Capitolo 72
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- descrizioni esplicite di violenza fisica
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Burn it Down - Linkin Park
Canzone consigliata per questo capitolo
PdV: Eva
Apro lentamente gli occhi. La mia vista è talmente offuscata che devo sbattere le palpebre un po' di volte per riuscire mettere a fuoco qualcosa. Nello stesso momento, una fitta lancinante mi trafigge la testa. Tento di portami una mano alla tempia, ma la avverto pesante, ostacolata.
Dove sono?
Serro di nuovo gli occhi per raccogliere i miei pensieri, finché due voci maschili non mi riscuotono.
Non sono sola.
I miei sensi vanno in stato di allerta e si risvegliano tutti in una volta.
Intorno a me è semi buio, ma dalla luce proveniente da un'alta finestrella intuisco che è giorno. C'è puzza di chiuso, muffa e ruggine. Mentre gli odori invadono le mie narici, avverto un conato di vomito farsi spazio nella mia gola.
"O' guarda, la Bella Addormentata si è svegliata."
Finalmente, li vedo. In un angolo dello spazio, due uomini sono seduti intorno a un tavolino, ma rivolti verso di me. La penombra non mi consente di riconoscere i loro lineamenti. O forse è il mal di testa, che manda un'altra stilettata, ancora più intensa di prima.
Vorrei parlare, ma percepisco la bocca come se fosse sigillata.
Realizzo ora di osservarli dal basso. Sono sdraiata per terra, con mani e piedi legati. E addosso ho solo la sottoveste con cui di solito vado a dormire, sporca e logora.
Come un filo di perle, i ricordi tornano uno dopo l'altro alla mia memoria.
Sono stata rapita.
Un senso di panico si insinua nel mio stomaco e, dal fondo, risale, su, fino alla gola.
"Certo che è una bella figa, eh?"
Mi sento stordita. Qualcosa non va con il mio corpo. Non risponde come vorrei.
Mi costringo a fare alcuni respiri profondi per calmarmi, non posso permettere che mi droghino di nuovo.
Uso tutte le mie energie per mettermi seduta e cercare di capire dove sono, mentre i due uomini parlano tra loro senza togliermi gli occhi di dosso.
Ricordo che ero a casa e mi hanno tappato la bocca con qualcosa, poi sono svenuta. E quando mi sono risvegliata, ero in mezzo ad alcuni uomini vestiti tutti allo stesso modo. Ricordo di aver perso i sensi più volte, ma non ho idea di quanto tempo sia passato. O di cosa mi abbiano fatto.
Un respiro profondo. Due respiri profondi.
Damiano, dove sei?
Devo calmarmi, devo calmarmi.
Non posso uscire da qui se permetto che mi droghino di nuovo.
Li sento sghignazzare, ma tento con tutte le mie forze di escluderli dalla mia mente.
Ho già provato a chiedere cosa vogliano da me, ho urlato, mi sono ribellata, ma non ho ottenuto niente.
Un uomo mi ha afferrata per i capelli e sbattuta contro un tavolo.
Ecco perché la testa pulsa.
Porto la mani legate sopra il cranio, finché non trovo una ferita. Appena la tocco non riesco a trattenere un gemito di dolore. La vista mi si oscura di botto e sono costretta a sdraiarmi di nuovo.
"Certo che potremmo..."
"Piantala. Il lavoro prevede di tenerla intera, per ora."
"Per ora."
Un brivido mi percorre la schiena.
Non devo ascoltarli.
"Sì, per ora. Lo sai che sono cazzi se non rispettiamo il piano."
"Mi sto rompendo i coglioni, okay?"
"Già."
Deglutisco piano e riapro gli occhi.
Dio. Ho così tanta paura...
No. Non posso abbandonarmi a questo. Devo trovare un modo per scappare, prima che mi facciano male sul serio.
"Ma poi mi spieghi chi minchia lo verrebbe a sapere?"
"Ancora?! Hai rotto i coglioni. Se Pollo scopre che non rispettiamo gli ordini solo per una scopata, ci taglia il cazzo, l'hai capito o no?!"
Hanno voci talmente simili che a malapena le distinguo. Ma quest'ultimo mi sembra più giovane, rispetto all'altro.
Mi sdraio su un fianco e cerco di capire come liberarmi dalle corde strette intorno alle mani e ai piedi e, soprattutto, di farlo senza essere notata.
Ma se anche ci riuscissi, dove posso andare? Loro sono due e potremmo essere dispersi nel nulla. Potrebbero essercene altri cento come loro fuori di qui.
L'ansia mi serra nuovamente la gola e il respiro torna a farsi corto.
"Va bene, va bene. Che palle."
Mi costringo all'ennesimo respiro profondo.
Pensa, Eva. Pensa.
Devo escogitare qualcosa.
L'ambiente non è molto grande, ma completamente spoglio. Potrebbe essere un garage o un magazzino abbandonato. Lungo il perimetro dei muri ci sono solo alcuni scaffali vuoti e arrugginiti.
Mi volto piano verso gli uomini in cerca della porta d'ingresso, ma trovo uno di loro intento a osservarmi con un sorriso lascivo stampato in faccia.
Gli rivolgo uno sguardo d'odio e torno voltata di spalle.
"Che c'è, gattina? Ti è passata la voglia di mordere?" ridacchia da solo.
"Senti, io vado a fare un giro di perlustrazione, gli altri dovrebbero avere quasi finito ormai." quello giovane si alza dalla sedia, ha un tono annoiato.
No. No, no, no, no.
"Torno tra poco. Non fare cazzate."
No, ti prego. No.
"Signorsì, signore." ironizza il secondo.
Le mie preghiere restano inascoltate, perché avverto dei passi sul pavimento e una saracinesca alzarsi. La luce invade l'ambiente, mostrandolo ancora più desolante di quanto non sembri.
Eppure, fuori, ci sono dei rumori. Non siamo dispersi nel nulla, ma in città.
Vorrei urlare, urlare con tutto il fiato che ho in gola. Correre come una disperata e catapultarmi fuori da qui.
Invece, la saracinesca torna giù.
"E così, siamo rimasti da soli." la voce di quello più anziano rimbomba tra le pareti.
Trovami. Ti prego, trovami.
Il tacchettio delle sue scarpe si fa sempre più vicino. Non oso voltarmi.
"Sai, a me i morsi non dispiacciono." biascica, mentre sento il suo fiato soffiarmi sul collo.
Mi afferra per il mento e obbliga a voltare verso di lui. Stringe talmente forte da farmi male, ma non gli concedo la soddisfazione di lamentarmi.
A pochi centimetri da me vedo un volto pieno di cicatrici e due occhi piccoli, maligni.
"Mi piace anche darli, i morsi. A te piacciono, gattina?" il suo alito puzza, amplificando la mia nausea. Tento di divincolarmi dalla sua presa, senza successo.
Lui ridacchia, finché il mio sputo non lo raggiunge dritto in un occhio.
"Mi fai schifo." balbetto, con difficoltà, la mia bocca ancora impastata.
Piega il volto in una smorfia cattiva. "Questo non dovevi farlo."
Lo schiaffo arriva forte, brutale, tanto da farmi sbattere di nuovo a terra. La mia vista si offusca un'altra volta.
"Adesso ti faccio vedere io come ci si comporta."
Si posizione in ginocchio davanti a me e, con la forza della disperazione, faccio l'unica cosa che mi riesce: con i piedi ancora legati, miro alle sue parti basse e lo colpisco con tutta la poca forza che ho in corpo.
Lui geme e si piega in avanti per il dolore, ma riesce comunque a bloccare il colpo successivo e a scaraventarmi di lato.
"Lurida puttana!"
Mi afferra per i capelli, grattando la ferita che ho in testa e facendomi urlare dal dolore. Il taglio si riapre, percepisco il sangue colare sulla fronte. Subito dopo, mi sferra un pugno in viso talmente forte da farmi perdere di nuovo i sensi.
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PdV: Damiano
"L'hanno trovata?" mi avvento contro Francesco, poco distante dal pubblico in giardino.
Gli uomini di Pollo e quelli di Messina studiano ogni mio movimenti, entrambe le parti con aspettative opposte. L'unica differenza è che quelli di Pollo non sanno che quelli di Messina sono qui.
"Che è successo? È andato tutto come doveva andare?"
"Sì, Fra, cazzo! Rispondimi! L'hanno trovata?" dovrei mantenere la compostezza qui davanti a tutti, ma l'ansia mi sta divorando da dentro.
"Lo sai che non ci dicono un cazzo, finché Brando non è al sicuro con loro."
Mi volto verso il pubblico. Un signore sulla sessantina vestito con un abito e un cappello elegante mi osserva, in attesa. Gli faccio un cenno di assenso, per confermare che Brando è in salvo. Mi risponde toccandosi la visiera.
Ho stretto un patto con loro. Dopo che Alex ha scoperto che Brando è figlio di Messina, ho barattato la sua libertà con quella di Eva.
"Perché ci hai messo così tanto? Gli uomini di Pollo hanno cominciato ad agitarsi."
"È stato più difficile del previsto, okay?"
Sono ad un passo dal trovarla. Non riesco più ad aspettare.
Un ragazzo piuttosto giovane mi manda il segnale concordato: Brando è con loro.
Ho fatto la mia parte. Ora devono darmi Eva.
Francesco non si perde lo scambio. "Vado a farmi dire dov'è."
"No. Hai ammazzato uno dei loro durante la scorsa missione. Potrebbero non dirtelo."
"Abbiamo fatto un patto, o no?"
Anche i Messina vogliono sbarazzarsi di Pollo e mettere fine a questa guerra una volta per tutte.
"Resta qui e mantieni la calma, Dam. Stai già attirando abbastanza l'attenzione."
Sbuffo. "Cazzo, va bene, ma fai in fretta."
Francesco si allontana con passo fintamente disinvolto e non posso che stare qui come un coglione ad aspettarlo.
Il tempo scorre così lento che i secondi diventano ore.
Fammela ritrovare, ti prego. Fammela ritrovare.
Mi ritrovo a pregare un Dio in cui non ho mai creduto.
Voglio solo riaverla per sapere che sta bene. Se devo lasciarla andare per sempre, lo farò. Se basta questo a metterla in salvo, lo farò. Farò un cazzo di voto a qualunque divinità passata o presente. Farò qualsiasi cosa. Qualsiasi.
Ma, ti prego, fammela ritrovare.
Francesco mi fa cenno di raggiungerlo verso il perimetro interno del giardino. Scatto come una molla fingendo di guardarmi intorno.
"Nel magazzino della fabbrica abbandonata, a pochi isolati da-"
Non ascolto il resto. Corro spedito verso l'interno dell'edificio. Devo raggiungerla, non ce la faccio più.
Mi guardo intorno per assicurarmi che nessuno mi segua, ma avverto la presenza di due persone a poca distanza dalla mia. Gli uomini di Pollo mi stanno addosso.
Per depistarli, percorro i corridoi dell'edificio zigzagando da un'ala all'altra. Conosco questo posto meglio di loro. Se riuscissi a raggiungere il cortile interno, potrei scavalcare il muretto nel punto che conduce alle cantine, un punto nascosto e difficile da notare.
Con un percorso preciso in mente, mi affretto attraverso i locali e raggiungo l'esterno.
Posso farcela. Anche se dovessero seguirmi in diecimila, potrei farcela. Nessuno mi può fermare, se ad aspettarmi c'è lei.
Corro senza più guardarmi indietro.
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- 3
Se dovessi dare un titolo a questo capitolo sarebbe: "Trovami."
Nel prossimo si rivedono regà ve lo giuroooooo
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