20. L'estate in cui tutto andava alla grande
「 𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄 」
APPARVE AL CAMPO CHE IL SOLE era alto nel cielo e l'aria aveva già perso il suo caratteristico sapore frizzante che aveva nella mattina. Ade s'era divertito a giocarle un ultimo piccolo scherzo, una sorta di regalo d'addio, facendola apparire in posti diversi per almeno una dozzina di volte. Sembrava non ricordarsi quale fosse l'indirizzo del campo. Ad un certo punto, persino, s'era ritrovata davanti una città situata su d'una collina, con edifici in stile romano, ma era durato una manciata di secondi.
Stanchissima, raggiunse la cima della collina Mezzosangue. S'appoggiò di peso al pino di Talia, la testa che le vorticava paurosamente per via del caldo. Passò la punta delle dita sulla corteccia del pino, un sorriso formandosi sul viso.
«Siamo a casa» ansimò fra un respiro e l'altro. Per un attimo, quasi non credette alle sue parole. Poi voltò il capo ed il campo si estendeva in tutto il suo splendore sotto i suoi occhi. Allora ci credette.
Si mise a saltellareᅳper quel poco che le riusciva con la caviglia steccataᅳ ed iniziò a discendere la collina. Finì per inciampare, ben più d'una volta, ma continuò a ridere.
Avrei da ammettere, tuttavia, che la scarica di gioia fulminante nelle sue vene si fece più seria quando rivide il fratello. Probabilmente, dall'esterno ebbe lo stesso aspetto di un cucciolo sovra-eccitato che salta addosso al primo compagno di giochi che si ritrova dinnanzi, anche se così un po' ci si sentì davvero.
Avrei da ammettere, nuovamente, che dopo quell'intensa felicità ebbe un brutto calo di zuccheri, ma questi son gratuiti dettagli.
«Penelope!» Grover le corse incontro, gli zoccoli che risuonavano piacevolmente contro il legno del pavimento, nell'infermeria. La raggiunse di fretta, in viso la stessa espressione che una madre preoccupata rivolge al suo bambino, gli occhi però contaminati di sollievo. «Stai bene, sì?»
«Ho ancora l'anima in corpo, quindi direi di sì» gli sorrise lei, osservandolo sedersi sul letto con cautela.
Facendo timidamente capolino dalla porta, come se non sapesse d'essere attesa o meno, Annabeth entrò accompagnata dal dorato bagliore dei suoi boccoli. Lei e Grover erano sicuramente arrivati al campo qualche ora prima di lei, in mattinata forse, perché entrambi erano lindi da testa a piedi e sembravano più riposati. Quando la vide, cosa che Penelope non s'aspettava, Annabeth sorrise d'un sorriso che le illuminò il viso segnato dalla stanchezza.
In attesa che Percy tornasseᅳ"è andato sull'Olimpo a sistemare le cose", le disseroᅳGrover ed Annabeth le raccontarono tutto ciò che era successo dopo la loro fuga dagli Inferi. Il satiro descrisse il duello fra Percy ed Ares come se avesse assistito allo scontro di Ettore ed Achille, ricco di gesta mitiche ed eroiche, ghirigori di meraviglia ed ampi gesti delle mani.
Penelope lo stesse ad ascoltare divertita, ogni tanto lanciando sguardi curiosi ad Annabeth. La bionda aveva un cerotto sul dorso del naso, che continuava a guardarsi incrociando gli occhi di mercurio. Penelope distolse spesso lo sguardo.
Le raccontarono anche di come il tempo pareva essersi fermato e di come l'oscurità aveva inghiottito il mondo, parole che andarono a ledere la gioia di tutti e tre. Ci pensò la figlia di Ermes a tirare su i morali, dicendo: «Non pensiamoci adesso» e forse avrebbero dovuto, col senno di poi, «facciamo una cosa alla volta. Prima salviamo il mondo. Ci riposiamo un attimo. Poi pensiamo al resto.»
«Veramente, noi tre abbiamo salvato il mondo» controbatté Annabeth, guadagnandosi subito una gomitata giocosa da Grover. «Scherzo, scherzo. Noi quattro lo abbiamo salvato.»
Percy fece ritorno che il pomeriggio era quasi del tutto inoltrato. Quando la rivide, con la caviglia ben steccata ma nonostante questo perfettamente in piedi, la mascella quasi gli sfiorò il terreno. Penelope non aveva mai visto nessuno così felice di rivedere qualcun altro.
Percy raccontò loro della conversazione avuta con Zeus e Poseidone, sull'Olimpo. Saltò fuori che il pensiero di Annabeth era corretto, riguardo l'essere che si trovava nel baratro. Crono, infatti. Nonostante Percy non fosse totalmente sicuro di come si fosse conclusa la discussione sul re dei Titani, Penelope lo rassicurò ricordandogli che suo padre aveva detto che spesso Crono, nel corso dei secoli, aveva dato segni di vita che s'erano rivelati un nonnulla.
Essendo i primi eroi che, dopo Luke, lei e Nerea, tornavano vivi e con tutte le membra attaccate al corpo, tutti li trattarono come se avessero appena vinto un reality show. Seguendo la tradizione del campo, indossarono eleganti corone d'alloro ad un ricco banchetto organizzato in loro onore, per poi raggiungere il falò guidando un corteo, per bruciare i lenzuoli funebri che le loro case avevano preparato durante la loro assenza.
Il lenzuolo di Annabeth era così belloᅳc'era da aspettarselo, dai figli della dea protettrice dell'arte della tessituraᅳche fu quasi un peccato "non usarlo per la sua sepoltura", come disse Percy.
I ragazzi della casa di Ermes si erano offerti per ricamare il lenzuolo del dodicenne, poiché lui non aveva compagni che potessero farlo. Proprio nel loro stile, pensò Penelope, avevano preso un vecchio lenzuolo scolorito e vi avevano dipinto sopra delle faccine con delle croci al posto degli occhi, ed al centro aveva scritto, a grandi lettere: PERDENTE.
Penelope gradì particolarmente dar fuoco al proprio lenzuolo, con su ricamate delle caramelle rosse e gialle, su fondo chiaro; sembrava quasi che fosse figlia di una divinità legata alle caramelle. Non che le sarebbe dispiaciuto.
Mentre i ragazzi e le ragazze di Apollo conducevano il coro e distribuivano i marshmallow arrostiti sul fuoco, Percy venne circondato da moltissima gente: vecchi compagni di Ermes, addirittura alcuni componenti della casa di Atena, i satiri amici di Grover che ammiravano la licenza da cercatore nuova di zecca che il satiro aveva appena ricevuto dal Consiglio dei Satiri Anziani. Il Consiglio aveva definito la prestazione di Grover come "coraggiosa fino all'indigestione. Un'impresa con la barba e con le corna, come mai s'era visto in passato."
Penelope, seduta sui gradoni dell'anfiteatro, colse l'occasione per sistemare una questione lasciata in sospeso, e disse a Grover, finalmente, di non avercela mai avuta con lui per la faccenda di Talia. Nel bagliore delle fiamme dorate gli sembrò di vedere gli occhi castani di Grover rasserenarsi di colpo, come se si fosse tolto dalle spalle un peso che portava da lunghissimo tempo.
Gli unici a non aver molta voglia di festeggiare erano Clarisse e la sua banda. Dalle occhiate velenose che lanciavano a Percy, si capiva che non l'avrebbero mai perdonato per aver screditato il loro papà. La parte più divertente fu dare fuoco ai loro anfibi, cosa che Penelope e Percy fecero con immenso piacere. Avreste dovuto vedere le loro facce!
Il discorso del Signor D. fu il solito discorso da Signor D. blaterò qualcosa sul fatto che Percy fosse riuscito a tornare tutto intero e che, per questo, si sarebbe montato ancor di più la testa.
Andava tutto bene.
Il resto di giugno passò con un lampo, i giorni portati via dalla brezza salmastra che giungeva dalla spiaggia. Le ore passarono fra risate, allenamenti alle sei del mattinoᅳl'aria è fresca e non si muore di caldo!, esclamava Penelope, trascinando Percy fuori dalla Casa Tre per un piedeᅳe gavettoni di vernice ed acqua. Alla fine, presero l'abitudine di usare solo la vernice per riempire i palloncini, perché Percy finiva sempre per fregarli e far scoppiare quelli pieni d'acqua nelle loro stesse mani.
Luke e gli Stoll provarono persino a farla avvicinare alla spiaggia. Non finì bene per nessuno dei tre. Per una settimana buona, Travis e Connor si lamentarono della sabbia che si ritrovavano di continuo fra i capelli.
Percy li informò anche del radicale cambio di vita di sua madre: in poche parole, il patrigno era misteriosamente sparito dalla faccia della terra. Sally aveva persino denunciato la sua scomparsa, ma aveva la strana sensazione che non l'avrebbero più ritrovato.
Passando a tutt'altro, Sally aveva venduto ad un noto collezionista la sua prima scultura di cemento a grandezza naturale, intitolata "Il giocatore di poker", tramite una galleria d'arte di Soho. Le aveva fruttato così bene che aveva lasciato un anticipo per un nuovo appartamento e si era già pagata il primo semestre di lezioni alla NYU. La galleria di Soho chiedeva impaziente, a gran voce, altre opere, che definivano "un enorme passo avanti nel neorealismo dell'orrido",
Inoltre, Sally aveva trovato un'ottima scuola in cui poter iscrivere Percy per l'anno scolastico a venire, in caso volesse frequentare la seconda media, ma lui non aveva ancora deciso.
Un'altra cosa che sparì, oltre al patrigno-foca di Percy, furono i litigi fra Penelope ed Annabeth. Be', in realtà, non è che avessero veramente chiarito il tutto, ma era stato solo un puff!
Oh, non guardatemi con quella faccia. So anche io che un'asprezza del genere non può semplicemente svanire, come se nulla fosse. Eppure, questo non le sembrava. Si diceva che fosse perché, sotto sotto, anche la bionda s'era stancata di battibeccare. Le cose erano... normali. Certo, non si comportavano come fossero migliori amiche (il pensiero le faceva anche strano, a dire il vero), ma tra loro aleggiava una sorta di quiete e tolleranza che pian piano apprezzava sempre di più. La corda aveva smesso di tendersi e tendersi, ma era lasciata morbida e sciolta.
Il quattro di luglio l'intero campo si riunì sulla spiaggia per ammirare i fuochi d'artificio preparati dalla Casa Nove, di Efesto. Quei ragazzi non potevano di certo accontentarsi di qualche insulso scoppietto rosso-bianco-e blu. Così, avevano ancorato una chiatta al lago, carica e stracarica di razzi grandi come missili Patriot.
La sequenza di colpì fu così fitta, proprio come in passato, da creare un maestoso cartone animato nel cielo. Le scintille colorate di quei fuochi restarono a fluttuare nell'aria, che profumava di sabbia e di mare, dando l'illusione di trovarsi in una radura che pullulava di deliziose lucciole.
Penelope alzò lo sguardo, ammirando estasiata le centinaia di fluttuanti scintille.
Stavano stendendo una coperta da picnic sulla sabbia quando Grover venne a salutarli. Era vestito come al solitoᅳjeans, scarpe da ginnastica e maglia del campoᅳma nelle ultime settimane pareva cresciuto un po' di più. Penelope diceva che s'era fatto più alto e così era; infatti, lei si sentiva ancora più bassa di quanto già non fosse. Il satiro sembrava più grande, dall'aspetto di un sedicenne. Aveva messo su qualche chilo, la barbetta si era fatta più folta, alcuni brufoli erano spariti, le corna s'erano allungate di almeno due centimetri, tanto che ora era costretto ad indossare il berretto tutto il tempo, se voleva passare per umano.
«Sto partendo» annunciò, e Penelope per la sorpresa lasciò cadere tutte le buste di dolciumi che aveva tra le braccia. Il satiro rise e continuò. «Sono venuto solo a.... be', lo sapete.»
Dirgli addio fu un po' difficile. Grover era il più vecchio amico che Penelope s'era fatta lì al campo, persino più vecchio di Nerea. Però era immensamente felice per lui, perché aveva finalmente modo di realizzare il suo sogno.
Annabeth lo abbracciò stretto stretto, raccomandandogli di indossare sempre i piedi finti. Penelope, come pegno, gli consegnò l'unica delle fish del Lotus che era rimasta, facendosi promettere che l'avrebbe trattata come fosse una reliquia sacra. Percy gli chiese da dove avrebbe iniziato a cercare.
«Ehm, sarebbe un segreto» rispose lui, imbarazzato. «Vorrei che poteste venire con me, ragazzi, ma gli umani e Pan...»
«Lo vanno molto d'accordo, lo sappiamo» concluse Penelope per lui. «Però, quando lo trovi, digli che una tua cara amica è vegetariana e che rispetta la natura, mi raccomando.»
Grover sorrise. «Ti farò fare una bellissima figura.»
«Ehi, non dimenticarti di noi! Anche io e Percy rispettiamo la natura» disse Annabeth. Gli lisciò la maglietta, affettuosa. «Hai abbastanza lattine per il viaggio, sì?»
«Sì.»
«E ti sei ricordato di prendere il flauto?»
«Sì, mamma.»
Grover impugnò il suo bastone e rivolse a loro tre un ultimo sguardo, solcando con i caldi occhi castani ogni loro volto, come per imprimersi i loro lineamenti nella memoria, per non dimenticarli mai. S'infilò lo zaino in spalla, sembrando così uno di quegli autostoppisti che si vedono sulle autostrade... un po' Luke e Penelope alcuni anni prima.
«Be'» fece, «auguratemi buona fortuna.»
Abbracciò di nuovo lei ed Annabeth, dando poi una pacca sulla spalla a Percy. Lo guardarono allontanarsi a passo sicuro tra le dune di sabbia, i vestiti un po' tirati dalla brezza marina. In cielo esplosero i fuochi d'artificio: Ercole che uccide il leone Nemeo, Artemide che caccia il cinghiale, George Washington che attraversa il Delawareᅳsapevate che era figlio di Atena?
Percy chiamò: «Ehi, Grover!»
Il satiro si voltò al margine del bosco, sul viso l'attesa.
«Ovunque tu vada... spero che facciano delle ottime enchiladas!»
Grover sorrise loro un'ultima volta, il viso illuminato dei tanti colori dei fuochi, stelle nel cielo di una magia indescrivibile, ed un istante dopo era svanito, inghiottito dal fitto degli alberi.
Penelope sospirò, sedendosi pesantemente sulla coperta. «Lo rivedremo?»
«Ma certo» rispose Annabeth, sedendosi accanto a lei. Le porse una busta di caramelle, i coccodrilli colorati, appena aperta. «Favorisci?»
Così come giugno, anche luglio passò, tra giornate tremendamente afose spese a ripararsi all'ombra, il canto soporifero delle cicale e Luke che si faceva più strano ogni giorno che passava.
Penelope aveva notato un'ombra scura calatagli sullo sguardo, ma non riusciva a spiegarsene la provenienza o il motivo. Da fuori, suo fratello era sempre lo stesso: l'affabile ragazzo col quale si divertiva a fare guerra di scherzi contro Travis e Connor. Eppure, la sensazione che qualcosa stesse per accadere era sempre più forte.
Tuttavia, cercò di accantonarla. Ripensò al suggerimento di Ade. "Dovresti imparare a fidarti di meno delle sensazioni", e questo fece. Col passare dei giorni, la sensazione svanì e ne restò solamente un'ombra nella parte più nascosta e lontana della sua testa.
L'ultima sera della sessione estiva arrivò con la sorpresa di un sussulto, intristendola un po'. Percy sarebbe probabilmente tornato a casa per l'anno scolastico, se ne era accorta. Non poteva biasimarlo, alla fine: una vita un minimo normale è il sogno di ogni semidio o semidea. E poi, lui aveva sua madre ad aspettarlo a casa.
Le restava un nutrito gruppo di persone, al qualeᅳsì o no?ᅳs'era recentemente aggiunta Annabeth.
Cercò di godersi quell'ultima cena tutti insieme. Bruciarono le offerte agli dèi e mandarono giù una grande quantità di cibo, tutto ciò che riuscirono a trovare sui tavoli. In seguito, al falò, i capigruppo assegnarono le perle di fine estate.
Penelope adorava quel momento, una piccola cerimonia che segnava la fine di un momento e l'inizio di un altro. Spesso, si ritrovava a contare le perle che portava al collo, come cercando di ricordarsi che quel posto, il campo, era tutto vero.
Il bagliore del vivace fuoco coprì il rossore di Percy, ma lei lo intravide comunque. La perla, che per lei era quella della sua sesta estate, era interamente nera ed al suo centro era stato dipinto un tridente verde e scintillante.
«La scelta, direi, è stata unanime» affermò Luke, in piedi sui gradoni dell'anfiteatro per farsi udire da tutti. «Questa perla commemora il primo figlio del dio del mare giunto al campo e l'impresa che ha compiuto addentrandosi nella parte più oscura degli Inferi per impedire la guerra!»
Tutti quanti s'alzarono in piedi, applaudendo, in una piccola standing ovation il cui gioioso suono riempì l'aria ed elettrizzò le cariche di ognuno. Il sorriso di Percy, nella luce del focolare, valeva più di ogni altra cosa.
Il mattino dopo, appuntata alla piccola bacheca che avevano appeso fuori dalla porta della Casa Undici, c'era la solita lettera di fine anno compilata da Chirone, tramite la quale ricordava a tutti loro di informare la Casa Grande in caso di partenza per l'anno scolastico. I più piccini s'accalcarono per leggerne le parole, spintonandosi l'un l'altro per vedere meglio.
Penelope osservò un po' intristita la cabina svuotarsi quasi interamente: la maggior parte dei suoi fratelli e sorelle partiva e tornava a casa, dai propri parenti. Salutò così tante persone che alla fine perse il conto ed augurò a tutti un buon anno, sospirando poi.
Coloro che restavano al campo erano tutti fuori, ormai immersi nei loro piani giornalieri, e la cabina era vuota, così irrealmente silenziosa. Abbassò sugli occhi le palpebre, lasciando che il silenzio le invadesse l'udito e l'odore della cabina le ricordasse momenti passati. Sorrise.
Un tocco conosciuto le scompigliò i capelli, lasciati sciolti lungo la schiena. Alzò il capo ed incontrò il viso abbronzato di Luke, sorridendogli di rimando. «Oggi che fai?» le chiese lui, sedendosi con un piccolo balzo sul suo letto.
Penelope si strinse fra le spalle. «Oh, be', nulla di che. Pensavo di passare un po' di tempo con Nerea, Silena e Drew. Non credo che Annabeth ne abbia molta voglia, ma le chiederò se vuole farci compagnia.»
«Ah, i vostri momenti tra ragazze» annuì suo fratello, come se la sapesse lunga. «Siete insopportabili, quando siete tutte insieme.»
Penelope storse il viso in una finta smorfia offesa, tirando poi una cuscinata al ragazzo che le sedeva davanti. «Ma senti chi parla! Tu, Travis e Connor siete il peggior trio della storia!»
Luke rise, ma lei non riconobbe quella risata. Ne ebbe paura. Immediatamente, il sorriso svanì dal suo viso, mentre la brutta sensazione di un mese prima tornava ad attanagliarle lo stomaco.
Inizialmente cercò di mascherarlo. «E tu, invece? Che fai?»
«Ieri ho chiesto a Percy se gli andasse di allenarsi un'ultima volta con me, giù all'arena.» S'allungò a cercare, sotto al letto, il famoso pacco da sei di Coche che erano riusciti a ricavare sottobanco. Quando vide le lattine, a Penelope si fece la gola arida di desiderio.
Luke sorrise divertito nel vederla rubargli, fulminea, una lattina. «Volevo chiedere anche a te, ma sei già occupata...»
«E' che negli ultimi giorni ho visto Nerea un po' diversa» spiegò lei, passandosi la lattina di mano in mano. «Non so... mi è sembrata giù di corda. Sarà perché tutti partono. Tu te ne sei accorto?»
Luke si umettò le labbra, annuendo, ma Penelope ebbe la sensazione che non la stesse veramente ascoltando. «Mh, sì, fai bene» concordò suo fratello. Aveva lo sguardo rivolto ad un lontano orizzonte, lei se ne accorse subito.
Non riuscì a frenare la domanda. «Che c'è che non va?»
Luke parve riemergere solo in quel momento dal torbido lago dei suoi pensieri. Aggrottò la fronte, volgendole lo sguardo. «Cosa?»
«Ti ho chiesto se c'è qualcosa che non va.»
«Oh! Nulla, nulla» replicò lui, sorridendole. Di nuovo, non riconobbe quel sorriso. «E' tutto okay. Cosa ti ha fatto pensare che non lo fosse?»
Penelope scrollò le spalle, in un metaforico tentativo di togliersi di dosso quella brutta sensazione. «Niente. Ti ho solo visto... strano, tutto qui.»
Le labbra di Luke s'incresparono in un sorriso gentile, che però non si riflesse nei suoi occhi di zaffiro. Il ragazzo si chinò e le posò un bacio sulla fronte, come sempre faceva. «Ci vediamo dopo, allora» le disse, accarezzandole i capelli.
Non aspettò nemmeno che lei replicasse. S'alzò dal letto, prese il pacco di lattine, si rigirò Krypteía tra le dita, agilissimo, e sparì oltre la porta della cabina, immergendosi nell'ardente sole di inizio agosto.
Penelope restò sola, annegando nel silenzio. Si passò una mano sul viso, come per lavare via un'espressione che non le piaceva un granché. Cercò di zittire una volta per tutte la sua maledetta testa, strabordante di pensieri scuri e vorticanti come le tenebre, e si rassicurò dicendo che andava tutto alla grande.
Andava tutto alla grande.
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