Capitolo 62
Animale in Gabbia - Mondo Marcio
Canzone consigliata per questo capitolo
PdV: Damiano
"Congratulazione a tutti per essere arrivati fino a qui e per l'impegno profuso..."
Viola, alla mia sinistra, si mangia le unghie mentre fissa il palco senza mai distogliere lo sguardo.
Eva, alla mia destra, picchietta le dita sulla sua borsetta in pelle e bisbiglia tra sé e sé come se stesse pregando.
Entrambe sono in uno stato di agitazione senza senso, mentre il giudice fa i nomi dei primi dieci classificati, nonché di coloro che andranno in finale il mese prossimo.
Allargo le gambe davanti a me e non contengo uno sbadiglio. Mi sto facendo due coglioni quadrati.
Eva mi rifila una leggera gomitata.
"La smetti?!" sussurra, spalle tese, sopracciglia aggrottate.
"Mi sto rompendo il cazzo." mormoro, non piano come dovrei.
"Abbassa la voce! Stanno per proclamare il vincitore del concorso e potresti essere tu."
Sì, certo.
Alzo gli occhi al cielo.
"Puoi fingere che non ti interessi quanto vuoi, sai che con me non funziona."
Piccola maestrina caga cazzo...
Anche se vincessi, cosa cambierebbe?
"Al quinto posto abbiamo..." Ogni proclama viene seguito da un applauso.
Provo a immaginare una vita in cui non sono con la merda fino al collo, in cui non devo ogni giorno chiedermi se finirò, nella migliore delle ipotesi, morto ammazzato.
Magari una vita con Eva accanto, alla luce del sole. Magari a scrivere per vivere e fare cose che ci piacciono. Magari lontano da qui.
Mi ritrovo a fissare le mie mani, ruvide e piene di ferite.
"Al quarto posto..."
No. Non sarà mai così.
Sono troppo dentro ai casini. E anche se riuscissi a uscirne dopo aver concluso il lavoro, Eva non vorrà mai più vedermi sulla faccia della terra.
Si volta verso di me con un piccolo sorriso. Non mi ero accorto di essere tornato con gli occhi su di lei.
Si guarda intorno, cercando il preside, cercando qualcuno che possa osservarci, ma l'attenzione di tutti è catalizzata verso il palco. Alla fine, afferra la mia mano destra, quella più ferita, e se la porta al grembo, nascondendola sotto alla borsa. E la stringe.
Mi rendo conto solo ora che anch'io sono teso.
"Al terzo posto..."
Ruoto la testa verso Viola, che si sta sradicando le unghie. Nemmeno mi ero accorto che a questi concorsi tenesse così tanto. Ha sempre addosso la facciata di una che se ne frega di tutto. Sarà per questo che siamo diventati amici?
Il giudice lascia spazio a una lunga pausa prima di comunicare il nome del secondo classificato. Né io né lei finora siamo stati chiamati e, a giudicare dalla ragazza alta e palestrata che si sta avvicinando al palco, direi che questo è l'ultimo viaggio che abbiamo fatto insieme.
Viola cerca il mio sguardo, le sopracciglia sollevate, labbra in giù. Le rispondo con un sorriso di sbieco.
Impiega svariati secondi prima di ricambiare. Si appoggia allo schienale della sedia per la prima volta, rilassandosi e alzando le spalle.
"E infine, a vincere le semifinali di questa edizione è..."
Dovrei dirle qualcosa?
"Mi dispiace un po'," bisbiglia, "ma sono felice per te."
"Per cosa?"
Prima della voce del giudice, mi arriva la stretta della mano di Eva. Esile, piccola. Forte.
"... Riga Damiano."
Nella sala parte l'applauso.
Eva scioglie la nostra stretta e si unisce agli altri, gli occhi pieni dell'orgoglio di chi lo ha sempre previsto.
E ora?
Che faccio?
Viola mi tira per un braccio, spingendomi ad alzarmi.
"Avanti Riga," il preside si materializza dietro di me, "deve salire sul palco!"
Cristo.
Mi alzo lentamente in piedi. Gli occhi di tutti sono addosso a me. Non appena arrivo vicino al giudice, alcune persone mi stringono la mano e dicono cose che a malapena afferro. Mi stanno tutti troppo vicino.
Sento improvvisamente caldo. Mi manca l'aria.
Me ne voglio andare. Me ne voglio andare in fretta.
Firmo ciò che devo firmare, senza rispondere ai complimenti di nessuno e tiro dritto, in cerca di ossigeno, verso l'uscita della sala. Alcune persone mi bloccano il passaggio, ma le aggiro senza troppa considerazione.
Quando, però, davanti a me c'è lei, non posso che fermarmi.
È tranquilla. Mi osserva con comprensione. Si fa da parte per lasciarmi passare.
"Riga! Congratulazioni!" il preside mi batte sulla spalla con una mano che gli staccherei. "Sono veramente colpito, veramente colpito. Io ho sempre saputo che lei ce l'avrebbe fatta!"
"E così ci hai superate." Sara interviene, alludendo a se stessa e a Viola.
Seguono delle chiacchiere a cui non prendo parte.
Eva prova a liberarmi dalla situazione. "Ora ce ne andiamo. Abbiamo un lungo viaggio da fare, che ne dite?" Ha intuito il mio fastidio.
Il rientro a casa trascorre in modo strano. Me ne sto in disparte, senza la voglia di sentire le cazzate di nessuno. Seduto in fondo al van, mi calo il cappuccio sulla testa e guardo fuori dal finestrino.
C'è una sola persona con cui vorrei parlare, ma lei è impegnata a tenere gli altri lontano da me.
La vibrazione del telefono mi distoglie dai miei pensieri.
Non appena leggo il mittente, stringo il cellulare un po' più forte.
Pollo.
"Congratulazioni per il traguardo, Damiano."
Come cazzo fa già a saperlo?
"Questa sera ti aspetto nel mio studio.
Alle 22. Sii puntuale."
Sono mesi che non lo vedo. Se mi vuole incontrare è per qualcosa di grave.
Cristo.
Mi passo una mano sul viso.
Un'altra vibrazione.
Che cazzo vuole ancora?
"Stai bene?"
Impiego qualche attimo a realizzare che questa volta a scrivermi è stata Eva.
No.
Digito in fretta.
"Sì."
Mi risponde con la stessa velocità.
"Stasera vieni da me o devi sparire
come ogni volta dopo un concorso?"
Sorrido, di un sorriso amaro.
Che cosa dovrei dirle?
Stringo il telefono ancora più forte, sto quasi per mandarlo in frantumi.
Il mio sguardo intercetta quello di Eva. Ha già capito. Mi fa un sorriso tirato, mentre mette via il dispositivo.
Davvero non si merita un tipo come me accanto. Non passerà molto prima che si accorga che può avere ben di meglio.
Il resto del viaggio trascorre in una lentezza esasperante. Anche Viola ha capito l'antifona e mi sta lontano, e io non faccio il minimo sforzo per chiederle se è triste per il risultato. Nella mia testa c'è solo Pollo e qualsiasi cosa possa volere da me.
Arriviamo a casa che è buio. Sono l'ultimo a scendere dal mezzo, gli altri sono già raccolti fuori in cerchio, pronti a salutarsi.
Sfioro la schiena di Eva senza farmi notare e me ne vado in direzione della casa di Pollo.
L'ho vista un'infinità di volte in vita mia: bianca, enorme, è una villa dal giardino maestoso e perfettamente curato, pieno di persone che lavorano che lui indebitamente chiama servi.
Francesco me l'avrà detto mille volte nel corso degli anni: "Voglio avere una casa così. Diventare potente, vendere l'anima al diavolo se serve, ma avere una casa così."
Suono il campanello di fianco al pesante cancello in ferro battuto. La videocamera si attiva e, senza nemmeno chiedere chi sono, apre l'ingresso che dà sul vialetto.
L'interno è uguale all'esterno: bianco, asettico, geometrico. Poco arredamento, nessuna decorazione. Tra il personale di servizio e gli uomini in divisa, la casa è un via vai silenzioso di persone che parlano solo quando è loro concesso.
Sembra un cazzo di ospedale di merda.
La tensione che provo ora è molto diversa da quella di stamattina.
Scemo+Scemo si palesano davanti a me, entrambi con un sorrisetto sadico in faccia. Mi fanno cenno di seguirli verso il retro dell'abitazione, dove Pollo gestisce i suoi affari.
Davanti all'ingresso dello studio, altri due pinguini vestiti di nero aprono la porta facendo probabilmente l'unica cosa che sapranno fare nella vita: gli uscieri.
Seduto alla scrivania di noce scura, Pollo mi aspetta.
Vestito da tennista, come al solito, con un cappellino in testa e gli occhiali da sole, mi sorride mettendo in mostra denti perfettamente dritti e bianchi.
"Ciao Damiano, come stai?"
Mi è sempre piaciuta la sua voce. Calda, paterna.
"Perché mi hai chiamato?" Vado dritto al sodo. Non ho voglia di fare giochetti.
Il suo sorriso si allarga. "Sempre irrequieto, vedo. Accomodati, non stare lì in piedi."
Le rughe degli occhi si allargano oltre gli occhiali, rivelando un'età più avanzata di quella che dimostra.
Nella stanza si aggiungono altre persone: oltre ai soliti coglioni, ci sono i tre uomini che lo seguono anche quando va a pisciare, probabilmente per reggergli il cazzo.
Hanno tutti gli stessi vestiti, la stessa faccia, gli stessi occhiali. Solo che loro, con gli occhiali, scelgono di non vedere una minchia, mentre Pollo è cieco davvero.
Come per la legge del contrappasso, Pollo si circonda delle più prestigiose e ambite opere d'arte del mondo. Opere di cui, però, non potrà mai godere.
"Devo complimentarmi con te anche di persona. Ho saputo dei tuoi successi da scrittore, ma non posso realmente esserne stupito. Anche da bambino scrivevi sempre."
Mi muovo nervosamente sulla sedia.
"Sono solo cazzate." mento, a me stesso e a lui.
Sorride, ancora. "Già."
Non so dove voglia andare a parare e non capisco perché la tiri tanto per le lunghe.
"Ho saputo anche che stai familiarizzando con il nemico."
Se ha saputo del risultato del concorso appena è stato annunciato, non può non sapere del fatto che ho difeso Brando.
Rilascio un sospiro pesante. "Sto solo seguendo il piano." improvviso.
"Sicuro?"
Mi sposto di nuovo. "Perché, qual è il problema?"
"Oh no, nessuno. Sono molto curioso di conoscere il risultato della tua familiarizzazione. È attraverso lo stesso principio che sfrutti la professoressa?"
Cristo.
Scatto sulla sedia. "E lei che cazzo c'entra?"
Gli uomini si avvicinano a me, ma Pollo fa un cenno con la mano per indicare di fermarsi. Si alza in piedi con una calma glaciale e aggira la scrivania. "Non lo so, dimmelo tu."
"Eva non ha niente a che vedere con tutto questo. Stiamo facendo ciò che ci hai chiesto." sputo tra i denti.
"No, hai ragione. Però, vedi, ultimamente i vostri risultati non sono più così..." scuote la mano, come a cercare la parola giusta, "eccelsi."
"Non per colpa nostra."
Piega la testa di lato. "E per colpa di chi?"
Dal tono accondiscendente della sua voce sono certo che sia solo sua.
Non aspetta una risposta, intuendo i miei pensieri. "È passato davvero molto tempo da quando Guglielmo e Federico vi hanno detto di uccidere il ragazzo e ancora non lo avete fatto."
"Chi?"
Scemo+Scemo di fianco a me fanno versi di sdegno. Non me ne può fregare di meno di ricordare i loro nomi di merda.
"Vorrei giusto mostrarti un piccolo incentivo, se così si può chiamare."
Uno degli uomini porta un computer portatile e lo posa sulla scrivania di Pollo. Poi, lo apre con lo schermo rivolto verso di me. È tutto nero, eccetto per il segno del play. Lo schiaccia e parte il video.
Inizialmente è buio, ma la ripresa schiarisce i contorni: un tavolo, cartelle sparse, costumi accatastati. Una colonna. Due persone.
Gli ansiti di Eva si diffondono nella stanza, mentre il video mostra noi due che facciamo sesso nello sgabuzzino della scuola. La mia voce: "... sei comunque qui a farti scopare da un tuo studente..."
Distolgo lo sguardo, nauseato. Gli uomini hanno espressioni neutre, eccetto i due stronzi che mi danno il tormento dall'inizio di questa storia. Loro no. Loro stanno godendo.
"Ma che cazzo di problemi hai?!"
Lo schifo che mi sta salendo a sapere che questi pezzi di merda ci hanno guardati nel nostro momento di intimità è amplificato dal suono dei nostri versi, dalle nostre parole, dai nostri corpi che sbattono.
Voglio sboccare.
"Levalo." Scatto di nuovo sulla sedia per spaccare quel cazzo di computer, ma quattro braccia mi raggiungono da dietro per tenermi bloccato, un terzo mi tiene ferme le mani dietro allo schienale.
Pollo non batte ciglio e lascia il video in riproduzione.
"Non sarà piacevole per lei" riprende, la voce più bassa e lenta che mai, "quando questo video circolerà. Certo, ancora meno lo sarà quando scoprirà ciò che fai per vivere. Innocente, dolce, Eva. Un nome davvero simbolico, non trovi? La prima donna."
Ora capisco il perché di tutte quelle stupide videocamere, capisco perché volesse che passassero sotto il loro esclusivo controllo. Aveva ragione Alex: è sempre stato solo per controllare noi.
Eppure, sono certo di non averle mai messe in quel lurido sgabuzzino.
"È stata Jessica, vero?"
Il suo silenzio è esplicito.
Ho davvero bisogno di vomitare.
"Ho sempre avuto un debole per te, Damiano. Mi ricordi me stesso da giovane: arrabbiato, ambizioso. Violento."
Torna a sedersi sulla sua poltrona. "Fai ciò che devi fare. Rispetta ogni missione. O la tua professoressa avrà ben altro di cui preoccuparsi, oltre alla sua carriera."
I suoi uomini mi prendono e mi buttano fuori.
//
Le cose si fanno pesanti.
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