14. Vuoi un cioccolatino?
𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄
PENELOPE SI AGGIUSTO' CON CALMA il colletto della camicia, mordicchiandosi pigramente il labbro inferiore. L'indumento che aveva indosso era di un soffice cotone a contatto sulla sua pelle, di un curioso verde bottiglia e decorato con disegni gialli e bianchi di tante piccole tavole da surf. Sollevando per un singolo istante lo sguardo, si tirò sui polsi le lunghe e larghe maniche della camicia.
Una musica disco risuonava nell'immenso casinò, riempiendole le orecchie senza darle troppo fastidio, le luci multicolori illuminavano il tavolo da gioco ed i giocatori seduti attorno ad esso. Altri otto ragazzi tra i sedici ed i vent'anni sedevano in cerchio attorno al tavolo, tre ragazze e cinque ragazzi.
Tirò entrambe le gambe sulla sedia, sedendosi come più comoda stava in quei jeans stinti, e scoccò uno sguardo ai suoi compagni di gioco da sopra le lenti degli occhiali da sole rossi. «Allora? A chi tocca?»
Gli altri la guardarono come se s'aspettassero di vederla mettersi a ballare la kalinka. La fissavano in trepidante attesa, negli occhi un pizzico di pungente preoccupazione. La figlia di Ermes sospirò, portandosi poi delle ciocche di capelli che s'erano ribellate al controllo delle mollettine dietro le orecchie.
Abbassò lo sguardo sulle carte che aveva in mano, anche se già sapeva perfettamente quali fossero. In realtà, sapeva quali erano le carte di tutti: ogni numero, ogni simbolo. Chinò il capo, celando nell'ombra un sorriso malandrino, e mostrò le proprie.
«Boom.»
Esclamazione di sorpresa generale.
Ogni altro giocatore seduto al tavolo abbassò lo sguardo sulle proprie carte, le labbra dischiuse per lo stupore. E lei, lì seduta e con un'espressione soddisfatta in viso, aveva appena vinto tutto con una coppia di carte.
Una ragazza dai voluminosi riccioli castani e gli occhi azzurro cielo aveva la bocca, dalle sottili labbra tinte di rosa shocking, spalancata. «Ma- ma come...»
Penelope le fece l'occhiolino. «Trucchi del mestiere.» Si passò la punta della lingua sui denti, raggiante in volto. «Avete da ridire?»
Ai loro sospiri di rassegnazione, lei a stento trattenne una risata. S'allungò sul tavolo ed abbracciò il mucchio di fish colorate che v'era al centro e che aveva appena vinto, tirandole a sé. Velocissima, le infilò in una delle borsette trovate nell'armadio, in camera. «E' stato un piacere giocare con voi, signori e signore. Alla prossima.» Ammiccò da sopra le lenti e s'allontanò a passo sicuro tra le luci del casinò.
Non appena fu certa di non essere più nella visuale dei suoi ex-avversari, si mise a saltellare e ridere, divertita. Vincere quella partita era stato un gioco da ragazzi, soprattutto quando lei riusciva a vedere chiaramente le carte degli altri giocatori. Si era divertita a lasciarli vincere, all'inizio. Poi aveva stravolto tutto. Si sentiva potente ed euforica come mai prima d'ora.
Non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui s'era divertita così tanto. S'era lanciata almeno una quindicina di volte col bungee jumping e tuffata altrettante volte dallo scivolo. Aveva ballato fino allo stremo, cantando a squarciagola qualsiasi canzone le capitasse di udire. Aveva provato persino con le slot machine, ma non c'era alcun gusto nel giocarci: le monetine uscivano subito dal distributore come se lei fosse una calamita vivente, straripando come un fiume che fuoriesce dai suoi argini. Già un paio di volte era finita per lasciare la macchinetta che sputava fuori fiumi di monetine sul pavimento del casinò - gli altri, avari giocatori non avevano perso tempo e se n'erano approfittati, affamati e dalle dita in fermento. Aveva incrociato una volta Grover, mentre passava da un gioco all'altro, e con lui aveva provato una partita a Caccia al Contrario: cervi contro cacciatori. Percy se l'era perso da un bel pezzo, ormai: non lo vedeva dal bungee jumping. Annabeth non s'era fatta più vedere né sentire, troppo occupata con i suoi giochi da cervelloni e a costruire la sua città.
E poi, aveva trovato il poker. O forse, era stato il poker a trovare lei.
Non era vero poker, in realtà. Il gioco e le regole erano gli stessi, ma con le fish vinte non si otteneva denaro, cosa che non le dispiacque affatto, perché al posto dei soldi alla reception ti venivano dati... cioccolatini! Al latte, fondente, bianco, con le nocciole e la granella. Cioccolato di qualsiasi tipo e squisite dolcezze dalle più variegate forme.
Con la borsa strapiena di fish si stava dirigendo alla reception per ritirare il suo dolce e calorico premio, quando andò a scontrarsi con qualcuno.
La maggior parte delle fish si riversò in terra, perché la borsetta non si chiudeva, tante erano.
«Ehi, bello, attento a dove vai!» esclamò, chinandosi subito per raccogliere ciò che le era caduto. Colui che le era finito contro fece lo stesso e presto si ritrovò faccia a faccia con un ragazzino sugli otto anni, gli occhi neri come la più scura ossidiana.
La guardava tranquillo e con un pizzico di rossore sulle gote, probabilmente dovuto al caldo che faceva lì dentro. Aveva le piccole mani affondate nel mucchio di fish che le erano cadute. Aveva un visetto magro e dai lineamenti ancora piuttosto dolci, la pelle olivastra e grandi occhi dai quali lei non riusciva a distaccarsi. Una zazzera di capelli neri come la pece gli ricopriva il capo, alcune ciocche a ricadergli sulla fronte.
«Nico! Ti avevo detto di non andare in giro guardando la Nintendo!» esclamò una voce femminile, subito dietro di loro.
Entrambi si voltarono, seguendo la voce. Una ragazzina di dieci anni, vestita con una gonna scura lunga fino al ginocchio ed una camicetta color panna infilata in essa, li guardava con le braccia incrociate al petto. In realtà, guardava il bambino, al quale somigliava in modo impressionante. Dovevano essere per forza fratelli.
«Oh, tranquilla, sono stata io a finirgli addosso, sto sempre col naso per aria» affermò con un sorriso Penelope, prendendo le fish che il bimbo - Nico, se non aveva capito male - le stava porgendo. Non voleva che quel così tenero visetto venisse rimproverato per qualcosa che non aveva fatto. Si rialzò e le ricacciò tutte nella borsetta, porgendo poi una mano al bambino per farlo rialzare. «Non è colpa sua.»
La bambina le scoccò uno sguardo indagatore. «Mh, sicura? Ha la tremenda abitudine di non guardare dove mette i piedi.» Tentò di sistemare i capelli del bambino, ma lui le scansò la mano con una risata. Continuava a guardare Penelope come se si aspettasse di vederla trasformarsi in un unicorno.
La rossa studiò la bambina. Aveva anche lei i capelli neri, lunghi e lisci, che teneva sciolti dietro le spalle. Sulla carnagione olivastra spuntava qualche piccola lentiggine ed i suoi occhi erano vivaci ed accesi. Poco più bassa di lei, teneva il mento ben tirato in alto, come a voler dimostrare qualcosa. Osservando il modo in cui era vestita, Penelope pensò che fosse uno stile un po' rétro ma tutto sommato carino. Sorrise ad entrambi.
«Oh, santo cielo, le buone maniere!» esclamò la bambina, alzando poi gli occhi scurissimi al cielo. Le porse una mano e le rivolse un sorriso nel quale la sua dentatura, talmente perlacea da far paura, brillava. «Io sono Bianca, questo è mio fratello Nico.»
Penelope strinse la mano che le porgeva. Sentendola parlare, s'era accorta che Bianca aveva uno strano accento, come quello di qualcuno che ha imparato l'inglese come seconda lingua. Sarrano stati stranieri.
«Piacere di conoscervi, io sono Penelope.» Si chinò appena sulle ginocchia, così da poter guardare Nico in viso. Ora faceva il timidone e tentava di nascondersi un poco dietro la figura della sorella, mordicchiandosi l'unghia del pollice.
«Ciao, Nico.» Il bambino, riluttante, ricambiò il saluto con la mano, per poi puntare il dito in terra. Lei seguì la direzione del cenno e s'accorse della fish che stava ancora sul pavimento. Si chinò e la raccolse.
«Allora, ragazzi, che fate?»
«Oh, be', stavo portando Nico allo scivolo d'acqua» rispose Bianca. «Solo che si è dimenticato l'asciugamano in camera e stavamo tornando a riprenderlo.»
«In quale camera state?»
Bianca schiuse le labbra per rispondere, ma poi non parlò. Aggrottò le sopracciglia, come se si fosse dimenticata il numero della loro stanza. Infilò una mano nella tasca della gonna e ne cavò fuori la chiave, che tintinnò tra le sue dita. «Ah, sì, la 1867» annuì, leggendo il numeretto sulla chiave. «Tu?»
«La...» Le parole le morirono in gola. Si strofinò la fronte con la mano, confusa: non ricordava il numero della sua camera. Ah, no, della loro camera. Si ritrovò a dover ricorrere alla chiave, come aveva fatto Bianca.
In quel momento la sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante - di molto importante - tornò a sfiorarle la mente, come poco tempo prima. Si chiese quando fosse stata l'ultima volta che questo era accaduto, ma non riusciva a capirlo. Saranno state due ore al massimo, considerando che era nel casinò da nemmeno una giornata. Si strinse nelle spalle, certa che quel qualcosa di dimenticato fosse poco importante. Dopotutto, quando ci si dimentica qualcosa in poco tempo, questo sta a significare che non contava poi così tanto.
Osservò il modo in cui Nico guardava le fish, ovvero con occhi sognanti. Ed ebbe un'idea.
«Ho appena vinto a poker» affermò, mostrando ai due fratelli la borsetta piena di fish. «Con tutte queste danno i cioccolatini, sapete? Sono un po' troppe, direi. Ho il metabolismo veloce, è vero, ma così tanto cioccolato non è comunque tutta questa salute. Vi va di approfittarne?»
«Certo!» esclamò Nico, avvicinandosi subito a lei. Un sorriso a trentadue denti gli attraversava il visetto da un lato all'altro. «E a te va di giocare a Mitomagia?»
Penelope aggrottò le sopracciglia. «A cosa?»
«Mitomagia!» Nico si portò le mani alla tasche e ne tirò fuori due mazzetti di carte, tenuti insieme da degli elastici. «Posso insegnarti a giocare! Sai che la Manticora ha 3000 punti d'attacco? E che-»
«Non parlar in arabo, Nico» replicò Bianca, posandogli una mano sulla spalla.
Penelope rise, nervosa. Aveva compreso le parole di Bianca, ma l'accento s'era sentito in maniera a dir poco assurda, e di sicuro non era inglese. «Che lingua era?»
La ragazzina la guardò interrogativa. «Nessuna lingua. Gli ho solo detto di non parlare in modo incomprensibile.»
Strano. Nico s'era un po' intristito, e lei se ne dispiacque. «No, ma dai, certo che capisco. Adoro giocare a carte!» Il viso del bimbo s'illuminò e lei sorrise a sua volta. «Venite, andiamo a prendere i cioccolatini, così intanto Nico mi spiega come funziona questo gioco.»
Avevano appena ritirato la cioccolata in reception, quando qualcuno finì addosso a Penelope per la seconda volta nel giro di dieci minuti, facendole cadere i dolci dalle mani.
«Oh, e dai, ma che ce l'avete con me?»
«Penny!» Il viso di Percy apparve di colpo nella sua visuale, facendola sussultare.
Sorrise. «Alghetta! Vuoi dei ciocco-»
«Dobbiamo andarcene» la interruppe lui, deciso.
«Ma abbiamo appena preso i cioccolatini...» replicò lei, intristita. Non voleva andare via, quel posto era mitico. «Restiamo un altro po', dai... Tieni, mangia questo, a me non piace il cioccolato bianco. E poi, Nico deve spiegarmi come si gioca a Mitomagia!»
Percy non si prese il cioccolatino a forma di cuore che gli stava porgendo e lei ci restò male. Si chinò a raccogliere i dolciumi insieme a Nico, offesa, ma Percy la afferrò saldamente per le spalle e la scosse, quasi volesse sentire il rumore prodotto dal suo cervello che sbatteva contro le pareti del cranio.
«Pen, non abbiamo tempo per queste cose.»
«Ma voglio mangiare-»
«Penelope» sibilò Percy. «Chi è Luke?»
«Chi cacchio è Luke? Non conosco nessun-»
Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, con tanto di anelli sulle dita. Stava per dire di non conoscere nessuno chiamato Lukee per questo s'insultò mentalmente cento e cento volte. Guardò Percy, improvvisamente seria. «Mi spieghi cosa sta succedendo?»
Il dodicenne boccheggiò. «Non ne ho idea, ma qui dentro c'è gente dal 1977. Entri qui dentro e ci resti, senza invecchiare. Ricordi dell'impresa?»
«Certo che me ne ricordo» rispose lei, guardandosi sospettosamente intorno. Una cameriera con in mano un vassoio carico di biscotti a forma di fiore di loto le passò davanti, e lei fu tentata di mangiare uno di quei dolci, avevano un profumo così buono...
Fiori di loto.
«Dannazione!» esclamò, avendo capito tutto.
Bianca si lasciò sfuggire un'esclamazione indignata, come se lei avesse appena invocato il signore dei Morti in persona. Fissandola con gli scuri occhi sgranati, prese per mano il fratellino e se lo trascinò via, mentre lui protestava e si girava a guardare Penelope, in mano ancora aveva alcuni cioccolatini. La rossa sospirò, dispiaciuta. Chissà da quanto tempo loro erano lì dentro.
«Oh!» la richiamò Percy, schioccandole le dita davanti agli occhi. «Cosa c'è?»
«Lotofagi.»
«Loto-che?»
«Lotofagi!» strillò lei, per farsi sentire al di sopra della musica nel casinò. «Mangiatori di loto! I fottuti mangiatori di loto! Dove sono Grover e Annabeth? Dobbiamo andarcene immediatamente!»
Spesero almeno una decina di minuti a correre per il casinò, cercando a perdifiato i loro due amici. Alla fine, trovarono Annabeth ancora intenta a costruire la sua città. «Muoviti» le intimò Percy, battendole le mani davanti al viso. «Dobbiamo andare via.»
Lei restò impassibile e spostò agilmente le dita sull'ampio schermo del monitor, dando forma ad una coppia di torri che ricordavano in modo particolare le Torri Gemelle.
«Annabeth?»
La bionda alzò lo sguardo, seccata. I suoi occhi erano velati, persi dietro una coltre di nebbia. «Che c'è?»
«Sono finiti i giochi.» Percy le tolse le mani dal monitor, e lei gli rifilò uno schiaffo sul dorso di una mano. «E' ora di andarsene.»
«Ma di che stai parlando? Andare? Ho appena innalzato-»
«Questo posto è una trappola, Chase» disse Penelope, cercando di allontanarla dal monitor. Annabeth, in risposta, diede uno schiaffetto anche a lei.
«E dai, ragazzi, solo un altro paio di minuti...»
«Annabeth, qui dentro c'è gente dal '77» disse Percy.
Lo sguardo della figlia di Atena fece su e giù per la figura di Penelope. Indicò con un cenno i pantaloni a zampa che indossava. «'Mbè? Anche lei veste anni '70.»
«Le persone non invecchiano! Entri nell'albergo e ci resti per sempre!»
«E allora?» fece lei. «Riesci ad immaginare un posto migliore?»
Penelope sbuffò, stanca della situazione. Si mise di fronte ad Annabeth, a davvero pochi centimetri dal suo viso; come sospettava, la bionda restò impassibile. «Annabeth Chase, chi sono io?»
Lei alzò gli occhi al cielo, stufa. «Penelope.»
«E siamo migliori amiche, no?»
La bionda aggrottò le sopracciglia. Guardò un attimo in terra, sul viso schiudendosi un'espressione confusa, poi tornò a guardarla dritta negli occhi. «... sì?»
Penelope le pestò un piede.
«AHIA! BRUTTA IMBECILLE-»
«Eccola qua, è rinsavita.» La rossa le diede una pacca sulla spalla, facendola barcollare appena. «Ora: cerchiamo Grover.»
Trovarono il satiro ancora intento a giocare al cervo cacciatore virtuale. Penelope gli si mise davanti, cercando di togliergli dalla faccia il visore per la realtà virtuale. Tutto ciò che ottenne fu una scarica di proiettili virtuali al petto col fucile di plastica, mentre Grover gridava: «Muori, mortale! Muori, stupido ed odioso individuo inquinante!»
Percy ed Annabeth si scambiarono uno sguardo ed insieme presero Grover a braccetto, trascinandolo via. Le sue scarpe volanti presero vita e gli tirarono le gambe nella direzione opposta, mentre lui protestava e cercava di togliersi di dosso i due semidei. Penelope gli prese i piedi e li riportò a terra, dando un paio di colpetti ai talloni delle scarpe, che subito richiusero le ali.
Il fattorino del Lotus corse loro incontro, un sorriso smagliante sulla faccia. «Allora, siete pronti per le carte Platino?»
«Ce ne andiamo» gli annunciò Percy.
«Oh, che peccato» replicò lui. Sembrava dispiaciuto sul serio, pareva che, se se ne fossero andati, gli avrebbero spezzato il cuore. «Abbiamo appena aggiunto un nuovo piano attrezzatissimo per i possessori di carta Platino.»
Mostrò loro le carte e Penelope si ritrovò a combattere contro l'ardente desiderio di prenderla e tornare a giocare a poker. Ripensò anche ai sofficissimi letti nella loro suite, ai vestiti vintage che c'erano nel suo armadio. Sarebbero rimasti lì, felici e senza pensieri, a passare le migliori giornate della loro vita.
Pensò a quanto Luke e gli Stoll si sarebbero divertiti là dentro, e subito si rese conto dell'errore che stavano per fare.
Diede un schiaffo alla mano di Grover, che si stava allungando a prendere una delle carte, e si voltò verso il fattorino. «Senti, bello, perché non ti ci diverti tu, con queste?» Non attendendo risposta, lo spinse via in malo modo e procedettero tutti verso le porte.
Il profumo del cibo si fece più invitante di quanto già non fosse, ma lei si morse la lingua e trascinò fuori i suoi amici. Corsero fino alla fine del marciapiede - più s'allontanavano, meglio era.
Sembrava ancora pomeriggio, a Las Vegas, proprio come quando erano entrati. Sarebbe stato esattamente uguale, se solo non fosse stato per il cielo temporalesco e burrascoso che troneggiava sopra le loro teste. Possenti nubi scure e vorticanti s'agitavano, gorgogliando e tuonando. I lampi estivi illuminavano il deserto.
Percy corse all'edicola più vicina ed agguantò in fretta e furia un giornale. Sbiancò.
«Dèi, non dirmi che siamo finiti nel 2020!» esclamò Penelope «Non possono esser passati quindici anni!»
«L'anno è lo stesso» affermò Percy, il fiato corto. «Ma oggi è il venti di Giugno. Cinque giorni. Ci resta un giorno prima del solstizio d'estate. Un giorno per portare a termine l'impresa.»
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