00. Il sogno
𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄
L'ACQUA S'ALLUNGAVA SULLA BATTIGIA con dolcezza, sfiorando la sabbia come un amante sfiorerebbe la pelle del suo amato. La canzone del mare era tutto ciò che riempiva il silenzio, quieta melodia per l'udito. Qualche gabbiano solcava il cielo, macchiolina scura che si stagliava contro i colori del tramonto. Il sole, in quel punto lontanissimo ed irraggiungibile bramato da ogni marinaio, era in procinto di tuffarsi nelle acque placide e ne lambiva le superfici, quasi desiderando con tutto sé stesso unirsi finalmente ad esse.
Si guardò attorno, riconoscendo con un tuffo del cuore lo stretto di Long Island.
Penelope si voltò veloce, il sorriso che si faceva spazio sulle sue labbra e spingeva sulle sue guance. Alle sue spalle, nella luce arancione del calar del sole, il Campo Mezzosangue era vivace e pieno di vita. Gli schiamazzi dei campeggiatori ed il rumoroso chiacchericcio della cena s'udivano in lontananza. Sulla cima della collina il pino di Talia si stagliava verso il cielo, allungandosi come se desiderasse sfiorare le nuvole.
«Lucky?»
Si voltò di scatto nell'udire quella vocetta.
A pochi metri da dove sedeva lei stavano un ragazzo ed una bambina. Lui era seduto sulla sabbia, le gambe distese ed il peso scaricato nelle mani, puntate contro il terreno. Avrà avuto quattordici anni, forse quindici. I suoi capelli biondi parevano fili di prezioso oro nella luce del tramonto. La bambina avrà avuto sette anni, non di più. Saltellava sulla sabbia, giocando a non farsi acchiappare dalle onde. Lunghe ciocche di capelli rossi come l'ambra s'agitavano con i suoi movimenti e nel sole avevano ipnotici riflessi.
«Lucky, vieni a giocare anche tu!»
Penelope si portò una mano alla bocca, premendola con forza contro le proprie labbra. Non sapeva se perché voleva soffocare una risata o un singhiozzo. Si guardò, la versione di sé bambina che sorrideva sollevando sabbia ad ogni passo. Guardò suo fratello, il cui sorriso risplendeva come perle sul suo viso, e ripensò a tutti quei momenti perduti di un passato che le era sfuggito come acqua tra le dita.
Grande desiderio degli esseri umani è quello di poter tornare indietro, andare avanti, stare dove si è, giocare col tempo come se fosse pasta modellabile tra le loro dita.
«Lucky!» insistette la piccola Penelope, fermando il suo vivace saltellare. Guardò il fratello maggiore con un piccolissimo broncio sul viso smagrito, posandosi le mani sui fianchi. Grandi occhiaie le attraversavano il viso e gli zigomi erano più evidenti di quanto avrebbero dovuto essere. «Non giochi con me?»
Luke rise silenziosamente, incrociando le gambe e posando le mani sulle proprie ginocchia. «Gioco con te solo se facciamo un castello di sabbia» disse, battendo poi una mano accanto a sé, sulla sabbia, in un invito.
La piccola Penelope scosse il capo, facendo agitare di nuovo le ciocche dei suoi capelli. La sua pelle candida era così chiara da poter sembrare bianca come neve, ma le lentiggini spiccavano su di essa, ben visibili. Era estate ed entrambi indossavano abiti leggeri; lui dei pantaloncini di jeans ed una maglietta blu scuro, lei dei pantaloncini che sparivano sotto una camicia bianca e larga, talmente più grande le stava che l'orlo le sfiorava la pelle poco sopra il ginocchio e le maniche erano state arrotolate più volte.
«Costruire i castelli di sabbia è noioso» affermò la bambina, con ancora quel broncio in viso.
«Ma no, che dici?» replicò Luke. Si alzò in piedi e raggiunse la sorellina sulla battigia, chinandosi poi a raccogliere un pugno di sabbia bagnata e più scura. «Facciamo così: tu raccogli tutta la sabbia bagnata che riesci, mentre io scavo il fossato per il castello»
Gli occhi della piccola Penelope s'illuminarono. «Il fosso con i coccodrilli? Così i nemici finiscono mangiati!»
Luke rise, annuendo. «Sì, ci mettiamo anche i coccodrilli»
Penelope si chinò fulminea sulle sue ginocchia, non curandosi dell'orlo della camicia che si bagnava a contatto con la sabbia bagnata. L'acqua che sfiorava la battigia la raggiunse, quieta, e le accarezzò la pelle con gentilezza, per poi ritirarsi. Si mise a raccogliere la sabbia, scavando in profondità con la punta della lingua stretta tra i denti.
Penelope non riusciva a smettere di sorridere. La sua infanzia era costituita di momenti come quelli, almeno il tempo che lei aveva vissuto al campo, da cinque anni a quella parte. Del lungo periodo che lei e Luke avevano passato da soli, a girare per il paese a piedi o nascondersi in vicoli che correvano stretti tra i palazzi per ripararsi dal freddo dell'inverno, ricordava poco. Erano memorie fumose, attimi fuggenti, spezzoni imprecisi e disordinati di un passato che, effettivamente, preferiva non ricordare. Da quello che Luke le aveva raccontato, dovevano cavarsela come meglio potevano - o, pensava lei, era lui che doveva cavarsela, per sé stesso e per lei.
Il viso di suo fratello non era ancora solcato da quella vecchia cicatrice ed il vederlo senza di essa le fece uno strano effetto. Il ragazzo, dalla figura già slanciata ma ancora piuttosto sottile, si inginocchiò accanto alla sorellina, osservandola raccogliere la sabbia.
Insieme, si misero a costruire il castello, con la luce del tramonto che accarezzava la loro pelle come il tocco gentile di una madre.
«Lucky, posso chiederti una domanda?» disse la piccola Penelope, sollevando lo sguardo sul viso del fratello.
«Si dice: "posso farti una domanda", Penny» la corresse lui, toccandole poi la punta del naso con l'indice. «Cosa direbbe Chirone se ti sentisse parlare così?»
La bambina borbottò tra sé e sé la correzione, come per ricordarsi di dover parlare in quel modo. «Okay. Allora: posso farti una domanda?»
«Sì, Lollipop»
Penelope, seduta ora sulla sabbia e con un sorriso sempre più ampio, rise silenziosamente per il nome che il fratello le aveva affidato. Scherzosamente, lei lo chiamava "Scarface" da quando aveva la cicatrice e da quando avevano visto insieme il famoso film.
«Quando andiamo a trovare la mamma?»
Luke s'irrigidì, smettendo di scavare il fossato. Il sorriso svanì dal suo viso.
La bambina, intanto, continuava tranquilla ad ammucchiare e modellare la sabbia. «Hai detto che saremmo tornati, un giorno. Quando andiamo?»
Luke si pulì con lentezza le mani sulla maglietta. Era sbiancato, ed i suoi occhi avevano perso lo scintillio della risata che prima vi baluginava all'interno. Guardò la sorellina, deglutendo con evidente fatica.
Penelope, lì seduta, lontana, avrebbe voluto tirarsi in piedi e stringerlo in un abbraccio. Solo in quel momento si rese conto di quanto quella sua innocente domanda dovesse averlo spiazzato, quando posta.
Luke posò una mano sul capo della bambina, accarezzandole i lunghi capelli. Lei sollevò lo sguardo e lo puntò nel suo. «Allora, quando andiamo?»
Gli occhi di Luke s'erano fatti lucidi. Le sue labbra si schiusero, alla ricerca di aria. «Penny...»
«No, perché, sai, volevo sapere se le somiglio. Tu una volta hai detto che le somiglio tanto, che sono proprio come lei» disse, tranquilla. Sembrava non notare l'espressione di suo fratello.
«Penny, siamo solo noi»
La piccola Penelope aggrottò la fronte. «Che significa?»
Luke prese un gran respiro, distogliendo per un attimo lo sguardo da quello della sorellina. «La mamma... la mamma non c'è più»
Il cuore di Penelope fece un piccolo crac nel suo petto. Si guardò, specchio di un'infanzia sfiorita, due persone diverse nello stesso identico corpo, che l'unico cambiamento che aveva subito era stato quello della crescita.
Anche la piccola aveva smesso di armeggiare con la sabbia. «Vuoi dire che è andata in cielo?»
Luke annuì.
«Quindi ora è una stella?»
Il ragazzo sorrise nel viso contratto nel tentativo di non piangere, ed annuì. «Sì, una bellissima stella»
La piccola Penelope rivolse lo sguardo al cielo, voltandosi. I suoi occhi esplorarono la volta celeste, che ora si stava tingendo di blu. «E dov'è?»
«Stanotte la vedremo» affermò Luke. Si passò il dorso della mano sugli occhi, in silenzio.
Penelope guardò il cielo, alla ricerca della sua mamma. "Tutte le persone che se ne vanno diventano stelle, sai?", le aveva detto una volta Talia. E lei, nonostante sapesse dove finivano le anime, ancora credeva in quelle parole.
La bambina salutò il cielo sventolando una manina e mordendosi il labbro superiore. «Ciao, mamma. Ciao, Talia». Si voltò a guardare il fratello. «Si tengono compagnia, vero?»
Lui annuì, sorridendo appena. «Sì. Sono lassù e ci salutano»
La piccola sorrise, affondando nuovamente le mani nella sabbia. In silenzio, riprese a modellare il loro castello, sotto lo sguardo di suo fratello.
Penelope si asciugò gli occhi con il braccio. Avrebbe tanto voluto conoscere la loro mamma, sapere se davvero le somigliava come Luke aveva sempre detto. Ingoiò le proprie lacrime.
Il mare le sfiorò i piedi, sulla battigia. Si voltò a guardare le onde, sussultando quando incontrò la figura slanciata di una donna. Bella di una bellezza sconcertante.
Se ne stava in piedi, le mani intrecciate davanti al ventre, con l'acqua che le arrivava all'altezza dei fianchi. Indossava una lunga veste azzurra che le scivolava addosso con dolcezza, il tessuto perfettamente adattato alle sue forme. E la guardava.
Le sue labbra sottili avevano una dolce curva verso l'alto, la cui calma si rifletteva nei suoi occhi. Neri, neri come la pece, come l'onice, come l'ossidiana. Neri come gli abissi inesplorati e sconosciuti dell'oceano. Pareva effimera come la schiuma del mare. Lunghe ciocche di capelli neri le ricadevano oltre le spalle, lasciando scoperto il viso affilato e dai lineamenti regali.
La donna le tese una mano, uno sguardo gentile negli occhi.
Penelope si alzò e si avvicinò, entrando in acqua senza alcun timore. Prima di stringere quella mano che la donna le porgeva, guardò un'ultima volta i due fratelli costruire il castello di sabbia. Sorrise.
Prese la mano della donna. Tutto si disperse come sabbia portata via dalle onde.
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