiuto in prima persona, direttamente al fronte (o giu' di li, molto più giù che su...) che può comportare seri danni ai vestiti o ai capelli, basta pensare alla povera stagista che si è portata una macchia perfino dietro i banchi dei tribunali americani. Insomma un vero must, un incontournable che non a caso rimarrà dans les annales pour avoir eu almeno un caso di precedente presidenziale.

La spinta politica è, invece, probabilmente la più forte ma anche la più aleatoria. Si muove come il tessuto della bandiera nazionale mossa dal vento. A volte la brezza viene da destra, a volte da sinistra, e a volte dal centro. A volte sembra un hurricane, e infatti come un uragano lascia in regalo i suoi danni eppoi si spegne chissà dove. A volte e' invece un venticello calmo ma costante. I veri equilibristi riescono a stare sempre con il vento in poppa, ma per altri il rischio di un ribaltone e' da prendere in considerazione. Capaci o incapaci, con la spinta politica non si scherza. Le obezioni sono una perdita di tempo. Cosi è stato deciso et... Tans pis pour les autres! Qui la meritocrazia non esiste!

Ma una volta arrivati ad arpionare un posto di lavoro, le insidie sono tante... People you meet in the corridors will report to your boss that you took a coffee break today. Collegues are smiling at you but what they are going to say to your boss? Eh si, insidie perfide come: i colleghi invidiosi, i capi arroganti, le facce false pronte a silurarti con o senza vaselina.

Insomma c'è poco da stare allegri in questo castello dorato, che come tutte le vecchie dimore possiede anche il suo caro fantasma, che noi chiamiamo: lo spettro dell' SP (System Performance). Yes, because somebody is judging you using a frigging System Performance. Abbiamo speso più soldi noi nella nostra OI per chiamare dei consulenti esterni per questo progetto, che il regista di Titanic per girare il suo film, per poi arrivare alla conclusione paradossale che era meglio tornare al caro e vecchio moduletto in word. Perdita di tempo per tutti, perdita economica astronomica per l'organizzazione, ergo: un fallimento manageriale senza precedenti. Ma cosa possiamo fare, noi poveri funzionari di serie B? "L'égalité, cette chimère des vilains, n'existe qu'entre nobles" (J. Barbey d'Aurevilly). In fondo, per poter vivere civilmente nella società odierna si ingoiano sempre tanti bocconi amari. Le strategie di adattamento dell'uomo contemporaneo sono assolutamente straordinarie. Vere e proprie peripezie cinematografiche per poter sopravvivere tra arrivisti, ipocriti, invidiosi, débiles patentés e veri loosers mentali. Forse non tutti sanno che esistono vari tipi di loosers tra gli esseri umani. Il primo tipo è quello del "non looser". Anche se alcuni additano questa categoria come fallimenti ambulanti nel campo umano ed economico, per me non sono loosers punto e basta. Questa tipologia è spesso vista come looser, perchè composta da gente che possiede al massimo una piccola utilitaria, che occupa una posizione professionale mediocre, che prende a rate la tv, che passa le vacanze in spiagge-bolgia e che fa la fila all'aeroporto nella classe Economy. Praticamente il ritratto della stragrande maggioranza della popolazione occidentale, me compresa.

Il secondo tipo, quello del "real looser", e' quello che pensa tutte queste cose... del primo tipo. Generalmente piazzato (spesso seulement parce qu'il est pistonné) su un alto gradino della scala gerarchica lavorativa, questa razza di looser e' davvero pourrie jusqu'à la moelle. Non di rado fiero di andare avanti grazie a spinte politiche palesi, o a "promozioni canapé", questo looser ostenta titoli accademici (conseguiti o comprati) come carta di presentazione sociale. Affanno inutile e ridicolo. Altre volte in maniera piu subdula si nasconde dietro la facciata del "vogliamoci bene, siamo tutti uguali" per poi infilartelo nel diddietro magari facendoti credere che si possa anche godere.

Ma questa tipologia non sarebbe niente, senza l'aiuto dei "lèche-bottes". Questi ultimi vivono della luce riflessa dei real loosers. Accanto al "sole" quanto basta per guardare dall'alto al basso la massa dei poveri cristi, questi faux-culs si atteggiano a padroni del creato per poi chinare il capo fino a terra come caniches devant leurs maîtres appena i loro superiori schioccano le dita. I lèche-bottes maschi, spesso passano le loro notti sognando di... sedersi sulla poltrona del grande capo. Les lèche-bottes femmine, invece, spesso passano le loro notti sognando di... "farsi", su quella stessa poltrona, il grande capo!

Però, arrivisti a parte, la maggior parte dei gradi medio-bassi non passa il proprio tempo a cercare di fottere il proprio prossimo lavorativo. Del resto quante volte sento dire: "my job sucks". E' proprio vero che la stragrande maggioranza di chi occupa posizioni a bassa quota vede il proprio day by day professionale pratiquement comme une nouvelle forme d'esclavage. C'est vrai qu'on pourrait ne pas l'accepter, mais pour vivre... il faut bien payer les factures.

Spesso sento dire nei corridoi: "Moi je travaille pour vivre mais je ne vis pas pour travailler". Parole sante, che anch'io ogni tanto ripeto. Ma questa menzogna mi rode dentro, e mi consuma come una candela che tenta di rimanere accesa mentre fuori imperversa una tormenta terribilmente violenta. My job sucks. Il tempo spesso sembra non voler passare. Le cose da fare sono tante, le pile si accumulano senza sosta, i dossiers sembrano vomitare carta a destra e sinistra e il tavolo da lavoro sembra un campo di battaglia... eppure non si impara niente. My job sucks. Non si lavora in armonia. My job sucks. Non c'e' sincero spirito di équipe. My job sucks. E non si avanza nella carriera (quale carriera?) nemmeno se ci si spacca il deterano in due. My job sucks!

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