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Capitolo 65

In This Shirt - The Irrepressibles
Canzone consigliata per questo capitolo

Appoggiato contro il muro, batto ripetutamente il tallone sull'asfalto fino a sentirmi perforare il cervello, mentre fingo di osservare la gente che passa. Ho bisogno di una sigaretta. Maledetto il giorno in cui ho deciso di non comprarle più.

Le ultime ore di luce colorano ancora il cielo, eppure nessuno esce da sto cazzo di portone. Ci sono almeno una ventina di persone lì dentro, possibile che nessuna debba almeno portare il cane a cagare?

Un bruciore più intenso degli altri mi costringe a tirare la mano fuori dalla tasca. A furia di martoriarmi le unghie, il pollice ha preso a sanguinare.

Finalmente, il rumore metallico di un sistema automatizzato apre le porte a una signora elegante con un pinscher al guinzaglio.

Visto? Qualcuno doveva portare il cane a cagare.

La signora mi squadra dalla testa ai piedi e io fingo di essere qui ad aspettare qualcuno. Quando è fuori dal radar e il portone si sta per chiudere, mi infilo e raggiungo il complesso di Eva.

Non riesco più a non vederla. È passato quasi un mese dall'ultima volta, al concorso, e l'ansia mi sta divorando da dentro. Io ho smesso di andare a scuola e lei ha smesso di cercarmi.

Francesco mi tiene informato sui suoi movimenti e Alex di tutto ciò che scopre attraverso Sara.

A quanto pare, è ancora tenuta sotto osservazione dagli uomini di Pollo.

Ho provato a starle lontano dopo quanto è successo, per lei, per proteggerla, ma non è servito a un cazzo. L'ho trascinata troppo dentro e ora le stanno addosso a causa mia.

Non so se odio più Pollo o me stesso per averla trascinata in questa situazione. Sono stato un coglione a credere di poterla tirare fuori dai miei casini.

L'unico modo che ho per proteggerla è starle vicino.

Percorro il tragitto che ho imparato a conoscere a memoria e guardo dalla finestra prima di entrare.

La camera da letto è in ordine come al solito, mentre Nefertiti dorme sul letto. La porta che dà sul soggiorno è aperta e, anche se non la vedo, sento che è lì.

Una morsa mi contorce le budella.

Entro dentro alla stanza cercando di fare il minimo rumore possibile, ma non è abbastanza per Nef. Spalanca le sue orbite blu e mi fissa per qualche secondo. Poi, si alza sulle zampe e mi viene incontro con un piccolo miagolio.

"È da un po' che non ci vediamo." sussurro.

Chiude gli occhi e comincia a fare le fusa, mentre la accarezzo in mezzo alle orecchie.

Dalla cucina non sento provenire alcun suono. O non è qui, oppure...

Entro nella sala principale e trovo Eva ferma dietro al bancone, con lo sguardo puntato verso la mia direzione.

Un groppo mi resta fermo in gola.

Ha i capelli legati in una bassa coda di cavallo, il volto pallido, gli occhi ridotti a due fessure, le narici dilatate.

È incazzata nera. E mi è mancata come l'aria. Mi sembra di tornare a respirare dopo una lunga apnea.

"Hey." saluto.

Stringe i denti. Mi accorgo ora che in mano ha un coltello e davanti a sé delle verdure affettate.

"Ti sono mancato?"

È la volta buona che mi ammazza.

"Vattene." minaccia.

Le poche donne della mia vita o se ne vanno o vogliono che sia io ad andarmene.

"A me sei mancata."

"Bene. Adesso vattene."

"Mi dispiace."

"Non me ne frega un cazzo. Vattene."

Usa le parolacce solo quando è veramente turbata. E anche se ora è incazzata con me, sento ogni muscolo rilassarsi solo per il fatto di averla davanti.

"Possiamo parlare?"

La sua mano stringe la presa intorno al coltello, mentre l'altra è serrata a pugno.

"Hai avuto tutte le occasioni per farlo. Adesso non mi interessa più."

"Eva."

"Faccio sul serio. Non ti ho mai spinto, non ti ho mai fatto pressioni, ho rispettato tutti i tuoi tempi..." la sua voce si incrina quasi impercettibilmente, "in cambio ho solo ottenuto che mi ignorassi più e più volte, perciò ora vattene. Io non ho più niente da dirti."

Mi passo una mano tra i capelli. Ha ragione. So che è stata triste a causa mia. E non ho nessun modo per sistemare realmente le cose.

Mi avvicino a lei a passo lento, ma il suo viso si adombra.

"Lo faccio per proteggerti."

Emette un verso di sdegno e ruota leggermente il corpo, incrociando le braccia. È il primo movimento che fa da quando sono entrato.

Poi, scuote la testa. "Lascia perdere, Damiano. Non mi interessa qualsiasi cosa tu stia per dire, perché non sarebbe la verità. Quindi, prendi e vattene."

Raggiungo il bancone senza smettere di osservare i suoi occhi felini, leggermente arrossati, leggermente velati, ma sempre vivi, illuminati dalla sua luce così unica.

"Eva, mi dispiace." ripeto.

"Già, anche a me." replica, dura.

Aggiro il piano. Sono a pochi passi da lei, ma Eva non si muove. Come una sfinge, mi fissa severa e imperturbabile.

Quando sto per sfiorarla, si scosta. La morsa stringe più forte.

Appoggio entrambe le mani dietro al bancone, ai lati del suo corpo, e mi avvicino pericolosamente a lei. Sostiene il mio sguardo senza battere ciglio.

Il profumo di violetta mi invade prima ancora che riesca a toccarla. Mi abbasso sul suo viso, i nostri nasi si toccano appena, le bocche a un soffio.

"Davvero non ti sono mancato?" mormoro.

Le sue palpebre si abbassano per un breve attimo.

"Io non so stare senza di te."

"A me sembra che tu ci riesca benissimo."

"Non è come pensi."

"E allora dimmi com'è!" alza la voce e allontana il viso dal mio.

"È complicato."

"Cazzo, Damiano!" lascia andare le braccia e prova a spingermi via. Non mi muovo.

"Non ti sto mentendo, voglio tenerti lontana da certe cose."

Quel cazzo di video mi torna di nuovo alla memoria come un tormento. Deglutisco, e sono costretto a staccare gli occhi dai suoi.

"Eva, devi capire che-"

"Non sono cieca. Credi che non l'abbia capito che sei coinvolto in giri sporchi? Pensi che non mi sia fatta due domande dopo che sei venuto qui, colpito da un proiettile? Pensi che sia completamente stupida?" È furiosa.

"No, non lo penso."

"E allora perché non mi parli in modo chiaro? Perché te ne vai senza dirmi niente? Niente! Neanche un messaggio! Non mi fai nemmeno sapere se sei vivo o morto! Damiano, io sono stufa. Ti ho lasciato tutto il tempo e lo spazio possibile, ma adesso non ne posso più. O mi dici nel dettaglio che succede o te ne vai."

Mi abbasso per toccare la sua fronte con la mia, per cercare di calmarla, ma lei si allontana. Trattiene il pianto dietro una maschera di rabbia.

"Io sto cercando di proteggerti."

Alza gli occhi al cielo. "Questo l'hai già detto! Sembri un disco rotto."

"Ascoltami. Quando questa storia sarà finita ti racconterò tutto, ma ora non posso. Ho un piano." Non è vero. "Ma devi fidarti di me e lasciarmi fare."

"Piano per fare cosa? E poi, perché dovrei?"

Mi spinge con entrambe le braccia, con un'insistenza tale che non posso non farmi da parte. Cammina oltre e mi dà la schiena.

"Ti ho detto che hai solo questa occasione. O parli chiaro o te ne vai."

Cristo.

Non posso tirare fuori tutta quella merda. Allora sarebbe certo che la perderei per sempre.

"Mi dispiace darti un ultimatum, ma... no, aspetta. Non mi dispiace affatto."

Mi passo una mano tra i capelli e mi appoggio al ripiano. L'assenza del suo corpo mi procura un vuoto.

"Ho capito che non mi dirai niente. Mi sento una stupida anche solo a insistere, quindi Damiano," si gira verso di me, "hai una sola opzione: andartene. Non abbiamo più niente da dirci."

Mi sento sprofondare.

"Eva..." provo a chiamarla, ma lei si volta di nuovo e raggiunge il bagno, chiudendosi la porta alle spalle.

Mi prendo il viso tra le mani. Che cosa cazzo devo fare?

Nefertiti sbuca da dietro la cucina e si strofina sui miei piedi.

Mi accovaccio per andarle incontro e grattarle il mento.

"È davvero arrabbiata, eh?" mormoro.

La sua pelle rosa si distende sotto il mio tocco.

"Tu credi che mi perdonerà?"

Resto qualche minuto con lei, ma alla fine sono costretto ad andarmene. Eva non uscirà da quel bagno prima che io me ne sia andato da qui.

Raggiungo la camera da letto e avverto ogni parte di me disintegrarsi per il senso di colpa.

Vorrei davvero potermi sdraiare e dormire ancora una volta accanto a lei.

Esco da casa di Eva con un macigno sulle spalle e cammino fino alla mia. Non ho voglia di vedere nessuno. Non ho nessuno da vedere.

Quando apro la porta, trovo mio padre seduto al tavolo con un piatto di spaghetti al pomodoro davanti a sé.

"Oh. Ciao." saluta.

Non so nemmeno perché cazzo sono tornato qui.

"Hai fame? C'è ancora un po' di pasta se vuoi."

Sono talmente disperato da non averlo ancora mandato a fanculo. 

"Non sei ancora ubriaco? Strano." è l'unica cazzata che riesco a dire.

Lui mi sorride in un modo che non riesco a decifrare. "Sto cercando di smettere."

Si alza e tira fuori un piatto. Apparecchia per me.

Non ho fame, eppure mi siedo lo stesso.

"Credo che venderò l'officina."

Sai che me ne frega.

"Mi piacerebbe fare un viaggio. Non sono mai andato da nessuna parte in tutta la vita. Credo che farò uno di quei percorsi alla cieca, alla scoperta del mondo."

Guardo gli spaghetti senza rispondere. Ultimamente, sono sempre qui ad ascoltare i suoi deliri.

"Puoi venire con me, se vuoi."

"Col cazzo."

Lo sento sorridere. 

"Sono felice che tu sia qui." sussurra e, nell'ultimo mese, è l'unica cosa che per un istante mi conforta.

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💔

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