Capitolo 5: La verità su mio fratello
Aiden POV:
Andare a cena dai miei genitori è sempre stata una tortura. Noi, non siamo una famiglia normale. Non ci sono caldi abbracci ad aspettarmi. Non c'è un pasto cucinato con amore dalla mamma dal momento che o lo compra in gastronomia, o se lo fa consegnare dal suo ristorante italiano preferito oppure obbliga la signora delle pulizie a fermarsi di più perché non le interessa se a casa l'aspettano o se deve prendere 3 autobus. Molte volte la riaccompagno io, in auto, perchè mi fa pena. Lei è un'altra vittima del cuore di pietra di mia mamma. Ormai ho perso il conto delle sue vittime.
Suono il campanello. Anche se ho le chiavi della prigione in cui sono cresciuto, mi sono sempre sentito un ospite sgradito. Avrei potuto evitare di dividere la camera con Justin e vivere qui dal momento che i miei sono quasi sempre a Washington, ma mia mamma ha deciso per me. Come sempre da 19 anni ormai.
Ma ho preferito evitare che la mamma mi rinfacciasse pure questo. "Sei adulto Aiden! Smettila di fare la sanguisuga!" mi ha detto il giorno del mio 18° compleanno dopo avermi regalato un'automobile sportiva che io non avevo chiesto. Io sono per ridurre l'inquinamento e per l'ecologia e avrei usato tranquillamente la metro o avrei preso un'ibrida, ma lei doveva strafare per dimostrarmi chissà quale lezione di vita, perciò...
"Aiden, tesoro. Entra!" mi accoglie con una pacca mio padre. Lui è diventato anche il mio capo. Ma spesso ci vediamo solo dal monitor del centro operativo visto che lui, in quanto direttore, deve stare a Washington.
"Sei stato magnifico prima! Sono fiero di te!" mi sorride.
"Grazie papá."
"Sei in ritardo!" mi canzona immediatamente la mia adorabile mamma.
"C'era un'incidente sulla 24ma strada. Ti ho anche telefonato per avvertirti!"
"Se avessi preso la 34ma saresti arrivato almeno 15 minuti fa."
"Dal Campus la 34ma è scomoda!"
"Inutili scuse ragazzino! Io ho parlato e ho sempre ragione! Ora siediti o si fredda tutto!"
Le nostre meravigliose cene in famiglia in totale e imbarazzante silenzio. Le adoro! Poi il papà, per rompere la straziante quiete e non potendo parlare della mia prima missione, chiede alla mamma come le è andata la giornata e lei ha il monopolio su ogni argomento, come se fare la Vice Presidente, sia più importante di qualsiasi altro mestiere. Il papà come al solito la guarda in adorazione, come se fosse una creatura stupenda. Io alzo gli occhi al cielo. Non sopporto assolutamente quando parla. A volte penso, che mio padre, abbia un'intera macelleria sugli occhi e non solo i prosciutti. Sospiro sconsolato.
Rigiro nervosamente la forchetta tra le mani, mentre pianto il coltello da burro, con odio, nel panetto di burro alle erbe di montagna che detesto perchè agliato e che lei continua ad ordinarmi ogni maledetta volta. Mi si è già chiuso lo stomaco.
"Aiden Alexander Wray, non ti ho insegnato a tagliare il burro in questo modo, signorino!" autoritaria, mi rimprovera.
"Da quando ho memoria, non mi hai mai insegnato nulla, madre!"
"Solo perchè, tu, eri un bambino un po' ritardato! Eri una causa persa!"
Che!? Ritardato io? Sono sempre stato sveglio e curioso. Ora insulta pure solo per mortificarmi? Ho una voglia matta di soffocarla, col suo burro schifoso, in questo momento. La mia calma si è appena trasformata in rabbia, risentimento e odio.
"Chi é Alec, piuttosto!?" chiedo guardandola torvo.
"Dove hai sentito questo nome!?" domanda con un'espressione illeggibile.
"Un regalo del nonno!"
"Visto cosa succede ad aprire il tuo cuore alle persone? Che poi ti feriscono!"
"Qui, l'unica che mi ferisce sempre, sei tu. Non tergiversare e non scaricare le tue colpe sugli altri. Mi dici chi è Alec, per favore? Perché non é possibile che io abbia un fratello, di cui non ho mai sentito parlare, nemmeno una volta, in tutta la vita!" urlo buttando le posate sul tavolo, alzandomi e facendo raschiare la sedia sul pavimento in teak.
Gli occhi del papà si spalancano, quelli della mamma diventano lucidi. Per la prima volta mi sembra vulnerabile, ma è solo un'illusione, visto che poi spara e riversa su di me il suo solito veleno. Solo che questa volta non ero pronto e mi ha travolto.
"Era tuo fratello gemello. È morto perchè tu l'hai ucciso mentre eravate nella mia pancia. Contento!?"
Il cuore smette di battere. Un fratello? Per tutta la vita mi sono sentito incompleto, incompreso, solo, vuoto e non amato e ora, so perchè. Avevo un fratello gemello e l'ho perso perché... l'ho ucciso! Le gambe diventano molli mentre cado a terra col fiato corto. La vista ovattata, dalle lacrime e dal senso di soffocamento, il cuore tachicardico e un senso di malessere e dolore inspiegabile, mi annebbiano la mente travolgendomi di mestizia e strazianti sensazioni.
Questa crisi è più forte della precedente. Le mani tremano incontrollate. Mio padre si china preoccupato.
"Aiden, sei pallido. Stai bene? Tendo a precisare, che tuo fratello Alec, aveva una malformazione al cuore. Non è cresciuto abbastanza, perciò non è sopravvissuto. Non è assolutamente colpa tua!"
"Papá..." farfuglio. "Tu lo sapevi e non mi hai detto niente? Pensavo che almeno tu fossi dalla mia parte, che tra di noi non ci fossero segreti. Un fratello. Mi avete nascosto l'esistenza di MIO fratello."
"L'ho fatto per proteggere tua mamma. È ancora una ferita aperta per lei. Non era così cinica e insensibile prima del lutto. Io volevo solo...."
"Mentirmi!?"
"Proteggere la donna che amo! A te non sarebbe cambiato niente, tesoro." Cerca di abbracciarmi ma io lo spingo via.
"Un giorno, quando ti innamorerai davvero, allora mi capirai!"
"Io... vi odio!"
"Non fare il melodrammatico, Aiden Alexander."
"Con voi ho chiuso!" esco con le lacrime agli occhi sbattendo la porta.
"Aiden... ti prego aspetta!" sento urlare mio padre dal pianerottolo. Ma io ho solo voglia di andare il più lontano possibile da loro.
Ora so perchè mia madre mi odia: è morto il figlio sbagliato!
Parcheggio nel Campus e mi metto a camminare sotto la pioggia, finché non trovo riparo in un ritrovo per motociclisti sotto il ponte di Brooklyn.
Ingurgito alcol, come una spugna, per affogare i dispiaceri. Nemmeno mi chiedono i documenti.
Pago 100 dollari per una bottiglia di Bourbon scadente e me ne vado barcollando.
Uscendo, mi scontro con un'energumeno.
"Eih piccoletto stai attento!"
"Scusa! Non ti ho visto!"
"Che fai, mi sfotti? Sono il triplo di te!"
"Tanti muscoli, ma niente cervello, visto che non sei nemmeno in grado di accettare le mie scuse."
"Io ti ammazzo nanetto da giardino. Con la lingua lunga e tagliente che ti ritrovi, puoi farci una sciarpa!" urla funesto.
Mi solleva con una mano e mi butta in strada sotto la pioggia.
"Ti ci impicco, con la mia lingua."
Come siamo arrivati al pestaggio a sangue, non lo so. So per certo che dopo la mia infelice battuta, un attimo dopo lui e la sua banda mi tiravano calci nello stomaco, nella schiena e nelle gambe. Non ho nemmeno provato a difendermi. Volevo solo morire. Come Alec.
Un ultimo calcio, in mezzo al torace, all'altezza del cuore e sono svenuto. Mi hanno lasciato così. In mezzo al vicolo buio e all'immindizia. Sotto la pioggia scrosciante. Io, il pattume e il mio distintivo.
Solo. Come sono sempre stato.
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