07. Per un bene superiore
𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄 𝐞𝐝 𝐀𝐍𝐍𝐀𝐁𝐄𝐓𝐇
«MA COSA LE E' PRESO?» sbottò Percy infrangendo il silenzio, con ancora Vortice stretta in mano.
Ai suoi piedi, immobile, stava la testa di Medusa, dalla quale colava ancora della melma verdastra. Tutto ciò che restava del corpo della gorgone era una piccola montagnetta di polvere d'oro, che la brezza della sera si portò via con pochi istanti spargendola sul terreno.
Penelope sospirò, liberandosi del peso dell'agitazione che le gravava sul petto. Puntò Alétheia al terreno, poggiandovi poi il peso sopra.
Percy la guardò, un'espressione stranita in viso. «Potreste spiegarmi? Voi avete capito?»
Grover, per quanto cosciente fosse ancora lì tra le zampe del grizzly, scosse il capo. A quel punto gli occhi di Percy incontrarono quelli di Penelope, sempre più colmi di domande. La figlia di Ermes si passò una mano tra i capelli e strizzò gli occhi. Il silenzio era teso e crepitante di elettricità.
«Devo andare a parlarci?» domandò il dodicenne.
Penelope scosse la testa. «Non ci andrà nessuno» affermò.
«Ma tu hai capito cosa le è preso?»
«Sì che ho capito, Percy»
«E allora spiegami!»
Penelope si umettò le labbra, pensando a quanto quel ragazzino, delle volte, fosse lunatico peggio della Luna stessa. Si sentiva la bocca pastosa come piena di sabbia bagnata.
«Allora? Di quale verità parlava?» insistette lui.
Penelope guardò in terra, sospirando. «Ci sono diverse versioni di questo mito, ma le più comuni sono due. La prima, quella a cui Medusa faceva riferimento, vede Atena scoprire Poseidone e Medusa "spassarsela" nel suo tempio. Non potendo vendicarsi su Poseidone perché un dio, lei punì Medusa, che era mortale, rendendola la gorgone. Nella seconda versione invece, be', Poseidone cerca di... di fare del male a Medusa nel tempio di Atena. Quest'ultima li trova e aiuta lei. Per proteggerla da eventuali altri tentativi di violenza le dona la capacità di trasformare chiunque guardasse in pietra. Ora, la versione a cui noi preferiamo credere è la seconda perché... perché ci sembra quella più...»
«Politicamente corretta?» chiese Percy, aggrottando le sopracciglia. «Non mi pare lo sia, dato che Poseidone passa per una cattiva persona»
«Chirone ti direbbe che i tempi erano diversi e gli dèi erano giovani» replicò Penelope, nascondendosi le mani in tasca con un sospiro. «E fin troppe volte la gente commette errori quando è giovane, anche le divinità. Annabeth... stava cercando di dire a Medusa la verità. O almeno quella che lei pensava lo fosse. Evidentemente, Medusa aveva sempre creduto alla prima versione del mito, pensando che Atena l'avesse fatto per punirla». Percy stava per replicare, ma lei non gliene diede modo. «Hai comunque agito con buone intenzioni, perché quasi sicuramente Medusa avrebbe ucciso Annabeth. Dubito fortemente che l'avrebbe ascoltata»
«Che ci facciamo con quella?» chiese Grover infrangendo il silenzio che era calato su loro tre, indicando con un cenno del capo la testa della gorgone.
«Funziona ancora, quindi non guardatela» affermò Penelope. Osservò le espressioni dei suoi due amici. «Devo occuparmene io, vero?
«Sarebbe gradito» annuì Percy, tendendole il velo nero che Medusa portava sul capo.
Penelope sospirò stancamente, sentendosi improvvisamente priva di energie. La scarica di adrenalina di poco prima era stato un bel colpo dopo quasi un anno passato nella più piatta quiete. Si chinò sulle ginocchia, tenendo gli occhi rigorosamente puntati al cielo notturno, esteso sopra le loro teste come un manto scuro. S'affidò al proprio tatto per avvolgere la testa della gorgone nel velo, rabbrividendo quando quella melma verdastra entrò in contatto con le sue dita. Una volta finito, sollevò il risultato e lo allungò a Percy.
Lui sollevò un sopracciglio. «E' opera tua, Aquaman. Ti appartiene» gli disse lei.
«Sei tu che l'hai raccolta»
«Sei tu che l'hai ammazzata»
Grover scese dalla statua del grizzly soffocando piccoli lamenti di dolore. Il berretto verde gli pendeva di traverso da uno dei corni caprini che gli spuntavano tra i ricci e le scarpe alate gli svolazzavano intorno alla testa, come uccellini alla ricerca di briciole per sfamarsi. Avendo notato che Percy non aveva alcuna voglia di tenere in mano la testa di Medusa, la prese lui.
Il figlio di Poseidone gli sorrise. «Il Barone Rosso. Ottimo lavoro, amico»
Grover sorrise timidamente. «Non è stato divertente. Be', aspetta, la parte delle randellate con la mazza sì. Ma lo schianto sull'orso... No, quello no»
«Atterraggio morbido, eh?» sorrise Penelope. Più guardava Grover più si dava dell'idiota per non essere stata in grado di resistere alle persuasioni - e alle patatine fritte con maionese - di Medusa. «Scusa, Grovie. Avremmo dovuto darvi retta»
Il satiro si strinse tra le spalle. «Meh, fa niente. Avremmo potuto evitare questo, però siamo ancora tutti interi»
«Ma perché la testa non si è disintegrata?» domandò Percy, osservando la testolina di un serpentello che era riuscito a bucare il velo nero e a sgusciare fuori.
«Diventa bottino di guerra dopo esser stata tagliata» rispose Grover. «Come il corno del Minotauro»
Penelope recuperò le scarpe volanti con un saltello, legandone poi i lacci tra loro per tenerle insieme. Le avrebbe ridate a Grover dopo aver dato un breve controllo alle ali. Aveva conosciuto quelle calzature due anni prima, ma le sembrava che ci fosse qualcosa di strano in esse. Percy rimise il cappuccio alla spada, che tornò una penna. Insieme, rientrarono nel magazzino.
Di Annabeth, al suo interno, non v'era alcuna traccia.
«Dove è andata, se non è qui?» chiese Grover. «E' tornata nel bosco?»
«Probabile» concordò Penelope «Non può essersene andata, non lo farebbe mai»
Sul bancone della cucina trovarono delle buste di plastica, quelle che si usavano per mettere sottovuoto i cibi. Le utilizzarono per avvolgere la testa di Medusa, così che la melma verde smettesse di sporcare le loro mani e di colare ovunque. Poi posarono il grazioso, per modo di dire, pacchetto sul tavolo su cui avevano mangiato e si sedettero, esausti.
Penelope incrociò le braccia sul tavolo e vi poggiò la testa, chiudendo poi gli occhi. Si chiedeva dove fosse finita Annabeth, sentendosi un saporaccio amaro sulla punta della lingua. Non capiva perché si sentisse così... così giù di morale, mogia mogia. Vedere la figlia di Atena tentare di mostrare la verità alla gorgone, rischiando persino la vita, era stato incredibile. "Incredibile" in senso sia positivo che un po' meno.
Positivo perché non si sarebbe mai aspettata quell'ostinazione, quel fervore con cui Annabeth aveva fatto ciò che aveva fatto. L'aveva vista tremare, mentre seguiva la scena con gli occhi spalancati. Tra il timore di veder Medusa scagliarsi contro la semidea senza pensarci troppo e la curiosità che la spingeva a continuare a guardare, non era stata in grado di fare altro. Solo guardare. Un po' si sentiva idiota per questo. Non aveva nemmeno provato a fermare Percy dal tagliare la testa a Medusa, anche se, col senno di poi, non sarebbe stata comunque un'ottima scelta.
Un po' meno positivo perché ora si sentiva come quando non riusciva a portare a termine un compito importante, al quale teneva. Quasi si sentiva in colpa per non aver aiutato Annabeth nella sua difficoltosa ricerca della verità.
Percy aveva parlato del "politicamente corretto" e lei non sapeva più cosa pensare. Perché si credeva - o almeno, lei aveva imparato a credere - nella seconda versione del mito piuttosto che nella prima?
Strizzò gli occhi, non volendo farsi venire un'emicrania a forza di ragionare troppo su quelle cose.
«Basta poltrire, andiamo a cercare Annabeth» affermò la figlia di Ermes, tirandosi in piedi. Grover e Percy seguirono i suoi movimenti con lo sguardo. «E' da sola, di notte, sul ciglio di una strada secondaria o in mezzo ad un bosco. Andiamo, pigroni»
Il satiro si alzò e la affiancò, ma Percy restò seduto. Sembrava arrabbiato e lei non capiva perché. Aveva in viso un'espressione dura come il marmo, che un po' strideva con i lineamenti ancora morbidi di un'infanzia appena sfiorita. Che fosse per quella questione del mito?
Gli posò una mano su una spalla, chinandosi per guardarlo in faccia. «Ehi, Alghetta, che hai?»
Ciò che le fece impressione fu il modo in cui il mare pareva vorticare rabbioso negli occhi del ragazzino. Percy si alzò, i pugni stretti e scrollandosi la sua mano di dosso. Penelope ci restò un po' male. «Torno subito» disse, sparendo poi dietro la porta che conduceva al retro del magazzino.
«Certo che è lunatico, eh?» commentò Grover, sedendosi sul bordo del tavolo ed incrociando le braccia al petto.
«E' quello che dico io» replicò Penelope. «Più che lunatico direi... mutevole, come il mare»
L'angolo sinistro delle labbra di Grover si curvò in un sorrisetto. «Sempre a trovare il lato poetico delle cose stai»
«Pfff, io? Ma quando?»
Entrambi risero e Penelope si sentì il petto un po' più leggero. Pochi attimi dopo Percy tornò con tra le mani un pacco di cartone, del nastro adesivo e dei tagliandi di spedizione. Penelope aveva già visto quegli oggetti: appartenevano al Corriere Espresso di suo padre.
Il figlio di Poseidone impacchettò la testa di Medusa sotto gli occhi curiosi di Grover ed i suoi, straniti. «Ma si può sapere che cosa accidenti stai facendo?» chiese lei, scrutando da oltre la spalla di Percy il dodicenne scrivere sul tagliandino del pacco:
Gli dèi
Monte Olimpo
600esimo Piano
Empire State Building
New York, NY
Cordiali saluti,
Percy Jackson
Penelope aveva la bocca spalancata. Guardò Percy, il quale ricambiò lo sguardo e le rivolse un ghigno da volpe che era certa avesse imparato da lei. La dodicenne si fece dare il cinque, ridendo divertita.
«Non gli piacerà affatto» commentò Grover, rileggendo per l'ennesima volta ciò che Percy aveva scritto. «Penseranno che sei impertinente»
Percy infilò qualche dracma dorata nel sacchetto, facendo spallucce.
Penelope percepiva la presenza di una ventina di dollari nella tasca destra dei suoi jeans. Infilò una mano in quella tasca e ne cavò fuori le banconote, senza nemmeno che Percy se ne accorgesse. «Queste le tengo io» disse, sventolandogli le banconote davanti al viso.
Quando Percy chiuse il sacchetto s'udì un suono simile a quello di un registratore di cassa. Il pacco si staccò dal tavolo, fluttuando, e svanì con un pop!
«Grover, io sono impertinente» disse il dodicenne al satiro, rivolgendogli un'occhiata. Grover, in risposta, sospirò e si strinse tra le spalle.
«Tempo di muoverci, messieurs» disse Penelope, prendendo poi sottobraccio i suoi due amici e compagni. «Abbiamo una stratega da trovare e una Folgore da recuperare»
Trovarono Annabeth seduta sul ciglio della strada, immersa nel buio di quella notte senza stelle e con il pugnale talmente stretto tra le dita che le nocche le erano diventate bianche.
Quando li sentì arrivare si voltò. La sua pelle pareva candido marmo alla luce argentea della luna e gli occhi erano più chiari del solito, parevano quasi bianchi e a Penelope ricordarono quelli di Achille. «Ve la siete presa comoda?» chiese.
Sulle labbra di Percy stavano adagiate delle scuse che avrebbe voluto porle, Penelope le vedeva chiaramente. Purtroppo, il dodicenne non sembrava avere molta intenzione di parlare. «Dovevamo sistemare il bottino di guerra» disse la figlia di Ermes. «Percy l'ha spedito sull'Olimpo»
Annabeth strabuzzò gli occhi. «Cosa ha fatto?!»
«Inutile arrabbiarsi, Einstein. Chiudi un occhio ogni tanto» replicò la rossa, tendendole una mano per aiutarla a rialzarsi.
Annabeth guardò prima Percy poi lei con un broncio. Fissò la mano che Penelope le aveva teso come se volesse tagliarle le dita una per una e si rialzò velocemente, da sola. «E' meglio nascondersi nel bosco, qui è rischioso» affermò attraversando la strada e dirigendosi verso gli alberi. Quando vide che non la seguivano li fissò tutti e tre con sguardo inacidito. «Che c'è, Percy? Senti ancora il profumo di hamburger o vuoi fare un'altra innocente foto?»
Penelope le lanciò uno sguardo d'avvertimento, sapendo che la figlia di Atena era lì lì per far scoppiare un litigio. Francamente, non ne aveva voglia. Annabeth la guardò a sua volta. Il suo sguardo era di una freddezza che un po' le fece male. La bionda si voltò e procedette verso il bosco.
Penelope, Percy e Grover la seguirono e si accamparono tra gli alberi, in una radura fangosa e di forma circolare che era stata chiaramente utilizzata da dei ragazzini per dei festini o qualcos'altro. Per terra c'erano lattine schiacciate di birra e cartacce di fast-food a non finire.
Erano tutti e quattro di umore nero come la notte che li avvolgeva ed il fatto che non si azzardarono nemmeno ad accendere un fuoco per non attirare altri mostri peggiorò la situazione. Penelope sperava che il calore e la luce dolce del fuoco riuscissero ad accendere un po' gli animi. Si sedette tra le radici robuste di un albero, poggiando poi la schiena contro il tronco.
Percy propose a loro tre di dormire, affermando che avrebbe svolto lui il primo turno di guardia. Annabeth non se lo fece dire due volte e si raggomitolò sopra le coperte che avevano trovato nel magazzino da zia Em, addormentandosi appena poggiata la testa a terra. Grover s'arrampicò facilmente sul ramo più basso di un albero, poggiò la schiena e la testa al tronco e si mise a scrutare il cielo. Sospirò nel vedere che era vuoto. Percy invece si sedette poco lontano da Penelope, osservandola slacciare i lacci della scarpe volanti.
La figlia di Ermes si mise a controllare le calzature. Le chiamò e quelle misero le ali, ma lei le trattenne a terra. Un silenzio umido come l'aria che li circondava si depositò sulla radura.
«Dormite pure» disse Percy. «Se ci sono problemi vi sveglio»
«Voglio dare un'occhiata alle scarpe» si giustificò Penelope, mostrandole al dodicenne. Grover si limitò ad annuire, ma restò sveglio.
Le ali le sembravano a posto. Eppure c'era qualcosa di diverso nel modo in cui le scarpe si muovevano quando Grover le aveva addosso, Penelope lo aveva notato. Passò attentamente le dita tra le piume candide e soffici. Ma niente, non c'era nulla di visibilmente diverso. Erano solo un paio di scarpe un po' troppo grandi per lei, rovinate dal tempo e dall'uso e di un bianco ormai sporco. Chiamò Grover e gliele restituì, lanciandogli prima la destra e poi la sinistra. Il satiro le indossò e le allacciò con calma.
Penelope provò a dormire, raggomitolandosi contro al tronco e poggiando la testa sul legno. Il bosco era silenzioso e scuro e lei si abbandonò un po' a quel buio. Chiuse gli occhi e iniziò a contare i proprio respiri.
«Che tristezza, ragazzi» disse Grover dopo un po'.
Percy parlò a voce bassa, probabilmente per non svegliare lei ed Annabeth. «Ti sei pentito di essere partito per questa impresa?»
«No, è questo che mi rattrista». Penelope, ad occhi socchiusi, vide il satiro indicare tutta l'immondizia che c'era per terra. «E il cielo. Non si vedono nemmeno le stelle. Lo hanno inquinato. E' una terribile epoca per i satiri»
«Ah, ecco. Ci avrei scommesso che eri pure un ambientalista» replicò Percy.
«E chi non lo è, dimmi? Solo gli umani. La vostra specie sta inquinando così in fretta il mondo che... ah, lasciamo perdere. E' un discorso così lungo e complesso. Ed è inutile dare lezioi ad un essere umano. Se le cose continuano di questo passo, non troverò mai Pan»
«Pam? Chi è, una tua amica?»
Le labbra di Penelope si curvarono appena in un sorriso sul suo viso placido. Tese le orecchie per ascoltare quel loro discorso, non abbastanza stanca e tranquilla per dormire.
«Pan!» esclamò Grover indignato. «P-A-N. Il grande dio Pan! A cosa credi mi serva la licenza da cercatore?»
Una brezza fresca spazzò la radura, insinuandosi tra i rami degli alberi. Il profumo di bacche, fiori selvatici e limpida acqua piovana coprì per pochi attimi il tanfo di sporcizia e rifiuti che gravava sul bosco. Penelope si sentì come rasserenata da quella carezza sulla sua pelle.
«Parlami della ricerca» chiese Percy a Grover.
Il satiro esitò un attimo, ma poi parlò. «Il dio delle selve è scomparso quasi duemila anni fa. Un marinaio al largo della costa di Efeso udì una voce misteriosa che gridava dalla riva: "Dite loro che il grande dio Pan è morto!". Quando gli umani ricevettero la notizia, ci credettero. E da allora saccheggiano il regno di Pan. Ma Pan era il nostro signore e padrone. Proteggeva noi satiri e tutti i luoghi selvaggi della terra. Ci rifiutiamo di credere che sia morto. Ogni generazione, i satiri più coraggiosi consacrano la propria vita alla ricerca di Pan. Setacciano la terra, esplorando i luoghi più selvaggi, sperando di scoprire dove si sia nascosto e di destarlo dal suo sonno»
«E quindi tu vuoi diventare un cercatore» concluse Percy.
«E' il sogno della mia vita. Mio padre era un cercatore a sua volta, e lo zio Ferdinand... la statua che hai visto laggiù...»
«Oh, vero. Mi dispiace»
«Lo Zio conosceva i rischi, così come mio padre. Ma io ce la farò. Sarò il primo satiro a tornare sano e salvo»
«Aspetta... come? Il primo?»
«Sì. Nessun cercatore ha mai fatto ritorno, Percy. Una volta partiti, scompaiono. Nessuno li ha più visti vivi»
«Nemmeno una volta in duemila anni?»
«No»
«E quindi di che fine abbia fatto tuo padre non sai niente?»
«No»
Percy pareva sbigottito. «E vuoi partire lo stesso. Cioè, credi davvero che sarai tu a trovare Pan?»
«Devo crederci, Percy. La chiave del riuscire in qualcosa è crederci. O almeno questo mi ha sempre detto Penny. A volte tira fuori certe perle quella ragazza...»
Penelope si sentì lo sguardo di Percy addosso. «E ci credi» disse lui.
«Con tutto me stesso, sì. E' l'unica cosa che ci salva dalla disperazione quando vediamo ciò che gli umani hanno fatto al mondo. Devo credere che Pan possa essere risvegliato»
Il silenzio si posò nuovamente su tutti loro, quasi come un velo trasparente e sottile, questa volta non pesava come il precedente. Penelope si sentì più tranquilla, persino. Stava per addormentarsi definitivamente quando la voce di Percy colpì di nuovo il suo udito, sempre da tono basso.
«Come faremo ad entrare negli Inferi?» chiese il figlio di Poseidone. «Cioè, insomma, che possibilità abbiamo contro un dio?»
«Non lo so» ammise Grover. «Spero che Penny si ricordi la strada dall'estate scorsa, o che comunque conosca un modo. Magari può chiedere qualche favore... Achille ha un'ottima fama, laggiù. In caso contrario, credo proprio che Annabeth-»
«Oh, giusto, dimenticavo» sbuffò Percy, improvvisamente stranito. «Annabeth avrà sicuramente un piano»
«Non essere così duro con lei, Percy. Ha avuto una vita difficile, ma è una così brava persona. Dopotutto, mi ha perdonato»
Il cuore di Penelope perse un battito.
Contrasse il viso nel sentirsi un groppo di lacrime formarsi nel bel mezzo della sua gola. Si detestava, si detestava proprio. Non aveva ancora mai detto a Grover di non avercela nemmeno con lui, figuriamoci doverlo perdonare. Non l'aveva mai fatto. E continuava ad andare avanti, ad essere sua amica, quando lui questa cosa ancora non la sapeva. Era un'idiota.
«Che vuoi dire?» chiese Percy. «Perdonato per cosa?»
Penelope sapeva che Grover la stava guardando. Si sentiva i suoi occhi bruciare addosso e dovette mantenere un autocontrollo di ferro per non muoversi di un solo centimetro.
«Aspetta un attimo» disse il figlio di Poseidone dopo diversi secondi spesi ad attendere una risposta da parte del satiro. «Il tuo primo incarico da custode è stato cinque anni fa. Annabeth è al campo da cinque anni. Lei è il tuo primo incarico andato male, vero?»
La voce di Grover tremò come una foglia in balia del vento. «Non ne posso parlare»
«Ma-»
«Percy, per favore». Il figlio di Poseidone non replicò e Penelope si detestò ancora di più. «Come stavo dicendo... Prima, mentre camminavamo qua in mezzo, ho ripensato ad una cosa. C'è qualcosa di strano in questa impresa e credo che l'abbiano notato anche le ragazze. Forse tutto questo non è quello che sembra»
«Ma dai!» rise sarcasticamente Percy. «Guarda, non me ne ero accorto! Accusano me di aver rubato una cosa che invece ha preso Ade!»
«Non sto parlando di questo. Le Fur... le Benevole, sembrava quasi che si stessero trattenendo. Anche la Dodds alla Yancy: perché non ti ha ucciso subito, aspettando invece così tanto? E poi, sull'autobus, non erano così aggressive»
«A me non è sembrato»
«No. Non ci hanno attaccato subito. Continuavano a chiederci: "Dove l'avete messo? Dov'è?"»
«Cercavano me»
«Forse, ma ho la sensazione che non stessero cercando qualcuno, ma qualcosa»
A Percy uscì un mezzo verso nasale, forse un vano tentativo di soffocare una risata. «Ma questo non ha senso»
«Lo so. Ma c'è qualcosa che mi puzza in questa impresa, qualcosa che mi sfugge. E abbiamo solo nove giorni...»
Di nuovo, calò il silenzio. La tranquillità che popolava le membra di Penelope era più che svanita. Non credeva di riuscire a dormire, non con le parole di Grover ancora a frullarle in testa. Ma alla fine la stanchezza ebbe a meglio, probabilmente per opera di quell'infido del dio Ipno. Si lasciò cullare dal buio delle sue palpebre, sperando che la luce del giorno avrebbe portato cose migliori.
Quando Annabeth si svegliò aveva ancora addosso la sensazione di trovarsi le membra strette da tanti, sinuosi serpenti. Rabbrividì scossa da freddo disgusto, tentando di calmare il suo respiro.
Tra i rami sopra di lei s'intravedeva una porzione di cielo, tinto di un arancio soffice come cotone. L'Aurora dalle rosee braccia stava lentamente sollevando il velo della notte, dando vita all'alba.
Spese alcuni minuti ad osservare quella piccola parte di cielo concessale dagli alberi e dai loro spigolosi rami, sapendo che la notte era passata e lei stava bene. Voltò il capo a guardare i suoi compagni ed amici, dicendosi che anche loro stavano a posto.
Sia Percy che Grover dormivano come ghiri. Dalle labbra del figlio di Poseidone scendeva un rivoletto di saliva che un poco la fece sorridere. Il satiro, invece, aveva in mano il proprio flauto. Forse, per ingannare il tempo prima di addormentarsi, s'era messo a suonare qualcosa.
Penelope era sveglia, e la guardava.
Quando i loro sguardi si incrociarono la figlia di Ermes non s'affrettò a distogliere gli occhi ma li tenne fissi sul suo viso. Nella poca luce che soffice iniziava a filtrare tra i rami degli alberi sopra di loro, i suoi occhi azzurri le parvero più scuri del solito, un po' come le acque del mare al coricarsi del giorno.
«Sei inquietante» affermò Annabeth, la bocca pastosa e la testa leggera di sonno. «Smetti di fissarmi»
L'angolo destro delle labbra di Penelope si curvò verso l'alto in un ghigno beffardo, che giacque sulla sua bocca con quella naturalezza che sempre le si addiceva. Disse con tono di scherno: «Sistemati i capelli. Sono scompigliati»
Annabeth sospirò, tirandosi su a sedere con un colpo di reni. Si stropicciò il viso e si stiracchiò, sentendosi con piacere le vertebre scrocchiare. Adorava far suonare in quel modo le sue ossa; probabilmente, a forza di scrocchiarsi le dita delle mani, sarebbe arrivata a non poterle muovere più.
«Hai fame?» le domandò Penelope, la cui voce suonò improvvisamente vicina.
Annabeth si sorprese di non aver subito udito il suo passo. Possedeva piedi veloci, scattanti ed agili, le cui piante spesso accarezzavano il terreno senza che niente vi fosse tra esso e la pelle. Il suo passo era però stranamente greve sulla terra, quasi vi fosse un peso, posato forse sul suo cuore.
La figlia di Atena si voltò e la vide sedersi a gambe incrociate a due metri di distanza da lei. Sembrava che non volesse avvicinarsi di più per paura di farsi male. E, conoscendo il loro tremendo modo di fare, il timore era più che valido. Scosse in risposta il capo, non sentendo ancora la fame mordicchiarle lo stomaco. In compenso, si mise a legare i propri capelli in una treccia laterale.
Si sentiva tranquilla, nell'aria fresca e frizzante della mattina che accarezzava la sua pelle. Quasi non faceva più caso all'odore poco gradevole del bosco, essendocisi abituata un poco. Grover ronfava sul ramo dell'albero, le gambe penzolanti ed il capo abbandonato su di una spalla. Percy dormiva di fianco, un'espressione un po' corrucciata in viso. Il suo non pareva un sonno molto tranquillo.
La presenza di Penelope poco lontana la rendeva nervosa. Si chiedeva come mai le stesse così vicina e soprattutto perché fosse così tranquilla. Dopo tanto tempo, aveva imparato che passare con lei più di cinque minuti in completo silenzio e pace voleva dire una cosa sola: guai erano in vista.
La figlia di Ermes si rigirava la sua fish tra le dita, giocherellandoci. Se la faceva passare di dito in dito, sulla parte esterna della mano, facendola girare. Spesso occupava tempo con quel giochino. Le sue dita erano sottili e lunghe per essere quelle di una di una quasi adolescente, appena uscita dall'infanzia, e si muovevano con un'agilità quasi ipnotica.
Il silenzio che regnava sovrano su loro due, corda tesa tra due estremità che sempre di più s'allontanavano, s'interruppe quando la rossa parlò. «Sai, Chase, dovremmo smettere di litigare»
Annabeth la guardò. Giocherellava ancora con la fish, ma sulle sue labbra sottili era posata la frase che lei pareva non aver concluso.
Un'ondata di pungente fastidio le riempì la bocca a quelle sue parole. «Continua»
Penelope prese un bel respiro, come prima di immergersi sott'acqua. «Se continuassimo a fare come abbiamo sempre fatto... a bisticciare, litigare, battibeccare per ogni singola, minima e piccola cosa, non tornerebbe utile a nessuno. Non credi?»
Stava costruendo un discorso con parole caute, attenta a non dire qualcosa che avrebbe potuto far scattare l'ennesimo litigio, Annabeth se ne rese conto. Poco tipico di lei e della sua impulsività scoppiettante.
Percepì il silenzio farsi più teso mentre un raggio di luce rosata iniziava a danzare sui capelli della rossa, giocando con quel colore così vivido a rendendolo più dolce. «Ci ero già arrivata da tempo, ma vorrei sentire cosa hai da dire ancora»
Penelope strinse le labbra e lei si rese conto di aver usato un tono troppo acido.
La figlia di Ermes continuò. «Rischieremmo solo di mettere a repentaglio la riuscita dell'impresa, cosa che non possiamo assolutamente permetterci. In più, sarebbe solo un inutile spreco di energie, un'altra cosa che non possiamo permetterci. E poi non credo che farebbe poi tanto bene a Percy vederci più concentrate a litigare tra noi piuttosto che su quello che abbiamo da fare. Quindi...»
La guardò. Il suo viso era serio e calmo, segno che il discorso che le stava tirando fuori era sentito e reale, non una presa in giro. Onestamente, da una come Penelope Annabeth si sarebbe aspettata una presa in giro ogni singolo giorno. «Quindi?»
«Dobbiamo darci una calmata»
«L'hai capito adesso?»
E' per Percy che lo fa, le disse severamente la sua testa. Lo fa per lui e per il suo bene, a me lei non pensa.
«Annabeth...» sospirò l'altra, guardandola un po' esasperata. Alla figlia di Atena fece uno strano effetto sentire il proprio nome lasciare le labbra della rossa. Penelope scosse il capo e voltò lo sguardo alle proprie mani, intente a giocherellare con la fish. «Dobbiamo farlo, almeno fin quando non avremo finito»
Annabeth soffocò una risata divertita ingoiandola. «Pensi davvero che una volta restituita la folgore sarà finito tutto? Ti credevo più intelligente, Castellan. Percy è il figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, il sangue che gli scorre nelle vene è praticamente oro colato. Pensi davvero che questa sarà l'unica impresa che mai avrà nella vita?»
Penelope si stava stranendo, lo vide dall'impercettibile tic che le prese la palpebra destra. «Vedi che non sai ascoltare? Non ho detto questo. Fino ad ora, dopo quanto, due settimane che lo conosco, non ero ancora arrivata a pensare a quante altre imprese avrebbe dovuto compiere nella vita»
Annabeth strinse la mascella. «Questo perché tu non pensi mai al futuro»
Penelope sbuffò, sbattendosi le mani sulle ginocchia in bluastra esasperazione. «Accidenti! Ma lo vedi come sei? Vedi che-»
«E lo vedi come sei tu?» replicò brusca lei, voltandosi a guardarla.
Le labbra di Penelope restarono dischiuse nel suo trovarsi impreparata. Poi aggrottò le sopracciglia e la sua sorpresa si sciolse. «Ma che ti ho fatto adesso, dannazione! Stavo solo... ah, guarda, lascia stare. Sei impossibile»
Scuotendo il capo con le labbra serrate, le diede le spalle.
Annabeth osservò la schiena dell'altra dodicenne, percorrendo con sguardo imbronciato il contorno delle sue spalle. La coda alta in cui teneva legati i capelli le scendeva dolcemente lungo la schiena, le ciocche che s'arricciavano verso le punte formando piccolissime onde.
Confusa. Era tremendamente confusa.
Da un lato stava quella voce infida che da anni ormai popolava la sua testa, colei che si rigirava meschina tra le mani la sfera di vetro che era la sua ragione. Sull'altra sponda del fiume sedeva, placida, la voglia di mettere un punto finale a tutta quella situazione.
Con tutta franchezza: s'era stancata di litigare.
Guardandola seduta e darle le spalle, ripescò dalla memoria vecchi ricordi. Si chiese che fine avesse fatto la bambina smagrita, pallida e malaticcia che aveva incontrato in quel vicolo buio e in cui s'era nascosta per ripararsi dal freddo delle mattine primaverili. Si chiese che fine avesse fatto quella bimba sottile, piccina, sempre più magra ogni giorno che passava, che s'era messa a ridere quando lei, nel timore che fosse un mostro, l'aveva colpita in testa con un'asse di legno.
Si chiese se Penelope avesse dimenticato quella cicatrice che recava sulla fronte, ricordo di quel loro primo incontro.
Si chiese che fine avesse fatto quella creatura ormai non più tanto bambina di testa e di memorie, ma che sorrideva sempre come se stringesse tra le mani l'infanzia più florida e colorata tra tutte.
Di quella risata iniziale cosa ne era stato?
Il fiume era andato avanti a scorrere. Ogni cosa s'era trasformata in un'antipatia che pian piano era divenuta reciproca, crescendo di giorno in giorno.
Eppure, Annabeth non aveva fatto alcun torto alla minore dei Castellan. Almeno stando a ciò che la sua memoria le raccontava. Sin da subito le aveva dimostrato una grande simpatia. Dopotutto, trovarsi una compagna della sua stessa età l'aveva resa contenta, unito al fatto di aver trovato una famiglia in cui, finalmente, s'era sentita voluta ed accolta.
Ma no, era andato tutto in fumo. Più i giorni passavano, più Penelope si faceva fredda ed antipatica, cosa che Annabeth ancora riteneva impossibile per una bambina di sette anni. Si chiedeva come un corpo così piccino potesse contenere tutto quell'odio che la figlia di Ermes le aveva dimostrato nel corso degli anni. Vani erano stati i tentativi di Luke e Talia: Penelope era irremovibile.
Lei aveva semplicemente imparato a convivere con quell'antipatia.
Ecco il momento in cui, stridendo come metalli a contatto tra loro, la voce sopracitata era sbocciata oltre la sua fronte. Stava lì, rannicchiata come una cornacchia sul ramo più basso di un albero rinsecchito e spoglio, ed ogni volta che si presentava l'occasione, le riempiva la bocca di parole acide e velenose.
Ed ecco come, da antipatia che veniva ma non tornava, era tutto divenuto uno scoccare frecce dalle punte avvelenate.
Ed ora Penelope le proponeva di "far pace" ─ per modo di dire ─ con tutta quella tranquillità? Così, senza nemmeno scusarsi? Annabeth capiva le ragioni che la dodicenne le aveva elencato e, suo malgrado, si trovava d'accordo con esse. Eppure, non voleva cedere. Continuava a ripetersi: "Lo fa per sé stessa, unicamente per sé stessa, menefreghista com'è".
Lo fa e lo chiede, ma di queste parole vuote lei non sente nulla. Poco le importa di quello a cui sto pensando, poco le importa della risposta che le darò. Troverà un modo diverso per pormi la stessa, identica richiesta.
Lo fa per i suoi secondi fini, come al solito. Mente dannata sia la sua, troppa intelligenza è racchiusa in quelle ossa craniche ed in cattivo modo viene usata. E' come un serpente, troppo furba perché si riesca a trovar modo di averla vinta con lei.
Questo si diceva, soffocando sulla propria lingua parole che avrebbe potuto tirar fuori.
Ma io l'avrò vinta. Lo farò, che fosse l'ultima cosa che faccio.
Anni prima ci era rimasta male.
Sono orgogliosa e lo so.
Ma devo darle ragione.
Devo? Sicura di questo? Potrei andar avanti senza ammetterlo.
Devo perché tiene la ragione tra le proprie dita, una delle rare volte. E perché, anche, andar avanti senza replicare sembrerebbe stupido ed infantile.
Anche lei è orgogliosa, rammentalo.
Che sia questione d'orgoglio o altro, non lo so. Ma non posso, non stavolta, darle torto.
Sospirò, facendo svanire le sue stesse voci come se avesse scacciato dei moscerini che le stavano dando noia. «Detesto darti ragione... ma stavolta devo»
Penelope si voltò a guardarla, gli occhi un po' meno spenti di quanto erano prima. «Oh, domani piove»
«Ma smettila»
«Come per Caccia alla Bandiera?» propose la rossa, tornando a sedersi davanti a lei.
Annabeth avrebbe voluto rispondere che no, non era proprio così. «Per un bene superiore» affermò, annuendo.
Penelope sorrise di un sorriso piccolo come granelli di sabbia e le tese la mano.
«Non la stringerò, sappilo» affermò secca Annabeth, osservando le lunghe dita della dodicenne.
Il sorrisetto di Penelope s'allargò ancor di più, mezzaluna su di un cielo costellato di stelle. «Gli accordi vanno in qualche modo sanciti, Pericle»
Annabeth alzò vistosamente gli occhi al cielo. Allungò una mano e strinse quella che la rossa le porgeva, stranamente fredda nonostante fosse appena sbocciata l'estate.
Penelope s'alzò in piedi e si spolverò i pantaloncini. Inarcò la schiena, stese le braccia, ruotò il capo nello stiracchiarsi. «Dai, svegliamo questi due. Hanno dormito fin troppo per i miei gusti»
Annabeth stava per alzarsi a sua volta, quando un bau! vivace riempì il suono. Entrambe le semidee si voltarono nella direzione dalla quale il verso era venuto, incontrando la piccola e soffice figura di un barboncino rosato. Lo fissarono interrogative. Aveva il pelo di un rosa slavato e un muso a tratti imbronciato. L'animaletto abbaiò di nuovo, zampettando poi verso di loro.
Penelope la guardò con una strana - e buffa - espressione in viso, con entrambe le sopracciglia inarcate. «Che dici: è un segno divino o un mostriciattolo sotto copertura? No, perché non avevo mai sentito di barboncini rosa come 007 divini».
{ Nota di Moony }
Buon pomeriggio a tutti! Come state, tutto bene? L'estate è iniziata e sono contenta, anche se mi sono beccata un bel debito ahah comunque sia, questo capitolo è piuttosto importante. Vi dico: le cose peggioreranno, da questo momento in poi.
Quasi mi viene da ridere al pensiero.
Ho una gif per voi, inoltre:
Questo è il suddetto giochino di Penelope, quello con la fish. Mi sono spudoratamente ispirata al film "Constantine", con Keanu Reeves, dove Baltazar è caratterizzato da questo piccolo trick della moneta. Qualcuno che ha visto il film?
P.s. pubblico oggi perché avrò una settimana di matrimoni e cresime, quindi... non avrei avuto tempo di pubblicare ahah
Spero vi sia piaciuto il capitolo :3
Stay tuned! ♡♡
Moony
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