Capitolo 27
Ocean Eyes - Billie Eilish
Canzone consigliata per questo capitolo
Entro in quello che dovrebbe essere uno studio di tatuaggi, Eva e le sue amiche camminano dietro di me.
Un'ampia sala immersa nel buio, debolmente illuminata da piccole luci rosse, ospita una notevole quantità di persone. Alcuni seduti sui divanetti o sui vari pouf sparsi in giro, altri per terra, bevono, fumano e sniffano in un grande ammucchiata. Musica elettronica si diffonde per l'ambiente a un volume tollerabilmente alto.
Mi avvicino al tavolo in cui il mio amico dovrebbe accogliere i clienti, ora sommerso di alcolici.
"Bella Dam. È un po' che non ti si vede." Mario mi saluta battendo il pugno contro al mio, le pupille sono un tutt'uno con le iridi, le sclere degli occhi iniettate di sangue.
Lancia uno sguardo alle ragazze dietro di me, il cui mood è drasticamente cambiato rispetto a prima di entrare qui. Sono tutte appiccicate una dietro all'altra e mi fissano con espressione sconcertata. Mando loro un sorriso sghembo.
"Vedo che hai avuto da fare." Mario si sposta di qualche passo per squadrarle meglio, come un lupo che punta le prende.
E poi, si avvicina pericolosamente a Eva, piegando la testa di lato. "A te ti ho già vista da qualche parte." Le dice.
"Non saprei." Risponde lei, senza muoversi di un millimetro.
Prendo per il collo una bottiglia qualsiasi e la spacco violentemente contro il tavolo, tenendo il resto in mano. Le ragazze sussultano. Mario capisce l'antifona, arretra immediatamente e alza le sue in alto.
"Te sempre un pacifista, eh." Ironizza, senza mostrare stupore.
"Avrei bisogno delle chiavi della saletta." Con la bottiglia rotta ancora in mostra, gli sorrido falsamente.
Si dirige verso i cassetti dietro al tavolo. "Che ci devi fare?"
"Tatuaggi. Hai tutto di là?"
Mi consegna le chiavi. "Al solito posto." E torna a qualsiasi cosa stesse facendo prima.
Faccio segno a Eva di seguirmi, notando che lei e le sue amiche stanno bisbigliando tra loro. Sembrano pensarci un po' prima di muoversi, ma alla fine si decidono.
Attraversiamo lo studio e ci ritroviamo in un piccolo corridoio che dà accesso alla saletta privata in cui i tatuatori lavorano. Infilo la chiave nella toppa ed entriamo.
Ci sono le solite due poltrone e una panca, sufficientemente distanziate per permettere di eseguire più lavori contemporaneamente. Piccoli carrellini accompagnano le tre postazioni e ciascuno possiede già buona parte del materiale necessario. I muri sono ricoperti di disegni e fotografie di tatuaggi disponibili o già svolti.
Le ragazze si guardano intorno incuriosite, restando però appiccicate l'una all'altra. Cerco di trattenermi dal ridere di loro.
"Ci avete ripensato?"
"Chi era quello?" Mi chiede Eva, senza rispondere alla mia domanda.
Alzo e abbasso le spalle. "Un amico."
"E tu li tratti così gli amici di solito?"
"No." Comincio a prendere la penna della macchina e spacchettare gli aghi sterili. "Di solito, li tratto molto peggio."
Le altre ridacchiano e, finalmente più rilassate, iniziano a girare per la stanza.
Altea guarda i disegni appesi ai muri con particolare attenzione. Ricordo che durante la cena avesse raccontato di lavorare in alcune gallerie d'arte.
"Qualcuno di questi l'hai fatto tu?" Mi chiede, indicandoli.
"No. Ho tatuato solo me stesso e raramente qualche amico, ma in quei casi non ero mai sobrio."
Le ragazze si fermano sul posto per scambiarsi occhiate eloquenti.
"Ah. E sei sicuro di riuscire a farlo su di noi?" Continua Altea.
"Se preferite chiamo Mario di là."
"No, no, no, no, grazie. Vai benissimo tu." Si affrettano a dire tutte insieme. Eccetto Eva. Sembra più impegnata a studiare me, rispetto a ciò che c'è intorno.
"Avete tutte dei tatuaggi?" Guardo solo lei.
"Io no."
Illuminata dalle luci bianche delle lampade al neon, i capelli sciolti e lo sguardo fisso, l'aria imperscrutabile e distante, sembra un angelo sceso a dannarmi.
"Sei sicura di volerlo fare?" Le chiedo, a voce bassa.
Mi guarda in un modo che non riesco a decifrare, mentre gli angoli della bocca si piegano in un sorriso.
"È sicurissima!" Le altre le saltano intorno e la tirano verso le poltrone, sedendosi una addosso all'altra.
Scuoto la testa per uscire da una trance in cui non mi ero reso conto di essere finito. Prendo carta e matita e mi metto sullo sgabello accanto a loro. "Allora, cosa volete fare?"
"Ah, non ne abbiamo idea." Risponde Sara, poi guarda le altre. "Che facciamo?"
"Qualcosa che sia uguale per tutte." Propone Bianca.
"Eh okay, ma cosa?"
"Non lo so, un pezzo di puzzle a testa così insieme risulta completo?"
"No, ma ti prego, quanto è banale?!" Bianca e Sara continuano per un po' la loro discussione.
"Ma non avevamo stabilito di farci i quattro elementi? Ciascuna uno diverso." Eva sembra ricordarsene di punto in bianco.
Altea fa un gesto di insofferenza con la mano. "Bah, a me non piace più."
"Andiamo bene... Pensare che ce l'avremo per sempre."
Vanno avanti così per un po', tra vecchie e nuove idee che sembrano bocciare una dopo l'altra.
"Ragazze, per favore qualcosa di piccolo e semplice." Dice Eva, e si mette a ridere da sola. "Così poi se fa schifo è facile da coprire."
Dopo aver attraversato fasi lunari, cuori trafitti, rondini voltanti e abusatissime citazioni, sembrano arrivare a un punto.
"Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima!" Bianca sembra avere un'illuminazione. "Vi ricordate quando ai tempi del liceo abbiamo provato a curare un orto? Avevamo piantato un sacco di cose tra fiori, frutta e verdura."
"Ah sì, mi ricordo tutti quei bei cetrioli morti." Scherza Sara, mentre le altre ridono.
"Sì vabbè, non è che dobbiamo proprio farci un cetriolo!" Nessuna sembra prenderla sul serio.
"Tra le varie cose, avevamo anche piantato un fiore a testa! Li avevamo scelti perché ci sentivamo rappresentate. Potremmo fare un piccolo bouquet di quei quattro, simboleggerebbe i vecchi tempi!"
Ora sembrano pensarci attentamente, mentre l'idea le sta lentamente conquistando.
"Damiano, riusciresti a farlo? Una cosa molto semplice e stilizzata."
Comincio a buttare giù qualche schizzo, appena mi dicono ciò che hanno scelto: Altea una rosa, Sara una margherita e Bianca un'ipomea, anche se non ho la minima idea di che cazzo di fiore sia.
Eva, un papavero. Perché un papavero?
Dopo aver finito di disegnare ciò che hanno richiesto seguendo le loro indicazioni, è l'ora di cominciare. Infilo i guanti e prendo l'ago da inserire nella penna. Poi, inizio ad aprire il colore.
Accendo la macchinetta e un leggero zzz si diffonde nell'aria.
"Chi comincia?"
Quella che finora si è sempre dimostrata la più spavalda è Sara, che infatti si posiziona subito sulla poltrona.
Scelgono di farlo tutte nella parte laterale del polso destro, quella più interna. Quindi pulisco il suo con uno sterilizzante. Dovrei ricordarmi bene ogni passaggio.
Comincio a penetrare la pelle andando a mano libera. Ogni tanto disegno qualcosa, e il loro bouquet è molto semplice, quindi non dovrei avere problemi.
Le altre sono posizionate intorno a lei e seguono il tutto in religioso silenzio, neanche stessimo eseguendo un'operazione chirurgica mortale.
"Ti fa male?" Sussurra Bianca.
"Più o meno..." Risponde Sara altrettanto piano.
"Perché state sussurrando?" Bisbiglia Eva.
"Non lo sappiamo...."
Cerco di non ridere per non fare uno sgorbio. Pulisco la zona ogni volta che si riempie di colore e vado avanti finché non ho terminato, impiegando all'incirca una quindicina di minuti.
Dopo aver finito, Sara salta già dalla poltrona tutta allegra per vedersi allo specchio. Le metto la crema antibatterica e sigillo il tutto con la pellicola traspirante.
La prossima è Altea. Ha diversi piccoli tatuaggi sparsi per tutto il corpo e me li mostra con particolare orgoglio. Parla a macchinetta tutto il tempo e sembra essere quella che si sente più a proprio agio con un ago che le perfora la pelle.
Questa volta, le altre sembrano più rilassate e chiacchierano rumorosamente, girando per la stanza e toccando ogni cosa.
Bianca è la terza, e pare lascino appositamente Eva per ultima. Quando arriva il suo turno, le altre sono improvvisamente interessate a tornare nello studio dove si sta svolgendo la festa. La salutano con strizzate d'occhi e risolini complici, mentre lei mima con le labbra un stronze.
Cambio nuovamente tutto il materiale con altri pezzi sterili. Lei si siede mostrandomi il polso e osservando ogni mio movimento.
Accarezzo lentamente la sua mano, mentre pulisco l'area. "Che c'è?" Mormoro.
Lei scuote la testa. "Pensavo solo a quante cose non so di te."
Ha un piccolo neo nell'incavo dell'avambraccio, dove sottili capillari si districano in una leggera rete violacea.
"Almeno quante io non ne so di te."
"Sì, ma io non salto dalle finestre o torno con nuove ferite ogni settimana o irrompo in case, ristoranti, stadi, teatri, studi di tatuaggi..." Comincia a elencare.
"Alcune di queste cose ora le fai anche tu." Sorrido continuando a guardarle il polso, mentre prendo la penna.
C'è un attimo di silenzio, seguito dal rumore della macchinetta. La sua pelle viene per la prima volta perforata da un ago che si immerge dolcemente nella sua carne delicata. Eva stringe involontariamente le dita.
"Resta morbida." Gliele apro, il contatto separato dai miei guanti.
"E quindi hai parlato alle tue amiche di me." Sorrido di nuovo, continuando a inciderla.
Non vedo la sua espressione, ma la sento. È in imbarazzo. "Con loro parlo di tutto."
"E io faccio parte di quel tutto?"
Esita. "Beh, sì."
Sembra voler cambiare rapidamente discorso, perché dopo poco mi chiede: "Che fine hanno fatto i vestiti che ti ho dato?"
Tolgo l'inchiostro in eccesso e vado avanti. "Li ho bruciati."
Ci mette un momento prima di realizzare cosa le abbia detto. "Che cosa?!" È sbigottita.
"Già."
"Ma ti sembra normale?"
Faccio un gesto di incuranza con la mano inguantata, mentre recupero altro inchiostro e noto che sta cercando di reprimere una risata. Mi piace che prenda sempre tutto con un certo umorismo.
"Sei veramente geloso."
"Non sono geloso."
"Sì che lo sei."
Quando vede che non rispondo, continua. "Anche quando il tuo amico mi si è avvicinato. E, sinceramente, non dovresti."
Il profumo dei suoi capelli e del suo collo mi arriva fin qui, è da quando si è seduta che non riesco a pensare ad altro.
"Perché no?"
"Lo sai il perché."
Mi manca solo più il suo papavero e ho finito l'opera. La sua pelle delicata è già arrossata e indolenzita.
"Perché hai scelto il papavero?"
"Non cambiare argomento."
Vuole risposte, quando è la prima che non riesce a parlare chiaramente.
"Non credo che tu ti mantenga illibato e non veda nessun'altra, mentre aspetti che io mi decida." Insiste.
Sorrido di sbieco. Poi, poso la penna e la guardo intensamente negli occhi.
"No, non lo faccio." Il suo sguardo è attento, le sopracciglia corrucciate. "E lo so. So che non dovrei essere geloso. Così come so che sei una donna libera che può fare ciò che vuole, con chi vuole. E infatti è così, puoi fare quello che vuoi, e io non ho alcun diritto di parola a riguardo."
Mi avvicino al suo viso.
"Ma ciò non toglie che io provi invidia, o gelosia, va bene, verso chiunque ti voglia o ti si avvicini o ti tocchi. E anche se non dovesse esserci niente per cui aspettare," afferro il bordo della poltrona e la trascino con un brusco scatto verso di me, finché il suo naso non raggiunge il mio, "io non smetterò di esserlo o di voler dare fuoco a qualunque essere vivente ti ronzi intorno." La mia voce ora è un soffio.
Le sue palpebre calano, mentre le nostre fronti si avvicinano. Solleva una mano all'altezza del mio mento, mentre con le dita mi accarezza lievemente una guancia, la mascella, le labbra.
Un certo frastuono ci raggiunge da al di là della porta. Torno lentamente al mio posto, riprendo la penna e continuo il lavoro ormai quasi concluso.
Quando sto per tracciare le ultime righe, Eva parla in un sussurro. "La passione dell'attesa."
Alzo uno sguardo interrogativo su di lei. "Ogni fiore porta con sé simbologie e mitologie diverse. Per il papavero, una di queste, è la passione dell'attesa. Si dice che il sentimento indossi il suo stesso colore."
Sono sicuro di non essermi mai sentito così attratto da qualcuno.
Termino il tatuaggio, quando la porta si apre con uno schianto, accompagnato da voci rumorose. Le amiche di Eva la raggiungono, tutte ancora su di giri. Confrontano i loro polsi, li fotografano, si mettono in posa, felicissime di aver finalmente concretizzato la loro idea.
Dopo aver finito, ce ne andiamo dallo studio e torniamo tutti insieme a casa di Eva, passeggiando nel freddo della notte invernale tra le luci natalizie che addobbano la città.
Quando entriamo nell'appartamento, le valigie delle sue amiche, assieme ai loro vestiti e accessori sono già sparsi dappertutto in un casino della madonna. Sembra di stare in camera mia.
Le ragazze buttano la loro roba alla rinfusa e si preparano per andare a dormire, sono quasi le quattro del mattino. Non appena decido di tornarmene a casa, Eva mi chiama e mi viene incontro.
"Ho una cosa per te." Mi prende per mano. La sensazione della sua pelle diventa finalmente reale, senza guanti di mezzo, il suo polso rosso e gonfio ancora dolorante.
Mi fa sedere sul divano del salotto. Davanti a me, ancora quell'esageratamente grande albero di Natale.
"Visto che esci da questa casa nell'esatto modo in cui entri, cioè senza avvertire o salutare..." Lascia la frase in sospeso.
Sarebbe una frecciatina?
"Volevo darti questo ora." E mi deposita un pacchetto in mano.
È perfettamente confezionato, con la carta nera lucida e un grande fiocco rosso posato in mezzo. La guardo confuso.
Si morde il labbro. "Buon Natale."
Tolgo l'involucro e scopro un quaderno con una spessa copertina in cuoio nero e un lungo laccio arrotolato intorno che lo tiene chiuso. Lo apro, trovando pagine bianche di diverso spessore e materiale. Sembra interamente cucito insieme a mano.
Sulla prima pagina, una dedica:
Per tutto ciò che ancora c'è da scrivere.
Eva.
"Avevo notato che il quaderno su cui scrivi di solito è quasi finito." Mi sorride dolcemente.
Non so cosa dire. Stringo il quaderno con sensazioni contrastanti addosso, cercando di ricordare se ho mai ricevuto un regalo prima d'ora. E la risposta è no.
Non ho idea di che faccia io stia mostrando, perché Eva posa una mano sopra alla mia, di nuovo.
"Dai, vieni con me."
In camera da letto, le sue amiche sono già sdraiate una accanto all'altra, tutte appiccicate, così come hanno passato buona parte della serata.
"Damiano dorme qui." Dice loro, guardando me.
Si infila sotto alle coperte, portandomi con sé. Le altre si stringono ancora di più, per far stare cinque persone in un letto matrimoniale.
Infilo il braccio sotto alla testa di Eva, mentre lei è già voltata verso Bianca, e mi sdraio accanto a lei.
Spengo l'interruttore sopra al comodino e avvolgo Eva con tutto il mio corpo, così come le altre si stringono l'una all'altra.
Dopo una serie di buona notta da parte di tutte, affondo la testa dentro al suo collo e mi addormento.
//
DISEGNO DEL TATUAGGIO FATTO DA ME MEDESIMA STESSA NEL BUIO DELLA MIA CAMERETTA, SENZA VIOLARE ALCUN COPYRIGHT.
//
Insomma.
A Damiano tutto si può dire, meno che non sia un tipo sincero.
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