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Capitolo 14

Sad People - Kid Cudi
Canzone consigliata per questo capitolo

PdV: Alex

Ho passato gli ultimi giorni a cercare un modo per hackerare il sistema operativo che collega i computer della scuola di Francesco e Damiano.

Dopo aver osservato attraverso le videocamere nascoste le abitudini degli insegnanti, non ci è voluto molto prima che qualcuno mi fornisse inconsapevolmente le informazioni necessarie per il mio piano. Ho bisogno di avere il controllo dei loro dispositivi, così da manipolarli a mio piacimento.

Pollo mi ha affidato l'incarico di seguire l'operazione di persona, svolgendo il lavoro di tecnico informatico presso l'istituto. Solo che, per aver bisogno di un tecnico, la scuola deve avere un problema informatico.

Vuole che io controlli dal vivo la situazione. E le persone. O forse, solo Damiano.

So che si fida di lui, è solo che Dam riesce ad essere, come dire?, un tantino imprevedibile.

Inserisco l'ultimo codice necessario per mandare i server in palla, e aspetto. Davanti a me, i miei amici sono seduti sulle nuove poltrone che ci siamo procurati, dopo che le poche sedie presenti qui dentro sono state distrutte nell'ultimo scontro.

Francesco, seduto con un piede appoggiato sul ginocchio, guarda in alto con aria fintamente trasognata e sospira ripetutamente, nel vano tentativo di attirare l'attenzione di Damiano. Lui, immerso nella lettura di uno dei suoi libri, non lo calcola minimamente.

Dopo l'ennesimo respiro pesante, Dam, visibilmente infastidito, alza gli occhi dalla sua lettura e sbuffa.

"Cos'è, hai l'asma?" Gli chiede brutalmente.

Fra, abituato come ognuno di noi ai suoi modi, non si scompone, anzi. Ha ottenuto quello che voleva. Io osservo la scena divertito.

"Ieri ho visto una." Confessa sorridendo e alzando ripetutamente le sopracciglia, in segno d'intesa.

"Cioè hai avuto un'allucinazione?" Dam lo sfotte, tornando al suo libro.

"No. Ho avuto un appuntamento." Sottolinea lentamente la parola appuntamento.

"Mmh."

"Non vuoi sapere com'è andata?"

"No."

"È andata molto bene, grazie." Fra si alza e va a pescare qualcosa dentro ad un borsone che si è portato dietro. Tira fuori dei vestiti: un paio di pantaloni marroni e una camicia beige spiegazzati.

"Stasera ci vediamo di nuovo e voglio fare buona impressione." Comincia a togliersi i vestiti che ha addosso e a mettere gli altri.

"Se uscite di nuovo vuol dire che hai già fatto buona impressione." Intervengo io.

"Giusta osservazione." Fra mi punta il dito e guarda negli occhi tutto serio, con aria soddisfatta. "Dam, prendi esempio." Lui, di tutta risposta, non ci degna di uno sguardo.

Fra finisce di indossare ciò che si è portato dietro e si mette in posa davanti a noi, in piedi e leggermente di profilo, assumendo uno sguardo da seduttore. Cerco di non ridere.

"Beh? Come sto?" Chiede, rivolgendosi ad entrambi.

"Bene, ma dovresti stirarli." Rispondo io.

"Dettagli. Dam, che dici?" Posiziona entrambe la mani sui fianchi e si mette a fare ripetuti movimenti d'anca come se stesse facendo sesso. "Sembro uno stallone."

"O uno stalliere." Fa Damiano, e io scoppio a ridere.

La nostra reazione sembra ammazzare totalmente lo spirito di Francesco. "Bravi, bravi, ridete di me, amici di merda. Non vi chiederò mai più niente."

"Ci conto." Infierisce Damiano, senza distogliere lo sguardo dal suo libro.

L'operazione che stavo svolgendo al pc è andata a buon fine, quindi lo richiudo e mi alzo.

"Io ho finito." Li informo. "Oggi vado a prendere Mike, finalmente lo rivedo dopo quasi un mese."

Michael è mio figlio. Ha due anni e mezzo ed è nato quando io ne avevo ventiquattro, insieme alla mia ex ragazza, Alessia. Io e lei non siamo rimasti in buoni rapporti e raramente mi permette di vederlo.

Quando io e Alessia ci frequentavamo, avevamo un rapporto malato. Io passavo la maggior parte del mio tempo strafatto e a combinar casini con gli altri, mentre lei mi tradiva, perché non ero in grado di darle abbastanza attenzioni. Michael è capitato per caso, tra sesso arrabbiato e non protetto.

Come molte persone idiote prime di noi, abbiamo pensato che avere un figlio avrebbe potuto rimettere in sesto la nostra relazione. A modo nostro, ci amavamo e volevamo stare insieme. Inutile dire, che non ha funzionato.

Totalmente inadatti a prenderci cura di un bambino, litigavamo in continuazione. Ci siamo detti le cose peggiori, feriti nei modi più disgustosi. Finché, una volta come tante, me ne sono andato dall'appartamento che condividevamo, mandandoli entrambi a fanculo. Solo che, non è stata una volta come tante, perché lei non mi ha più aperto la porta di casa.

Alessia sapeva cosa facevo per vivere e, se all'inizio della nostra relazione le era sembrato qualcosa di pericolosamente affascinante, ha poi capito che non c'era niente di attraente in un meccanismo che risucchia la tua vita e quella delle persone che hai intorno.

E ha avuto paura. Per sé e per Michael.

Appena Mike è nato, non mi sono reso conto di quanto significasse per me, quanto lo amassi e che avrei fatto qualsiasi cosa per proteggerlo. Li ho dati entrambi per scontati, totalmente annebbiato dai costanti effetti delle droghe per rendermi conto di cosa avessi per le mani. E, quando Alessia mi ha escluso dalle loro vite, ho dato di matto.

Col tempo, ho capito. Ho cercato di rimettermi in sesto, di dimostrarle che potessi essere affidabile e che fossi in grado di fare il papà, senza smettere di fornire loro i soldi e i beni necessari per vivere, senza mai mancare un incontro. Ma lei non sembra volermi perdonare. O voler accettare cosa faccio per vivere.

Io non voglio tornare con lei, voglio solo poter vedere più spesso mio figlio.

Saluto gli altri e salgo sulla mia Alfa Romeo, dirigendomi verso l'appartamento che ora è solo di Alessia. Mi sento molto emozionato, Michael sarà cresciuto tantissimo nel tempo in cui non l'ho visto. Gli ho comprato delle nuove costruzioni Lego, per giocarci insieme. Gli piace costruire le cose e a me piace guardarlo fare.

Prendo il telefono e chiamo Alessia per informarla che sto arrivando. Mi risponde dopo numerosi squilli.

"Che c'è?" Esordisce, già infastidita.

"Hey, sto arrivando a prendere Michael."

"Ah già, non puoi venire oggi."

Fermo la macchina in mezzo alla strada. Le persone dietro di me, strombazzano. "Cosa significa?? Ci eravamo messi d'accordo che sarei venuto a prenderlo e avrebbe passato il pomeriggio con me." Mi sto incazzando, cosa si è inventata adesso per non farmelo vedere?

"Non è stato molto bene e l'ho portato da mia mamma, io ora sono al lavoro."

"E non potevi dirmelo?? Anche io avrei potuto prendermene cura! Lo vado a prendere lo stesso!"

"Col cazzo, Alex! Adesso sta da lei e lo lasci in pace. Non ti azzardare a farti vedere per il pezzo di merda che sei davanti a tuo figlio. Sta meglio senza di te."

"Porca puttana, sei proprio una stronza del cazzo. Fai tanto la brava mammina, quando vuoi solo vendicarti su di me, non ti rendi conto che fai del male anche lui! Ma vattene a fanculo, Alessia!" Butto via il telefono, incazzato nero. Con lei, con me, con il mondo intero.

Ci vedo nero. Ma perché proprio con una stronza simile dovevo fare un figlio, cristo santo.

Dopo pochi secondo, sento il telefono squillare e lo porto all'orecchio senza guardare il nome sul display.

"Che cazzo vuoi ancora?" Sbraito.

Mi risponde una voce maschile, senza farsi impressionare. "Operazione riuscita. Domani entri in servizio." E, senza aspettare risposta, stacca la chiamata. Era uno degli uomini di Pollo.

Mi passo una mano sulla faccia, incazzato e frustrato, e faccio ripartire la macchina tornando da dove sono venuto.

//


Sono circa le undici del mattino, quando entro nell'edificio scolastico che racchiude quasi seicento anime. Mi affretto verso la segreteria collocata al secondo piano, dove mi accoglie una signora di mezza età, dai capelli argentati raccolti in una crocchia, e gli occhiali posti sulla punta della naso. È seduta comodamente alla scrivania, mentre completa le parole crociate. Nonostante si sia sicuramente accorta di me, non fa il minimo movimento.

Mi schiarisco la gola per attirare la sua attenzione.

Niente.

"Buongiorno, sono Alex Brizio, mi avete chiamato per un problema..."

"Io non ho chiamato proprio nessuno." Mi interrompe lei, senza alzare lo sguardo e continuando le parole crociate.

Cominciamo benissimo. Cazzo, le segretarie delle scuole sono tutte uguali.

Mi schiarisco nuovamente la gola. "Sono il tecnico informatico."

"E io sono la segretaria."

Devo essere civile, devo essere civile, devo essere civile...

"Okay, io ho un lavoro da svolgere. A chi altri posso chiedere oltre a lei?"

"Non lo so, io per questa gente non alzo più un dito." Mi dice lei, sollevando in aria il suo prezioso indice.

Lasciamo perdere. Mi volto a cercare se ci sia un'altra anima viva a cui chiedere informazioni e mi aggiro per i corridoi. Dopo pochi passi, vedo una ragazza dall'aria familiare che cammina verso la mia direzione.

Ma certo! È la professoressa di Damiano, Francesco e Jessica. Me l'aveva mostrata Fra al Caveau diverse sere fa. Allungo il passo e la fermo.

"Ciao! Posso chiedere a te? Ho provato a parlare con la segretaria, ma..." È una stronza.

"Ciao, certo. Sì, scusala, Caterina è un po' scorbutica, bisogna saperla prendere." Mi sorride con indulgenza. "Avevi bisogno?"

"Sono Alex, il tecnico informatico, mi avete contattato per un problema al server."

"Ah wow! Che fortuna tu sia già arrivato! Di solito, quando c'è un problema di questo tipo ci vogliono giorni prima che mandino qualcuno."

Ovviamente è stato tutto sistemato dalle persone in servizio per Pollo.

Mi schiarisco la gola per terza volta in pochi minuti. "Eh, già."

"Vieni, ti accompagno nell'aula di informatica. Si trova su questo piano, ma nell'ala opposta."

Si volta verso la direzione da cui stava tornando.

"Ah scusami, che maleducata! Io sono Eva Lai, una professoressa." Mi tende la mano e mi stupisco della sua stretta decisa. Sembra una creatura così fragile, invece si nota dal modo in cui ti guarda fisso negli occhi, che fragile non dev'esserlo affatto.

Ha una bellezza particolare, di quelle che ti attraggono per l'energia che emana, di chi ti accoglie senza fare domande.

"Sei molto gentile, Eva." Mi mostra una fila di denti bianchi. "È da molto che lavori qui?" Le chiedo, per fare conversazione.

"No, a dire il vero, è il mio primo anno. Mi sono trasferita da queste parti pochi mesi fa."

"E ti trovi bene?"

"Sì, abbastanza. Diciamo che fatico sempre un po' ad ambientarmi. E tu, lavori qui da tanto?"

Mi viene quasi da ridere. "Prima volta anche per me."

"Eccoci, questa è l'aula." Davanti a me, una stanza con una ventina di computer del secolo scorso sono disposti su cinque file, e un altro, probabilmente quello di controllo centrale, è leggermente più avanzato.

"Io ora devo andare a fare lezione, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa, mi trovi nella F, al piano di sotto. Oppure, vicino alla segreteria, c'è l'aula insegnanti. Di solito, trovi sempre qualcuno a cui puoi chiedere informazioni. È stato un piacere conoscerti, Alex."

"Grazie. Anche per me." Questa volta le tendo io la mano. È il tipo di persona che ti viene voglia di toccare.

Me la stringe con calore. "A presto." E se ne va.

Capisco perché Damiano le ronzi tanto intorno.

Mi dirigo verso il computer principale a installare tutti i programmi con controllo da remoto necessari, e a fingere di risolvere un problema che io stesso ho creato.

Pollo vuole che l'intero complesso venga sorvegliato e controllato nei minimi dettagli, e la cosa mi puzza. Perché darsi tanto da fare per un ragazzino? Potrebbe sequestrarlo da un momento all'altro, senza aver bisogno di ingaggiarci per sorvegliarlo per tutto questo tempo. A meno che, non ci sia dell'altro. Qualcosa di cui vuole che restiamo all'oscuro.

Comunque sia, per ora, non mi riguarda. Completo ciò che dovevo fare oggi con questo arnese che sembra abbia attraversato l'apocalisse, e due ore dopo sono fuori dall'edificio.

Ormai è l'una passata e gli studenti stanno uscendo per tornare a casa. Una volta fuori, intravvedo Francesco e Jessica in compagnia di altri studenti. Anche loro mi intercettano, ma facciamo finta di non conoscerci, per non dare nell'occhio.

Damiano non è ancora tornato a scuola, ma dovrà farlo se non vuole pagare conseguenze più serie di quelle dell'ultima volta.

Poco dopo, noto Eva che esce dall'istituto a braccetto con un tipo sulla sessantina, vestito con un completo antiquato e un cappello a cilindro in testa. Si salutano con affetto, sembrano padre e figlia.

Mentre scende le scale, ora da sola, si accorge di me.

"Oh, ciao Alex! Com'è andata?" Mi chiede, gentile.

"Eva." Mi prendo un momento prima di risponderle. "Il sistema era abbastanza incasinato, domani mattina dovrò tornare a finire il lavoro."

"Oh capisco, mi dispiace." Corruga le sopracciglia.

Ridacchio. "No, figurati, non è un problema. Tu hai finito?"

"Per oggi sì. Domani, però, mi toccherà stare qui tutto il giorno, al pomeriggio ho fatto partire un piccolo corso di musica."

Che tipa. "Suoni qualcosa?"

"Il triangolo vale?" Scherza. "No, lo seguo perché ho messo insieme le persone e le risorse, ma per la musica sono veramente negata." Ridacchia. "E lo stesso vale per la tecnologia!"

"Beh, ma quella è una disciplina orribile." Scherzo anch'io. "Anche se domani sarai qui tutto il giorno, dovrai fare una pausa. Ti va di pranzare insieme?" Azzardo. Sembra una persona piacevole.

Prima che abbia il tempo di rispondermi, Damiano si materializza di fianco a noi. Eva sussulta e il suo corpo cambia atteggiamento.

"Interrompo qualcosa?" Chiede con tono nervoso.

"Damiano! Quanto tempo..." Eva riprende immediatamente il controllo di sé. "Sei tornato?"

Lui la guarda a lungo con un'espressione indecifrabile, poi si volta verso di me, senza rispondere per qualche momento. Alla fine dice solo: "Da domani."

"Bene. E ora che ci fai qui?" È una mia impressione o anche lei si sta innervosendo?

"Passavo di qua, è un problema?" Ora si fissano in modo torvo.

Lei sospira e decide di non abbassarsi al suo livello. "No. Allora a domani." Lo congeda, sguardo duro, tono deciso.

" A domani." Risponde lui, senza muoversi.

Passano ancora alcuni istanti in cui non capisco cosa stia succedendo, così aggiungo un terzo: Beh, a domani." E mi dileguo.

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