Capitolo 34
Doppio aggiornamento! Assicuratevi di aver letto il capitolo precedente prima di procedere con questo<3
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TW:
- uso di sostanze stupefacenti
- menzioni sessuali
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Quiet Little Voices - We Were Promised Jetpacks
Canzone consigliata per questo capitolo
PdV: Damiano
Posiamo le maschere di Guy Fawkes e tutta la refurtiva alla Congiura, numerosi chili delle più svariate droghe disseminati per l'ambiente.
Pollo ci ha commissionato diversi incarichi sporchi nelle ultime settimane e il furto di sostanze stupefacenti rientra tra i più pericolosi. Pestare i piedi ai concorrenti porta sempre con sé conseguenze fatali.
Non che me ne fotta più un cazzo di lui e di sto lavoro di merda.
"Stiamo andando da Mario. Dam, tu vieni?" Alex è già al posto di guida, aspetta la mia risposta con la portiera aperta.
Butto il filtro della canna per terra e mi dirigo verso il tavolo più vicino. Con un coltellino, apro una delle numerose bustine e verso parte del suo contenuto sul ripiano. Poi, mi abbasso al livello della polvere bianca e, con l'indice, blocco una narice. Con l'altra sniffo violentemente la striscia di cocaina.
Come un sibilo acuto che ti perfora i timpani, l'effetto arriva immediato al mio cervello, intorpidendo finalmente questi sentimenti del cazzo che negli ultimi giorni non riesco più a scrollarmi di dosso.
Mi pulisco il naso e lascio la roba aperta sul tavolo.
Salgo sui sedili posteriori della macchina che mi porterà in direzione delle feste a cui non prendevo più parte da tempo.
Durante il tragitto, Francesco racconta delle sue recenti scopate con i fratelli, ma a malapena presto ascolto a ciò che dice. Mi sento totalmente alienato da tutto ciò che mi circonda.
Raggiungiamo lo studio di Mario verso l'una di notte. Le solite luci basse dai riflessi rossastri illuminano l'ambiente scarsamente arredato, ma pieno di disegni di ogni sorta appesi alle pareti che rimandano un aspetto sinistro. I divanetti in pelle nera sono già occupati da quelli che dovrebbero essere miei amici. Davanti a essi, un basso tavolino ricoperto di bicchieri usati.
Vado verso la scrivania ricolma di alcolici. La stessa contro cui ho spaccato una bottiglia, quando Mario ha osato avvicinarsi a lei.
Lei. Che mi aspettava, insieme alle sue amiche, con gli occhi sbarrati e l'aria da cucciolo smarrito.
D'istinto, mi volto a guardare dietro di me.
Nulla.
Nessuno.
Prendo rudemente una birra e vado verso i divani. Qualcuno si alza non appena mi vede arrivare.
Mi butto pesantemente contro lo schienale e stringo il ponte del naso tra indice e pollice. Mi sta già venendo mal di testa.
"Hey." Una voce femminile giunge dalla mia sinistra.
Giulia si è seduta accanto a me. Le gambe accavallate, la gonna sollevata per lasciar intravvedere le cosce nude.
"Ormai vieni a tutte le feste. Sei davvero tornato, eh?" Si morde il labbro, mentre avvicina il suo corpo al mio.
Jessica, seduta sul divano laterale rispetto al nostro, distoglie l'attenzione dal ragazzo che stava limonando fino a un attimo fa per osservare la nostra interazione.
Giulia allunga il braccio dietro al mio collo e infila le dita tra i miei capelli. Se non fosse che è seduta accanto a me e la vedo con la coda dell'occhio, non mi accorgerei nemmeno del suo tocco.
Sollevo lo sguardo verso il soffitto, interamente ricoperto dal murales raffigurante l'ingresso all'Inferno di Dante. La Porta, con i faretti incastonati, è un'enorme voragine rossa.
La mano di Giulia scende lentamente verso la mia spalla, percorre il petto, mentre la sua bocca è attaccata al mio collo.
Mi ricorda quelle fastidiose zanzare che si manifestano al buio, di notte, quando hai spento tutto e stai per dormire, ma ce n'è sempre una, stronza, che non hai fatto in tempo ad ammazzare.
Come se fossi completamente separato dal mio corpo, vedo le sue dita raggiungere la cintura dei miei pantaloni e slacciarla. Prendo una sorsata talmente lunga di birra che vuoto metà del bicchiere.
Sposto gli occhi verso Jessica, che sembra rimandarmi la mia immagine allo specchio. Il tizio che le infila le mani dappertutto e lei che sta ferma, a guardare solo me. Mi manda un piccolo sorriso.
Quando la testa di Giulia scende verso i miei pantaloni, la tiro fermamente su per i capelli.
"Ma qual è il tuo problema?!" Sbraita.
La faccia già rossa, gli occhi fuori dalle orbite.
"Tu."
Con i pantaloni slacciati e a momenti il cazzo di fuori, prendo un altro sorso di birra, mentre intercetto la risatina di Jessica.
"Ah sì? Perché, ora non ti vado più bene?" Continua a ronzare.
Con l'ego di donna ferito, mi fissa provando risentimento e aspettandosi chissà quale risposta. Non me ne può fregare di meno delle sue palle.
"Oppure ora ti va bene solo la maestrina?" Sputa con veleno.
La maestrina?
"Che cosa hai detto?" Sibilo, accostandomi lentamente al suo viso.
La sua espressione passa repentinamente da offesa a impaurita. Cerca di mantenere il tono composto quando risponde: "Hai sentito benissimo."
"Quale mestrina?" Jessica interviene dalla sua parte del divano.
"Lo sai, no?" Giulia guarda solo me. "Quella che pedinavi tanto ultimamente."
Stringo forte il bicchiere che ho tenuto in mano finora, finché non si accartoccia, riversando tutto il liquido che conteneva al suo interno.
"La Lai?" Jessica abbassa il volume, ma il suono del suo nome mi raggiunge comunque.
"Ti abbiamo visto tutti." Giulia continua, "Se hai cercato di nasconderlo, direi che hai fallito."
Mi tiro su di scatto e afferro il tavolino di fronte a noi, scaraventandolo violentemente contro la parete.
Sento voci spaventate e incazzate lamentarsi, mentre esco dallo studio sbattendo per terra tutto ciò che mi trovo davanti.
Una volta fuori, il freddo pungente degli ultimi giorni di gennaio mi penetra immediatamente nella carne, giù, in fondo, fino alle ossa.
Prendo una lunga boccata d'aria e appoggio le braccia e la testa contro il corrimano del marciapiede.
Porca puttana. Non voglio che nessuna di queste teste di cazzo le si avvicini o conosca il suo nome.
Anche se nemmeno io potrò più pronunciarlo.
Sento la testa farsi sempre più vuota e, nonostante questo, ancora più pesante. Vorrei sprofondare qui, su questo marciapiede di merda.
Sono talmente intontito che non mi accorgo che Francesco mi ha raggiunto, ora appoggiato al corrimano come me, guarda la strada. Mi passa una sigaretta. Non la accetto.
"Un altro lavoro fatto come si deve, eh?"
Non ho idea a cosa si riferisca di preciso, né mi interessa saperlo.
"Tra Giulia e Jessica bisognerebbe vedere chi si accozza di più." Ridacchia.
Lui accende la sua, mentre io penso ad andarmene. Casa mia non fa più schifo di questo posto.
"Tra un po' Mario comincerà a chiederti i danni. Se ne avrà mai il coraggio."
Notando che non rispondo a nessuna delle sue minchiate, d'un tratto si fa serio. "È meglio così, sai?"
Mi tiro finalmente su e muovo un passo, pronto ad andarmene. "Si può sapere di che cazzo stai parlando?" Mormoro disinteressato.
"Di Eva."
Ogni suono ignoto proveniente dalla notte, cessa di vibrare. La festa, le voci, le persone. Non c'è più nulla. Dentro alla mia testa, cala il silenzio.
"È meglio così." Ripete.
Davanti ai miei occhi, si palesa un ricordo. Io e Francesco bambini.
Lui era stato buttato fuori di casa da uno dei tanti fidanzati violenti della madre, e batteva le strade da giorni, sporco e a digiuno.
Nella mia, di casa, non c'era nessuno. Mia madre se n'era già andata, mentre mio padre, depresso, aveva scelto di tornare alle droghe piuttosto che prendersi cura di me. Stavamo in un tugurio malconcio, privo di luce e acqua calda. Io passavo la maggior parte del tempo da solo, senza sapere dove fosse.
Ho conosciuto Francesco una notte in cui, insieme ad altri ragazzini, spaccavamo le finestre di una villetta abbandonata. O forse non era abbandonata, non ricordo, ma ci piaceva intrufolarci nelle case e occuparle il tempo necessario a soddisfare il nostro sadico divertimento.
Quella notte era diversa dalle altre. Forse era la luna così piena e così vicina alla Terra, come non l'avevo mai vista prima, forse la tristezza che, per una volta, prendeva il sopravvento sulla rabbia. O forse, la solitudine. Comunque, invitai Francesco nel mio tugurio.
Non disse quanto quella casa facesse schifo. Non mi chiese dove fossero i miei genitori. Mangiammo del pane secco trovato in dispensa e una scatola di fagioli. Dormimmo sul divano sfondato e maleodorante senza dirci niente. Da allora, non ci siamo mai separati.
"Perché?" Non so se lo chiedo più a lui, o a me, o al cielo.
Prende un lungo tiro. "Non è giusto trascinarla in questa vita. La nostra vita."
Guardo per terra. Le mattonelle sconnesse rivelano il terriccio secco e arido, senza anima.
"Lo sai anche tu." Finisce gli ultimi colpi. "L'unico modo per proteggerla è starle lontano."
Mi dà una pacca sulla spalla e torna dentro, lasciandomi solo.
Solo. Ancora una volta.
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Se avete delle aspettative precise, nel prossimo capitolo verrano smentite.
Vi è mancato Damiano? A me tanto.
A prima di presto<3
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