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10. πόλεμος

𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄

IL TRENO SU CUI VIAGGIAVANO giunse a Denver il giorno seguente, nel sole pomeridiano del quattordici giugno. Mancavano sette giorni al solstizio e alla loro scadenza, ma erano già a metà strada - dunque, il tempo pareva essere a loro favore.

Dalla sera prima non mangiavano e le loro pance brontolavano sonoramente, dando modo alle loro labbra di curvarsi, ogni tanto, in piccoli sorrisi. Avrebbero provveduto a trovarsi qualcosa da mangiare durante la breve sosta a Denver.

Il cielo era limpido e punteggiato qua e là di quei soffici batuffoli che erano le nuvole. Penelope teneva il capo reclinato all'indietro mentre camminava, solcando con lo sguardo il cielo alla ricerca di una nuvola dalla forma particolare. Grover, ogni tanto, le evitava di inciampare o di andare a sbattere contro un cestino o un idrante dell'acqua.

«Proviamo a contattare Chirone» affermò Annabeth. «Voglio raccontargli della tua chiaccherata con lo spirito del fiume.»

«E non possiamo usare il telefono, vero?» chiese Percy, alzando un braccio per fermare la disattenta camminata di Penelope. Lei rise e si rese conto di star per inciampare su una bicicletta incatenata ad una cassetta della posta.

«E chi ha parlato di telefono?» replicò Annabeth, un sorrisetto sul viso.

Vagarono per la città per un'altra mezz'oretta, in silenzio a farsi riempire l'udito dai rumori delle strade. Lo sguardo di Annabeth cercava quasi famelico, posandosi in ogni dove. L'aria era calda e secca, che rendeva loro le gole aride e dava uno strano effetto dopo l'umidità di St Louis. Il sole scottava sulle loro teste, rendendo i capelli bollenti.

Alla fine giunsero ad un autolavaggio totalmente deserto. Penelope, per il caldo, avrebbe voluto accendere uno dei getti dell'acqua e buttarcisi sotto. Si diressero al box più discosto dalla strada, tenendo gli occhi bene aperti per scorgere eventuali pattuglie della polizia. Quattro ragazzini che s'aggiravano in un autolavaggio senza un'auto da lavare poteva sembrare piuttosto sospetto. Percy disse che ogni poliziotto degno della sua ciambella al cioccolato avrebbe capito che stavano tramando qualcosa.

Il figlio di Poseidone osservò Grover estrarre lo spruzzatore. «Che stiamo facendo, di preciso?»

«Ci vogliono settantacinque centesimi» brontolò Grover, ignorando totalmente la domanda di Percy. Si infilò una mano in tasca e ne cavò fuori una monetina da cinquanta centesimi. «A me restano solo questi. Annabeth?»

La ragazza scosse il capo. «Non guardare me. Il vagone ristorante mi ha ripulita.»

Percy cercò nelle proprie tasche, cavandone fuori due misere monetine da cinque centesimi ed una luccicante dracma, l'ultima restante di quelle trovate nell'emporio di Medusa. Tutti e tre i suoi compagni sollevarono lo sguardo su di lei.

Penelope alzò le mani. «Io non ho più niente, ma potremmo usare uno spruzzatore manuale.»

«Naturalmente, ma la connessione non è buona» replicò Grover. «E dopo un po' mi fa pure male il braccio a forza di premere.»

Percy era l'unico ad avere un'espressione interrogativa. Chiese di cosa stessero parlando, ma di nuovo tutti lo ignorarono.

«Come facciamo, allora?» chiese Annabeth.

«Iniziate facendo silenzio» rispose Penelope. Tese per bene le orecchie, pronta a cogliere qualsiasi piccolo sussurro.

C'era questa particolarità delle monete e delle banconote, del denaro in generale. Sin da più piccola era in grado di udire le loro voci. Sottili e sibilate, come quelle di tanti serpenti lunghi, sinuosi ed infidi. Non c'era da sorprendersi, infatti, che gli esseri umani fossero tanto attratti da esso: le parole del denaro funzionavano proprio come la lingua ammaliatrice di figli di Afrodite. Penelope poteva sentire le loro chiaccherate, lente e soporifere, e comprendere dove si trovavano.

«Cosa stai facendo?» domandò perplessa Annabeth dopo alcuni attimi di silenzio, inarcando un sopracciglio.

Penelope sollevò una mano per zittirla. «Ascolto.»

Silenziosa, mosse due o tre passi in cerchio, tentando di recepire una voce. Era un po' complicato, poiché il rumore delle automobili che passavano, sulla strada poco distante, coprivano gli altri suoni più sottili. Ma eccola, la trovò: alla sua destra.

Scattò in avanti, i piedi che scivolavano appena sul pavimento dell'autolavaggio che era macchiato qua e là da pozze d'acqua e sapone mischiati assieme. Le monetine stavano nascoste dietro un grosso spazzolone per le auto, uno di quelli che vi passa sopra, roteando, dalle setole gialle e bianche. Si chinò e le raccolse, rialzandosi poi con un sorriso entusiasta sulle labbra. «Eccole!»

Raggiunse i suoi amici e diede a Grover le due monetine da dieci e quindici centesimi che aveva appena trovato. La guardavano tutti e tre con gli occhi sgranati. «Non mi farò domande» affermò il satiro. Infilò poi le monetine nella fessura dello spruzzatore e posizionò la manopola su ACQUA VAPORIZZATA.

«Si può sapere cosa stiamo facendo?» chiese per l'ennesima volta Percy, stufo di venir bellamente ignorato.

«Contattiamo il campo con l'iPhone» rispose Grover, tranquillo.

«E cosa c'entra con l'autolavaggio?»

«La "i" sta per Iride» spiegò Annabeth. «La dea dell'arcobaleno, Iride, è la messaggera degli dèi. Se sai come chiederlo e lei non è troppo occupata, offre il servizio anche ai mezzosangue.»

Percy inarcò il sopracciglio destro. «Volete evocare una dea con uno spruzzatore?»

Grover puntò il beccuccio in aria e l'acqua fuoriuscì con un sibilo, creando una fitta nebbiolina candida. Penelope ci si bagnò appena le mani e se le passò sul viso. «Conosci un altro modo per creare un arcobaleno?»

La luce soffice del tardo pomeriggio filtrò attraverso il vapore, rifrangendosi nei sette colori dell'arcobaleno. Annabeth si fece dare la dracma da Percy, poi se la sollevò sopra la testa. «Oh dea, accetta la nostra offerta!». Poi gettò la dracma nell'arcobaleno, dove scomparve con uno scintillio dorato.

«Collina Mezzosangue» richiesero Annabeth e Penelope in coro.

Per un breve attimo, non accadde nulla.

Poi, attraverso la nebbiolina prodotta dallo spruzzatore, si ritrovarono a guardare i vasti campi di fragole baciati dal sole e lo stretto di Long Island che luccicava in lontananza. Era come stare sotto al portico della Casa Grande. Sul parapetto, di spalle, stava appoggiato un ragazzo con i capelli biondi, i pantaloncini di jeans e una maglietta arancione. Teneva una spada di bronzo, che si rigirava distrattamente tra le mani. Sembrava star fissando attentamente qualcosa nel prato.

«Ehi, Scarface, troppi pensieri per la testa?» disse Penelope con un ghigno.

Luke si voltò di scatto, sorpreso nell'udire la sua voce. Il suo volto s'aprì in un largo sorriso che fece sorridere a sua volta la dodicenne. «Penny! Percy! E c'è anche Annabeth? Grazie agli dèi! State bene?»

«Noi stiamo... ehm... bene» rispose Annabeth, apparendo timidamente nell'inquadratura del messaggio Iride. Si lisciò freneticamente la maglietta sporca e tentò di sistemarsi i capelli in disordine. Le sue guance erano, di nuovo, rosse come piccoli lamponi. «Pensavamo... Chirone... cioè...»

«E' giù alla capanne» rispose Luke, il sorriso che si spegneva sulle sue labbra. «Stiamo avendo qualche problemino con alcuni ragazzi del campo. Ma ditemi, è tutto a posto lì da voi? Grover sta bene?»

«Sono qui!» esclamò il satiro, spostando lo spruzzatore di lato così che potesse rientrare anche lui nell'inquadratura. «Che genere di problemi ci sono?»

Appena prima che Luke potesse rispondere, una grossa Lincoln Continental entrò nell'autolavaggio con lo stereo che sparava hip-hop a tutto volume. Quando la macchina s'infilò nel box accanto a quello dove loro stavano, il basso vibrava così tanto da far tremare l'asfalto sotto i loro piedi.

«Chirone doveva... ehi, ma cos'è questo chiasso?» gridò Luke, aggrottando la fronte.

«Ci penso io!» strillò di rimando Annabeth, visibilmente sollevata di avere una scusa per uscire dalla visuale del figlio di Ermes. «Grover, vieni!»

«Cosa?» fece lui. «Ma-». Il satiro sbuffò, borbottando qualcosa tipo: "Le ragazze sono più difficili da interpretate dell'Oracolo di Delfi", che fece ridacchiare Penelope. Le passò lo spruzzatore e seguì la figlia di Atena nell'altro box.

«Dicevo» gridò suo fratello, per farsi sentire al di sopra della musica. «Chirone doveva sedare una rissa. Le cose sono piuttosto tese da queste parti, Percy. La voce dello scontro fra Zeus e Poseidone è trapelata. Ancora non sappiamo come: sarà stata la stessa canaglia che ha invocato il segugio infernale. I ragazzi hanno iniziato a schierarsi. Si sta mettendo come una seconda guerra di Troia. Afrodite, Ares e Apollo sostengono Poseidone, più o meno. Atena appoggia Zeus.»

«Divina Nyx, che idioti» sbuffò Penelope, alzando gli occhi al cielo. «Nemmeno lo spirito del "spero che non si debba arrivare a combattere una guerra mondiale che ci farà crepare tutti quanti; spero che le cose si risolvano prima" e gne gne

Percy e Luke la guardarono, negli occhi gli stessi sguardi. Lei sbuffò di nuovo, reclinando indietro il capo e pensando che nessuno apprezzava, mai, i suoi tentativi di sdrammatizzare.

«Allora, a che punto siete?» chiese suo fratello, mentre dal box accanto si sentiva Annabeth litigare con un altro tizio e la musica diminuire drasticamente. «A Chirone dispiacerà che non lo abbiate trovato.»

Percy gli raccontò tutto, parlandogli anche degli strani sogni che aveva avuto. Penelope avrebbe voluto dirgli del sogno della spiaggia, ma alla fine pensò che non gli avrebbe fatto poi così tanto piacere - non era un bel ricordo, effettivamente. Le parole di Percy fluivano con così tanta naturalezza che a stento loro due si accorsero del bip dello spruzzatore, segno che il tempo a loro disposizione per l'arcobaleno stava per cessare.

«Vorrei essere lì» disse Luke, guardandoli entrambi. Anche lei avrebbe voluto che il fratello fosse con loro. «Non possiamo aiutarvi molto da qui, temo, ma ascoltate... dev'essere stato Ade a rubare la Folgore. Era sull'Olimpo il giorno del solstizio d'inverno. Ricordi, Penny?»

«Sì, a fare il depresso sulla sua seggiola.»

Luke sorrise divertito. «Ma Chirone ha detto che un dio non può rubare l'oggetto magico di un altro dio, non direttamente» replicò Percy.

«E' vero» confermò Luke, un'espressione turbata a solcargli il viso. «Ma... Ade ha l'elmo dell'oscurità. Chi altri avrebbe potuto infilarsi nella sala del trono e rubare la Folgore? Bisognava essere invisibili.»

Subito Penelope si rese conto della possibile allusione ad Annabeth e provvedé a ricucire il silenzio creatosi tra loro tre. «O essere in grado di rendere le cose invisibili» disse, nascondendosi poi le mani in tasca con aria innocente.

Luke sospirò. «Mi chiedo se Zeus sappia cosa sai fare». Notando l'espressione confusa di Percy sorrise divertito, di un sorrisetto identico a quello di Penelope. «Comunque, non alludevo ad Annabeth. Ci conosciamo da una vita. Non lo farebbe mai. E' come una sorellina per me.»

La figlia di Atena non avrebbe gradito la definizione e, sotto sotto, non la gradiva un granché nemmeno Penelope. Sorvolò sull'argomento.

Qualcuno, dall'altro box, strillò terrorizzato, attirando la loro attenzione. Si udì il rumore di sportelli che sbattevano e la Lincoln sfrecciò via dall'autolavaggio.

«E' meglio che andiate a vedere» suggerì loro Luke. «Ma dimmi, Percy, indossi le scarpe volanti? Mi sentirei meglio nel sapere che ti sono servite a qualcosa.»

Penelope nascose un sorriso divertito voltando il capo. «Oh... ehm, certo! Penny mi ha anche insegnato ad usarle!» esclamò Percy in risposta, cercando in ogni modo di non fare la figura del bugiardo colto in flagrante. «Sì, sono state molto utili.»

Luke sorrise e un pizzico di nostalgia punse la gola della minore dei Castellan. Suo fratello stava per dire qualcos'altro, ma la nebbia iniziò a dissolversi, e con essa il messaggio Iride. «Be', statemi bene lì a Denver!» gridò il figlio di Ermes, mentre la sua voce si affievoliva. «Oh, e dite a Grover che stavolta andrà meglio! Nessuno verrà trasformato in albero se lui-»

La nebbia svanì, portandosi dietro l'immagine di Luke e la sua voce. Restarono soli, in quel box vuoto e bagnato, dal cui soffitto colavano piccole e tiepide goccioline d'acqua. I due semidei si guardarono, muti, ma Penelope infranse la tensione rivolgendo al figlio di Poseidone un sorrisetto beffardo, come a dire: "Ehi, ho voglia di rapinare un negozio di dolciumi. Ti unisci a me?".

Percy, però, non sorrise.

Annabeth e Grover spuntarono ridendo da dietro l'angolo ma, non appena s'accorsero dell'espressione incolore di Percy, i sorrisi si spensero sui loro visi. «Cos'è successo?» chiese la bionda, lanciando a Penelope uno sguardo come per accertarsi che non fosse lei la causa di quell'espressione. «Cosa ha detto Luke?»

«Non molto» mentì lui, non incrociando gli occhi della figlia di Ermes. «Coraggio, andiamo a procurarci la cena.»

Una ventina di minuti più tardi, stavano tutti e quattro seduti al tavolo di un ristorantino economico decorato con scintillanti cromature. Dava sulla strada ed era attraversato spesso dalle luci dei fari di vari mezzi di trasporto. Era pieno di famiglie che mangiavano hamburger e bevevano birre e bibite.

Alla fine, dopo diversi sguardi indagatori, la cameriera si avvicinò. Era una ragazza sui venticinque, piccina e formosa, con un caschetto nero come la pece che le sfiorava le spalle. Guardandoli scettica, inarcò un sopracciglio. «Allora?»

Percy disse: «Noi, ehm, vorremmo ordinare la cena.»

«Ce li avete i soldi per pagare, ragazzi?»

Penelope pensò che il "mordi e fuggi" non era una tattica poi così male.

Il labbro inferiore di Grover iniziò a tremare. Lei temeva che il satiro si mettesse a belare dal nervosismo, o peggio, a mangiare il linoleum del pavimento. Annabeth e Percy parevano sul punto di svenire dalla fame, e lei nemmeno scherzava.

Percy aveva appeno preso aria per dire qualcosa, quando un rombo scosse l'intero edificio. Una moto grande quanto un cucciolo di elefante aveva accostato al marciapiede. Non furono necessarie altra parole o altri sguardi perché lei riconoscesse chi era appena arrivato.

Il silenzio riempì il ristorante, quasi assordante. Il fanale anteriore della moto mandava un bagliore rosso che minacciosamente illuminava l'asfalto. Il serbatoio era decorato con delle fiamme rosse ed arancioni ed aveva due fondine borchiate su entrambi i lati, complete di fucili. Il sedile era rivestito in pelle, la quale sembrava tremendamente pelle umana.

Il motociclista avrebbe spinto un wrestler professionista a nascondersi fra le gonne della mamma, frignando impaurito. Alto e dalle spalle ampie, era grosso quanto un armadio. Indossava una maglietta aderente rossa, jeans neri strappati in più punti ed una lunga giacca di pelle nera, portando un coltello da caccia legato sulla coscia. Gli occhiali da sole a mascherina, rossi, gli celavano lo sguardo. Portava i capelli neri tagliati a spazzola e le sue guance erano solcate da diverse cicatrici, che spiccavano sul suo viso duro e spigoloso, quasi fosse il volto di una statua non ancora ben scolpito nel marmo.

Quando fece il proprio ingresso nel ristorante, un vento caldo e secco soffiò nel locale, quasi ci si fosse spostati nel deserto. Tutti i clienti si alzarono, come sotto l'effetto di ipnosi, ma il motociclista mosse la mano in un gesto distratto e la gente si sedette di nuovo, tornando come se nulla fosse alle proprie conversazioni.

La cameriera al loro tavolo strizzò gli occhi, come se qualcuno le avesse appena premuto chissà quale tasto nella testa. Riavvolse il nastro, chiedendo di nuovo: «Ce li avete i soldi per pagare, ragazzi?»

«Offro io» affermò il motociclista. Si sedette sulla loro panca, decisamente troppo piccola per la sua stazza, schiacciando la figlia di Atena ed il satiro contro la vetrina. Grover continuava a deglutire a vuoto, pallido in viso. L'uomo alzò gli occhi sulla cameriera, che lo stava fissando con la bocca spalancata. «Sei ancora qui?» le chiese.

Lei non pareva avere la capacità di rispondere, ma il motociclista non gliene diede comunque modo. Le puntò un dito contro e lei si irrigidì. Si voltò come se fosse qualcos'altro ad imporle di girare su sé stessa, quindi si diresse a passo spedito verso le cucine.

Il motociclista guardò Percy, che immediatamente s'irrigidì, cosa di cui Penelope non si sorprese affatto. Percepì il dodicenne stringere i pugni, sotto al tavolo, e si sforzò di non guardare in faccia l'uomo seduto davanti a loro, sicura che avrebbe fatto montare una rabbia bella e buona anche a lei.

«E così,» esordì l'armadio, rivolgendosi a Percy «tu sei il figlio del Vecchio Algamarina, uh?»

«E a lei cosa gliene importa?»

Gli occhi di Annabeth erano nervosi e luccicanti di agitazione. Si puntarono su Percy, lanciandogli un avvertimento. «Percy, lui è-»

Il motociclista alzò una mano, zittendola. «Non c'è problema. Non mi dispiace un po' di sana sfrontatezza. Finché si ricorda chi è che comanda. Sai chi sono io, cuginetto

Lui era un altro di quelli che Penelope avrebbe volentieri preso a calci nel didietro, divertendocisi pure. Era colpa sua, dopotutto, se lei e Nerea s'erano ritrovate praticamente circondate da quelle tre racchie che erano le Furie. Maledetti fossero lui e la sua lingua troppo lunga...

Non ricevendo risposta da Percy, che lo guardava come se avesse voluto tirargli un bel pugno sul naso - e non era l'unico a volerlo fare - il motociclista si voltò a guardarla. «Come va la bruciatura, Castellan?»

«Una meraviglia, grazie» sorrise lei. D'istinto, portò una mano sul ginocchio, a solcare con i polpastrelli la fatidica cicatrice dell'ustione. Voltò il capo ad osservare le luci di Denver fuori dalla vetrina.

Percy parve arrivare ad una conclusione solo in quel momento. «Lei è il padre di Clarisse» affermò, a denti stretti. «Ares, il dio della guerra.»

Ares sorrise d'un ghigno sprezzante e si tolse gli occhiali. Al posto dei suoi occhi v'erano solamente due orbite vuote e scure, nelle quali ardevano piccole esplosioni nucleari. Facevano venire i brividi. «Esatto, pivello. Ho saputo che hai spezzato la lancia di Clarisse.»

«Se lo meritava» replicò il figlio di Poseidone.

«Meh, forse. Ma va bene così. Non mi immischio nelle battaglie dei miei figli, ci siamo capiti? Quanto al motivo per cui sono qui, ho sentito che eravate in città e ho una piccola proposta da farvi.»

«Come l'ultima volta?» replicò Penelope, scoccando al dio uno sguardo serio e diritto come una linea. Annabeth le tirò un calcio da sotto al tavolo, in avvertimento per il tono appena usato.

Ares soffocò a stento una risata. «Più o meno, Castellan, più o meno.»

La cameriera tornò con dei vassoi straripanti di roba da mangiare: cheeseburger, patatine, cipolle fritte e frullati al cioccolato. Ares le diede qualche dracma, ma lei guardò le monete d'oro con un certo nervosismo. «Questi non sono...»

Il dio della guerra sguainò il suo pugnale da caccia ed iniziò a pulircisi le unghie. Guardando la cameriera inarcò un sopracciglio. «Problemi, dolcezza?»

La cameriera sgranò gli occhi e deglutì nervosamente, allontanandosi con l'oro.

«Non può fare così» disse Percy, serrando poi la mascella. «Non può andarsene in giro a minacciare la gente con un coltello.»

Il dio scoppiò a ridere. «Scherzi? Adoro questo paese. Il posto migliore dopo Sparta. Tu non sei armato, pivello? Dovresti. C'è un mondo pieno di gentaccia, là fuori. Il che mi porta di nuovo alla mia proposta. Ho bisogno che tu mi faccia un favore.»

Percy incrociò le braccia al petto. «Che favore potrei mai fare ad un dio?»

«Qualcosa che un dio non ha il tempo di fare da solo. Nulla di che, davvero. Ho lasciato il mio scudo in un parco acquatico abbandonato, qui in città. Avevo un... un appuntamento con la mia ragazza. Siamo stati interrotti ed ho dimenticato di riprendere lo scudo. Voglio che tu lo recuperi per me.»

«Perché non ci va da solo?»

Penelope soffocò una risata nel bicchiere di frullato al cioccolato che stava bevendo. Ricevette da Annabeth un altro calcio, più forte del precedente.

Gli occhi di Ares s'accesero come fuoco che divampa. «Perché non ti trasformo in una marmotta e ti investo con la mia Harley? Perché non ne ho voglia. Un dio ti sta dando la possibilità di dimostrare il tuo valore, Percy Jackson. Ti dimostrerai un codardo?». Si sporse in avanti, gli occhi fissi nei suoi. «O forse combatti solamente quando c'è un fiume a portata di mano, così il tuo paparino può proteggerti?»

Percy tremò da testa a piedi, come un mal costruito edificio in balia di un terremoto. Prima che gli mollasse un pugno - lei era certa che lo avrebbe fatto - Penelope gli posò una mano sul ginocchio e strinse la presa, come a dirgli di star calmo. Rivolse lo sguardo ad Ares e schioccò le dita della mano libera, attirando l'attenzione del dio. Quando questo le rivolse lo sguardo, lei si passò la lingua sui denti e lo guardò dritto negli occhi.

Rabbrividì nel vedere sangue, esplosioni, cadaveri che inerti giacevano sul campo di battaglia.

«Non siamo interessati» disse, calma, stringendo ancora un po' la presa sulla gamba di Percy. «Abbiamo già un'altra impresa da portare a termine.»

«Gradirei sentirmelo dire dal pivello, se non ti dispiace» sorrise lui. Tornò a guardare Percy, gli occhi più accesi che mai. «So tutto della tua impresa, pescetto. Quando quell'oggetto è stato rubato, Zeus ha sguinzagliato i migliori per cercarlo: Apollo, Atena, Artemide e me, naturalmente. E se non sono riuscito io a scovare un'arma di tale potenza...». Si leccò le labbra, come se il pensiero della Folgore stuzzicasse il suo appetito. «Be', lasciatelo dire: non hai nessuna speranza. Comunque, sto cercando di darti il beneficio del dubbio. Io e tuo padre siamo amici di vecchia data. Dopotutto, sono stato io a parlargli dei miei sospetti sul vecchio Fiato Morto.»

«E' stato lei a dirgli che Ade ha rubato la Folgore?» chiese Percy, apparentemente più calmo di poco prima.

«Sicuro. Incastrare qualcuno per cominciare la guerra: il trucco più vecchio del mondo. L'ho capito subito. In un certo senso, devi ringraziare me per la tua piccola impresa.»

Percy alzò gli occhi al cielo e borbottò: «Grazie mille.»

«Ehi, sono un tipo generoso» replicò Ares, intrecciando le mani sul tavolo. «Fa' questo lavoretto per me, e ti aiuterò. Vedrò di procurare un passaggio a te e ai tuoi amici.»

«Ce la caviamo benissimo da soli.»

«Sì, come no, con le scarpette da danza di Ermes andate in giro svolazzando, quasi foste nel paese delle fatine, giusto? Non avete soldi, né mezzi, né la più pallida idea di cosa fare. Aiutami, e forse ti dirò qualcosa che hai bisogno di sapere... a proposito di tua madre.»

Percy rizzò la schiena sulla panca, gli occhi luccicanti. «Mia madre?»

Le labbra di Ares s'aprirono in un ghigno. «Vedo che finalmente ho ottenuto la tua attenzione. Il parco acquatico è a un chilometro e mezzo da qui, seguendo la Delancy in direzione ovest. Non potete sbagliare. Cercate il Tunnel dell'Amore.»

«Cos'ha interrotto il vostro appuntamento?» chiese Percy. «Qualcosa vi ha spaventati?»

Ares digrignò i denti, in un'espressione da Penelope ben conosciuta. Fin troppe volte l'aveva vista dipingersi sul viso di Clarisse, e sapeva che saltava fuori proprio quando la semidea stava nascondendo qualcosa. «Sei fortunato ad aver incontrato me, pivello, e non un'altra divinità Olimpica. Non tutti hanno la mia indulgenza verso le cattive maniere. Ci rivediamo qui quando hai finito. Non mi deludere, soprattutto quando so che hai con te un'infallibile ragazzina-trova-scudi.»

Il dio scoccò uno sguardo divertito a Penelope, che aveva stretto la mascella. Alzò una mano e schioccò le dita, producendo un suono ben nitido. La testa di Percy s'abbandonò con pesantezza sulla spalla della dodicenne, facendola sussultare. Con un soffio di vento caldo e secco, di nuovo, il dio era scomparso.

Percy riprese coscienza alcuni minuti dopo, il capo poggiato sul tavolo. Si rimise dritto, strizzando gli occhi. Lanciò uno sguardo fuori dalla vetrina, constatando da solo che Ares se n'era andato. Il suo sguardo cercò risposte nei visi di Penelope, Annabeth e Grover.

«Qui si mette male» commentò il satiro. «Ares è venuto a cercarti personalmente, Percy. Si mette proprio male.»

«Grazie, ragazzo-capra» replicò Penelope. «Non ce ne eravamo accorti.»

«Sarà solo un trucco» disse Percy, scrocchiando poi il collo. «Al diavolo Ares. Andiamocene e basta.»

Stava per alzarsi, ma Annabeth intervenne, scuotendo il capo. «Non possiamo. Ascolta, Percy: detesto Ares con tutta me stessa e so di non essere l'unica, qui. Ma non puoi ignorare gli dèi, se non vuoi incorrere in seria sventura. Non scherzava quando ha detto che poteva trasformarti in un roditore.»

Percy abbassò lo sguardo sul proprio cheeseburger, quasi schifato. «Perché ha bisogno di noi?»

«Forse è un problema in cui serve il cervello» suggerì Annabeth, stringendosi tra le spalle. «Ares è grande e forte, ma ha solo quello. Perfino la forza deve inchinarsi alla saggezza, ogni tanto.»

Ah, lei e le sue frasi filosofiche. Penelope ingoiò un sorrisetto, guardando Percy. «Ci tocca, Alghetta. Ho davvero poca voglia di farlo, ma dobbiamo. Su, abbi fiducia del mio fiuto per gli scudi. Li becco sempre tutti io.»

Percy sorrise appena. «Sì, questo sì, però... sembrava quasi spaventato, quando ha parlato del parco acquatico. Cosa potrebbe mai mettere in fuga il dio della guerra?»

Annabeth, lei e Grover si scambiarono un'occhiata nervosa. «Temo che dovremo scoprirlo da noi» affermò la bionda.

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