Capitolo 24
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- descrizioni di ferite
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Oh Baby - LCD Soundsystem
Canzone consigliata per questo capitolo
Sento le voci concitate dei miei amici che mi chiamano e mi scuotono. Apro gli occhi e mi trovo davanti la faccia ancora camuffata di Francesco. "Oh Dam! Finalmente."
Provo ad alzarmi, ma una fitta lancinante mi attraversa il fianco.
"Non ti muovere." Alex parla dall'altra parte della mia testa.
"Siamo ancora in macchina." Mi spiega, notando che cerco di capire dove sono. "Hai perso i sensi per un paio d'ore e sei pieno di ferite. Adesso ci siamo fermati per capire cosa fare."
Faccio un profondo respiro. Sento male a ogni muscolo.
"Minchia Dam, ci hanno incastrati!" Fra batte un pugno contro il sedile.
"Che?" Provo ad articolare a fatica.
Finalmente capisco di essere ancora sdraiato sui sedili posteriori. Francesco è seduto davanti a me, mentre Alex si trova fuori dalla macchina, dalla parte opposta.
"Probabilmente ci hanno teso un agguato." Interviene Alex. "Abbiamo riflettuto, mentre scappavamo tra le campagne, e l'unica spiegazione possibile è che l'uomo che ci ha accolti a casa fosse un simpatizzante dei Messina."
Ancora disteso, osservo l'ambiente intorno a me. L'unico vetro della macchina rimasto intatto è quello frontale, tutti gli altri sono stati ridotti in frantumi e i sedili sono pieni di fori di proiettile. I miei amici non sembra abbiano riportato ferite gravi.
"Il cazzo di giubbotto, Dam." Fra intuisce i miei pensieri. "Mettitelo la prossima volta, porca puttana." E mi mostra un paio di fori all'altezza del petto, dove evidentemente hanno sparato anche a loro.
"Non credo che la nostra identità sia stata svelata prima di stanotte, ma è fuori discussione che abbiano capito chi siamo. Altrimenti, come cazzo avrebbero fatto a riconoscerci?" Alex si passa una mano tra i capelli, quando riprende il discorso. "Non abbiamo un appoggio per la prossima volta che dovremo tornare, i controlli saranno quadruplicati e, a questo punto, non siamo nemmeno più sicuri che il quadro sia lì."
"L'ho visto." Lo interrompo.
"Cosa? Dove?" I miei amici mi fissano.
"Nello studio privato del boss. Era ricoperto da una patina che non ho saputo identificare, che permetteva di mostrare un paesaggio diverso, ma era lui."
Restano in silenzio. Tutti e tre sappiamo che ormai non ha molta importanza. La prossima volta, sicuramente non sarà più lì.
"Dobbiamo portarti in ospedale." Dice Alex, dopo un po'.
"Col cazzo. Torniamo in fretta a casa." Mi costringo a tirarmi su, nonostante la fatica.
Analizzo il mio stato: brandelli di vestiti sono stati lacerati e lasciano posto a numerose ferite da taglio, causate dal vetro. Il bicipite e il fianco destro presentano lesioni da proiettile, ma nessuno è penetrato nella carne, mi hanno preso di striscio. Tuttavia, quello sul fianco è più profondo e doloroso e continua a sgorgare sangue. Sul braccio, invece, sembra essersi raggrumato, la camicia del tutto appiccicata sopra.
Francesco mi passa un pezzo di stoffa strappato dai suoi abiti, da legare attorno al fianco, per fermare il sangue.
"Piuttosto, avete controllato se in macchina ci sono cimici o localizzatori?" Chiedo.
"Sì, e c'erano. Abbiamo imboccato un percorso diverso rispetto a quello di casa, proprio per questa eventualità. Quando eravamo abbastanza lontani, abbiamo scandagliato la macchina e le abbiamo buttate via, ma così si è allungata la strada per tornare a casa."
"Quindi, ora quanto ci vorrà?"
"Almeno altre quattro ore."
"Cristo." Impreco. "Partiamo allora."
Mi sdraio nuovamente sui sedili, mentre Alex e Fra riprendono i loro posti e si avviano verso la strada giusta. Probabilmente, arriveremo verso le prime luci del mattino.
Il viaggio prosegue veloce, ma silenzioso. Si sono dati il cambio, e ora è Fra a guidare. Anche se vorrei disperatamente riprendere a dormire, non ci riesco. È stata una missione del cazzo e non vedo l'ora di tornare a casa.
Non mi preoccupano le ferite, ne ho passate di peggiori. Ma tornare lì dentro dopo essere stati scoperti, sarà una bella rogna.
Comincia a venirmi il solito mal di testa. Mi prendo l'inizio del naso tra indice e pollice e strofino gli occhi. Mi sento incredibilmente stanco.
Arriviamo a destinazione verso le sei del mattino, trovando la città silenziosa e immersa nel buio delle prime giornate invernali.
"Lasciatemi qui." Dico.
"Qui dove?"
"Fermati e basta."
Francesco accosta di fianco al marciapiede e io scendo con fatica dalla macchina, chiudendo la portiera alle spalle. Ma non senza aver prima preso un coltello dalle nostre armi.
Seguo il profilo del muro, cercando i punti in cui le grosse crepe consentono di infilarci i piedi e, con uno sforzo sovrumano, mi arrampico, il coltello all'interno della tasca della giacca.
Non posso sperare di raggiungere il tetto e passare attraverso i locali interni, non ne ho le energie e non ci sono persone in movimento che mi permettano di entrare dal portone.
Sfrutto il sonno in cui è immersa la città per arrampicarmi, sperando di non essere visto. Una volta giunto sul davanzale della finestra, apro le persiane e mi piazzo in centro. Con il coltello, gratto gli infissi nello spazio di mezzo in cui è infilato il vetro, all'altezza della maniglia.
Dopo qualche tentativo, questa cede e la finestra si apre. Con un salto, entro dentro alla stanza.
Non c'è nessuno.
Una debole luce proviene dal bagno.
Un colpo di stanchezza mi pervade e mi siedo sul bordo del letto, prendendomi la testa tra le mani, piene di terra e sangue.
La porta si apre ed Eva emette un urlo strozzato.
"Damiano! Sei tu?!"
La guardo, illuminata dalla luce proveniente da dietro le sue spalle. I lunghi capelli sciolti le ricadono sulle spalle incorniciando il suo volto delicato. Un'espressione di spavento mista a sorpresa le dipinge il viso, facendole sgranare gli occhi e lasciar socchiuse le labbra. Indossa solo una larga canottiera che le copre appena le cosce. Le lunghe gambe nude si muovono verso di me.
È la creatura più bella che io abbia mai visto.
"Ma... Che ti è successo?" Si avvicina cautamente.
Aggrotta le sopracciglia, mentre il suo viso mostra una preoccupazione crescente. Non devo avere un bell'aspetto.
"Non è niente." Mormoro.
Si siede per terra, ai miei piedi, mi guarda in viso dal basso.
I suoi occhi scorrono veloci sui miei lineamenti e percorrono tutto il corpo, studiando tutte le ferite che mostra. I miei, sono fissi nei suoi. Le sorrido.
Alza le dita verso di me, ma non mi tocca, continuando a osservarmi. Infine, si rimette in piedi e va ad accendere la luce. Mi copro il fianco con un braccio.
Non appena si abitua all'illuminazione artificiale, sgrana gli occhi e si porta una mano alla bocca. "Ma che hai fatto?" Sussurra.
Corre in bagno e torna in fretta con un panno umido e una bacinella tra le mani. Sento, però, l'acqua continuare a scrosciare.
Comincia a passare il panno su una ferita all'altezza del sopracciglio sinistro, che finora non sapevo nemmeno di avere. Mi studia in silenzio, senza sapere cosa chiedere. Quando lo strizza, oltre al sangue viene via anche il trucco.
"Quindi quando sparisci per giorni, devo aspettarmi di ritrovarti pieno di tagli e lesioni." Dice piano.
Si riferisce a quando non sono tornato a scuola per settimane e ci siamo rivisti da Alfredo, io mostravo i segni dello scontro con gli uomini di Pollo.
Non le rispondo, ipnotizzato dai suoi movimenti sul mio corpo.
"E vedo che nel tempo libero ti piace truccarti." Continua, per sdrammatizzare.
Faccio una risatina. "Ti piaccio di più così?"
Si ferma e mi guarda negli occhi, allibita. Poi li leva al cielo, mentre scuote la testa.
"In certi paesi, scuotere la testa significa sì." Qualsiasi dolore provassi prima, ora è del tutto scomparso.
Posa il panno e si alza, prendendomi per mano. "Vieni. Hai troppi tagli, non riesco a pulirli tutti."
Quando arriviamo e si gira verso di me, spalanca nuovamente gli occhi. Vedendomi in piedi, realizza l'entità delle ferite. Osserva il braccio e la fasciatura insanguinata intorno al mio fianco.
"Ti sto preparando un bagno..." Lo dice talmente sottovoce che fatico a capire.
"Se volevi vedermi nudo bastava chiedere." Cerco di scherzare, senza molto successo.
Mi aiuta a togliere la fasciatura, da cui non esce più sangue, ma che sento ancora pulsare.
"Questo farà male..." Aggiunge, riferendosi alla camicia che ha tamponato le ferite, ma che si è appiccicata alla pelle. Con una forza d'animo che mi sorprende, strappa via il materiale e io, per un attimo, vedo le stelle.
Appoggio la testa sulla sua spalla. "Ahia." Dico solo.
"Mi dispiace..."
Dopo aver rimosso la camicia, esce dal bagno e mi lascia da solo. Finisco di togliere il resto ed entro nella vasca. Chiudo gli occhi, mente ogni parte del mio corpo si rilassa a contatto con l'acqua calda. Questa diventa rapidamente torbida, piena di sangue, polvere e del fondotinta che mi riempiva il corpo.
Faccio fronte alle ultime energie per lasciarla scorrere via e riapro l'acqua per lavare il resto. Quando ho finito, esco e mi lego un asciugamano attorno alla parte bassa del corpo. Poi, mi guardo allo specchio.
Il riflesso mi rimanda un'immagine provata e stanca, piena di ferite perlopiù superficiali. Eccetto quella sul fianco.
Gli occhi cerchiati mi fanno notare che ho ancora le lenti a contatto blu addosso. Quando me le tolgo, sento Eva bussare. Entra piano, senza fare rumore. Quando mi vede, sembra riconoscermi veramente solo ora.
Mi fa sedere sul contenitore dei panni, mentre lei si posiziona davanti a me. In mano, un kit di pronto soccorso. Con il cotone e l'acqua ossigenata comincia a tamponare le ferite.
"Devi andare in ospedale, Damiano." Ora non mi guarda più.
"Preferisco sia tu a farmi da infermiera."
Non raccoglie. E punta il fianco. "Quello è grave."
"Non è niente." Liquido.
"Da cosa sei stato colpito?" Insiste.
"Un proiettile."
Finalmente alza lo sguardo, sconvolto. Dopo qualche secondo, lo abbassa di nuovo.
"Potrebbero esserci dei frammenti. Potrebbe infettarsi." Mormora, infine.
"E quindi cosa farai?"
"Non lo so, Damiano. Non sono un medico!" Questa volta, alza la voce.
È arrabbiata?
"Ma cos'è che fai, eh? In cosa sei coinvolto?"
È vergognosamente bella, con il volto appena sveglio, quell'espressione corrucciata e la preoccupazione che mostra per me.
"Non vuoi veramente saperlo."
Abbassa la mano con cui mi sta medicando e mi guarda, triste. Gliela prendo e poso il cotone. Poi, la avvicino alle mie labbra. Le bacio lentamente le nocche, una per una.
Mi alzo in piedi, senza lasciarle la mano. Finisco di arrotolare le garze con il suo aiuto e mi dirigo verso il letto.
Mi sdraio, attirandola a me.
Eva si posizione nella parte sinistra del mio corpo, quella priva delle ferite da arma da fuoco. Appoggia la testa sulla mia spalla, ma cerca di non toccarmi altrove.
Le afferro il polso e glielo poso sul mio petto, all'altezza del cuore. Le sposto una gamba sopra alla mia e mi metto su un fianco, affondando la testa dentro al collo, le braccia attorno al suo corpo.
Non mi ero accorto di quanto mi fosse mancata.
"Perché eri già sveglia?" Le sussurro sulla pelle, procurandole piccoli brividi.
"Volevo preparare un po' di cose per oggi." La sua voce mi arriva leggera e attutita, quando la sento parlare contro il mio petto.
Inspiro a fondo il suo profumo. "Cosa succede oggi?"
Si stringe ancora di più a me. "È la vigilia di Natale."
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Natale ad Aprile? Meh
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