05. Dare fuoco ad un bus
𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄
NEMMENO QUELLA NOTTE aveva dormito. A tenerla sveglia erano state la brutta litigata avuta con Luke, la rabbia repressa e soffocata in gola, lo sguardo che Percy le aveva rivolto mentre le chiedeva di accompagnarlo in quell'impresa che lei non voleva e la consapevolezza che avrebbe dovuto dire ogni cosa ad Annabeth.
Quest'ultima prospettiva la spaventava molto più di quanto facevano le altre. Ma doveva farlo, era per il bene di Percy e, soprattutto, per il successo dell'impresa. Francamente, non ci teneva a morire in una guerra nata per una cavolata che nemmeno era vera. E, sempre francamente, non voleva che il suo amico rischiasse la vita o una parte del corpo solamente perché lei e la figlia di Atena non riuscivano a stare nella stessa stanza per cinque minuti senza litigare.
In caso vi interessasse, sappiate che, alla fine, il litigio avuto con suo fratello non era finito troppo bene. Dal gridargli in faccia il fatto di non averla ascoltata erano riusciti - entrambi, perché erano tremendi tutti e due - a tirare fuori storie e questioni vecchie di anni, ormai. Il fatto era uno solo, però: il proporla per l'impresa delineava l'aver completamente ignorato tutto ciò che era successo l'anno prima.
Lei si era aperta, di ritorno dall'impresa per riportare lo scudo ad Achille. Aveva visto così tante brutte cose che ora temeva il mondo che la circondava. Se volessimo riassumere il tutto in parole semplici e frasi non troppo lunghe: aveva provato a fare una cosa che, ovviamente, non avrebbe potuto fare, e le conseguenze non erano state piacevoli.
Queste cose gliele aveva raccontate, a suo fratello. Non si era risparmiata dal dirgli nulla, aveva sputato fuori tutto. Credeva allora che, con la coscienza di questi racconti, lui non avrebbe mai nemmeno pensato di proporla per una nuova impresa.
Com'è che aveva detto? "Deve passarti. E' un anno ormai, accidenti".
Più che arrabbiata, Penelope era delusa.
Ma poi gli occhi di Percy le avevano fatto cambiare, almeno un po', idea. Avreste dovuto vedere il modo in cui la guardava mentre le chiedeva di accompagnarlo, davvero. Era come se... come se lei fosse l'unica certezza alla quale fosse riuscito ad aggrapparsi. Non era riuscita a dirgli di no.
E poi, le promesse si mantengono sempre.
La notte aveva sbollito un po' quei sentimenti negativi. Sotto sotto, dava ragione a suo fratello: doveva farsi passare quella paura. Restava però la delusione del non esser stat ascoltata, che le serrava lo stomaco con una stretta ferrea.
Mentre preparava lo zaino per il viaggio si sentiva lo sguardo di Luke perforarle la schiena. Dal pomeriggio prima non gli aveva più parlato e vani erano stati i tentativi di Nerea e degli Stoll di mettere pace tra loro due. Gli aveva detto così tante brutte cose che un po' se ne pentiva. Dopotutto... stava per partire e non sapeva se sarebbe tornata. Non voleva lasciare suo fratello con la consapevolezza di averci litigato di brutto e con il pensiero che, forse, non avrebbe nemmeno fatto ritorno.
Ma delusione ed orgoglio, se mischiati, non davano vita a qualcosa di molto buono, quindi non gli avrebbe rivolto parola nemmeno se le avessero tagliato due o più dita. Si sentiva ancora tradita, profondamente. In più, temeva che se anche solo fosse tornata a guardarlo in faccia sarebbe scoppiata a frignare come una bambina. Quindi: no.
Infilò nello zaino un cambio di vestiti puliti, curandosi di piegare con minuzia ogni cosa per evitare che prendesse pieghe spiacevoli. Vi mise anche il rotolo di banconote che nascondeva sotto al materasso, insieme a quel tintinnante sacchetto di dracme che si portava dietro da anni, ormai, e che mai aveva avuto la chance di spendere. Ovviamente, non si dimenticò della scorta di leccalecca alla vaniglia e al limone, che stavan dentro un vecchio porta-sigarette in metallo. Al magazzino del campo si munì di ambrosia e nettare a sufficienza, che pose nella tasca più interna dello zaino per tenerle al sicuro. Scelse di non portarsi dietro il suo fumetto logoro e vecchio, nel timore che si perdesse. E, ovviamente, si munì di una penna. Mai, diceva Penelope, mai andare in giro senza una penna.
Dopo aver salutato Nerea, Travis e Connor - la prima la riempì di baci su tutta la faccia, i secondi le riservarono un abbraccio che lei trovò immensamente confortante - s'incamminò su per la collina Mezzosangue, colei che dominava in altezza il campo e forniva una vista mozzafiato dello stretto di Long Island. Si lasciò dietro il groppo di tristezza dato dal non aver salutato suo fratello con un lungo abbraccio.
Accanto al pino di Talia ad aspettarla c'erano già Chirone, seduto sulla sua sedia, Argo, il capo della sicurezza dai cento occhi, Percy, Grover ed Annabeth. Salutò con un sorriso i suoi amici, evitando il contatto visivo con la figlia di Atena. Più tardi le rivolgeva la parola, meglio era. Lo zaino della ragazza sembrava pesare un po' troppo, sicuramente perché lei vi aveva infilato dentro un qualche tomo sull'architettura "da leggere nei momenti di noia". Come se esistessero i momenti di noia, durante le imprese.
«Ehi, buongiorno» le sorrise Grover, osservandola portarsi gli occhiali da sole sulla fronte, così da tenere indietro i capelli. Poi guardò il suo polso destro ed aggrottò le sopracciglia. «Sono proprio necessari tutti quegli elastici per capelli?»
«Non sai cosa significa avere i capelli lunghi, Grover. A voi basta mettere un cappello, ma nemmeno quello. Non immagini quante volte avrei la voglia di rasarmeli a zero»
Prima che uno solo di loro potesse proferire parola, dei passi sull'erba riempirono il silenzio. Tutti si voltarono, per poi trovarsi davanti Luke che li raggiungeva di corsa, con in mano un paio di scarpe da basket.
«Oh, no...» mormorò Penelope, sospirando ed abbassando lo sguardo ai propri piedi. «Quelle no...»
L'espressione di Annabeth si illuminò con il sorriso che le spuntò in volto, come accadeva ogni volta che Luke era nei paraggi. Penelope si calò gli occhiali da sole sullo sguardo per evitare di guardare il fratello e si nascose un poco dietro Grover, che era decisamente più alto di lei.
«Menomale che vi ho raggiunti!» esclamò Luke col fiato grosso una volta essersi fermato. «Sono venuto per augurarvi buona fortuna e per darvi queste... potrebbero tornare utili»
Mostrò a Percy le scarpe da basket che stringeva in mano, tenendole per i lacci sciolti. Penelope non vedeva quegli affari da quanto ormai, due anni? L'unico ricordo che era collegato ad esse non era per nulla bello, perché era finita per scheggiarsi un dente. Non era stata una bellissima esperienza, ecco.
Percy osservò le scarpe mentre Luke gliele passava. Si stava chiaramente trattenendo dallo storcere il viso in un'espressione schifata per l'odore che avevano. Guardò il figlio di Ermes interrogativo.
Luke sorrise. «Maia!»
Sui calcagni delle scarpe spuntarono due candide ali, gonfie di piume, che presero ad agitarsi nervosamente. Percy trasalì, mollando immediatamente la presa sulle scarpe. Queste caddero verso il terreno ma poi restarono sollevate per altri pochi secondi, a svolazzare pigramente. Poi le ali si ritirarono e le scarpe tornarono semplici scarpe.
«Mitico!» esclamò Grover, gli occhi color cioccolato sgranati dalla meraviglia.
Luke sorrise soddisfatto. «Sono un dono di mio padre. Mi sono state particolarmente utili durante la mia impresa. Di questi tempi non le ho usate molto, ma un po' di tempo fa ho provato ad insegnare a Penny ad usarle. Magari lei può darvi una mano ad indossarle»
Percy e Grover la guardarono estasiati, con negli occhi lo scintillio di chi ha una voglia matta di fare qualcosa, tipo divorare un cheeseburger. Lei li guardò e sospirò. «Ci proverò»
Grover si esibì in una brevissima danza della vittoria mentre Percy ringraziava Luke per il dono.
L'aria si fece di colpo tesa tra tutti loro. Penelope non riusciva a smettere di osservare il modo in cui Annabeth guardava Luke, il colore rosato delle sue guance e lo scintillio dei suoi occhi grigi - ed esserne, come al solito, gelosa fino al midollo. Si diede mentalmente uno schiaffo, ricordandosi che non avrebbe più dovuto pensare a quel genere di cose.
Luke era a disagio e lei lo vedeva da lontano un miglio. «Senti, Percy, le nostre speranze dipendono da te... quindi, vedi di far fuori qualche mostro anche da parte mia, eh?»
Percy sorrise e i due ragazzi si strinsero la mano. A Penelope, invece, si strinse lo stomaco. Suo fratello diede un gentile colpetto a Grover tra le corna, in un simpatico saluto, ed abbracciò Annabeth, la quale, secondo Penelope, rischiava di svenire per l'emozione. I suoi occhi azzurri, gemelli ai suoi, si puntarono infine sulla sua figura.
Penelope ricordava bene che quando erano piccoli suo fratello e lei si divertivano a vedere chi per primo sbattesse le palpebre. Vinceva quasi sempre Luke, che pareva essere un asso in quel gioco. In quel momento lei ebbe un déjà vu, fulmineo, di quel loro passatempo. Si guardarono, incerti. Moriva dalla voglia di salutarlo, ma s'imponeva di restare ferma dov'era.
Come al solito, fu Luke a muovere il primo passo. Si avvicinò, avvolgendola subito in un abbraccio che pochi secondi dopo si rivelò essere una stretta quasi soffocante. I suoi abbracci erano sempre stati strette forti e decise, ma di un calore indescrivibile nel quale lei soleva sciogliersi nei momenti di bisogno.
Avrebbe voluto allontanarsi, ma lui non glielo lasciò fare e, sotto sotto, lei ne fu contenta. Non sappiamo se saremo in grado di rivederlo, si disse. Con quella consapevolezza, accantonò la delusione e ricambiò l'abbraccio, affondando il viso nella sua spalla.
L'abbraccio si sciolse e lui le rivolse quel tipico sorriso per il quale ogni semidea nel giro di un chilometro si sarebbe sciolta - un po' come fece Annabeth. «Ci si vede, Lollipop»
«Ci si vede, Scarface»
Il figlio di Ermes rivolse un ultimo sorriso a tutti loro, salutò Chirone chinando appena il capo e discese verso la valle. Penelope lo osservò allontanarsi, lo sguardo puntato sul movimento appena accennato delle sue spalle che accompagnava la sua camminata.
Gli occhi di Annabeth erano come oro colato nel sole. Aveva ancora un'espressione estasiata dipinta sul viso. Percy le schioccò le dita davanti al naso, facendola riemergere dal mondo dei sogni. «Stai iperventilando» le disse, e Penelope non poté che concordare.
Lei aggrottò appena le sopracciglia. «Non è vero»
«Sei stata tu a farlo vincere a Caccia alla Bandiera, uh?»
Uno sbuffo lasciò le labbra di Annabeth. «Ma chi me lo fa fare di andare in giro con te, eh?». Si voltò, il mento tirato in alto, e scese dall'altra parte della collina, dove un SUV bianco era parcheggiato sul ciglio della strada ad attenderli.
Penelope osservò anche lei allontanarsi, chiedendosi se la scelta di partecipare fosse stata buona o meno. Non aveva la minima voglia di passare dieci giorni a stretto contatto con Annabeth. Guardò Chirone, osservando il modo in cui le ombre sottili degli alberi dipingevano il suo viso. Il centauro allungò una mano e la strinse sulla sua spalla destra, in un affettuoso buffetto. «Vedi di non combinarne una delle tue, mi raccomando»
Penelope sorrise malandrina, scoccando uno sguardo a Percy, che se la guardava con un'espressione da: "con chi cavolo ho a che fare?". Si abbassò gli occhiali da sole sul naso, guardando Chirone al di sopra delle lenti. «Signore, sono cresciuta con i gemelli Weasley e con gli Stoll. Cosa si aspetta?»
Detto questo lasciò la cima della collina con un sorriso, incamminandosi verso il SUV. Scosse il capo, scacciando brutti pensieri e accantonando paure. Solo pochi passi dopo, però, un grido le riempì le orecchie ed un oggetto volante non identificato le passò accanto a velocità elevata.
Sussultò rendendosi conto che quell'oggetto era Grover, con indosso le scarpe che Luke aveva dato al figlio di Poseidone.
Gli corse dietro, tendendo le mani avanti nel tentativo di riacchiapparlo. Riuscì a prenderlo per un piede - o sarebbe meglio dire zoccolo? - e lo tirò verso di sé, finendo però per cadere nell'erba. I due rotolarono per diversi metri, fin quando non raggiunsero l'asfalto e vi finirono con i nasi schiacciati contro. Grover gemette lamentandosi per l'atterraggio ben poco morbido.
Rialzandosi si guardarono e scoppiarono a ridere.
«Ehi, Alghetta, ma questo sei tu» disse Penelope, indicando con un cenno del capo un volantino fradicio di pioggia fermato su una cassetta postale con del nastro adesivo.
L'unico a voltarsi fu Percy, la figlia di Atena e Grover erano troppo occupati a discutere sul modo più economico per attraversare il paese. Guardò il pezzo di carta, su cui stava stampata una sua foto con sotto scritto a caratteri cubitali: AVETE VISTO QUESTO RAGAZZO? Il viso torvo, allungò velocemente una mano e strappò il volantino, serrandolo nel pugno. Penelope lo guardò aggrottando le sopracciglia, ma lui non ricambiò lo sguardo e lei lasciò perdere.
La stazione degli autobus dove Argo li aveva lasciati, a quell'ora del mattino, era piuttosto tranquilla per trovarsi nell'Upper East Side. Solitamente lì vi passava molta più gente. Penelope pensò a quanto fosse vicino l'Olimpo e quasi ne poté percepire il potere diffondersi nel terreno, sotto le suole delle sue scarpe.
«Ti chiedi perché l'ha sposato, vero?» chiese Grover volgendo lo sguardo a Percy.
Lui aggrottò le sopracciglia, lo sguardo torvo che un poco si affievoliva nei suoi occhi. «Sai leggere nel pensiero?»
«No, leggevo le tue emozioni, è diverso». Grover si sistemò lo zaino sulle spalle. «Roba da satiri... tutti lo sappiamo fare, devo essermi scordato di dirtelo. Pensavi al tuo patrigno e a tua madre, vero?». Percy annuì. «Tua madre l'ha sposato per te. Lo chiami "il Puzzone", ma non hai idea di quanto sia vero. Accidenti... mi vengono i conati di vomito solo a ripensarci. L'aura di quel tizio è forte, tanto che riesco ancora a sentirne le tracce su di te dopo settimane»
«Grazie mille. Dov'è la doccia più vicina?»
«Dovresti essergli grato, Percy» replicò Grover. «La puzza del tuo padrino ha coperto il tuo odore per anni, tanto era ripugnante. Tua madre è rimasta con lui per proteggerti... doveva volerti molto bene. Ed è stata furba, altrimenti i mostri ti avrebbero trovato ben prima, con l'odore che hai addosso»
«Almeno è un buon odore?»
Penelope si scostò alcune ciocche di capelli dal viso. «Penso lo sia. Odori vagamente di salsedine e di mare, quindi non dovrebbe essere male»
Percy nascose le mani nelle tasche del giubbotto. «Perché "dovrebbe"?»
«A me non piace» rispose lei, stringendosi tra le spalle. «Il solo odore del mare mi fa venire la nausea. La mia più grande paura è quella di annegare, non riesco a sopportarlo». Percy pareva essersi offeso ma lei ci rise su, dandogli una spallata amichevole. «Grover, io di cosa odoro? Me lo sono sempre chiesta»
Grover sorrise, come se fosse orgoglioso di come solo lui, nel loro gruppetto, avesse la capacità di percepire per bene gli odori degli altri. «Muschio bianco, e non chiedermi perché, ma i tuoi capelli di arancia per lo shampoo che usi. Annabeth invece ha lo stesso odore di legno di cedro appena lavorato e fiori di campo»
La bionda alzò la testa dalla cartina degli Stati Uniti che stava studiando con minuzia. «Cosa?». Loro sorrisero nel vederla riemergere dal lago dei suoi pensieri.
Pochi minuti dopo, essendosi stufati di starsene in piedi come pesci lessi in mezzo alla pioggia, decisero di intrattenersi giocando a calcio con una delle mele che Grover aveva calcato nel suo zaino, pieno zeppo di rottami di ferro da mangiucchiare e mele dalle varie colorazioni. Il satiro la passò a Percy, che la passò ad Annabeth, che la passò nuovamente a Grover, infine giunse a Penelope. Andarono avanti per un bel po', ridendo quando uno di loro prendeva in modo strambo la mela. Annabeth era incredibile: riusciva a palleggiarla sul gomito, sul ginocchio, sulla spalla. Penelope ci provò ma fallì miseramente.
Il loro gioco giunse al termine quando Percy passò la mela a Grover e lui la inghiottì in un solo boccone, facendo sparire il loro footbag con tutto il picciolo. Il satiro arrossì e tentò di scusarsi, ma loro erano troppo occupati a sbellicarsi dalle risate.
L'autobus arrivò poco dopo; s'affrettarono a salire per sottrarsi alla pioggia. Penelope si diresse senza alcun indugio ai posti più in fondo, borbottando qualcosa riguardo al fatto che i ragazzi grandi si siedono sempre agli ultimi posti. Annabeth alzò gli occhi al cielo, sedendosi accanto al finestrino e ad un posto di distanza da lei, dicendo che era stata una buona scelta perché le uscite di emergenza si trovavano in fondo.
La figlia di Ermes si sedette portandosi le gambe al petto. Le era sempre piaciuto viaggiare in auto o bus, perché il dolce vibrare del veicolo le infondeva una calma calda come il sole di Maggio. Percy si sedette tra lei ed Annabeth e prese quasi subito a giocherellare distrattamente con una penna a sfera.
«E' carina» commentò lei dopo alcuni attimi spesi ad osservare le mani del ragazzino intrattenersi con la penna, interrompendo il suo canticchiare "I'm Still Standing".
«Me l'ha data Chirone prima di andare via. Ha detto che si chiama Vortice»
«Fammi indovinare: diventa una spada, mh?»
«Esatto. Ha anche detto che non potrò mai perderla, perché come la tua fish mi riapparirà sempre in tasca»
Penelope abbandonò la testa sul sedile. «E' una cosa utile, soprattutto quando non ti trovi particolarmente comodo a portare una spada costantemente legata al fianco. Io ho dovuto farlo, prima che Achille mi regalasse questa, ed era... ugh, correre con quella cosa accanto era scomodissimo»
Le sopracciglia di Percy erano schizzate in alto. «Te le ha regalate Achille?»
«In persona» annuì lei. «Be', più che in persona... in spirito, sai. Me le ha date quando gli ho riportato lo scudo, l'estate scorsa. Erano gemelle, ma l'altra l'ho data a Luke. Ha detto che una sua conoscente gli aveva espressamente chiesto di consegnarmele»
«E questa chi era?»
«Ah, non ne ho-»
Prima che lei potesse finire, Annabeth, fulminea, strinse una mano sul ginocchio di Percy. Aveva smesso di battersi il berretto sulla coscia ed ora teneva lo sguardo fisso su qualcosa che si trovava nella parte più avanti del bus. Nervosa ed all'erta, la figlia di Ermes seguì il suo sguardo.
«Accidenti» mormorò.
«Concordo» replicò la figlia di Atena.
«Oh, davvero? Questa sì che è una cosa incred-»
Annabeth la zittì con un gesto della mano. Penelope seguì il suo sguardo, tornando a guardare le tre vecchiette raggrinzite e rugose che erano appena salite sull'autobus, in veste di ultimi passeggeri. Indossavano tutte e tre dei vestiti lunghi di velluto, un po' stropicciati, di colore verde acido, arancio sgargiante e blu elettrico. Avrebbero fatto invidia alla Regina Elisabetta per il curioso assortimento di colori che indossavano - solo che Sua Maestà le batteva indubbiamente in classe. Indossavano dei cappellini in maglia che facevano pendant con i vestiti che indossavano e che coprivano un poco i loro volti. Le Furie. Penelope sentì la bruciante voglia di sguainare la spada e farle tutte e tre a pezzettini, friggere la loro carne e poi darla in pasto a Cerbero.
«Non è rimasta morta tanto a lungo» disse Percy a denti stretti, lanciando uno sguardo ad Annabeth.
«Se sei fortunato, avevo detto» precisò lei. «E mi pare ben chiaro che tu non lo sia affatto»
«Sono tutte e tre, per i flauti di Pan!» gemette Grover, deglutendo nervosamente. «Come facciamo?»
«I finestrini?» propose Penelope.
«Non si aprono»
«Uscita d'emergenza?» fece Percy.
«Non c'è» replicò il satiro.
Percy imprecò in greco antico. «Non ci attaccheranno, non con tutti questi testimoni attorno»
«I mortali non hanno la vista buona» ribatté Annabeth. «Riescono ad elaborare solo ciò che vedono attraverso la Foschia. Ergo, non possiamo contare sul loro aiuto»
«Vedrebbero delle vecchiette che tentano di ucciderci»
Penelope si infilò le mani nelle tasche. «O vedrebbero quattro teppistelli che tentano di uccidere delle povere ed indifese vecchiette. Oh, solo Artemide sa quanto vorrei prenderle a calci in cu-»
«Evita, per favore» la interruppe Annabeth. Stava ipotizzando di una seconda uscita di emergenza sul tetto quando l'autobus entrò nella galleria Lincoln e tutto si fece buio, tranne per le luci giallastre e tremolanti del corridoio. Senza la pioggia a battere sul soffitto e sui finestrini c'era un silenzio inquietante all'interno del veicolo.
Quella con il vestito arancio si alzò, le spalle dritte e tese. In tono piatto annunciò: «Devo andare al gabinetto». Le sue sorelle si alzarono subito dopo di lei ed annunciarono la stessa cosa. Tutte e tre presero a risalire il corridoio.
«Ce l'ho!» esclamò Annabeth, facendo sussultare i suoi tre compagni. «Percy, mettiti il mio berretto»
«Ma non-»
«Vogliono solo te. Diventa invisibile e risali il corridoio. Lasciale passare. Magari riesci ad arrivare in cima e scendere dall'autobus»
«E voi?»
«Oh, Jackson» sbuffò Penelope. Strappò il berretto dalle mani di Annabeth e lo calcò sulla testa di Percy. Uno scintillio ed era svanito. «Va', brutta testa d'alghe che non sei altro. Noi ce la caveremo»
La presenza e il calore del corpo di Percy svanirono, segno che si era alzato. Penelope prese il suo posto, finendo accanto ad Annabeth. «Cosa facciamo noi, Pericle?»
La bionda le scoccò un'occhiataccia. «Spero non ci notino. In caso, ti occupi tu di Alecto?»
Penelope sorrise divertita, rigirandosi la fish tra le dita. «Con immenso piacere»
I passi delle tre Furie erano ben nitidi sul pavimento, ma dopo poco s'arrestarono, segno che Percy doveva esser passato loro accanto. Quella con il vestito verde annusò l'aria con fare famelico, le narici ben dilatate. Fu allora che Penelope decise che era l'ora di rubare la scena al figlio di Poseidone. Si mise a canticchiare.
«"And did you think this fool could never win?"»
Le tre graziose vecchine si voltarono di scatto verso di lei, seguendo il suono della sua voce - che poi, non che fosse una grandissima voce, ma era riuscita comunque a cogliere la loro attenzione.
«"Well, look at me, I'm coming back again"»
Annabeth le diede un calcio sul polpaccio destro, in un silenzioso rimprovero che le ricordava di smettere di canticchiare.
«"I've got a taste of love in a simple way"»
Penelope si premette la fish contro il palmo della sinistra, con forza. Veritas, pensò.
«"And if you need to know while I'm still standing"»
Le simpatiche nonnine si trasformarono davanti ai loro occhi, emettendo un gemito che avrebbe gelato il sangue a chiunque. Penelope, grazie al cielo, aveva Elton John con sé. I loro corpi si restrinsero, come a divenire solo pelle raggrinzita pressata contro le ossa, e dalle loro scapole spuntarono possenti ali nere.
«"You just fade away"»
La Furia che in precedenza portava l'abito blu elettrico, quella che doveva essere Megera, fece scattare la frusta, mirando pericolosamente ai polsi di Penelope. La figlia di Ermes sapeva troppo bene quanto quelle cose scottavano, dimostrazione ne era la cicatrice biancastra che si portava sulla coscia destra, poco sopra al ginocchio. Schivò il colpo tagliando di netto la parte finale della frusta.
«Dov'è? Dove lo avete messo?» sibilò quella del vestito verde.
«Non è qui!» gridò Annabeth, la cui voce sovrastò quelle degli altri passeggeri che strillavano. Dopotutto, qualcosa stavano pur vedendo. «Se ne è andato! Lo avete perso!»
Penelope stava per allungare Alétheia in un affondo un po' troppo azzardato, mentre Annabeth sollevava il pugnale e Grover si preparava a lanciare qualche lattina. Solo che poi l'autobus sterzò di colpo sulla sinistra, scaraventando tutti i passeggeri - e loro - sulla destra. Ci mancò poco che la figlia di Ermes finisse con la faccia spiaccicata contro il finestrino, fine che invece avevano fatto le tre Furie.
Annabeth le tirò un'accidentale gomitata nel fianco rialzandosi, poiché le era caduta addosso. In quei brevissimi secondi in cui si trovarono estremamente vicine, Penelope poté constatare che Grover aveva ragione sull'odore della figlia di Atena: profumava sul serio come fiori di campo.
Il sinistro rumore dell'autobus che strusciava contro la parete della galleria, sollevando scintille rossastre e graffiando il metallo, le aveva riempito e possibilmente anche sconvolto le orecchie. L'autista parve ritrovare un attimo di controllo ed uscirono dalla galleria sbandando alla grande sull'autostrada, nuovamente immersi nell'acquazzone che dal giorno prima bagnava New York.
La lama del pugnale di Annabeth le sibilò a davvero pochi centimetri dal viso, deviando il colpo di una delle fruste appartenenti alle vecchiette demoniache. Penelope sussultò, concentrando nuovamente la sua attenzione sulle Furie; giusto in tempo per vedere una lattina lanciata da Grover prendere in piena fronte Alecto.
L'autista - che una qualche divinità benedica quell'uomo - riuscì a trovare un'uscita. Sterzò a destra con violenza, ignorando una lunga fila di semafori. Si trovarono in una stradina di campagna dissestata e sulla quale il veicolo procedeva con brutti scossoni. Sulla loro sinistra sorgeva un bosco di un verde spento e malinconico, sulla destra scorreva invece l'Hudson, torbido e color giallo ocra.
Ciò che fece venire la pelle d'oca a Penelope fu il fatto che l'autista stesse chiaramente puntando verso il fiume.
L'ennesimo scossone, questa volta in avanti, e l'autobus emise un lungo gemito sofferto. Compì un paio di giri su sé stesso, le ruote che scivolavano sull'asfalto bagnato, ed infine si schiantò tra gli alberi con un fragore di rami spezzati e vetri rotti. Le porte si spalancarono mentre le luci d'emergenza s'accendevano e spegnevano ad intermittenza. I passeggeri e l'autista si fiondarono all'esterno del veicolo, strillando in preda al terrore.
Le Furie si rialzarono in piedi fin troppo presto. Scoccarono le fruste verso Annabeth, che agitava con quella sua eccellente agilità il pugnale e strillava bruttissime cose in greco antico. Grover, intanto, continuava a bersagliare le megere di lattine. Penelope deviò un colpo e riuscì ad aprire un bel taglio sulla pelle della Furia che aveva di fronte.
«Ehi!» gridò la voce di Percy. Penelope lo guardò e sbuffò rumorosamente: l'idiota era di nuovo visibile e sorrideva di un sorriso tremolante alle Furie, come se dovesse infondersi sicurezza da solo ma non ci riuscisse benissimo.
Le graziose vecchine si voltarono, scoprendo i denti e soffiando come gatti. L'espressione di Percy svanì con il colorito delle sue guance mentre lui sgranava gli occhi.
Ah, vlakas...
Alecto procedette spedita su per il corridoio, mentre le sue sorelle balzarono sui sedili e presero ad avvicinarsi saltando di schienale in schienale. Le loro fruste schioccavano rilasciando scintille arancioni.
«Perseus Jackson» sibilò Alecto «hai offeso gli dèi e presto morirai»
«Sa, mi piaceva di più come professoressa di matematica» replicò Percy, esibendo un sorrisetto beffardo. In risposta, la Furia ringhiò.
Annabeth, Grover e Penelope procedevano lentamente dietro i tre mostri, alla ricerca di un varco per passare e raggiungere il figlio di Poseidone. Percy tolse il cappuccio alla penna e Vortice gli si allungò tra le mani, una maestosa spada dalla lama a doppio taglio che fece esitare le Furie.
«Arrenditi subito, piccolo dio, e non subirai il tormento eterno»
«Bel tentativo» le concesse lui.
«Percy, attento!» gridò Annabeth. Troppo tardi perché lui potesse fare qualcosa. Alecto fece schioccare la frusta e questa si avvolse attorno al polso destro di Percy, mano con la quale lui reggeva la spada. Lui tirò uno strattone indietro, ottenendo solamente una smorfia di dolore dovuta al bruciare della frusta. Le altre due Benevole gli si scagliarono contro.
Penelope mozzò di netto la testa a quella di sinistra, Megera. Percy colpì Tisifone con l'elsa di Vortice, mandandola a gambe all'aria su uno dei sedili. Poi le mozzò un'ala e quella si dissolse con un terrificante grido di dolore. Annabeth saltò in groppa all'ultima rimasta, le passò un braccio attorno al collo e la tirò indietro, mentre Grover si passava la sua frusta di mano in mano strillando: «Ahi! Scotta! Scotta!»
Alecto scalciava e graffiava nel tentativo di liberarsi dalla presa di Annabeth, ma lei tenne duro. Grover legò i piedi del mostro con la sua stessa frusta. I due la scagliarono in fondo al corridoio e quella tentò di rialzarsi, ma non aveva abbastanza spazio per sbattere le ali. «Zeus ti distruggerà!» gridò «Ade avrà il tuo spirito!»
«Braccas meas vescimini!» le gridò di rimando Percy, brandendo la spada. "Mangiami le mutande!".
Un possente tuono scosse l'intero autobus, facendo rizzare i peli sulla nuca a Penelope. Lei ed Annabeth si guardarono allarmate. Entrambe agguantarono per i vestiti Grover e Percy e li spinsero fuori dall'autobus. «Fuori! Correte fuori!» gridò la bionda.
All'esterno i passeggeri correvano da una parte all'altra gridando frasi senza senso, litigavano con l'autista o fissavano storditi il vuoto. Penelope si voltò nell'udire il clic di una macchia fotografica, incontrando così la figura di un turista con le infradito che scattava loro una foto. In particolare, la scattava a Percy con ancora la spada sguainata. Passò le dita tra i capelli del dodicenne e gli chinò a forza la testa.
«Gli zaini!» esclamò Grover, voltandosi verso l'autobus. «Abbiamo lasciato-»
Il fulmine che colpì dritto dritto l'autobus interruppe la sua frase. I finestrini rimasti integri esplosero con un fragore e il metallo del tetto si curvò in un grosso cratere. Dall'interno del veicolo si levò un gemito rabbioso che fece capir loro che Alecto era ancora viva.
Annabeth si nascose in fretta e furia il pugnale nella manica della camicia, aprendosi un piccolo taglio sull'avambraccio; subito il sangue le macchiò il tessuto della camicia. «Scappiamo! Sta chiamando rinforzi! Dobbiamo andarcene!»
Gli altri tre non se lo fecero ripetere due volte. Si slanciarono tutti e quattro verso il bosco, la pioggia scrosciante che colpiva gelida i loro volti e zuppi fino all'osso. Un'altra esplosione e le fiamme avvamparono alle loro spalle, illuminando solo per un istante il buio verso cui s'erano appena lanciati.
➢ Nota di Moony
Buon pomeriggio a tutti! Come state, tutto bene?
Ho deciso di pubblicare oggi perché mercoledì pomeriggio avrò un impegno e non avrò modo di toccare computer, quindi eccovi il capitolo! Stiamo entrando nel vivo della storia e adoro questa cosa ahah ci vediamo la prossima settimana, quindi, col prossimo capitolo.
P.s. La scuola sta finendo bene, per chi a scuola ci va ancora?
Stay tuned! ♡
Moony
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