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11. Waterland (o Wat r a d)

𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄

RAGGIUNSERO IL PARCO ACQUATICO quando il sole stava calando dietro le montagne. Il cielo era arancio, lilla e rosato, con i batuffoli azzurrognoli delle nuvole spruzzati qua e là. Il profilo del parco e delle sue attrazioni si stagliava contro i colori della volta celeste, scuro ed ombroso. Visto da lontano, somigliava una città fantasma, e di sicuro, col buio della sera, avrebbe assunto un'aria ancora più lugubre.

A giudicare dal cartello posto all'entrata, un tempo il posto si chiamava Waterland, solo che ora tutto ciò che si leggeva era WAT R A D, perché alcune leggere erano venute via, probabilmente cancellate dal tempo e dalle intemperie. Il cancello principale era chiuso con un grosso lucchetto e sormontato da una protezione in filo spinato. All'interno, enormi scivoli d'acqua, tubi e canali s'attorcigliavano come serpenti e si tuffavano in vasche vuote ed incrostate di muschio e ruggine. Vecchi biglietti multicolore svolazzavano sull'asfalto, insieme a volanti che dicevano: "Vieni a Waterland, dove il divertimento ed il sorriso sono assicurati!".

«Assicurati, eh?» sospirò Penelope, allontanando con un movimento del piede un volantino che le era finito accanto alle scarpe. «Non ci resta che provarlo.»

«Se Ares porta qui la sua ragazza per un appuntamento» disse Percy, nascondendo le mani in tasca e guardando il filo spinato, «non oso immaginare quanto è brutta!»

Penelope scoppiò a ridere, nervosa. Andiamo... la fidanzata di Ares non poteva di certo venir definita "brutta", assolutamente no. E lo diceva lei, che l'aveva vista una volta sola nella vita. Annabeth le scoccò uno sguardo severo. «Percy. Sii più rispettoso.»

«Perché? Pensavo detestassi Ares.»

«Tutti detestano Ares. Ma è pur sempre un dio, e la sua ragazza ha anche un bel caratterino»

Penelope compì il gesto di tendere l'arco, alzandosi sulla punta dei piedi. «E se dici o fai qualcosa che non le va giù... puff! stai messo non male, malissimo. Chiedilo a Nerea, lei ne sa qualcosa.»

«Chi è questa malefica arciera? Non sapevo che Echidna portasse un arco.»

«Non è lei che scaglia le frecce, è suo figlio a farlo per lei» affermò Grover. Sul suo viso si dipinse un'espressione sognante, gli occhi lucidi e persi in un'immagine meravigliosa. «E non è Echidna... è Afrodite, la dea dell'amore.»

Percy annuì, capendo. «Ma non era già sposata? Con Efesto, mi sembra.»

«E con questo?» fece Grover, aggrottando le sopracciglia.

Le guance di Percy si tinsero violentemente di rosso. «Oh! Ah, sì... comunque, come entriamo?»

«Maia!». Sulle scarpe di Grover spuntarono le ali e lui spiccò un saltello, volando poi oltre la recinzione. Fece un'involontaria capriola a mezz'aria ed atterrò dall'altra parte del cancello. Facendo l'indifferente, si spolverò i jeans, quasi avesse calcolato tutto.

«Ehi, brutto imbroglione, così non vale!» esclamò Penelope. Senza pensarci due volte, strinse la coda in cui teneva legati i capelli e s'arrampicò sul cancello, veloce ed agile. Aspettò che anche gli altri due semidei si fossero arrampicati e poi, a vicenda, si ressero il filo spinato per passarvi al di sotto. Una volta dall'altra parte, prese a fare il solletico a Grover per vendetta, facendo sì che le sue risate riempissero il silenzio del parco.

Mentre le ombre s'allungavano lugubri sul terreno, divorando gli ultimi istanti di luce di quella giornata ormai giunta al termine, s'addentrarono nel parco. Le varie attrazioni avevano un non so che di fiacco, spento, come se i loro ridenti spiriti avessero perso ogni speranza. Penelope immaginò i loro sorrisi larghi e candidi, ed un po' si dispiacque di quel disuso. C'erano "L'isola dei Serpenti d'Acqua Dolce", "Occhio alle Mutande" e "Ehi, bello! Dov'è il mio costume?".

Fortunatamente - o sfortunatamente - non sbucò fuori neanche un mostro. La figlia di Ermes non sapeva se considerare la cosa buona o meno; tendeva a restare all'erta e ad agitarsi quando la calma era così, piatta come il mare al mattino. L'unico rumore era quello dei loro passi, quasi una voce assordante nel vuoto.

Trovarono un negozio di souvenir lasciato aperto. La merce era ancora allineata ordinatamente sugli scaffali e sugli espositori: palle di vetro con all'interno la neve, matite dai tanti colori, cartoline e pile di...

«Vestiti!» esclamò Annabeth. «Vestiti puliti!»

«Già» confermò Percy. «Ma mica puoi...»

«Sta' a vedere.»

Detto questo, le dita di Annabeth si serrarono attorno ad un polso di Penelope, facendole sgranare gli occhi dalla sorpresa. La figlia di Atena la trascinò verso il negozio, agguantò con il braccio libero un'intera fila di roba dagli espositori e scomparve in un camerino, sempre tirandosi lei dietro.

Penelope guardò esterrefatta la bionda posare con ben poca cura i vestiti su uno sgabello in plastica verde. Nel camerino si stava strette. Annabeth stava per togliersi la maglietta con tutta la nonchalance di questo pianeta, quando alzò lo sguardo di tempeste su di lei, aggrottando le sopracciglia. «Allora?»

Penelope si ritrovò a balbettare, prima di formare una frase completa. «C-Che cos-a vuoi che faccia?»

«Cambiarti. Non s'era capito?»

«Così, davanti a te!»

Annabeth inarcò un sopracciglio. «Sei un ragazzo e non l'hai mai detto a nessuno?»

Si allungò, le dita strette attorno al tessuto della sua maglietta, sporgendosi fin quando non riuscì a vedere oltre il collo della sua t-shirt. Penelope la allontanò con un gesto brusco, stranita. Da dove spuntava tutta quella dannata confidenza?

«No, non sei un ragazzo» affermò la bionda, impassibile. Detto questo, si sfilò la maglietta ed iniziò a cambiarsi.

Pochi minuti, diverse gomitate ed imprecazioni per lo spazio ristretto del camerino dopo, le due semidee erano rivestite di tutto punto. Parevano le gemelle Kessler. Annabeth indossava un paio di bermuda a fiori marcati Waterland, scarpe di tela Waterland e persino uno zainetto Waterland, che aveva riempito di altri abiti. Tutta sui toni del rosso ciliegia e del bianco. Penelope, invece, tendeva al blu scuro, un colore che lei reputava davvero poco estivo.

Si guardò, ancora mezza scioccata per la scena del camerino, rendendosi conto che il blu le stava proprio male addosso.

Grover soffocò una risata nel guardarle. Sicuramente, si disse la rossa, avrebbe voluto commentare il loro particolare abbigliamento, ma si limitò a stringersi nelle spalle. «Oh, ma al diavolo!»

Poco dopo, anche lui e Percy erano vestiti da testa a piedi di capi d'abbigliamento marcati Waterland. Parevano cartelloni pubblicitari ambulanti. Continuarono a cercare il Tunnel dell'Amore, le scarpe di tela che andavano ammorbidite un poco sui loro piedi.

Dopo un po', Percy se ne uscì con: «E così, Ares e Afrodite hanno una tresca?»

«E' una vecchia storia, Percy» rispose Annabeth. Si guardava i piedi mentre camminava. «Vecchia di tremila anni, per essere precisi.»

«Ed il marito di Afrodite?»

Nel tentativo di soffocare una risata, a Penelope uscì un verso nasale. «Sai, posso anche capire il volersela fare con qualcun altro, eh. Dopotutto, ci sta. Magari non mi sceglierei proprio Ares, ma sai, l'amour est aveugle

«L'amore è cosa?» replicò Percy, fermando la sua camminata. «Da quando parli francese?!»

Anche Penelope si fermò, confusa. «Non ho parlato francese.»

Grover annuì. «In effetti, sì: l'hai fatto.»

Penelope corrugò la fronte, senza parole. Gli unici vocaboli che aveva mai imparato e saputo pronunciare del francese erano "baguette" e "croissant", al massimo "merci beaucoup". Cosa cacchio...?

«Sorvolando sul francese» esordì Annabeth, riprendendo a camminare. Loro tre la imitarono. «Il marito di Afrodite è Efesto, sì, il fabbro. E' rimasto zoppo quando Era l'ha scaraventato giù dall'Olimpo. Era appena nato e... be', non rispettava esattamente le aspettative della dea. Diciamo che non è tutta questa gran bellezza, ecco. E' bravo con le mani e tutto, ma Afrodite non va esattamente pazza per il talento ed il cervello, mi sono spiegata?»

Si vedeva che Percy ne capiva poco di queste questioni. Silena e Drew gli avrebbero spiegato per bene ogni cosa, Penelope lo sapeva e rise internamente al pensiero. «Le piacciono i motociclisti?»

Grover ridacchiò. «Più o meno.»

«Ed Efesto lo sa?»

L'ennesimo verso nasale della giornata da parte di Penelope. «Oh, sicuro» rispose Annabeth. «Li ha sorpresi insieme, una volta. Ma sarebbe meglio dire "presi", perché li ha catturati in una rete d'oro e poi ha invitato tutti gli dèi a guardarli e a farsi due risate. Efesto cerca sempre di metterli in imbarazzo. Ecco perché si incontrano in posti fuori mano come...»

Penelope acchiappò Grover un attimo prima che cadesse di sotto, nella vasca. «Come questo.»

Davanti a loro c'era un'enorme vasca vuota che sarebbe stata l'ideale per le acrobazie con lo skateboard; Travis e Connor l'avrebbero adorata alla follia. Era larga e tonda, con una circonferenza di almeno cinquanta metri. Attorno al bordo ricurvo, una dozzina di ormai non più luccicanti statue in bronzo raffiguranti Cupido - Eros, pardon - facevano la guardia, con le alette spiegate e gli archi ben tesi. Di fronte a loro, sul lato opposto della vasca, v'era l'ingresso di un tunnel scuro e che appariva un po' inquietante, nella luce della sera. Probabilmente un tempo, al suo interno, fluiva l'acqua quando la vasca era piena. Il cartello diceva: IL TUNNEL DEI BRIVIDI D'AMORE: NON E' ROBA PER I VOSTRI GENITORI.

Penelope distese la lingua in una smorfia disgustata. «Bleah. Chi entrerebbe mai lì dentro?»

Grover si avvicinò al bordo, stavolta più cauto. «Ragazzi, guardate!»

Arenata sul fondo della vasca, stava una barchetta a due posti rosa e bianca, sormontata da un baldacchino e ricoperta di cuoricini. Sul sedile di sinistra, scintillante nella luce tenue del crepuscolo, c'era lo scudo di Ares, un cerchio di bronzo bel levigato e con su inciso la lettera Λ, Lambda, la lettera simbolo di Sparta.

«Lo scudo di Achille era più bello» commentò Penelope, strizzando gli occhi per guardare meglio lo scudo. «E sicuramente più maneggevole. Quello sembra pesare tantissimo...» E si perse nel borbottare considerazioni sugli scudi che non interessavano a nessuno.

«E' troppo facile» affermò Percy, inginocchiandosi sul bordo della vasca e scrutando minuziosamente i suoi fianchi ricurvi. «Possibile che dobbiamo solo scendere lì e riprenderlo?»

Annabeth fece scorrere le dita sulla base della statua di Cupido più vicina, pensierosa. «Qui c'è scolpita una lettera greca. Eta. Mi chiedo se...»

«Grover» chiese Percy, «senti odore di mostri?»

Il satiro annusò il vento, strizzando gli occhi. «Niente.»

«Niente tipo il vecchio sotto-l'arco-c'era-Echidna-e-non-hai-sentito-niente, o niente sul serio?»

Penelope tirò uno scappellotto al figlio di Poseidone, arricciando le labbra. «Sicuro, Grover? Niente di niente?»

Lui annuì; c'era rimasto un po' male. «Sicurissimo. Eravamo sottoterra, a St Louis.»

Percy trasse un bel respiro. «Giusto, scusa. Vado.»

«Vengo con te.» Grover non ne sembrava molto contento, ma mosse comunque un passo in avanti. Si notava da chilometri di distanza che voleva rimediare agli avvenimenti di St Louis.

«No» lo fermò Percy, scuotendo il capo. «Voglio che rimani quassù con le tue scarpe volanti. Sei il Barone Rosso, l'asso del volo, ricordi? Se qualcosa dovesse andare storto, conto su di te per la ritirata.»

«In realtà» replicò Penelope, studiando sospettosa le statuette di Cupido, «se chi va giù indossasse le scarpe, potrebbe tranquillamente volare via in caso qualcosa andasse storto. No?»

«Ma io le scarpe non so usarle» controbatté Percy, stringendosi tra le spalle. Scosse di nuovo il capo e Penelope pensò a come, certe volte, fossero entrambi due deficienti. «No, meglio se Grover resta qui. E' solo una sensazione, tanto. Filerà liscio come l'olio. Annabeth, vieni con me?»

Le guance di Annabeth si tinsero immediatamente di un vivacissimo rosso. Sgranò gli occhi, fissando il figlio di Poseidone come se fosse appena piombato giù dal cielo. «Stai scherzando?»

Penelope scosse divertita il capo, appoggiandosi ad basamento della statua più vicina. Ti pareva, che avrebbe causato problemi come al solito suo. Avrebbe voluto dei pop-corn.

«Che problema c'è, adesso?» replicò Percy.

Annabeth era ancora più stranita di prima. «Io, venire nel Tunnel dell'Amore con te? Ma ti rendi conto di quanto è imbarazzante? E se mi vedesse qualcuno?»

«Ma chi potrebbe vederti?». Anche la faccia di Percy era in fiamme, ora. Così imbarazzato che il rossore gli aveva pure raggiunto le orecchie.

Annabeth era sul punto di replicare, ma lei la precedette. «Senti, Percy, vado io con lei. Così nessuno si fa più tanti problemi. Tanto sono più brava di te in questo genere di cose, no? Non lo saprà nessuno.» Si voltò a guardare Annabeth, inarcando un sopracciglio. «Qualche problema anche con me? Mi pare che tu abbia confermato da sola che io non sono un ragazzo.»

La figlia di Atena la fissava come se avesse voluto ammazzarla - e, statene certi, lo avrebbe fatto sul serio. Si voltò stizzita, il mento tirato orgogliosamente in alto. Gli dèi solo sapevano quanto complicata e insopportabile e lunatica e orgogliosa e intrattabile e-

Percy sbuffò, interropendo il flusso dei suoi pensieri. «Lascia stare, Pen. Resta qui, mi servite tu e la tua velocità, sempre in caso ci fossero problemi. Vado da solo, visto che sono così imbarazzante.»

Il dodicenne iniziò a scendere con cautela lungo il fianco della vasca, ma poco dopo Annabeth gli venne dietro borbottando: "I ragazzi sono solo una gran seccatura", non dopo aver scoccato a Penelope uno sguardo fulminante.

Vedo come rispetti il nostro patto, Chase, pensò lei, sbuffando.

I due osservarono Percy ed Annabeth raggiungere la barca ed entrarvi. Accanto allo scudo, stava adagiato un foulard rosa. Nel guardare di nuovo la Lambda sullo scudo a Penelope si strinse un poco lo stomaco. Guardò di nuovo l'Eta sulla statua, quella sulla quale Annabeth aveva passato le dita, con le sopracciglia aggrottate.

«Ares poteva fare da solo, comunque» constatò Grover, appoggiandosi alla statua, accanto a lei. «Se era così facile...»

«Solitamente ad Afrodite non piacciono le cose facili» replicò lei, osservando col capo inclinato gli specchi che rivestivano l'intero perimetro della vasca. «Basta a pensare a come ti rende difficili le cose in amore.»

«Ah, be', questo è vero» concordò il satiro. «Però proprio non capisco perché qui. Tra tutti i posti del parco, proprio sul fondo di una vasca piena di sporco. Questo non deve esserle piaciuto così tan-»

Un fragore metallico li fece sobbalzare. Era il rumore stridente di centinaia e centinaia di ingranaggi che entravano in azione, come se l'intera vasca si stesse tramutando in una macchina gigantesca. Penelope si tirò una manata in fronte. Maledette fossero lei e la sua distrazione; sarebbe stata perfettamente in grado di accorgersi della trappola, bastava tendere le orecchie.

Eta era l'iniziale dei Efesto, in greco.

«E' una trappola!» gridò, immobile nel non sapere cosa fare. «Via da lì!»

Lungo il bordo, le statue di Cupido portarono gli occhi in posizione di tiro. Lei ebbe il terrore che stessero puntando proprio sui due semidei nella barchetta, ma si sbagliava. Gli angioletti fecero fuoco, ma non verso Percy ed Annabeth: l'uno verso l'altro, da una parte all'altra della vasca. Dalle frecce si dipanarono dei lucenti cavi che, arcuandosi sopra la vasca, andarono ad ancorarsi sul lato opposto, formando un enorme asterisco dorato. Subito dopo, dei fili metallici più sottili iniziarono magicamente ad intrecciarsi tra le funi principali, intessendo una rete.

Percy agguantò lo scudo e lui ed Annabeth iniziarono a risalire i fianchi della vasca. Solo che non era facile come a scendere. Grover li incitava, tentando di tenere aperto un varco nella rete metallica, ma ovunque la toccasse i fili si attorcigliavano attorno alle sue mani.

Penelope percorse con lo sguardo l'asterisco ed i fili, veloce. Erano sottili, ma sicuramente ben rinforzati. Li seguì per la loro intera lunghezza, adocchiando le loro basi, tramite le quali si erano ancorati alle statuette. Una possibilità c'era comunque. Chiamò a sé la spada, rigirandosela in mano.

«Che diamine vuoi fare?!» strillò Grover, con voce be più acuta del solito. Si stava districando le mani.

«Aprire un varco!» strillò di rimando lei. Sollevò la spada e sferrò un colpo al filo più vicino, nella speranza che funzionasse. Sapeva che il filo dell'arma avrebbe potuto danneggiarsi seriamente, ma sperava che, essendo fatta di un materiale divino, questo non accadesse. Quando i due metalli entrarono in contatto volarono piccole scintille rossastre. L'intera rete tremò con violenza ma non successe nient'altro. Mentre Annabeth le gridava di smettere di fare la stupida, sferrò un secondo colpo.

Sarà stato perché aveva colpito il filo alla sua base, dove le pareva stranamente più fragile, ma quello saltò via, scardinandosi ed afflosciandosi poi sul fondo della vasca.

Purtroppo, quel piccolo lavoretto non servì a molto. Le teste dei Cupidi si spalancarono e ne sbucarono delle telecamere. Tutt'intorno alla vasca spuntarono dei riflettori, che accecarono Percy ed Annabeth, e la voce di un altoparlante tuonò: «Diretta sull'Olimpo prevista fra un minuto... cinquantanove, cinquantotto...»

Penelope corse all'altra statua di Cupido, colpendo di nuovo il filo. Una volta, niente. Una seconda, si scardinò anche quello. Annabeth e Percy, intanto, s'arrampicavano verso Grover. Lei, fulminea, raggiunse la terza statua. I due semidei erano quasi arrivati in cima, quando gli specchi s'aprirono come tanti sportelli e migliaia di minuscole cose metalliche si riversarono fuori.

Ragni.
Annabeth gridò, terrorizzata.

Quei brulicanti e raccapriccianti animaletti a molla, dal corpo di bronzo, le zampette affusolate, la bocca piccola e a tenaglia, corsero incontro ai due semidei formicolando in un'ondata di crepitii e ronzii di metallo. Annabeth strillò di nuovo, ed andò totalmente fuori di testa. Cadde all'indietro, pietrificata, e Percy fece appena in tempo a tirarla su e a trascinarla verso la barchetta prima che i ragnetti demoniaci la assalissero.

Quei cosetti erano ovunque, parevano riversarsi come acque incontrollate verso il centro della vasca, circondando i due semidei da ogni fronte. Ormai tagliare i fili della rete non sarebbe servito poi a molto.

«Grover! Le scarpe!» gridò Penelope, ritrasformando la spada in fish. Due anni prima, quando Luke le aveva fatto provare le scarpe, aveva chiesto l'aiuto di Michaela, una loro compagna di Ermes. Le aveva dato modo di sollevare sia sé stessa che l'altra, volando con le scarpe, così da imparare come bilanciare il proprio peso. Per poco, ci era riuscita, e sperava di avere nuovamente successo.

Il satiro, esitando, si tolse le scarpe e gliele lanciò. Intanto, l'altoparlante gracchiava: «Quindici, quattordici...»

«GROVER!» urlò Percy «VAI IN QUELLA CABINA! TROVA IL PULSANTE DI ACCENSIONE!»

«Ma-»

«FALLO!»

Grover si fiondò alla cabina di controllo, iniziando a smanettare sui pulsanti. Ma perché non le slacciava mai quando se le toglieva, le scarpe... Penelope non riusciva sciogliere i nodi, e se non avesse stretto i lacci le scarpe le sarebbero sfuggite dai piedi, perché troppo larghe. Gridò frustrata, le dita veloci che cercavano di districare il nodo strettissimo.

«Cinque, quattro...»

Grover alzò le mani in segno di resa, uno sguardo disperato negli occhi. I pulsanti non funzionavano. E le scarpe non si scioglievano.

«Due, uno... zero!»

«AH, SANTISSIMA-»

L'acqua esplose fuori dai tubi con violenza, producendo un boato che cancellò l'imprecazione della figlia di Ermes. l'acqua precipitò nella vasca, sommergendo la marea di ragni meccanici e spazzandoli via. Opera di Percy, senza alcun dubbio. Con forza, l'ondata d'acqua travolse la barchetta dall'altro, travolgendo gli animaletti metallici ed innaffiandoli totalmente. La barca girò su sé stessa, si sollevò nella marea e prese a ruotare intorno al gorgo, trascinata dall'acqua. I ragnetti andavano in cortocircuito, alcuni dei quali persino esplodendo violentemente, scaraventati contro le pareti della vasca. Percy ed Annabeth avevano i riflettori puntati addosso e le telecamere trasmettevano la scena in diretta sull'Olimpo.

La barca girò in tondo un'ultima volta, con il livello dell'acqua ormai così alto da far quasi finire i due semidei schiacciati contro la rete metallica. Il suo muso puntò dritto verso il tunnel e loro partirono a razzo nel buio.

Penelope si ripromise di prendere a parolacce Grover per quella tremenda abitudine di lasciare le scarpe sempre allacciate. Finalmemte riuscita ad indossarle, scattò in piedi e sfrecciò verso l'uscita del tunnel, chiamando il satiro, che subito la seguì.

Raggiunsero il Cancello dell'Amore, la fine della corsa, ma c'era un bel problema: era chiuso.

Le altre due barchette schizzate fuori erano ammonticchiate contro il metallo del cancello, una sommersa e l'altra spaccata a metà. I due avrebbero fatto una fine tremenda. «Finiranno per schiantarsi!» esclamò Grover, la voce ancora acuta.

«Le opzioni sono due: li lasciamo morire...» Grover belò contrariato «... o li prendiamo quando saltano. Salteranno per forza, devono.»

Subito dopo, Annabeth e Percy apparvero fuori dal tunnel buio, schizzando a tutta velocità verso il cancello e gridando come forsennati. «ORA!» strillò la figlia di Atena.

CRAC!

La barca s'andò a schiantare con le altre due, fracassandosi. I due semidei, invece, volarono in alto, oltre in cancello, oltre la vasca, e poi giù, verso l'asfalto.

Fa' che funzioni, fa' che funzioni!

«Maia!». Penelope si diede la spinta e saltò in aria, pregando ogni singola divinità che riusciva a ricordarsi. Volò in alto, sostenuta dalle scarpe, superando il cancello. Raggiunse i due amici e li afferrò come meglio poteva, serrando le dita della destra attorno alla maglietta di Percy e quelle della sinistra su quella di Annabeth.

E lì, iniziò a precipitare.

Evidentemente, i suoi calcoli erano stati errati. Non era ancora in grado di sostenere il proprio peso, figuriamoci quello di altri due ragazzini che, sicuramente, pesavano anche più di lei. Si diede della stupida cento e cento volte, sforzando le scarpe e tentando di sospingersi in alto, combattendo contro la gravità che li trascinava a terra. Ma nulla, le scarpe non avevano voglia di collaborare.

Precipitarono a terra, mentre lei faceva del suo meglio per rallentare la caduta. Con un lamento legato allo sforzo, sollevò di poco Percy ed Annabeth, traendoseli vicino.

E BAM!

Si schiantarono contro un tabellone fotografico, uno di quelli con i fori per i volti dei turisti. Ironia della sorte, la sua testa finì proprio in uno di quei buchi, quello che serviva per fingersi Nunù, la Simpatica Balena. Solo che quella non fu l'unica cosa divertente della serata.

Chissà per quale motivo divino - forse, doveva smettere di imprecare così spesso - la sua caviglia destra prese una piega orribile.

Per il dolore, ogni cosa si offuscò: l'udito se ne andò a quel paese, mentre un'ondata di fortissimo calore le investiva il corpo. Per un attimo, tutto fu nero.

«Giuro che, la prossima volta che vedo Zeus, gli stacco le orecchie a morsi» brontolò con voce roca e raschiata, tirando un pugno al cartellone fotografico dal quale Grover le aveva appena sfilato la testa.

Si fissò la caviglia. Fino a pochi minuti prima, stava gridando dal dolore ed insultando pesantemente qualsiasi cosa si muovesse - persino l'aria. Non aveva il coraggio di chiedersi come rigirarla. Il suo piede destro puntava in una direzione a dir poco anomala e faceva un male cane.

«Devo farlo» affermò fermamente Annabeth, una mano sotto il suo arco plantare e l'altra sulla caviglia. «Va spostata.»

Penelope deglutì nervosamente. «Dobbiamo proprio?». Le mani di Annabeth tremavano, nonostante lei tentasse di restar calma. Senza alcun preavviso e con un solo movimento, deciso e scattante, le rimise a posto il piede.

Penelope gridò, percependo nuovamente un'ondata di calore invaderle il corpo. Reclinò indietro il capo, sentendosi come se qualcuno stesse tentando di fratturarle a mano, una per una, le ossa del piede e della gamba. Restò cosciente, purtroppo, ma avrebbe tanto voluto svenire e non svegliarsi per un bel po'.

Quando la sua vista si fece di nuovo nitida, si guardò il piede, che ora puntava nella direzione giusta. Trasse un respiro di sollievo. Percy strappò una delle magliette marcate Waterland che aveva preso al negozio, passò ad Annabeth due stecchette di legno ricavate in fretta dal tabellone delle foto, e lei si mise a fasciarle delicatamente la caviglia. Poco dopo, aveva un piede steccato con delle sgargianti bende gialle e verdi, che non avrebbero decisamente dato nell'occhio.

Grover e Percy la aiutarono a tirarsi in piedi, mentre lei si puntellava sul piede sano. «Meraviglioso» disse, a denti stretti, spostando il proprio peso sulla presa del satiro. «Ci mancava solo questa.»

Sulla guancia di Percy s'era aperto un piccolo taglio, dopo l'impatto con l'asfalto. Il ragazzino fissava corrucciato la vasca, che s'era ormai svuotata. «Ares è pessimo.»

«Ci arrivi ora?» gracchiò lei in risposta, puntellandosi di nuovo sul piede sinistro per fare un passo avanti, sorretta da Grover. «E' la seconda volta che mi faccio male per colpa sua.»

«Se fossi stata tu ad andare con Percy, l'avresti evitato e la tua caviglia starebbe in perfetta forma» affermò Annabeth, rialzandosi in piedi.

«Cosa?»

La figlia di Atena si strinse tra le spalle. «Avresti potuto tranquillamente sostenere il suo ed il tuo peso, invece non è andata così.»

«Mi stai dicendo che avrei dovuto lasciare che uno di voi due si sfracellasse in terra? Oh, quanto sarebbe stato piacevole se fossi stata tu, credimi.»

Annabeth serrò la mascella, fulminandola con un solo sguardo. La vide ricacciare in gola tante, brutte parole. «Fatto sta che ora non cammini. Come andiamo avanti, me lo dici tu?»

«Si chiamano "imprevisti di percorso", Chase, e si risolvono con poco» replicò lei. «E comunque, mi perdoni, miss, se ho osato respirare la sua stessa aria e salvarle la dannata vita. La prossima volta mi asterrò dal farlo.»

La bionda incrociò le braccia al petto. «Dovresti dare una calmata ai nervi, Castellan.»

Penelope dovette resistere all'impulso di insultarla pesantemente. Serrò le labbra e si morse la lingua con forza, fissandola in cagnesco. Ma chi si credeva di essere, per rinfacciarle persino l'averle appena salvato le chiappe? Così voleva gestire le cose? E così le avrebbero gestite, se questo preferiva.

«Sai una cosa? Andatevene al diavolo, tu e il "bene superiore". Non me ne frega un bel niente.»

Annabeth serrò la mascella, gli occhi affilatissimi.

Penelope guardò Percy, il cui sguardo saettava dal suo viso a quello della bionda, confuso. «Andiamo. Voglio scambiare due chiacchere con Ares e andarmene da questo postaccio».

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