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🌹 capitolo uno

Ero sveglio. Abbastanza soddisfatto dalla nottata, cercai di non muovermi più di tanto, evitando così di far scricchiolare il letto, ma trovai la voglia di girarmi dall’altra parte.
Non aprii gli occhi, sarebbe stato inutile; avrei rivisto il luogo in cui stavo riposando. Le mura erano costantemente fredde, nere e ricoperte da crepe e ragnatele. La piccola finestra toccava quasi il soffitto e la porta di ferro era arrugginita.
Ma all’odore sgradevole di chiuso e muffa non ci feci caso: dopo due lunghi anni, ormai il naso aveva smesso di pizzicare.
Emisi un lieve lamento, non appena sentii gli anfibi di una guardia attraversare il corridoio, buio nonostante fosse già mattina.
Si avvicinò e, quando colpì il manganello sulle sbarre che ci dividevano, aprii gli occhi.
«Larson, alza il culo da quel letto!» disse con tono aggressivo. Fece scattare la chiave nella serratura e, colpendo di nuovo il ferro, si allontanò.
Fissai ancora per un po’ il muro. Ogni volta che mi trovavo in quella posizione era come essere dentro a un pozzo profondo.
Piegai la coperta di lana e la lasciai ai piedi del letto. Poggiai i gomiti sul cuscino e osservai la stanza: la polvere copriva alcuni vecchi libri e delle lettere sparse sul tavolo di legno, ormai anch’esso consumato.
Indossai ai piedi gli scarponi neri e aprii la cella.
Adesso erano i miei gli scarponi che rimbombavano in quel corridoio, le cui pareti erano occupate da altre celle, identiche alla mia.
Una di quelle si aprì e Brandon mi raggiunse:
«Ehi bro’, buongiorno».
Faceva così ogni mattina: lasciava la sua cella e si univa a me per raggiungere la mensa.
«Hai sentito questa notte? Avranno fatto nero quello nuovo» mi informò, guardandosi attorno. Sperava, forse, che nessuno lo sentisse.
Mi tornò alla mente quel dolore e le grida a ogni frustata proprio nella notte in cui fui deportato in questa prigione.
«Silenzioso questa mattina?» Mi colpì con una spallata.
Rimasi con le mani in tasca, gli occhi sulla pelle nera e la bocca chiusa.
«Dai, di’ qualcosa, bello!»
Mi limitai ad allungare la mano sulla porta e a spingerla via.

Entrammo in mensa e presi posto al solito tavolo rotondo. Brandon accanto a me.
«Cosa ordini questa mattina? Bacon? Offro io». Il tono ironico mi fece voltare verso di lui e lasciai che gli occhi si assottigliassero. Poggiai le braccia sul tavolo sporco dalla cena precedente.
«Non rompere il cazzo, Brad, non mi va di parlare!» ringhiai serio. Buttai tutto il peso sulla spalliera di legno, allungai le gambe sotto il tavolo e le intrecciai. Poco dopo, feci la stessa cosa con le braccia, incrociandole al petto.
La mensa iniziò ad affollarsi di altri detenuti: uomini bianchi, neri, alti, bassi… non importava; lì dentro eravamo tutti uguali, o quasi, con addosso la tuta arancione.

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