Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Chi trova un amico trova un tesoro

CAPITOLO TERZO

"Un'amicizia condivisa rende più splendida la felicità e meno grave la sventura."

(M.T. Cicerone)

Marianne arriva finalmente. L'ora del rendez-vous è passata da un pezzo, mi rimangono solo dieci minuti e devo risalire a bosser. E' vestita sempre con cura, anche se i suoi gusti non sempre corrispondono ai miei. Ed è anche sempre ben truccata. Da quando è uffficialmente divorziata, del resto, guardarsi in giro non è riconosciuto come un vero e proprio peccato. Eppoi è ancora cosi bella nonostante si avvicini alla cinquantina. Mamma mia, già cinquanta. Che palle, dire "anta. A partire dai quaranta sono finiti gli "enti", e anche gli "enta". Se si ha le bol di vivere ancora qualche decina di anni, i prossimi saranno sempre 'sti anta del cacchio !

Comunque la mia amica si tiene in forma, è sempre uno schianto, e nonostante i suoi proverbiali ritardi, in questi anni di prigione dorata mi è sempre stata vicina.

"Ciao bibiche, sei in ritardo."

"Scusami ma ero al telefono per lavoro." E mi stampa i suoi baci sulla guancia con tanto di scambio di microbi per la gioia di virus in cerca di vittime.

Posso stare solo pochi minuti perchè sono già fuori ufficio da un po'.

Mi sorride sinceramente dispiaciuta, mentre ci incamminiamo dentro la "sala degli specchi". Eh si, perchè la caffetteria di ogni piccola o grossa azienda che sia, è un po' quello che era, a livello sociale, il teatro nei secoli scorsi: un luogo per guardare, ma anche per... essere guardati. Non si entra in caffetteria se non si hanno i capelli in ordine o frescamente acconciati. Non si entra nemmeno se si è abbigliati con dei fringues già mostrati nei giorni precedenti. Non si entra se il trucco è sfatto o le scarpe con il tacco consunto. Ma soprattutto, bisogna tener presente che una volta che si entra nell'atavico villaggio del pettegolezzo con qualcuno del sesso opposto, il regolamento ufficioso intende, ormai come ufficiale, la relazione tra i due indigeni. In altre parole, l'ingresso alla cafèt' va fatto solo con persone che vuoi veramente mostrare al tuo fianco, e soprattutto deve essere orchestrato nel minimo dettaglio. Importante, quindi, è come ti sei vestita la mattina. Ostentare un'andatura felina se hai scelto uno stile sensuale. Segnare il passo alla militare, ma restando naturalmente sexy, se hai adottato un look estremamente casual. Oppure fingerti disinvolta e a tuo agio se sei nello stile Dolce e Gabbana (se non hai il pezzo originale, lo stile Gatto e la Volpe va benissimo lo stesso).

Ebbene, oggi non ero niente di tutto questo. Mi ero vestita di fretta, per intenderci un po' come la sciura Maria che va al mercato, e soprattutto avevo commesso il crimine più odioso per una funzionaria di medio livello: non mi ero lavata i capelli! Eh si, perchè se occupi un posto elevato, tenere una buona dose di olio sui capelli può fare tendenza (she is so stressed, so busy with meetings and travels that she has no time for these stupid things. That's the price of power, darling). E se ti va di culo, qualche sfigata trova anche trendy copiare quel look da VIP extra vergine.

Se invece fai parte della bassa plebaglia, allora è chiaro che ça va de soi. L'incombenza non rientra nelle tue tasks. L'unto è accettato, se non dovuto, per ottemperare al profilo della categoria.

Ma quando ti ritrovi a metà via, allora il lavarti i capelli è d'obbligo. E' un tuo sacrosanto dovere quotidiano, perchè non hai il carisma del potere dirigenziale, nè tantomeno la bonaria scusa del livello più basso. Eh no, cara mia, quando sei in questa situazione, l'unico pallido rimedio che ti resta da fare è quello del... ridico chignon dell'ultima ora. E se teoricamente è pur sempre vero che "l'abito non fa il monaco", e che il valore di una persona non si misura dall'aspetto fisico e basta, è anche vero che nella vita professionale (e sociale) è più o meno tacitamente richiesto un minimo di presenza igienica e soprattutto un certo contegno vestimentario (e su tale questione, da tenere a mente, ci ritorno). Occorreva dunque rimediare al mio grave crimine. Ecco perchè, fedele adepta di alcuni rituali del mio ceto, la mattina prima di uscire di casa, avevo piazzato alla meno peggio alcune deboli forcine nei punti strategici di tenuta, sperando che le ore già trascorse in ufficio non avessero reso fatiscente quella esile struttura piramidale.

A mio vantaggio, però, restava il maquillage di tutto punto. Terminato in auto - tra un semaforo rosso e un altro - sul cammino del lavoro. Mi si può dire di tutto, ma non che non sappia truccarmi con cura tra una frizione, un freno e un vaffa... a chi mi sorpassa sulla destra. Il tratto fermo e deciso della matita nera, resterà sempre uno dei miei punti di forza. La classe non è acqua del resto. E il mio eyeliner è waterproof.

Ok, Laura alcuni sguardi stanno sorvegliando le entries della mattinata. Testa alta (cosi lo chignon passa in secondo piano e magari si mimetizza pure dietro un contegno nobiliare), petto in fuori (il reggiseno magico farà il suo effetto), postura dritta, e passo elegante... e tutto il resto è silenzio come diceva il buon Bardo (anche se qui non si trattava di entrare alla corte di Elisabetta o di Giacomo I). Io e Marianne entriamo, continuando a parlare guardandoci fisso. Certo, il nostro sguardo devia, ogni tanto, anche tra i tavoli occupati, con la nonchalanche che solo una comprovata esperienza puo' regalare. Ma è sempre meglio ostentare una naturale indifferenza per il resto della sala. Anche se qualche lumata rapace te la senti puntata addosso lo stesso.

Ma copine oggi è molto tesa. Le sue sbirciate sembrano mirate ad un tavolo in particolare. Ci sarà sicuramente qualcuno che le interessa, oppure qualcuno che... non le interessa più. Povera Marianne, meriterebbe di trovare un uomo per bene nella sua vita, è cosi romantica e spontanea, ed è anche una bella donna, non meritava l'ultima delusione amorosa. Ma chissà perchè le botte di culo capitano sempre a quelle più scafate. E lupus in fabula, ecco chi incontriamo mentre paghiamo alla cassa: un suo ex. Quel testone imbiancato e quella barba lunga sbucava proprio dietro i cioccolatini. Ecco perchè Marianne guardava verso il tavolo dietro la cassiera. Io, a dire il vero, non l'avevo visto subito, presa com'ero dallo sforzo di tenere in piedi il debole chignon e lo string che mi tirava da un lato - mamma mia che fastidio! Insomma ero talmente assorbita dai cavoli miei che alla fine non ci avevo nemmeno fatto caso. Lupo bianco ci guardava con aria attonita. Da quando la storia tra lui e ma copine era finita, non si erano più incontrati nemmeno per sbaglio nei corridoi. Marianne sembrava in catalessi, ipnotizzata da quella candida e selvaggia criniera e da quella lunga punta barbuta, che caratterizzavano anche da lontano, il suo antico amante. Eppure se avesse potuto la mia povera amica si sarebbe teletrasportata ipso facto in un altro luogo.

Lui, invece, pareva stupito fino alla coda (pardon, al coccige). Forse perchè il suo atavico fiuto aveva fallito nel tentativo di schivarla, e ora se la ritrovava quasi di fronte, impreparato all'evento. Fatto sta che il momento tra i due sembrò durare, anche per me, passiva spettatrice, un'eternità. Come davanti a quelle immagini al ralenti che evidenziano tutti i particolari e ti fanno gustare la scena. Ecco, noi stavamo vivendo proprio quella situazione.

Sono certa che il tizio stava cercando il modo più elegante per uscire da quella strana circostanza. Di classe lui ne aveva da vendere, tenterà un mordi e fuggi oppure una scodinzolata? Ma che vedo? Stava accennando ad un artificioso sorriso. Forse avrà pensato: "meglio uscirne in bellezza, che in ritirata con la coda tra le gambe no"? E solo quando il dente d'oro in fondo alla bocca del Lupo brillò pericolosamente, vedo Marianne riprendere coscienza del delicato frangente e dirigersi in fondo alla sala, come in cerca di un riparo, di un abris. Dopo aver pagato frettolosamente mi siedo accanto a lei, aspetto un po' mordendomi le labbra, eppoi oso chiedere:

"Ça va chérie?"

La mia amica mi guarda seria. Le sclere dei suoi occhi sembrano lievemente iniettate di sangue. Non sta piangendo, ma il sguardo è permeato dal dolore. Un dolore sordo e potente che sembra trasfigurare anche i bei tratti del suo viso. Quando Marianne mi risponde, mi sembra notare un leggero tremolio del mento. Sono desolata per lei, vorrei dirglielo ma mi trattengo e la lascio sfogare. "Un'amicizia condivisa rende più splendida la felicità e meno grave la sventura"

"Non, ça va pas Laura. Mi avevano detto che era partito... Mi avevano detto che sarebbe stato via un mese per quel progetto con il Giappone... Non ero ancora pronta a vederlo... Non adesso, non oggi."

Io annuisco con la testa per manifestarle tutta la mia comprensione, e lei continua.

"Mi ha fatto troppo soffrire, ho bisogno di stare serena, perchè non se n'è andato via, perchè è venuto in caffetteria?"

Spalanco gli occhi in segno di impotenza. Onestamente non ero al corrente di niente. La mia lingua sembra attaccata al palato. Non riesco a trovare le parole adatte per rincuorare Marianne. Cosi ci ritroviamo a comunicare con gli sguardi, senza dire una parola, e con un debole sorriso che alla fine ci spunta sul viso come per dimostrare tutta la simbiosi che ci lega, perchè come si dice in francese: nous avons des atomes crochus.

Alla fine mi esce un : "Je t'aime beaucoup ma petite. Courage..."

Dopo aver bevuto velocemente il caffè, ci incamminiamo sorridendo, ora più tranquille.

Prima di rientrare nella gabbia dei leoni ci stampiamo un ennesimo bacio sulla guancia, abbracciandoci forte. Lei si avvia verso la toilette. Io invece devo correre, e a tutta birra, verso l'ufficio di essiccazione (del cervello), fermentazione (delle palle), e imbottigliatura (del prodotto finito - finito in tutti i sensi).

"Ribaggiare" di corsa, ecco cosa devo fare. Ma voilà ad attendermi una nuova sorpresa. Al mio ritorno al gabbiotto della portineria, trovo accanto al "radiografo" improvvisato, anche Karl il concierge (si vede che il gerontofilo di Georgette aveva finito il turno). Come fa quell'omone a sapere sempre tutto di tutti. Ha un dono innato per lo scoop del gossip, oppure passa il suo tempo ad origliare quello che dice la gente che passa? No, Karl il concierge ti bombarda con una valanga di domande appena vede il tuo naso uscire dagli squallidi corridoi. Abbagliati dalla luce divina della caffetteria, lui prende i funzionari in contropiede. Tira la palla di fino, poi con une touche di circonlocuzioni ben piazzate ascolta trepidante ogni tua sillaba, e infine sfoderando un calcio-champagne da fuoriclasse, silura un razzo verbale che ti prende in piena figura (o peggio in pieno basso ventre). Egli assorbe, deglutisce e rumina i tuoi segreti, regalandoti magnanimamente lungo il calvario dell'interrogatorio, alcune profezie derivate dagli incontri dell'ultima ora. "Lo sai che ora Francesca, l'altra italiana, quella sbroccata, ma laureata (Karl ci tiene ai titoli reali) vuole un figlio? Ma se continua ad andare con i vecchietti sposati, come fa quella là? Io le ho detto: "Francesca, trovatene uno della tua età?" Ma lei niente. Dice che le piacciono quelli del nosocomio... E tu, a proposito, sei sempre in quell'ufficio? Quando ti passano di grado?" E gnagnagna...

Ecco questo è di solito il rituale Karliano. Ma non oggi. Si, oggi a Karl il concierge metto la museruola. Approfitto di un suo momento di distrazione per fingere, poi, una repentina sordità al richiamo del persecutore, dribblando cosi un corpo a corpo dal quale sarei uscita perdente. Ouff, pericolo scampato. Ma mi sa che il nostro direttore di Vip e Novella dei poveri se la sia tedescamente legata al dito. Tant pis. Les jeux sont faits. Rien ne va plus.

Salendo le scale vedo due colleghe, di alto grado, scendere mollemente in minigonna ancheggiando smisuratamente. Sono "Fuck You" e "Fuck Me" che vanno al caffé. In realtà i simpatici nomignoli erano stati dati da alcuni giovani del team dove lavorava anche un mio amico. La bruna "Fuck You" era stata nominata cosi perche' guardava tutti dall'alto del suo metro e quaranta come fosse "sa majesté". La rossa "Fuck Me" invece era stata battezzata in quel modo dopo il suo ennesimo passaggio di grado. Io parteggiavo un po' per la rossa "Fuck Me", perche' sicuramente conosceva il suo lavoro ma in piu' meritava un'ulteriore ammirazione: sapeva quello che voleva e lo otteneva nonostante non avesse proprio tutti gli attributi per essere considerata una top model. Diciamo che al di fuori dell'organizzazione sarebbe passata inosservata o al massimo qualcuno si sarebbe girato per lo stile vestimentario eccessivo, collegandola ad un lavoro diverso da quello che realmente faceva. Non ci eravamo mai parlate ma lei conosceva me, e io conoscevo lei. Piu' di una volta l'avevo vista tirare il collo quando ci incrociavamo nei corridoi. Io, infatti, involontariamente la superavo biologicamente di due teste nonostante il suo immancabile tacco 12, e questo per lei doveva essere vissuto, credo, come una tara visto come quando le ero accanto strizzava verticalmente la colonna vertebrale per sembrare piu' alta. A me comunque piaceva cosi com'era. Una piccola venere erotica con una volonta' di ferro. Insomma, parliamoci chiaro, io saro' stata anche piu' alta e piu' magra di lei, ma le arrivavo alle scarpe nel fatto di applicare apertamente le regole elementari della provocazione sessuale in un ambiente professionale. Marito-collega a parte, che lavorava a due Dipartimenti di distanza dal mio, non sarei riuscita a tirar fuori le armi di "Fuck Me" nemmeno se fossi stata single a ambissi a diventare il Mago Merlino della nostra OI. Ricordo bene quella volta che ero capitata nell'ufficio del suo capo per richiedere una firma. L'avevo trovata con aria concentrata, seria, seduta come un'educanda con la sua bella minigonna inguinale... ma con le gambe semi-aperte alla Sharon Stone. Stavano parlando in inglese di lavoro, ma lei aveva una posizione cosi eccitante che nutro seri dubbi sulla concentrazione del suo interlocutore. Durante i pochi minuti in mia presenza la piccola vernere erotica aveva continuato candidamente i suoi movimenti voluttuosi, come se fossero la cosa piu' naturale del mondo. Con una ingenuità disarmante sembrava cercasse la posizione piu' idonea per continuare la conversazione, ma muovendosi lasciava intravedere la caverna di Alibabà. E che "babà"... Open and close, soflty, open and close, sofly, accavallamente strategico e open again, and again, and again... So good, so softly... Il superiore davanti a quella vista succulenta parlava lentamente, sudando visibilmente per controllare la lievitazione di cio' che a livello fisiologico per un uomo puo' risultare assai difficile. Ricordo anche che una volta diventato "ingombrante", il poverino si era incollato alla scrivania schiacciando pancia e cintura. Ricevuta la firma me ne andai sorridendo sotto i baffi. "Fuck me" sapeva eccitare febbrilmente, e non solo gli uomini. Tout en finesse, rien à voir avec le porno. A quella vista devo confessare che avevo pensato una sola cosa: ho assistito a una scena di erotismo professionale esposto con grande maestria. Chapeau: "Fuck Me" tu es une "pro...fessionnelle."

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro