Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

15. La Città degli Angeli

𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄

                  L'IDEA FU DI ANNABETH, come al solito. Li fece salire su uno dei tanti taxi di Las Vegas, come se nelle tasche avessero i soldi per permetterselo, e disse all'autista: «Los Angeles, prego.»

Il tassista, un uomo sulla quarantina che emanava una tremenda puzza di fumo, masticò con flemma il suo sigaro e soppesò loro quattro con lo sguardo. «Sono duecento chilometri. Scherzi o cosa, biondina?»

«Vuole il pagamento anticipato?» replicò la dodicenne.

«Sarebbe gradito.»

Annabeth prese la carta del Casinò Lotus, quella illimitata per i giochi. «Accetta le carte di debito dei casinò?»

Lui si strinse tra le spalle. «Dipende. Prima le devo strisciare.»

Annabeth gli passò la carta e lui guardò prima l'oggetto, poi la ragazzina, scettico. Piccole volute di fumo s'alzavano dall'estremità in fiamme del suo sigaro e Penelope pensò che, almeno, avrebbe potuto fumare con i finestrini aperti.

«La strisci» lo incoraggiò Annabeth.

L'uomo lo fece, ed il tassametro prese a vibrare. Le luci dell'auto presero a lampeggiare, come impazzite. Alla fine, dopo il simbolo del dollaro, comparve il simbolo dell'infinito.

Al tassista cadde il sigaro dalle labbra. Era stupefatto. Lentamente, si voltò a guardarli con tanto d'occhi, un'espressione da pesce lesso sul viso ─ espressione per la quale Penelope fu costretta a nascondere una risata. «Da che parte di Los Angeles, di preciso... Vostra Altezza?»

Le labbra di Annabeth s'arricciarono e si curvarono appena verso l'alto, mentre lei drizzava la schiena. Maledetta... il "Vostra Altezza" doveva esserle piaciuto, e anche parecchio. «Il molo di Santa Monica» rispose. «E si sbrighi, così potrà tenere il resto.»

Forse, dirgli di sbrigarsi non era stata un'ottima idea. Il tachimetro del taxi non scese mai sotto i cinquecento chilometri per tutto il deserto del Mojave, e lo stomaco di Penelope si suicidò poco dopo la partenza.

Lungo la strada ebbero moltissimo tempo per parlare. Lei, non volendo confondere i suoi amici con un sogno del quale non aveva ancora capito un bel niente, appoggiò la testa sulla spalla di Grover e li ascoltò parlare.

Percy raccontò loro del sogno avuto la notte prima di arrivare al Lotus, ma era un racconto vago e privo di dettagli. Ogni volta che il ragazzino provava ad andare più in fondo e tirare fuori i particolari, quelli sembravano sparire. Il Casinò aveva fatto un ottimo lavoro nel mandare in tilt la loro memoria. Parlò della scena in cui aveva visto Talia e della conversazione tra il servo ed il padrone, ovvero la creatura mostruosa nascosta nel baratro, infine descrisse la sala con il trono fatto d'ossa.

Ripensando all'estate prima, a Penelope vennero i brividi.

«Il Silente?» suggerì Annabeth. «Il Ricco? Sono entrambi degli appellativi di Ade.»

«Forse...» rispose Percy, ma non sembrava convinto nemmeno lui.

«Quella sala del trono però somiglia proprio a quella di Ade» commentò Grover. «E' così che di solito la descrivono. Penny, che dici?»

Penelope sollevò il capo, muovendo un passo fuori dall'intricato labirinto dei suoi pensieri. Stava ragionando sul significato del proprio sogno. «Mh, cosa? Ah, sì, la sala del trono. Sì... pare quella di Ade, ma non ne sarei totalmente sicura.»

Percy scosse il capo. «C'è qualcosa che non quadra.»

«O qualquadra che non cosa» borbottò tra sé e sé Penelope.

Percy le rivolse un sorriso di sbieco. «Dicevo: la sala del trono, però, non è la parte principale del sogno. E la voce nel baratro... non lo so. So solo che non sembrava affatto la voce di un dio.»

Annabeth perse colore di colpo, sgranando gli occhi. Tutti e tre la fissarono, interrogativi.

«Cosa c'è?»

Parve tornare alla realtà, riemergendo dal lago dei suoi pensieri. «Oh... niente. Stavo solo... No, deve essere Ade. Per forza. Forse ha mandato questo ladro, questo tizio invisibile, a rubare la Folgore, e qualcosa poi è andato storto.»

«Tipo che... il ladro ha perso il malloppo?» ipotizzò Penelope. «Wow, che gran ladro s'è scelto Palla di Neve...»

«Se l'avesse persa, non sarebbe riuscito a portarla ad Ade» affermò Annabeth. Si rivolse a Percy. «Non è questo che è stato detto nel tuo sogno? Il tizio ha fallito. Questo spiegherebbe cosa stavano cercando le Furie quando ci hanno assalito sull'autobus. Forse pensavano che avessimo recuperato la Folgore e quindi ne fossimo in possesso.»

«Ma allora perché la voce si è complimentata con il servo?» chiese Grover «Gli ha detto che la sua era stata una mossa astuta, qualunque mossa fosse.»

Penelope osservava il paesaggio sfrecciarle sotto gli occhi, fuori dal finestrino. Volute di pensieri fumosi, nella tua testa, la turbavano. «Deve aver fatto qualcosa di buono durante il furto, o una cosa del genere. Magari si stava complimentando per essere riuscito a fregare gli dèi, rubando la Folgore sotto il loro naso. Fatto sta che ormai il tizio non ha più nulla tra le mani e che la bacchetta magica è da qualche parte, a disposizione di tutti.»

«Ma se avessimo davvero recuperato la Folgore,» obiettò Percy «perché staremmo andando negli Inferi?»

«Per fare la stessa cosa che ho fatto io l'anno scorso: minacciare Ade» asserì Penelope, piatta.

«Allo scopo di cosa?»

«Ricattarlo e farti restituire tua madre» rispose Annabeth, forse avendo notato che Penelope non aveva tutta questa voglia di continuare a parlare. «E' un trucco vecchio come il mondo, si sa.»

Percy annuì. «Giusto. Il trucco vecchio come il mondo, come ho fatto a non pensarci? Però, la voce del baratro ha parlato di due oggetti. Se uno è la Folgore, l'altro cos'è?»

Grover scosse il capo, visibilmente privo di risposte. Annabeth, invece, guardava il figlio di Poseidone con uno sguardo vorticante di nubi, segno che dietro la sua fronte si stavano intrecciando pensieri su pensieri, dubbi su dubbi, supposizioni su supposizioni.

«Ti sei già fatta un'idea di cosa potrebbe esserci nel baratro, vero?» le chiese Percy. Giocherellava con la penna che era Vortice, rigirandosela tra le dita. «Nel senso, in caso non si trattasse si Ade.»

La bionda scosse il capo, abbassando lo sguardo. «Percy, lasciamo stare. E' meglio così. Perché se non si tratta di Ade... No. Deve essere Ade per forza.»

Il silenzio calò su di loro e nessuno osò fiatare ancora. Ogni folata di vento nella Valle della Morte suonava come uno spettro. Il sole sarebbe presto calato e l'interno del taxi era investito da una soffice luce arancione che aveva morbidi riflessi sui capelli biondi di Annabeth e negli occhi verdi di Percy.

Penelope ripensò alle parole della creatura nel suo sogno. Da quando erano usciti dal casinò non riusciva a smettere di interrogarsi sul significato di quelle sue frasi, a cosa si riferissero.

Aprì il palmo della destra, fissando la sua pelle e temendo di veder apparire lì la stessa perla di vetro che la creatura aveva materializzato nella sua mano. "E' già con voi", aveva detto. "E' già con te".

E per quanto lei si stesse spremendo le meningi, non riusciva a capire cosa la creatura intendesse, quale fosse l'oggetto che era già con loro. Continuava a rigirarsi tra le dita la perla col pino di Talia, quasi chiedesse aiuto alla figlia di Zeus per risolvere l'enigma.

Del suo sogno poco capiva, se non la scena iniziale. La creatura, chi era? Di quale colpa parlava? A chi apparteneva la famigerata "bocca feconda"? Qual era il legame tra la creatura e la sfera contenente i piccoli fulmini? Come se già non bastassero tutti quei punti interrogativi, il soggiorno al Lotus aveva sfocato i suoi ricordi e scombussolato ciò che aveva visto. Pur sforzandosi, ricordava pochi dettagli, persino poco nitidi.

Lo zaino datogli da Ares parve pesarle un po' di più in grembo. Lo guardò, passando distrattamente le dita sulle sue cinghie in cuoio. Ripensò, di nuovo, alle parole: "E' già con voi. E' già con te". Presa dal sospetto che le aveva corrugato la fronte, aprì lo zaino.

Al suo interno c'erano ancora il sacchetto di dracme e i venti dollari, intoccati. Infilò una mano nello zaino e si passò tra le dita il tessuto dei vestiti che c'erano all'interno, non toccati anche quelli. Non sembrava esserci niente di strano o diverso, solo magliette in cotone e jeans ruvidi al tocco. Non sapeva nemmeno cosa stava cercando ma, comunque fosse, nulla destava il suo sospetto.

Non ancora, almeno.

Con il viso scuro e troppi pensieri per la testa, richiuse lo zaino e se lo premette contro il petto. La verità di cui la donna aveva parlato l'avrebbe colpita, prima o poi, e lei non sapeva cosa aspettarsi. Avrebbe dovuto proteggersi, magari sollevando lo scudo, o sarebbe rimasta indifesa, beccandosi così uno schiaffo in pieno viso?

                    Al tramonto, il taxi li lasciò sulla spiaggia di Santa Monica. Era identica alle spiagge californiane mostrate nei film, tranne che per il tanfo. C'erano giostre sul molo, palme lungo i marciapiedi, barboni che dormivano sulle dune di sabbia e surfisti in attesa dell'onda perfetta.

«Con che coraggio entrano in acqua» commentò Grover, osservando un gruppetto di ragazzi che, seduti sulle loro tavole, chiaccheravano immersi nell'acqua salata. «Queste acque sono più inquinate di... di un'isola di plastica nel bel mezzo del Pacifico.»

«Dici che potrebbe spuntargli un paio di braccia in più, a forza di stare in acqua?» disse Penelope, e il satiro annuì, mezzo divertito.

Raggiunsero la riva. Il mare s'allungava sulla battigia nella luce arancione, tingendosi d'oro. Annabeth si chinò e prese in mano un pugnetto di sabbia, facendosela poi scivolare tra le dita. «E adesso?»

Percy, senza una parola, entrò con tanto di scarpe in acqua, lasciando che questa gli travolgesse le caviglie. Annabeth lo richiamò, chiedendogli cosa stesse facendo, ma lui continuò indisturbato a camminare, fin quando l'acqua non gli raggiunse il petto.

Penelope scosse il capo, divertita, e si sedette pesantemente sulla sabbia. «Per quanto l'idea mi faccia ribrezzo, tu lascialo fare, Chase. Sa quello che fa, almeno spero.»

Annabeth, ovviamente, non le diede ascolto. «Sai quant'è inquinata quell'acqua? C'è ogni genere di rifiuto toss-»

E Percy immerse la testa.

La figlia di Atena sospirò, posandosi con esasperazione le mani sui fianchi. Restò per qualche altro secondo a fissare il punto in cui Percy era sparito, oltre la superficie, ma poi s'arrese agli eventi. Si sedette a gambe incrociate sulla sabbia, poco distante da Penelope, e Grover seguì il suo esempio.

Restarono tutti e tre in silenzio, ad osservare il sole tuffarsi lentamente nell'oceano. La scena sarebbe stata anche poetica, se solo non fosse stato per il tanfo della spiaggia.

«Cosa cercavi nello zaino, prima?» domandò Grover, voltandosi a guardarla. Ora era lui a tenere lo zaino in grembo.

«Niente, niente... cercavo solo gli Oreo» rispose lei, mentendo. «Ma qualcuno se li è divorati tutti.»

«Potevi dirmelo, se ne volevi uno» replicò secca Annabeth, lo sguardo fisso sull'acqua.

«Tu me l'avresti dato?»

«Probabilmente no.»

Penelope sospirò, abbandonando il proprio peso sui gomiti e reclinando il capo all'indietro. Non si curò della sabbia che andò a finire tra i suoi capelli. Il cielo era tinto di tanti bei colori, la cui morbidezza riuscì a calmarla un poco. Si concesse, per alcuni minuti, di non pensare al sogno e al poco tempo che era rimasto loro.

Voltò il capo a guardare Annabeth, che teneva il capo poggiato su un palmo. Ancora una volta, nella luce del sole pareva risplendere come un piccolo gioiello e lei si chiese come mai sembrasse avercela con lei. Pensava che, dopo il loro patto, la corda si sarebbe allentata.

Invece no, la corda era ancora più tesa di prima. Se Annabeth aveva iniziato a parlarle senza un tono acido ogni volta, ora era tutto tornato come prima. E questo perché? Per un atterraggio sbagliato durante il quale era stata lei a farsi male, per di più. Incredibile è il modo in cui le cose si sfasciano.

Penelope riuscì ad udire il sorriso di Grover nella sua voce. «E' un bel tramonto.»

«Uno dei più belli che abbia mai visto» concordò lei.

Sarebbero rimasti lì seduti, nella quiete di quel giorno che si spegneva e nella melodia dell'acqua che accarezzava la battigia, ma Percy tornò con una nuova storia da raccontar loro. Emerse dall'acqua con un piccolo balzo, facendoli sussultare. In mano stringeva tre perle bianche e dalla superficie un po' ruvida, come se contenessero la spuma del mare. Raccontò loro di quello che era accaduto sott'acqua, della ninfa marina che gli aveva consegnato le perle e delle parole che lei gli aveva rivolto.

I lineamenti di Annabeth si storsero con una smorfia. «Ogni dono ha un prezzo, ricordatelo.»

«Ma questo è gratis» replicò il dodicenne. «Me l'ha date mio padre.»

«Non ci farei tanto affidamento.» Annabeth scosse il capo. «Nessuno dà niente per niente. E' un vecchio detto greco che si traduce molto bene nella nostra lingua. Ci sarà un prezzo da pagare, vedrai.»

Penelope unì tra loro le mani con un suono nitido e secco, che fece sobbalzare i suoi amici. «Bene! Grazie per la felicissima considerazione, signorina. Ora, se non vi dispiace, è arrivato il mio momento. Il GPS incorporato entra in funzione!»

                  Le strade non erano mai state un problema per Penelope, e proprio per questo suo fratello, la maggior parte delle volte, la usava un po' come una mappa. Nemmeno ricordarsi un percorso era mai stato un problema, perché se li ricordava tutti.

Era come avere una mappa dentro la testa, che lei poteva tranquillamente consultare, analizzare, ingrandire e rimpicciolire. Non ci aveva mai provato, ma era sicura che, se si fosse concentrata abbastanza, sarebbe riuscita a vedere l'intero globo terrestre con annesse tutte le strade che vi passavano al di sopra.

Era una figata.

E così, il gruppetto camminava per le strade di Los Angeles, diretti agli Studio di Registrazione R.I.P. Grover, Annabeth e Percy la seguivano tranquilli, mentre lei muoveva passi sempre più sicuri sulle strade di quella magnifica città, quasi la conoscesse come le sue tasche. Cosa che, effettivamente, era vera.

L'unico problema era che gli Studi distavano parecchio dalla spiaggia di Santa Monica, perciò dovettero camminare per un bel po', addentrandosi sempre di più tra le vie di una Los Angeles viva e pulsante, dalle tante e colorate luci. Percy, diffidente compagno, provò persino a chiedere a qualche passante se sapesse dove fossero gli studi verso i quali erano diretti. Come Penelope s'aspettava e sapeva, quelli gli risposero che nemmeno sapevano esistessero. Per ben due volte, inoltre, furono costretti ad infilarsi in un vicolo per evitare un'auto della polizia e le sue lampeggianti luci.

Poi, mentre passavano davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici, Percy si fermò di colpo e lei, che gli camminava a fianco, inciampò sui suoi stessi piedi per la sorpresa. Rialzandosi e guardando male il figlio di Poseidone, s'accorse che aveva lo sguardo fisso sui uno dei televisori esposti in vetrina.

Mandavano in onda un'intervista condotta da Barbara Walters. La giornalista stava parlando con un uomo tarchiato e dal viso tondo, che somigliava vagamente ad un tricheco, con giusto qualche ciuffetto di capelli sul capo e con una faccia che Penelope odiò sin da subito. Sulla sua guancia luccicava una lacrima finta. Nei titoli che scorrevano in basso, lesse che si trattava di Gabe Ugliano, e allora capì. Era il padrino di Percy, intervistato nel bel mezzo di una partita a poker e con seduta accanto una biondina niente male.

Stava dicendo: «Onestamente, signora Walters, se non fosse per il sostegno di Miss Sugar, la mia terapeuta per il superamento del dolore, sarei uno straccio. Il mio figliastro si è preso quanto di più caro avessi al mondo. Mia moglie... la mia Camaro... mi dispiace, non riesco.»

Sì, era un idiota. Sul serio, la Camaro?

«Ecco, America!» Barbara Walters si voltò verso la telecamera, un'espressione intristita sul viso. «Un uomo distrutto. Un adolescente seriamente disturbato. Lasciate che vi msotri, di nuovo, l'ultima foto nota di questo giovane ricercato, scattata a Denver una settimana fa.»

Sullo schermo apparve, sfocata, una foto di loro quattro, fuori dal ristorante in Colorado, mentre parlavano con Ares. Percy strinse i pugni.

«Chi sono gli altri ragazzi nella foto?» chiese Barbara Walters in tono drammatico. «Chi è il losco uomo in loro compagnia? Chi è Percy jackson: un delinquente, un terrorista o la vittima di uno spaventoso, nuovo culto che l'ha sottoposto al lavaggio del cervello? Dopo la pubblicità, parleremo con un rinomato psicologo infantile. Resta con noi, America!»

Prima che il figlio di Poseidone sfondasse la vetrina con un pugno, Grover gli passò un braccio attorno alle spalle, incitandolo a camminare. «Dai, andiamo.»

Qualche passo e, cosa che lasciò Penelope immensamente sorpresa, Percy cercò la sua mano e la strinse nella propria, dita strette a dita. Lo lasciò fare, stringendo la presa.

La sera scese su di loro, posando il proprio scuro manto sulla città e rendendo ancor più vivide le sue luci. Con l'arrivo della notte, vari personaggi dall'aria affamata iniziarono a vagare per le strade. Penelope si ritrovò ad accelerare il passo, agitata. La sera era calata e loro dovevano raggiungere al più presto i R.I.P., ma lei sembrava avere difficoltà nel percepire il reticolo stradale della città.

Superarono balordi, barboni e venditori di ogni genere che li squadrarono con aria scaltra, come per valutare se valesse la pena rapirli o meno. Poi, davanti l'ingresso di un vicolo, una voce scaturì dal buio e disse: «Ehi, voi.»

Percy, come un idiota, si fermò.

In meno di un attimo, furono circondati da una banda di ragazzini. Sei in totale: adolescenti dai vestiti costosi ma sciatti e con la faccia cattiva.

Percy tolse il cappuccio a Vortice. Quando la spada apparve dal nulla, i ragazzini arretrarono, ma il loro capo doveva essere molto stupido o molto coraggioso ─ direi più la prima ─ e continuò a farsi avanti, con un coltello a serramanico in mano. Percy, sulla difensiva, commise il tremendo errore di sferrare un colpo.

Il tipo cacciò un grido. Il problema era che doveva essere mortale al cento per cento, perché la lama della spada gli trapassò il petto come fosse fatto di vapore. Abbassò lo sguardo. «Ma che diavolo...»

Con un rapidissimo calcolo, Penelope intuì che avevano tre o meno secondi per scappare via, prima che lo stupore del tipo tramutasse in rabbia. Strattonò i suoi amici, spingendoli in avanti. «Via, via!»

Tolsero di mezzo due della banda con una spinta e si precipitarono in strada, senza sapere veramente dove andare. Penelope provò a concentrarsi per cogliere di nuovo il reticolato stradale, ma non era multi-tasking. D'istinto, svoltò in un vicolo e i suoi amici la seguirono.

Nell'isolato che s'aprì davanti a loro, un solo negozio era aperto, le vetrine sfolgoranti di luci al neon. L'insegna sopra la porta diceva qualcosa tipo: DA CRSTUY, LAERGGIA DLE ATMERASOS ADCUQAA.

«"Da Crusty, la reggia del materasso ad acqua"?» tradusse Grover.

Senza aspettare un secondo in più, si precipitarono all'interno del negozio e si nascosero dietro uno dei letti. Mezzo secondo più tardi, la banda di ragazzini passò di corsa davanti la vetrina.

Penelope tirò un sospiro di sollievo. «Seminati.»

Una voce alle loro spalle tuonò: «Seminato chi

Sobbalzarono tutti e quattro. Dietro di loro c'era un tizio che somigliava vagamente ad un rapace spiumato con un terribile completo casual indosso. Sottile e lungo, sarà stato alto almeno due metri, ed era totalmente calvo. Così calvo che la pelata gli luccicava sotto le luci del negozio, quasi l'avesse appena lucidata. Aveva la pelle grigia e spenta, ruvida come solo la carta vetrata sa essere, gli occhi dalle palpebre spesse e pesanti ed un sorriso freddo, da rettile. S'avvicinò muovendo lenti ma ampi passi, ma Penelope ebbe la sensazione che avrebbe potuto muoversi molto più velocemente di quanto dimostrava.

La figlia di Ermes si sentì chiamata in causa: anche lei vestiva anni '70. Non per tirarsela, eh, ma lei aveva decisamente molto più stile del rapace spiumato. L'uomo indossava una camicia in seta dai motivi cachemere, lasciata per metà aperta a scoprire il petto glabro. I risvolti della giacca in velluto erano larghi come le piste d'atterraggio del JFK, e portava innumerevoli catene e catenine in argento al collo. Le lunghe e sottili gambe erano fasciate da un paio di dritti pantaloni, sempre in velluto, solcati da spiacevoli pieghe e pighette.

«Sono Crusty» si presentò, congiungendo tra loro le mani e rivolgendo loro un sorriso giallo di tartaro.

«Ci scusi per come siamo entrati» disse Percy. «Stavamo solo, ehm, dando un'occhiata.»

«Vuoi dire che vi stavate nascondendo da quei poco di buono» rettificò Crusty. «Girano da queste parti tutte le sere. Mi arriva un sacco di gente, grazie a loro. Che ne dite di dare un'occhiata ad uno dei miei letti?»

Penelope stava per replicare con un "no, grazie" e filarsela fuori da quel posto, quando Crusty artigliò la spalla di Percy con la sua grossa mano e lo spinse all'interno del salone. Lei e i suoi due amici furono costretti a seguirlo.

C'era ogni genere di letto ci si potesse immaginare, tutti ovviamente muniti di materassi ad acqua dall'aspetto tremendamente comodo: diversi tipi e colorazioni di legno, diverse fantasie di lenzuola; di taglia grande, grandissima, colossale.

«Questo è il mio modello più popolare» annunciò Crusty, allargando le mani e mostrando con orgoglio un letto dalle lenzuola in raso nero, con delle lava lamp incassate nella testiera. Il materasso vibrava per via dei movimenti dell'acqua al suo interno, facendo così sembrare il letto un budino al petrolio.

«E' come il massaggio di un milione di mani!» spiegò Crusty, ancora con quel sorriso da rettile sul viso. «Coraggio, provatelo. Anzi, sapete che vi dico? Fatevi un sonnellino. Avete una faccia... siete proprio degli stracci. Su, non è un problema, tanto oggi non c'è gente.»

A Penelope stava iniziando a non piacere il sorriso di Crusty. C'era qualcosa che la teneva tesa e all'erta. Prese a rigirarsi Alétheia tra le dita, nervosa ─ Luke le avrebbe detto che i suoi sensori-ragno stavano captando qualcosa. «Guardi, Crusty, non credo che-»

La voce di Grover tranciò le sue parole. «Il massaggio di un milione di mani!» esclamò il satiro, tuffandosi sul letto. «Oh, ragazzi! Forte!»

Grover sorrise beato nel sistemarsi sul letto, con il materasso che gli vibrava al di sotto, sballottolandolo un po'. I letti sembravano davvero comodi, ma... No, c'era qualcosa che non quadrava.

Crusty aggrottò la fronte, massaggiandosi la mascella in un'espressione dubbiosa. Socchiuse gli occhi, guardando lei, Percy ed Annabeth, ancora in piedi. «Mmh... quasi quasi...»

«Quasi cosa?» chiese Percy.

Crusty puntò pigramente un dito verso Annabeth. «Fammi un favore, dolcezza, prova quello laggiù. Dovrebbe andare.»

Annabeth aggrottò le sopracciglia. «Ma cosa...»

Lui la rassicurò con delle lievi pacche sulle spalle, accompagnandola davanti al modello Safari Deluxe, con dei leoni scolpiti sul telaio in tek ed una trapunta leopardata che pareva troppo calda per la stagione.

Grover la chiamò, dal letto-budino. «Penny! Siediti! E' mitico, sul serio.»

Lanciando un ultimo sguardo sospettoso ad Annabeth e al modo in cui Crusty cercava di convincerla a stendersi, raggiunse Grover e si sedette sul bordo del letto. Il materasso vibrò sotto il suo peso e l'acqua contenuta in esso si spostò, facendola affondare un po'. Pareva comodo sul serio.

«Senta, non voglio davvero provarlo» disse Annabeth, asciutta, alzando le mani come a chieder scusa. «E poi, dovremmo proprio andare. Abbiamo-»

Crusty la spinse, interropendo la sua frase. Lei protestò.

Penelope fece appena in tempo ad alzarsi in piedi, fulminea, che Crusty schioccò le dita. «Ergo

Dai lati del letto spuntarono delle corde sferzanti, che s'attorcigliarono attorno al corpo di Annabeth, legandola così al materasso. Grover tentò di alzarsi, ma le corde s'avvilupparono anche intorno a lui. «N-non è f-f-o-o-orte!» gemette, la voce che vibrava per via del massaggio da un milione di mani. «N-non è p-per ni-e-e-ente f-f-o-o-orte!»

Crusty guardò soddisfatto in lavoro appena svolto, ma quando si voltò a guardare lei e Percy il sorriso compiaciuto gli scomparve dal viso. «Ah, maledizione! Quasi!»

Cercarono entrambi di allontanarsi, ma le mani del gigante schizzarono in avanti, persino più veloci di quando la rossa potesse essere, e si serrarono sulle loro gole. Senza nessuna fatica, li sollevò un poco da terra. «Diamine, ragazzi miei. Ma non preoccupatevi, ve ne troverò uno tra un secondo.»

Penelope si divincolò, quasi entrando nel panico. Odiava la sensazione di venir soffocata e, in più, Alétheia le era caduta di mano. «Mettimi giù, razza di rapace-»

Le dita di Crusty si strinsero un po' di più sulla sua gola, trasformando le sue parole in un verso strozzato. «Prima di lasciarvi andare, tesori, devo aggiustarvi» disse il gigante, un sorriso malefico sul viso.

«In che senso?» chiese Percy, tentando di allentare la presa di Crusty con le proprie mani.

«Vedi che tutti i letti sono lunghi esattamente un metro e ottanta? I tuoi amici sono troppo bassi, soprattutto questa qua, la Carotina. Devo aggiustarli.» Annabeth e Grover continuavano a divincolarsi, strattonando e tirando le corde. «Non sopporto proprio le misure imperfette» borbottò Crusty. «Ergo

Una nuova serie di corde balzò fuori dalle testiere e dai piedi dei letti, avviluppandosi attorno alle caviglie e alle ascelle di Grover ed Annabeth. Le corde iniziarono a tendersi, tirando i due per le estremità.

«Oh, non preoccupatevi» disse Crusty, non curandosi dei gemiti doloranti della semidea e del satiro. «E' questione di qualche centimetro. Giusto sette, otto in più sulla spina dorsale. Potrebbero persino sopravvivere. Ora, perché non troviamo dei letti anche per voi due...»

«Dèi divini» disse a fatica Penelope, sentendosi il fiato venire meno. «Sei sciroccato.»

«No, sono Procuste.»

«Lo Stiratore» aggiunse Percy. Il suo viso stava iniziando a farsi rosso per la consistente privazione d'ossigeno.

«Già» confermò il gigante, annuendo. «Ma chi se lo ricorda un nome del genere? Una cosa pessima per gli affari, davvero. Crusty, invece, funziona molto meglio.»

«Ha ragione» concordò Percy. «Suona proprio bene.»

«Percy, ma che cavolo fai?» ringhiò Annabeth, contorcendo il viso per il dolore dell'essere stirata.

Crusty, con gli occhi che gli brillavano, la ignorò. «Davvero pensi ciò che hai detto?»

«Certo che lo pensa» replicò Penelope, avendo capito cosa Percy aveva in mente. La sua vista iniziava a farsi sfocata. «E'... è un ottimo nome. E la fattura di questi...» tentò di prender aria «... di questi letti... favolosa!»

Crusty, a quel complimento, allentò la presa che aveva sulla sua gola e lei ebbe accesso ad un filo d'ossigeno in più. Ringraziò ogni dio e dea per questo. «E' quello che dico ai miei clienti tutte le volte» disse il venditore. «Nessuno che si prenda mai la briga di osservarne la fattura! Quanti letti con lava lamp incassate nella testiera hai mai visto?»

«Non molti» concordò Percy.

«Esatto!»

«PERCY!» strillò Annabeth. «SMETTILA!»

«La lasci perdere» consigliò Percy a Procuste.

«E' una rompiscatole nata» aggiunse Penelope.

Crusty rise di una risata roca e di gola, che gli fece vibrare la pelle ruvida del collo. «Come tutti i miei clienti. Mai che misurassero un metro e ottanta esatto! Che sconsiderati. E poi si lamentano se devo dargli un'aggiustatina.»

«Cosa fa se sono più alti di un metro e ottanta?» chiese Percy, allungando furtivamente la mano verso la tasca. Penelope sperava che la sua fish le fosse già tornata nella tasca dei jeans.

Il venditore liberò i loro colli, ma prima che potessero reagire, allungò un braccio dietro ad un bancone vicino e tirò fuori un'enorme ascia in bronzo a doppio taglio. «Centro il soggetto il più possibile e mozzo tutto ciò che sporge dalle estremità.»

Percy deglutì nervosamente, mentre Penelope si portava con nonchalance le mani alla gola e soffocava un serio attacco di tosse. «Mi sembra ragionevole. Tu non credi, Pen?»

Lei si limitò ad annuire, riprendendo fiato. «Sai cosa, Perce? Dovremmo proprio portargli papà. E' davvero troppo alto.»

«Oh, finalmente dei clienti con un po' di cervello!» esclamò Crusty, deliziato. «Tu sì che mi capisci, Carotina. Dimmi, quanto è alto vostro padre?»

Le corde iniziavano a stirare davvero troppo i loro due amici. Annabeth era sempre più pallida e Penelope aveva il sentimento che ogni osso del suo corpo stesse scrocchiando in maniera assurda. Grover, invece, gorgogliava come un'oca strangolata.

«Ehm... dovrebbe essere sul metro e novanta... due» rispose Percy, deglutendo di nuovo. «Mamma invece dovrebbe essere stirata un po', è troppo bassa.»

Penelope annuì convinta. «Oh, sì, il suo metro e cinquanta è davvero inguardabile!»

«Vedo da chi avete ripreso, allora» affermò Crusty, congiungendo le mani. Li guardava come se volesse mangiarseli.

«Allora, Crusty...» continuò il figlio di Poseidone, la voce incerta nel tentativo di mantenere un tono spensierato. Lanciò un'occhiata alla targhetta del letto LUNA DI MIELE SPECIAL, a forma di cuore e con la testiera dipinta di un lilla tenue. «Questo qui ha davvero degli stabilizzatori dinamici per fermare il movimento ondulatorio?»

«Assolutamente. Provalo.»

«Sì, forse lo farò. Ma funziona anche con un tizio grande e grosso come lei? Neanche un'onda?»

Penelope incrociò le braccia al petto, annuendo. «Papà odierebbe tutte quelle fastidiose ondine.»

Crusty aveva in viso un'espressione orgogliosa. «Certo che funziona. E' garantito.»

«Impossibile» contestò Percy.

«Possibilissimo.»

Il venditore si sedette con entusiasmo sul letto, dando dei colpetti con una mano al materasso. «Visto? Neanche un'onda.»

Penelope e Percy si guardarono, due identici sorrisi soddisfatti sulle labbra. Povero, ingenuo Crusty... La dodicenne alzò una mano e schioccò le dita, producendo ancora quel suono nitido e secco che tanto le piaceva. «Ergo

Le corde spuntarono fuori dai lati del letto e si avvilupparono attorno al corpo di Crusty, schiacciandolo contro il materasso. Immediatamente, il gigante si ribellò e tentò di liberarsi, protestando.

«Centratelo al punto giusto» ordinò Percy, e le corde si regolarono secondo il suo comando. La testa ed i piedi di Crusty, ora, sporgevano per interno dalle due estremità del letto.

«No!» gridò, gli occhi sgranati. «Aspetta! Era solo una dimostrazione!»

Percy tolse il cappuccio a Vortice e Penelope sguainò Alétheia, passandosela di mano in mano con un'espressione divertita in viso. Nessuno dei due aveva alcuno scrupolo riguardo ciò che stavano per fare. «Qualche piccola modifica... Pen, inizi dal basso o dall'alto?»

«Vada per il basso, l'alto lo lascio a te» rispose lei, spostandosi poi dall'altro lato del letto.

«Mi volete prendere per il collo» disse Crusty, la voce che gli tremava. «Facciamo così: vi faccio il trenta per cento di sconto sui modelli più esclusivi!»

Percy sollevò la spada. «Infatti sì, grazie, ho proprio voglia di iniziare dall'alto.»

«Senza anticipo! Senza interessi per i primi sei me-»

Crusty smise di fare offerte.

Si occuparono di tagliare le corde degli altri letti, liberando i loro amici. Grover ed Annabeth si rimisero in piedi un po' a fatica, come macchine non oleate a dovere, senza smettere di lamentarsi, contorcersi ed insultarli.

«Sembrate più alti» considerò Percy, guardandoli.

«Molto divertente» sbuffò Annabeth, guardandolo male. «La prossima volta, datevi una mossa.»

«No, sul serio, Chase, sei più alta!» rise Penelope, mettendosi accanto a lei e poggiandole un gomito sulla spalla. Ora si sentiva ancora più nanetta di quanto già non fosse. «Magari posso approfittarne...»

«Vai, te lo consiglio: piacevolissimo» grugnì Annabeth, scrollandosi il suo braccio di dosso con uno strattone ed una smorfia infastidita.

Percy strappò dalla bacheca dietro al bancone un volantino, che stava fissato su di essa con una puntina. Sul pezzo di carta stava stampato, in nero su un vivace giallo, il logo degli Studi di Registrazione R.I.P. Si offrivano audizioni per le anime degli eroi. L'indirizzo era scritto al di sotto, con tanto di mappa.

«Potrebbe tornarci utile» affermò Penelope, prendendo il volantino dalle mani dell'amico. «Non so quanto mi possa fidare del mio GPS, ora come ora.»

Percy annuì. «Be', muoviamoci allora.»

«Dacci ancora un minuto» si lamentò Grover, scrocchiando il collo. «Siamo stati quasi stirati a morte!»

«Allora siete pronti per gli Inferi» annunciò il figlio di Poseidone. «Sono solo ad un isolato da qui.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro