Capitolo 36
Sweet Disposition - The Temper Trap
Canzone consigliata per questo capitolo
PdV: Eva
Serro gli occhi. Come a cercare di sparire, svanire, disintegrarmi sul posto.
"Damiano!" La mia voce suona insolitamente acuta.
Ruoto sullo sgabello voltandomi nella sua direzione e scendo giù goffamente, restando in piedi di fronte a lui.
"Ciao!"
A pochi passi di distanza da me, trovo la sua espressione tanto furente quanto incredula.
Mi fissa con sguardo torvo, facendo scorrere freneticamente le pupille addosso al mio corpo, come a volersi accertare che mi trovi veramente qui.
Ha i capelli scompigliati, la pelle del viso tirata, gli occhi cerchiati per la mancanza di sonno, e sembra stanco, afflitto. Completamente vestito di nero, come al solito, i suoi anfibi hanno lasciato alcune macchie sul pavimento ormai non più perfettamente pulito. Indossa jeans scuri e una pesante felpa con un'unica punta di colore: la scritta bianca che dice no fucks given.
E ti pareva.
"Tutto bene?"
Ma quando sono diventata così imbranata nelle relazioni sociali?!
Di rimando, Damiano stringe ancora di più gli occhi. Le narici si dilatano, la mascella si contrae. Come quando ho tentato di parlargli a scuola ormai svariate settimane prima, mi trasmette una sensazione di inquietudine, di paura.
"Chi cazzo ti ha fatto entrare?"
La durezza delle sue parole mi fa arretrare di un passo. Le mie spalle si abbassano, mentre mi schiarisco la gola.
"Sono andata all'officina di tuo padre e l'ho conosciuto." Gli spiego con voce piccola, l'entusiasmo che mi animava poco fa ora è del tutto scemato. "E lui è stato così gentile da invitarmi a casa vostra."
Se possibile, le sue sopracciglia si aggrottano ulteriormente.
"E che cazzo ci facevi tu all'officina di mio padre?" Suona come un ringhio.
Sospiro. Mi sto spazientendo. "Ho avuto un guasto alla macchina mentre mi trovavo nei paraggi."
Mi studia con scetticismo, sembra quasi non crederci.
La nostra spiacevole interazione viene interrotta dal ritorno del padre.
"Eccomi. Le chiedo scusa, ma non riuscivo a trovare... Oh, Damiano, sei tornato." Luca si arresta sul posto, evidentemente sorpreso dal rientro del figlio.
Damiano gli rivolge, se possibile, uno sguardo ancora più furente di quello concesso a me. Ma c'è ben altro, oltre alla rabbia, in quello sguardo. Rancore, repulsione, disgusto.
Osserva la figura del padre, la bottiglia tra le sue mani, e serra talmente forte i pugni da rendere le nocche bianche.
Il padre deglutisce prima di riprendere a parlare. "Ho conosciuto la professoressa Lai al lavoro e ho pensato di invitarla qui..." sembra volersi giustificare, "Sarebbe bello se potessi..."
"Farla bere fino a ubriacarvi insieme?" Sputa Damiano.
Luca abbassa la bottiglia, come a volerla nascondere, forse pentendosi di avermi portata a casa loro.
"No. Stavamo parlando di te, della scuola e..."
Damiano mostra un'aggressività pronta a scoppiare, trattenuta probabilmente solo dalla mia presenza.
"E nessuno dei due ha pensato di farsi i cazzi propri."
Sospiro snervata. Non credevo che farmi trovare qui avrebbe scaturito una reazione così rabbiosa. Sono amaramente pentita di avere accettato l'invito. Sapevo che era un'idea stupida.
"È colpa mia, non sarei dovuta venire. Mi dispiace di avervi disturbati."
Damiano si volta di scatto verso di me, gli occhi iniettati di sangue. D'istinto, vorrei fare un altro passo indietro. Non l'ho mai visto così.
"Nessun disturbo." Luca cerca di assumere il controllo della situazione. "È un piacere averla qui. Damiano può unirsi a noi se lo desidera, altrimenti possiamo continuare la cena senza di lui."
Così dicendo, lo supera raggiungendo l'isola della cucina e tirando fuori dallo scompartimento tre calici di vino. Dopodiché, cerca un cavatappi.
Damiano osserva i movimenti del padre con una freddezza glaciale, i pugni ancora stretti, finché non si dirige su per le scale come una furia, sbattendo per terra qualsiasi oggetto gli si pari davanti.
Senso di colpa. Impotenza. Frustrazione. Tristezza. Tutti sentimenti che si depositano come un macigno sulla bocca del mio stomaco.
"Mi dispiace, non volevo scaturire questa reazione."
Luca fa un gesto di finta incuranza con la mano, a cercare lui stesso di scacciare la tensione accumulata. "È quasi sempre così, purtroppo." fa un sorriso tirato, "Damiano è molto arrabbiato con me."
Torno a sedermi sullo sgabello, mentre lui riempie due dei tre calici.
"E ha ragione a esserlo."
Avevo intuito che tra loro non corresse buon sangue. Dai discorsi avuti fino a poco fa con il padre, mi sono accorta che non sa praticamente nulla del figlio.
"Posso permettermi di chiederle il motivo?"
Si siede anche lui, passandosi una mano sul viso, le rughe intorno agli occhi si fanno più profonde.
"L'ho lasciato solo per buona parte della sua vita. Ero un pessimo padre e quando sua madre se n'è andata, è stato anche peggio. Non che le cose con lei fossero migliori."
Prende il primo, lungo sorso di vino. "L'ho amata molto. A dire il vero, ho amato solo lei." Assume uno sguardo trasognato, distante. "Se possibile, lei era un genitore anche peggiore di me. Eppure, io l'amavo lo stesso."
Le rughe sul suo volto ora assumono un significato diverso, quello di una vita spezzata, piena di rimpianti, che si è portata dietro delle conseguenze: la sofferenza di Damiano. Mi si stringe il cuore.
"Abbiamo attraversato molti anni bui e quando ho cominciato a prendere in mano la mia vita, immagino che fosse troppo tardi. Non sono più riuscito a recuperare il rapporto con lui. Era troppo arrabbiato, troppo distante, già immischiato in giri sporchi. Non sembrava avere più bisogno di me.
Mi sono dato una sistemata, ho aperto l'officina e ho cominciato a lavorare quattordici, quindici ore al giorno, finché l'attività non si è allargata e ho assunto dei dipendenti. In seguito, ho comprato questa casa, cercato di offrirgli una vita migliore, di insegnargli il mestiere. Ma in cambio ho sempre e solo ricevuto una porta chiusa. Anzi, un muro totalmente invalicabile.
Non posso biasimarlo. Nessun bambino dovrebbe ricevere in sorte l'infanzia che ha avuto lui... È stato solo per troppo tempo, passando tra le mani di persone che..."
A questo punto, si interrompe, mostrando timore nel rivelare troppo. Mi rivolge un altro sorriso tirato, che tenta di nascondere una vita fatta di dolore e sacrificio.
"Mi dispiace, signor Riga. Qualunque cosa sia successa, nessuno di voi se la meritava."
Mi rivolge un sorriso gentile, mentre si alza per raggiungere il piano cucina.
"Mi scuso per il comportamento di Damiano, mi fa felice sapere che a scuola non è altrettanto negativo. Spero che resti comunque a cena, professoressa."
Nonostante io abbia veramente voglia di andarmene, non mi sento di rifiutare l'invito vista la sua espressione speranzosa. Mi sembra di capire che conduca una vita piuttosto solitaria e che non si vedano molti ospiti passare per questa casa.
"Certo."
Non oso chiedergli se Damiano si fermerà con noi. Tuttavia, sembra leggermi nel pensiero perché aggiunge: "Difficilmente Damiano si unirà a noi."
Il mio stomaco si chiude. Non so se preferisco averlo qui con quell'aria truce e aggressiva, o saperlo chiuso di sopra, a pochi passi da me.
"Pensavo di preparare le lasagne, le vanno bene?"
Luca cerca di scacciare la tensione portata dal figlio assumendo un tono più gioviale. Mi racconta di quanto gli piaccia cucinare, anche se non ha nessuno per cui farlo. E di quanto si diletti nei fine settimana a preparare salatini o dolci che il lunedì porta ai suoi dipendenti, al lavoro. Sembra un brav'uomo, di quelli che ce la mettono tutta, nonostante le difficoltà della vita.
Mi offro di aiutarlo, quindi comincio a grattare il parmigiano in un piatto, mentre lui mette in padella la carne macinata.
Nel momento in cui si assenta per andare a recuperare alcuni ingredienti nel secondo frigorifero posto nello scantinato, sento pesanti passi muoversi dal piano superiore.
E poi, giù. Per le scale.
Con il cuore in gola, vedo la figura di Damiano arrivare in cucina. Mostra lo stesso atteggiamento nervoso, e si ferma non appena mi intercetta. Mette le braccia conserte e si appoggia al muro, gli occhi fissi su di me.
Non mi ero accorta di aver smesso qualsiasi movimento, quindi, lentamente, torno a grattugiare il parmigiano. Mi sembra inutile anche solo cercare di avviare una conver...
"Perché sei qui?" La voce è bassa, minacciosa, ma non aggressiva quanto prima.
Mi schiarisco la gola, mentre evito il suo sguardo. "Te l'ho detto, ho avuto un guasto alla..."
"Perché-sei-qui?" Scandisce ogni parola.
Ha ragione. La scusa non regge.
Poso il parmigiano e vado al lavabo a lavarmi le mani.
"Mi dispiace." Mi scuso per l'ennesima volta. "So che non sarei dovuto venire, non volevo farti arrabbiare..."
"Eva." Come se fosse un ordine, richiama la mia attenzione, esige i miei occhi su di lui, pronunciando il mio nome dopo talmente tanto tempo che il mio cuore comincia a battere un po' più veloce.
"Perché..." ancora più veloce.
Vuole una risposta, una onesta.
"Perché sono una stronza egoista." Mormoro.
Il suo sguardo si addolcisce per un unico, breve momento, mentre cerca di dare un senso alla mia affermazione.
Il padre rientra in cucina con le sfoglie in mano, stupendosi di ritrovare Damiano.
"Ti fermi con noi?" Gli domanda con tono speranzoso.
Di tutta risposta, lui lo ignora, continuando a tenere gli occhi incollati a me.
"Potreste aspettare in salotto, mentre io finisco. Non voglio farla lavorare, signorina Lai. Magari Damiano potrebbe farle vedere il resto della casa."
Nonostante il tono della voce tradisca la possibilità che Damiano esegua la sua richiesta, lui ci stupisce staccandosi dal muro e facendomi strada.
Senza aprire bocca, lo seguo verso il grande salotto luminoso, composto da un bel divano angolare che fronteggia un televisore di ultima generazione. Anche qui, ogni pezzo di arredo sembra perfettamente nuovo e inutilizzato. Eppure, il padre mi ha detto che vivono in questa casa da diversi anni.
Dopo essere entrati nel nuovo ambiente, Damiano smette prontamente il tour, e assume esattamente la stessa posizione e aria insofferente che aveva in cucina. Ma questa volta, il muro a cui è appoggiato è quello del salotto.
Alzo gli occhi al cielo, mentre mi vado a sedere sul divano. Quando si comporta così è proprio un bambino.
Passano alcuni minuti di silenzio in cui lui non fa il minimo sforzo per mettermi a mio agio, quindi provo ad alleggerire l'atmosfera, facendo qualche battuta triste. "Davvero molto sconveniente che mi trovi qui, eh."
Nessuna risposta.
"Sembra che mi piacciano le cose sconvenienti."
No, no, no, questa mi è uscita male, malissimo. Davvero squallida.
Mi schiarisco nuovamente la gola. "Grazie per il tour, è stato molto intenso."
Ancora niente. I miei patetici tentativi sono andati tutti a vuoto, non lo scalfiscono minimamente.
Seduta in maniera rigida, con le unghie che picchiettano sulle ginocchia, non riesco a rilassarmi.
"Certo che potresti anche evitare di stare lì come una sentinella." Dico, infine.
La sua testa si piega leggermente di lato, non stacca gli occhi da me. Io, in risposta, non riesco a sostenere il suo sguardo per più di tre secondi.
Faccio un ultimo tentativo. "Sembra che vi siate appena trasferiti, qui è tutto nuovo."
Dopo qualche attimo di silenzio, in cui risolvo di non dire più nulla, finalmente si degna di rispondere.
"A volte mi piace spaccare cose." Sono le prime parole che pronuncia. Sanno di predatore, di divertimento sadico.
"Ah."
"Cose contro persone." Aggiunge.
E questa cosa dovrebbe essere? Una minaccia?
Scuoto la testa. A dirla tutta, non mi interessa più, mi sto stufando.
Mi alzo in piedi di scatto, pronta per tornare dal padre a dirgli che me ne devo andare, non ho voglia di stare qui e subire i suoi modi.
Non appena gli passo davanti, mi ferma per il polso, facendomi voltare verso di lui.
Tiro il braccio dalla parte opposta. "Lasciami."
La sua presa è ferrea. Non stringe, così come non esegue. Finché, lentamente, mi attira più vicina a lui.
"Dove vuoi andare?" Mormora.
"A casa." Cerco di prendere le distanze.
"E perché?"
"Perché non ho intenzione di passare la serata a subirmi i tuoi modi del cazzo."
Fa una risatina di scherno. "Addirittura?"
Non mollo la mia posizione. "Addirittura."
Avvicina il suo viso al mio. "Volevi subirti i modi del cazzo di mio padre, invece?"
Questa volta sono io a fare una risata di scherno. "È questo che pensi? Sei geloso di tuo padre? Ma cos'hai, dodici anni?"
"Ne ho undici, grazie."
"Complimenti, sembri più maturo."
Il suo volto ora è a pochi centimetri dal mio, mi sovrasta con la sua altezza. Lascia andare la presa sul mio polso, così ne approfitto per andarmene. Di contro, lui posiziona le mani dietro alla mia schiena, facendo aderire i nostri corpi, la sua bocca a un soffio dalla mia. Improvvisamente, mi manca il fiato.
"Anch'io sono uno stronzo egoista." Sussurra.
E finalmente, i veli si abbassano, i suoi occhi tornano più chiari, più limpidi, del verde brillante che li caratterizza. I tratti del suo volto si rilassano. Torna il Damiano che ho conosciuto io, quello che mi è mancato come l'ossigeno.
Senza rendermene conto, anche il mio corpo si è rilassato. Appoggio le mani sul suo petto. Le nostre fronti si toccano, mentre chiudiamo gli occhi e torniamo a essere noi.
Sento i passi del padre avvicinarsi, quindi mi scosto rapidamente da lui, che di rimando non fa alcun movimento, se non un'espressione infastidita.
"È pronto." Annuncia con un sorriso, guardando il figlio. Sembra provare uno stupore incredibile quando lo vede seguirci in cucina.
Ci accomodiamo a tavola con uno spirito più leggero. Damiano si siede a capotavola assumendo nuovamente un'aria nervosa, mentre io e Luca siamo posizionati uno di fronte all'altra.
Non potendo più parlare del figlio, avviamo conversazioni di circostanza sul tempo, la casa, i nostri rispettivi lavori. Mi complimento per la cena. In effetti, è un ottimo cuoco.
Siccome mi dà l'idea di un uomo che soffre la solitudine, provo a invitarlo ad alcune iniziative sociali promosse dagli enti locali.
Damiano non interviene mai, se non per fare versi di sdegno per qualche uscita del padre. Cerco di trattenermi dal dirgli che solo gli animali parlano per grugniti, ma non vorrei rovinare il clima pericolosamente incerto che è in corso.
Nonostante tutto, Luca sembra essere grato della sua presenza.
Rimango profondamente colpita da quanto si somiglino. Oltre che nell'aspetto, hanno lo stesso modo lento di parlare, entrambi stringono lievemente le labbra prima di sorridere e sembrano, fondamentalmente, soli.
Per tutta la durata della cena, guardo Damiano di sottecchi, senza osare fermarmi su di lui per più di pochi secondi. Non so cosa possa significare ciò che è successo tra di noi poco fa.
Quando è il momento di andare, ringrazio profondamente il padre per l'accoglienza e la gentilezza. Lui si offre di accompagni all'officina per prendere la macchina sostitutiva, ma rifiuto con fermezza. Non voglio che spenda altro tempo per me.
Siccome un dipendente sarà comunque lì ad aspettarmi, il padre mi saluta con una stretta di mano che mi trasmette un sincero senso di gratitudine. Damiano, invece, mi rivolge solo un breve cenno con la testa.
Mi dirigo sul posto a cuor leggero. La giornata ha preso una piega del tutto inaspettata, e spero che le cose tra me e Damiano siano migliorate. Se penso al modo in cui ci siamo stretti poche ore fa... mi sembra di tornare una ragazzina alla sua prima cotta.
Arrivo all'officina che le luci sono ancora accese, i meccanici continuano a lavorare. Prendo tutto il necessario dalla mia macchina e lo inserisco in quella sostitutiva. Poi, mi dirigo verso casa.
Mi piomba addosso una profonda stanchezza, data da una nottata quasi insonne e dagli eventi travagliati della giornata. Tuttavia, infilo le chiavi nella serratura con un senso di leggerezza per il modo in cui si è conclusa.
Una volta dentro, tutte le luci sono spente. Eppure, riesco chiaramente a distinguere un'alta figura posta in piedi, in mezzo al salotto.
Sollevo l'interruttore. Damiano mi aspetta, le braccia lungo i fianchi, le sopracciglia aggrottate.
Non osavo nemmeno sperarlo.
Lascio cadere per terra tutto ciò che ho in mano e corro verso di lui, premendo le mie labbra sulle sue, unendoci in un disperato, quanto profondo bacio.
//
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro