Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

08. Raccontami, raccontati

𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄

«BENE» dichiarò Annabeth. «Lo zombie è vivo»

Penelope sollevò lo sguardo sul figlio di Poseidone, continuando a carezzare con calma il capo di Gladiola, il barboncino rosato, che lei aveva iniziato a chiamare "saponetta con le zampe". Grover le aveva detto che non gli sembrava un nomignolo tanto cortese ma: uno, il cagnolino sembrava sul serio una saponetta con le zampe; due, Gladiola pareva apprezzare il modo in cui la rossa l'aveva chiamato.

«Buongiorno, principessina. Dormito bene o il tuo giaciglio era troppo scomodo?» disse Penelope, osservando con un sorrisetto divertito Percy scrocchiarsi il collo e passarsi una mano sulla bizzarra forma rosata che la pelle della sua guancia destra aveva preso dopo tutta la notte passata premuta contro la mano del dodicenne.

Percy le lanciò un'occhiataccia, mettendosi seduto a gambe incrociate. Iniziò a scuotere la propria mano, borbottando qualcosa sul fatto che si fosse addormentata. «Quanto tempo ho dormito?»

«Il tempo di preparare la colazione» rispose Annabeth, lanciandogli una busta di fiocchi di mais al formaggio che Penelope e Grover avevano trovato nello snack-bar di zia Em. «Siamo anche andati in esplorazione. E, guarda, abbiamo trovato un amico»

«Ma non era una femmina?» chiese Penelope, aggrottando le sopracciglia. In risposta, Gladiola ringhiò. «Okay, no, non sei una femmina» mormorò la figlia di Ermes tra sé e sé.

Percy strizzò gli occhi guardando il barboncino. Quando parve metterlo finalmente a fuoco, il suo viso assunse un'espressione confusa. Penelope si ritrovò a dover soffocare una risata.

Gladiola abbaiò contro al ragazzino con sospetto, scrutandolo indagatore con quei suoi occhietti piccoli, neri e luccicanti. Grover lo accarezzò dietro le orecchie, sorridendo, e disse: «No, non lo è»

Percy era ancora più perplesso di prima. «Stai... stai parlando con quel coso?»

Il barboncino ringhiò.

«Questo coso,» lo avvisò Grover «è il nostro biglietto per l'Ovest. Sii gentile con lui»

«Tu parli con gli animali?». Percy spostò lo sguardo su Penelope, interrogativo. «E anche tu?»

Sia lei che Grover ignorarono la domanda. «Percy, ti presento Gladiola. Gladiola, Percy» disse il satiro.

Il figlio di Poseidone fissò Annabeth, le labbra dischiuse per lo sbigottimento. Sembrava attendere che uno di loro tre scoppiasse a ridere, rivelandogli che si trattava di un bello scherzo. Invece, i tre restarono seri e muti. Mantenere quell'espressione incolore fu estremamente complicato per Penelope, perché la faccia da pesce lesso di Percy le faceva venir una tremenda voglia di ridere.

«Non ho intenzione di dire ciao ad un barboncino rosa». Percy scosse il capo. «Scordatevelo»

Annabeth sospirò lentamente dal naso. «Percy. Noi abbiamo detto ciao al barboncino. Anche tu dirai ciao al barboncino»

Il barboncino ringhiò. Penelope s'abbassò gli occhiali da sole sul naso. Percy sospirò. Il figlio di Poseidone disse "ciao" al barboncino rosato.

Penelope ed Annabeth illustrarono le dinamiche del loro incontro con Gladiola, omettendo apertamente la parte precedente ad esso, e Grover raccontò di come il barboncino fosse scappato da una ricca casa dei dintorni e di come la sua ormai vecchia famiglia avesse posto una ricompensa di duecento dollari per la sua restituzione. Gladiola non voleva in realtà tornare dalla sua famiglia, ma affermava di essere disposto a farlo se ciò significava aiutare Grover.

Percy non sembrava riuscire a metabolizzare del tutto il racconto. «E come fa Gladiola a sapere della ricompensa?»

«Ma che domande! Ha letto gli annunci» rispose Grover.

«Naturalmente, che sciocco»

Annabeth si sistemò con calma la camicia. «Così, consegniamo Gladiola» affermò, con il suo tono strategico migliore. «E con i soldi della ricompensa compriamo i biglietti per Los Angeles. Semplice»

«Direi che è meglio evitare gli autobus» suggerì Percy, cauto, alzandosi e stiracchiandosi.

Annabeth annuì, un sorrisetto amaro sulle labbra. «Concordo». Allungò un braccio verso il fondo della collina, il cui fianco privo d'alberi era illuminato dal placido e dorato sole della mattina. A valle scorrevano dei binari che loro non aveva notato la notte prima, immersi nel buio. «C'è una stazione a meno di un chilometro da qui, andando da quella parte. Secondo Gladiola, il treno per l'Ovest parte a mezzogiorno»

Penelope guardò la figlia di Atena, nascondendo un sorriso dietro una ciocca di capelli. Il suo piano era in atto e lei sperava vivamente che funzionasse.

Trascorsero ben due giorni sul treno diretto ad Ovest, valicando colline curve e verdeggianti, attraversando fiumi che serpeggiavano sul terreno, superando ampie distese di grano che spiccavano dorate nel sole di Giugno. Fortunatamente, non subirono attacchi e questo diede loro la possibilità di rilassarsi.

Percy, tuttavia, pareva non riuscirci. Seduto accanto a Penelope, tamburellava le dita sul tavolo, muoveva i piedi in continuazione e si guardava intorno come se si aspettasse che uno degli altri passeggeri si trasformasse in un mostro pronto ad attaccarli. La figlia di Ermes lo osservava in viso, gli occhi posati sul suo sguardo teso e sulla mascella spesso serrata, ma lui sembrava non accorgersene nemmeno.

Nonostante le membra energiche ed i piedi instancabili, Penelope restò accucciata sul proprio sedile, a farsi venire il collo rigido guardando il paesaggio scorrerle sotto gli occhi, troppo veloce per esser ammirato a dovere. Con le ginocchia raccolte al petto ed una guancia premuta contro di esse, lasciò i suoi occhi osservare pigramente ciò che le fluiva sotto lo sguardo. Oppure, se si stancava di osservare il paesaggio o aveva bisogno di cambiare posizione perché stava scomoda, si voltava a guardare Grover sonnecchiare e Annabeth leggere quel suo librone sull'architettura.

Il suo pensiero, intanto, saltellava e girava e s'intrecciava, veloce come le piccole ali di un colibrì.

Non riusciva a smettere di pensare a quelle parole scambiate nella luce dell'alba, a voce bassa per non svegliare i propri compagni. Annabeth le avrebbe dato retta, rispettando quel loro instabile accordo, o avrebbe fatto di testa sua? Non ne era sicura.

Aveva visto la sua espressione, il modo in cui deglutiva costantemente come per ricacciare in gola parole che faceva meglio a non rivolgerle. Si chiedeva se tali parole fossero buone o meno e, soprattutto, si chiedeva cosa avesse pensato la figlia di Atena.

Tipico suo era provare ad immaginare cosa gli altri pensassero di lei. Non le importava delle opinioni altrui, no, non il quel senso. Tutt'altro, maestra lei era nel farsi scivolare la mala parola altrui addosso. Spesso però si chiedeva quali pensieri scaturissero dalle sue parole. Era come pensare di non venire mai ascoltata, cosa che le capitava troppo spesso per i suoi gusti. E, conoscendo Annabeth, sapeva che era raro per lei ascoltarla davvero.

Quindi la sua testa era un intricato nodo che dubitava di essere in grado di sciogliere.

Ci aveva provato, a dirle tutto. Si sentiva quasi in dovere di farlo, ma il coraggio le mancava. Per di più, il metallo di Alétheia sulle sue dita pareva scottare, quasi le stesse dicendo: "Ehi, tu! Ingrata che non sei altro! Hai per le mani la verità ma poco la pratichi!".

Ma, ancora, il coraggio veniva a mancare. Il bastardo si era andato a nascondere in qualche angoletto buio e non voleva farsi scovare. Sapeva di dover chiedere - più che chiedere, forse "implorare" - perdono, ma aveva paura che le sue scuse non venissero accettate, proprio perché Chirone aveva sempre ragione e le sue parole erano sempre vere.

Quindi, aveva provato a celare il suo tentativo di rappacificazione al di sotto di un accordo per il bene dell'impresa - "per un bene superiore", aveva detto Annabeth, e Penelope era quasi del tutto sicura che lo avesse fatto per citare Harry Potter.

Proviamo a guardare il bicchiere mezzo pieno, pensò. Proviamo a pensare che questo piano funzionerà.

Scacciò il grigiore dei suoi pensieri come avrebbe allontanato un insetto fastidioso.

Percy si era alzato in piedi e faceva nervosamente avanti ed indietro sullo stretto corridoio tra i sedili, con un giornale stretto tra le mani e gli occhi fissi sulla prima pagina. Grover giocherellava distrattamente con un tappetto metallico di una bottiglietta di CocaCola ed Annabeth era ancora immersa nella sua lettura.

«Ehi, Alghetta» lo chiamò Penelope, la voce bassa per non disturbare gli altri passeggeri, tutti con i visi sepolti dagli schermi dei loro portatili o tra le pagine di una rivista. «Che problema c'è con quel giornale?»

Percy alzò gli occhi su di lei, fermando la sua nervosa camminata. Tornò a sedersi e le porse il giornale.

La prima pagina del "Trenton Register-News" mostrava in primo piano una foto del figlio di Poseidone. Precisamente, era la foto che quel turista gli aveva scattato dopo l'incidente dell'autobus. Il viso del ragazzino era ancora ben visibile, poiché Penelope non gli aveva abbassato la testa in tempo. Tra le mani stringeva quella che lei sapeva essere Vortice, ma nella foto era una macchia sfocata e metallica, che sarebbe potuta passare tranquillamente per una mazza da baseball o un bastone da lacrosse.

La didascalia della foto diceva: "Il dodicenne Percy Jackson, ricercato per la scomparsa della madre a Long Island due settimane fa, si allontana dall'autobus a bordo del quale ha molestato alcune anziane passeggere. L'autobus è esploso ai margini di una strada del New Jersey poco dopo la fuga di Jackson dalla scena. In base alle testimonianze oculari, la polizia ritiene che il ragazzo possa viaggiare in compagnia di tre complici adolescenti. Il patrigno, Gabe Ugliano, ha offerto una ricompensa in contanti per qualunque informazione utile alla sua cattura."

«Ah, accidenti» fece Penelope, dopo aver letto la didascalia. Alzò quieta lo sguardo su Percy. «Be', caro mio, come ci si sente ad essere un noto ricercato?»

Percy strinse le labbra e si riprese il giornale, brusco. Lei sorrise incoraggiante e piegò il capo sulla sua spalla, posandolo su di essa. Il figlio di Poseidone si irrigidì al contatto, ma non protestò.

Anche Annabeth e Grover videro la fotografia in prima pagina. «Non preoccuparti» disse la bionda a Percy dopo aver letto velocemente la didascalia a sua volta. «La polizia mortale non ci troverà mai». Solo che non ne sembrava molta convinta nemmeno lei.

Il tempo parve dilatarsi e Penelope iniziò a percepire i secondi scorrere con estenuante lentezza. Guardare fuori dal finestrino divenne un passatempo scarno ed incolore, anche dopo aver scorto una famiglia di centauri galoppare in un campo di frumento, a caccia del loro pranzo. La ragazzina iniziò a pentirsi di non essersi portata dietro il suo fumetto, ma più volte si disse che sicuramente sarebbe finito bruciato con l'autobus e che quindi era stato meglio lasciarlo al campo.

Sotto al tavolino posto tra i loro quattro sedili c'erano quei piccoli scompartimenti in plastica che spesso i passeggeri usavano per riporre le loro cose durante il viaggio. Nel suo Penelope trovò, oltre ad una grande quantità di gomme da masticare secche ed appiccicate sulla plastica, un piccolo manuale di lingua francese e su come impararla. Per noia, si mise a leggerlo e a sillabare muta le parole che incontrava.

Dopo poco tempo, però, perse interesse anche per il francese. Sospirò, sapendo di essere una causa persa.

Le ore seguenti le avrebbe ricordate come una sequenza confusa ed estremamente lenta, fatta di momenti fumosi e sfuggenti. Schioccò spesso le dita, ridacchiando compiaciuta dal suono prodotto da esse; si arricciò sull'indice i capelli di Percy, che s'era addormentato con la testa sulla sua spalla; canticchiò qualcosa dei Beatles, guadagnandosi occhiate severe da un'Annabeth che non voleva essere disturbata durante la sua lettura; giocherellò con Alétheia facendola ruotare sul tavolino; si slacciò e riallacciò le scarpe un'infinità di volte.

Odiava la noia, con tutto il suo cuore. Ed odiava anche dover stare ferma per così tanto tempo, a soffocare le sue energie dentro le proprie ossa.

«Allora» disse Annabeth dopo aver aiutato Percy a rimettere uno dei piedi finti a Grover, poiché gli si era sfilato mentre si rigirava nel sonno. Fuori dal finestrino era il tramonto ed il cielo era tinto di rosso ed arancio, quasi pareva tessuto macchiato di sangue. «Chi vuole il tuo aiuto?»

Percy aggrottò le sopracciglia. «Che vuoi dire?»

«Poco fa, mentre dormivi...»

Penelope abbandonò la testa sul sedile. «... e sbavavi sulla mia spalla...»

Le labbra di Annabeth s'incresparono di un sorrisetto. «Hai borbottato: "Non ti aiuterò". Chi stavi sognando?»

Le guance di Percy si tinsero appena di rosa. Continuava a torturarsi le mani da quando si era svegliato di soprassalto, pochi minuti prima. Alla fine, vuotò il sacco, raccontando loro del baratro, della voce malvagia e di sua madre. Penelope ed Annabeth ascoltarono con gli occhi quieti e le orecchie tese.

La figlia di Ermes non sapeva cosa pensare. I suoi sospetti s'inclinavano tremendamente verso Ade, ma la parte più ragionevole del suo cervello continuava a ripeterle che non avrebbe avuto senso. Conoscendo il Signore dei Morti - sì, aveva conosciuto anche lui, ma quella è una storia davvero lunga - sapeva che non avrebbe mai ceduto un'anima mortale, nemmeno se qualcuno avesse provato ad offrirgliene un'altra in cambio. Ciò che si nascondeva nel baratro era qualcosa di ben peggiore di Ade, se lo sentiva nelle viscere.

«Non credo sia Ade» affermò Annabeth, dando voce ai suoi pensieri. «Lui appare sempre su un trono nero e non ride mai»

«Ma mi ha offerto mia madre in cambio» replicò Percy. «Chi altro potrebbe essere?»

«Non avrebbe senso comunque» disse Penelope, incrociando le gambe sul sedile. «Perché dovrebbe chiederti di portargli la Folgore se l'ha già? E poi, Ade non darebbe mai un'anima in cambio, dammi retta»

«Come lo sai?»

Penelope sospirò. «E' una lunga storia e non c'è tempo per raccontarla; il succo è che ci ho provato e lui me l'ha negato, anche quando sarei stata disposta a pagare molto»

Percy cercò la risposta nei suoi occhi, ma la voce di Annabeth attirò la sua attenzione. «Come dice Penelope, non puoi contrattare con Ade, non te lo lascerà fare» affermò la bionda. «E' disonesto, spietato ed avido. Non m'importa se le sue Benevole questa volta sono state meno aggressive»

«Stavolta?». Percy si sporse in avanti sul sedile. «Le avevi già incontrate?»

Penelope guardò Annabeth portare una mano a sfiorare la collana del campo, rigirandosi poi tra le dita la perla bianca con il disegno del pino. D'istinto, fece lo stesso. «Diciamo che non ho nessuna simpatia per il Signore dei Morti» disse la figlia di Atena. «Non puoi lasciarti indurre a stringere un patto per riavere tua madre»

«Tu che faresti se si trattasse di tuo padre?» chiese Percy.

«Semplice. Lo lascerei lì a marcire»

«Stai scherzando?»

Annabeth aveva gli occhi fissi su di lui, vorticanti come nubi di tempesta. Le sue labbra rosee erano una linea diritta e precisa, netta. «Mio padre mi detesta dal giorno in cui sono nata, Percy. Non voleva figli. Quando ha avuto me, ha chiesto a mia madre di riportarmi sull'Olimpo e di crescermi là, perché era troppo occupato con il suo lavoro. Lei non ne è stata per nulla contenta. Gli ha detto che gli eroi devono essere cresciuti dal genitore mortale»

Penelope distolse lo sguardo e lo puntò sul cielo che pian piano si tingeva di nero, sapendo di non essere in grado di ascoltare di nuovo quella storia.

«Be'... immagino che tu non sia nata in ospedale» disse Percy, cauto.

Annabeth era di una serietà spaventosa. «Sono comparsa sulla soglia di casa di mio padre, in una culla d'oro, trasportata giù dall'Olimpo da Zefiro, il vento dell'Ovest. Penserai che mio padre si ricordi della cosa come un miracolo e che mi abbia fatto una marea di foto. In realtà, mi ha sempre parlato del fatto come un'incredibile seccatura. Quando avevo cinque anni si è risposato e si è totalmente dimenticato di Atena. Ora aveva una normalissima moglie mortale, due normalissimi figli e si sforzava di fingere che non esistessi»

Il silenzio calò su di loro insieme al groppo che strinse la gola di Penelope. Non provò nemmeno ad immaginare cosa volesse dire sentirsi non voluti da un genitore, perché lo sapeva già. E faceva male, tanto. Per questo non pensava mai a suo padre.

«Mia madre ha sposato un tizio orrendo» disse Percy, infrangendo il silenzio. «Secondo Grover l'ha fatto per proteggermi, per nascondere il mio odore in quello di una famiglia umana. Forse è quello che anche tuo padre aveva in mente»

Annabeth armeggiava con la collana del campo, stringendo più volte l'anello d'oro che vi portava appeso. «A lui non importava di me» affermò. «Sua moglie, la mia matrigna, mi trattava come se fossi una svitata. Non mi lasciava mai giocare con i suoi bambini e mio padre era d'accordo. Ogni volta che accadeva qualcosa di pericoloso, che riguardasse i mostri, mi guardavano tutti e due come se pensassero: "Come osi mettere a repentaglio la sicurezza della nostra famiglia!". Alla fine, ho colto il messaggio. Non ero desiderata. E sono fuggita di casa»

«Quanti anni avevi?»

«Gli stessi di quando sono arrivata al campo: sette»

«Ma non puoi essere arrivata alla Collina Mezzosangue da sola» contestò Percy.

«Non da sola, no. Atena ha vegliato su di me e mi ha condotta verso il soccorso»

Annabeth puntò lo sguardo in quello di Penelope, e a lei vennero i brividi.

Gli occhi della ragazza erano limpidi come uno specchio d'acqua, almeno per lei. Chinò il capo, vergognandosi di sé stessa ed ingoiando le proprie lacrime.

«Ho incontrato degli amici che mi hanno aiutata, almeno per un po'» concluse Annabeth.

Quando il silenzio calò di nuovo su di loro lo fece con forza, gravandole sulle spalle. Con lo sguardo offuscato di lacrime osservò le luci di una città lontana che si stagliavano contro il cielo della notte, ripescando un ricordo dalla propria memoria. La vide bambina, lo sguardo rivolto alla Luna ed il volto quieto. Nella luce bianca i suoi capelli parevano argento. La vide bambina, lo sguardo rivolto all'unica amica che per tanto tempo aveva avuto.

La mano di Percy che accidentalmente sfiorò la sua, posata sul bracciolo del sedile, la destò da uno stato di sonno-veglia dal quale non riusciva ad uscire. Penelope si riscosse, per un momento desiderando di nuovo il calore della mano di Percy; le sue di mani erano sempre fredde. Si voltò a guardare il figlio di Poseidone, fuori ancora era notte.

Anche lui la guardava, gli occhi verdi che al buio parevano più scuri. «Scusa, non volevo svegliarti»

«Tranquillo» replicò lei, lanciando uno sguardo ad Annabeth e Grover per assicurarsi che stessero dormendo. Così era. «Tanto non dormivo»

«Non ci riesci?»

Penelope annuì. «Tu?»

«Facevo il turno di guardia.»

La figlia di Ermes riuscì per un attimo a sorridere nel viso appesantito di stanchezza. Sospirò, fissando il soffitto della carrozza e l'impianto di aria condizionata lì fissato. La luna quella sera era uno spicchio sottile e chiaro, risaltava nel cielo, e le parole le sgorgarono dalla bocca come acqua di fonte, senza che lei potesse controllarle.

«Scusa.»

«Per cosa?»

Esitò. «Per averti risposto male, l'altro giorno, quando Chirone ti ha detto dell'impresa. Avrei dovuto capire che dovevi ancora elaborare quello che stava succedendo. Ero arrabbiata: non volevo far parte di questa impresa.»

Percy restò in silenzio per qualche attimo, lo sguardo fisso sul suo viso. «Per colpa mia?»

«No, assolutamente» rispose lei, scuotendo il capo. «Tu non c'entravi niente. E' che... dopo l'estate scorsa e l'impresa di quell'anno non volevo più sentir parlare di questo tipo di cose, tutto qui»

«Però sei venuta lo stesso. Hai accettato quando te l'ho chiesto»

«Le promesse si mantengono, Percy. E non ho intenzione di romperne altre, almeno per ora»

Percy non fece domande, come invece lei s'aspettava che facesse. Un po' gliene fu grata. Non aveva voglia di raccontare cose alle quali non voleva pensare. Le tornò in mente Achille ed il suo scagliare via lo scudo, nel sogno, e si sentì nello stesso modo. Respingeva ciò che le causava brutti pensieri perché sapeva che quegli stessi pensieri avrebbero fatto un gran male.

«C'è una cosa che non ho capito» affermò Percy dopo lunghi minuti spesi in silenzio.

Si voltò a guardarlo con un sorrisetto. «Sembrano esserci tante cose che non capisci, eh?»

Lui le tirò una ciocca di capelli, piano, con le labbra arricciate. «Dai, spiega»

«Non so nemmeno cos'è questa cosa che non hai capito! Come faccio?»

Percy sorrise a sua volta, di un sorriso piccolo come schegge di vetro. «Annabeth ha detto di essere arrivata al campo cinque anni fa, quando aveva sette anni. Anche tu sei arrivata al campo a quell'età. Siete arrivate insieme, vero? Eravate te e Luke gli amici di cui parlava»

I passeggeri sul treno dormivano e Penelope ascoltava i fruscii del loro sonno. Fissò lo sguardo negli occhi di Percy, il cui colore era quasi del tutto scomparso, nascosto dalle pupille dilatate nel buio.

Poteva dirglielo o no? Non sapeva se Annabeth volesse parlargliene o meno. Alla fine, annuì con incertezza, prendendo a mordicchiarsi il labbro superiore ed attendendo che lui finisse.

«Allora mi chiedo: perché vi sopportate così poco se è così tanto tempo che vivete assieme?»

La ragazzina sospirò stancamente. Conosceva la risposta a quella domanda e la odiava. «E' una lunga storia anche questa»

«Sono davvero stufo di sentirmi che sono lunghe storie» replicò Percy, le sopracciglia aggrottate. «Raccontamela, anche se è lunga»

Penelope si sistemò sul sedile, strofinandosi poi il viso con le mani. Aveva affrontato così tante volte quel discorso, sia con Luke che con sé stessa, che ormai parlarne sembrava quasi ripetere una poesia a memoria. «Ho iniziato io» affermò, deglutendo poi. «Quando abbiamo incontrato Annabeth ero felice di aver trovato una bambina della mia età. Sai... mi sentivo un po' sola ad essere la più piccola. All'inizio mi stava simpatica. Però poi, col tempo, ho iniziato a notare che Luke la trattava come una sorella. La trattava come trattava me»

«E che problema c'era con questo?»

«Oh, ero gelosa. Gelosa, gelosa, in una maniera che nemmeno immagini. E avevo paura che si fosse stancato di avermi come sorellina. Temevo che, per questo, preferisse lei a me, e questo non faceva che aumentare la mia gelosia»

Percy la guardò in silenzio per lunghi istanti, scrutandola in viso. Il modo in cui i suoi occhi analizzavano il suo viso le ricordò gli occhi nerissimi di Nerea; sorprendentemente, era lo stesso tipo di sguardo. Continuò a parlare nella sua assenza di repliche.

«Poi... è venuto tutto da solo. Mi sento stupida a dire che il mio era un meccanismo di difesa, ma così era. Be', non del tutto, perché un po' la respingevo nella credenza che se l'avessi allontanata da me l'avrei allontanata anche da Luke. Solo che con il tempo sono venute fuori tante altre cose, e anche quando non avrei più avuto motivo di aver paura che Luke mi snobbasse per lei, Annabeth mi ha mostrato lati di sé che non m'andavano tanto a genio»

«E quindi è andata avanti» concluse Percy.

«Esatto». Penelope guardò la figlia di Atena, che dormiva tranquilla. Un ricciolo dorato le solleticava una guancia e lei, per questo, arricciava spesso il naso nel sonno. «Credo che la sua antipatia sia stato un meccanismo di difesa a sua volta. Non hai idea di quante volte io ci abbia pensato. E' stato tutto un gioco di cause, conseguenze e riflessi»

«Perché non le dici tutte queste cose?» chiese il figlio di Poseidone, rubandole la fish dalle dita e facendola girare sul tavolino. A stare con la casa di Ermes qualcosa aveva imparato a fare, in effetti. «Magari riuscireste a far pace»

Qui sta il problema, Testa d'alghe, pensò la dodicenne, sollevando per l'ennesima volta lo sguardo agli occhi del ragazzino. «Non è così facile» disse, voltandosi poi a guardare il cielo spento fuori dal finestrino.

«Perché no?»

Sospirò con lentezza, percependo l'aria farsi spazio nei suoi polmoni e poi riuscire. Le parole erano lì, sulla sua lingua, e pungevano il suo palato. Eppure, stentava a cavarle fuori.

Alla fine, ci riuscì.

«Ho paura che dopo tutte le cose che le ho detto e fatto non sia più disposta a perdonarmi. Tieniti stretti gli amici, Percy»

Non gli lasciò possibilità di replicare. Si girò sul sedile, dandogli la schiena, e fissò lo sguardo sulla Luna che splendeva ancora alta nel cielo. Con quell'immagine in mente ed un nodo alla gola chiuse gli occhi, sperando che al suo risveglio la memoria di quelle parole sarebbe svanita, fuggendo da sotto le palpebre come fanno i sogni all'arrivo della luce.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro