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5 / Sangualtezza

[AVVERTENZA: prima persona invasiva, anacoluti, flusso di coscienza, uso e abuso del francese e del dialetto piemontese, contenuto moderatamente bizzarro.]



Monza, Italia, 29 luglio 1900.




A cinquantasei anni non si dovrebbe andare in giro la sera. Certo, neppure a ventisei. E nemmeno a quaranta. Perlomeno, non senza una rivoltella in tasca o una cotta di maglia sotto la camicia.

Uno esce di casa e può succedergli di tutto. Basta un piede fuori dal cancello – uno solo –, e il mondo comincia ad esploderti intorno.

Robe da matti.

Come se in un Paese civilizzato uno dovesse ancora temere di camminare per strada – altro che cristiani! Qui son tutti briganti; briganti con la B maiuscola; briganti di quelli cattivi, di quelli che il babbo ci faceva la guerra coi gendarmi. Facce spiattellate sulla celluloide (chissà poi perché le fotografie puzzano; uno si domanda le cose e nessuno gli risponde), grandi quanto il pollice del babbo, perché lui metteva sempre accanto il pollice quando me le mostrava. C'era un carabiniere che afferrava capelli e tirava in su teste, non ricordo il nome, non ricordo la data – questioni meridionali, sempre, sempre, sempre, sempre. 

Ma comunque.

Margherita ha detto di avere sognato; non so cosa, però. Sembra di leggere una tragedia di...? Scechespìr. Probabile che si scriva così, o forse vuole una cappa in mezzo. (Gente che si crede tanto intelligente perché sa scrivere un nome. In britannico, oltretutto!) C'era quel tale, Giulio Cesare, pronto ad andare al Parlamento... no, non al Parlamento, al Foro, l'Acropoli, l'assemblea giudiziaria plenipotenziaria assoluta. Insomma, Roma. Insomma, quando lo uccidono coi coltelli. La donna gli dice di aver sognato che lo ammazzavano, o una cosa simile. Lui non le da retta, e lo uccidono coi coltelli; per la serie: murì anzogna murì, per furtoina i n'han nent dicc an che dì. (E chi se lo ricorda più il latino?)

Ma comunque: qui la gente è troppa, è grossa e mi guarda sans façon. Quasi suonano le dieci e mezza e io sono ancora qui a guardare e a sorridere ed ad applaudire – e c'è Vaglia che è già su di giri di per sé, è uscito fuori male stamane e non s'è più ripreso; credo sia il caldo – e a sudare come un maiale, come tanti maiali messi uno dietro l'altro in attesa di tornare dentro il fango.

Robe da matti come uno possa star lì immobile sopra tanta gente. Ti guardano e tu li guardi, e sai che potresti continuare all'infinito se non ci fosse il Vaglia di turno già pronto col suo bel guantone a dare gli ordini al cocchiere. Il babbo diceva sempre che non eravamo fatti per star sopra la gente. Eravamo gente pure noi, magari – non così, ma quasi forse magari.

Un folle ardore direbbe Dannunzio (e mi ci giocherei l'anima al diavolo che si scrive così, alla facciaccia di tutti quegli ingegnosissimi signori della Camera!).

Dannunzio è pazzo. Credo che lo sia diventato quando ha iniziato a imbrattare fogli. Margherita gli vuol bene assai, e io non capisco perché (a dir la verità vuole bene pure a Carducci, e io rimango badaloch ogni volta). Dannunzio, Dannunzio, tutte le sere Dannunzio. A cena Dannunzio, si legge Dannunzio; e chi se ne importa se è uno «decaduto», come dice lui, ma sì, alla malora il Paese, tutti devono comportarsi come lui altrimenti gnente.

Pazienza, qui non s'ha ancora da tornare a casa.

Non ho nulla da fare, ma non voglio ancora pensare a Dannunzio, che poi Margherita scopre che ci ho pensato e non mi parla più. Tanto, sai che mi interessa: Genì mi parla tutti i giorni, comunque.

A lei Dannunzio non piace, lo trova noioso. In realtà non so esattamente cosa o chi le piaccia a parte me. Non credo di aver mai parlato di questo con Genì: sarà bene che la prossima volta inizi a chiederle qualcosa. Qualcosa di banale, tanto per iniziare; poi magari si scopre che pure a lei piace Carducci, e siamo punto a capo.

Non ricordo quando l'ho incontrata l'ultima volta, se tre o quattro giorni fa. La casa era la sua, ma di più non saprei dire. Quando vado da Genì, bado soltanto a coucher e poco più. Sono così abituato a starci assieme che ho l'impressione che il suo corpo si sia man mano modellato sul mio. Più io ingrasso, più lei dimagrisce. Quel che io perdo, lei ci guadagna; d'un tratto ci siam ritrovati come due sporcaccioni dell'ultima ora: io coi baffi bianchi e lei che pare una ragazzina.

Robe da matti.

Passano gli anni e Genì non invecchia, anche se ha sette anni più di me. Margherita invece sì che lo fa: l'ho vista perder capelli, ammollarsi tutta, nascondere il sedere basso dentro gli abiti della moda. Quando faccio coucher con lei, divento ancora più vecchio. Questi sono i misteri della vita.

L'orologio rintocca: le dieci e mezza spaccate. È ora di salire in carrozza e di tornare a casa, che Margherita scommetto che è rimasta a pregare in giardino (il sole non sembra tramontare mai a luglio) a braccia nude. Magari si è anche abbronzata, e lei sa quanto io la odi quando si abbronza. Pazienza, pazienza: meglio lei che Dannunzio.

Vaglia mi apre lo sportello con la faccia broncia, ma fingo di non farci caso. Mi scoccia di veder la gente con l'ugin trist cuschì le l'ugin bel cuschì lè sò fradè, custa lè l'ureggia bela custa le sò surela, custa la la bucca dal fra e cust a le al campanon da sunà e cust... – Siam gli Italiani, un po' di allegria!

«Altezza, un giovanotto.»

Volto la testa: dalla gente è davvero venuto fuori un ragazzo col berretto tutto sbrindellato e i baffi neri neri neri neri. Mi sta subito simpatico a pelle, e capisco che ha qualcosa da dire. Mi piace la gente che vien fuori dalla gente che ha qualcosa da dire – e lettera e testamento e punizione – me parla, con me.

Lo vedo che apre la bocca e si tasta la giacca – credo che abbia una lettera, una busta – e tira fuori qualcosa, ma non capisco subito, scintilla, e mi piace quando le cose scintillano.

La famosa rivoltella, i baffi neri neri neri neri, gli occhi, i miei, Vaglia, il babbo, la bandiera, i rintocchi (la settima volta che ascolto). Batte. Anche il cuore.

Altezza, un giovanotto a modo con la pistola. Butta il proiettile nella pasta. Il fumo esce. Rumore. La gente si accascia, no, no, sono io: io, il secondo rumore, mi ha preso, no, reggo la carrozza, la sollevo, no, è lei che solleva, mi regge, Vaglia non mi prende, il capello, rotola, no, l'ho preso, dolore al collo, lancinante follia avrebbe detto Dannunzio, lo prendo, stringo forte, il sangue sui guanti, colare, il terzo rumore, carabiniere, spara, pugno sul braccio, soccorso, murì, il babbo l'aveva detto, i baffi, la bocca, gocciola, murì, muoio, soccorso, stringere, altezza! altezza! altezza! Soccorso al sangue! Sangue! Sangue.

Il mio sangue. Bello da vedere. Non è blu come diceva sempre il babbo. Gli hanno fatto il monumento – perché gli hanno fatto il monumento? Allora è vero che siamo gente, senza forse quasi magari può darsi probabilmente.

Sangualtezza.

Vomito rosso sulle ginocchia di Vaglia. Il giovanotto chi era. Voglio saperlo adesso Passannante soccorso al re. Margherita l'aveva detto. Si chiamava Calpurnia. Uccidere coi coltelli e le rivoltelle. Cesare sparato al Parlamento. Una vergogna cadere così insieme alla gente dentro.

No.

Non so cosa succede è come essere ubriachi ma è più dolce più consolante più sublime avrebbe detto Dannunzio – Dannunzio ci sto ancora pensando, maledission. Sono a terra sulla carrozza sul pavimento sul freddo sono via, via da qui, respiro, il collo non fa male, fa male il cielo piuttosto, il cielo guarda, il cielo è caldo, il calore fa male, il calore e l'abbronzatura di Margherita – perché sto pensando adesso voglio soltanto scendere da qui.

Mi portano via, le ruote sferragliano, via dalla gente, svenuta, una donna, Genì, no: non è Genì, naturalmente. Non capisco sono morto o.

Sangue lecca la mia faccia giù in gola fra i baffi fili bianchi cuciti sopra il cuore rallentando sempre di più come un'automobile – automobile si dice così vero automobile – è una tragedia dio è una tragedia sono in paradiso mi sento male sto morendo mi sento dio bene molto bene mai stato così meglio santo santo santo il Signore prega non ho mai creduto a niente ma forse magari quasi potrei farlo penso che sì, è importante, e Vittorio – Vittorio cosa dirà – si vergogna sono morto lui non vuole devo vivere devo al ragazzo un'altra vita torna indietro continua a correre le mani stringono le spalle è Vaglia si è attaccato una sanguisuga vuole vedere il colore del mio sangue io mi rattrappisco la spalla distrutta il colpo ha sparato tre volte svengo

dio

muoio

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