🌹 capitolo tre
L’Orleans Prison era una delle tante carceri della Louisiana, forse il meno conosciuto. All’esterno si presentava come un edificio apparentemente sicuro e accogliente; le mura verde oliva e bianche davano l’impressione che fosse un posto tranquillo. Esso era circondato da un recinto di cemento con sopra del filo spinato, e il cancello nero opaco era sempre ben fornito di guardie.
Il carcere era stato costruito nella parte opposta della città, lontano dalle strade principali. Si trovava sulle montagne di New Orleans, in un posto sperduto, al di fuori della civiltà.
Il vialetto che divideva il cancello dalla porta d’ingresso era stato messo in risalto da piccoli sassi bianchi e su entrambi i lati si scorgeva un verde primaverile e su quest’ultimo alcune siepi coperte da fiori. Tutto sottintendeva accoglienza, alla vista di chiunque si fosse avvicinato, ma rare volte si vedevano visi nuovi attraversare quel vialetto.
All’interno era tutt’atro che accogliente.
Attraversata la porta d’ingresso, una stanza grande con le pareti di colore grigio e bianco si presentava quasi spoglia. Si poteva notare solamente una cattedra a destra, delle sedie di legno poggiate al muro, una bacheca strapiena di avvisi e un paio di piante finte in basso.
Oltrepassato quello spazio, di fronte a sinistra, si trovava una scala, mentre a destra alcuni uffici e la porta che portava al campo.
La scala si collegava con il primo piano; l’aria era consumata, poiché la finestra in corridoio restava sempre chiusa.
Il primo piano si divideva in tre corridoi: ospitava le celle; ogni due, una sbarra di ferro chiusa a chiave. Mentre nei corridoi a destra e a sinistra si trovavano altre stanze, tra cui una grande palestra, la stanza riposo dove si poteva leggere un libro, giocare a carte o a scacchi o semplicemente guardare oltre le sbarre delle finestre. E l’uscita per la terrazza.
Erano le nove del mattino, avevamo finito di fare colazione da un bel po’ quando, tranquillo a guardare alcuni compagni giocare a basket, proprio su quella terrazza, mi sentii afferrare il braccio. Fui trascinato via da quella sensazione di pace.
«Che cazzo vuoi?» Venni ignorato e tirato con forza lungo il corridoio. La guardia si fermò davanti a una porta, poco prima mi strinse i polsi con le manette, poi l’aprì e mi buttò all’interno facendomi cadere a terra.
Mi ripresi in fretta, alzandomi, e mi guardai attorno: quella stanza era pulita. Mi avvicinai alla finestra e gli diedi le spalle, guardando il tavolo e le due sedie attorno a esso, illuminati dalla luce naturale.
Riempii a pieno i polmoni e il respiro si bloccò quando sentii dei tacchi attraversare il corridoio. Mi stavano raggiungendo.
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