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la forza di dirti tutto questo

Guardami.
Ho dentro un mondo di cui non so parlarti.

Ascoltami.
Ho un cuore che batte, nascosto sotto una finzione tanto spessa da celare ogni rumore.

Toccami.
Le mie mani custodiscono storie che non sono capace di raccontarti.

E parlami.
Di te.
Di cosa ti rende felice.
Di cosa ti spaventa.
Di quell'ora del mattino, camuffata dalla brina che scompare sotto le carezze del sole, quando ti viene voglia di sorridere senza una ragione apparente.

Fammi vedere i tuoi sogni.
Quelli che ti restano appiccicati addosso per ore intere e quelli che invece non riesci a ricordare del tutto.
Concedimi di difenderti dagli incubi.
Anche per una notte soltanto.

Permettimi di dimostrarti che il mio corpo è ancora caldo.
Nonostante la mia aura di ghiaccio.
Malgrado le mie parole gelate.

Sussurrami che può esistere un mondo diverso.
Una storia diversa.
Una fine diversa.
Dimmi che potrei essere diverso anche io, se solo trovassi il coraggio di farmi scivolare addosso questo costume intriso di solitudine.
E di lasciar vedere l'uomo che c'è ben nascosto sotto.

Assaggiami.
Senti il gusto della mia pelle.
Delle mie labbra.
E quello delle mie paure.
Così feroci da togliermi il fiato.
Così inconfessabili da sembrare irreali.
Relegate in qualche centimetro nascosto di una coscienza che fatico a riconoscere.
Tra le promesse e il sangue incrostato.
Asciugato sulle mie mani.
Divenuto tanto indelebile quanto intangibile.
Tanto reale quanto segreto.

Abbracciami.
Carezza con le dita questa mia casacca nera.
Poggia la testa sul mio petto.
Intuisci il mio respiro.
Così uguale a quello degli uomini.
Così simile a quello dei mostri.
Così pieno di misteri mai svelati.
E di lacrime seccate prima ancora di scorgere la luce.

Cercami.
Scava con le unghie sulla mia carne.
Fammi a brandelli la pelle, la maschera, le bugie.
E trovami.
Sono qui sotto.
Affogato nella mia vita sintetica.
Nella mia stessa menzogna.

Credimi.
Così che anche io possa illudermi di non avere niente da nasconderti.
Niente di cui vergognarmi.
Niente che mi costringa a sentirmi sudicio, toccando le tue mani limpide.

Sovrastami con le tue risate.
Con la tua voglia di vivere.
Con il tuo ottimismo inguaribile.
E mostrami come essere diverso.
Come diventare più simile ad un essere umano e più distante da un assassino a comando.

Perquisiscimi.
Rovesciami le tasche.
Svuotale da tutti i macigni che mi porto addosso.
Fammi sentire cosa si prova ad essere liberi.
A fare un salto, staccare i piedi da terra e imparare a volare.

Percuotimi.
Straccia la mia corazza a suon di pugni sul petto.
Fammi male.
Lasciami assaporare il dolore, così che possa riscuotermi.

Insultami.
Urlami in faccia quanto io sia il peggior nemico di me stesso.
Quanto io abbia ancora da imparare.
Snocciolami una dopo l'altra tutte le cose che potresti insegnarmi.

Confiscami ogni sguardo gelato.
Ogni battuta sarcastica.
E lasciami uscire allo scoperto.
Senza una maschera che mi autoimpongo con tanta convinzione.
Senza la freddezza che mi difende.

E poi amami.
Anche se non so dirtelo.
Che ti amo anche io, nel mio modo erroneo, muto ed impossibile.
E che non lo avevo mai fatto.
Non così.
Che forse non lo farò mai nel modo che vuoi.
Ma con un fuoco che mi si dibatte nella gola, che mi prende a calci lo stomaco.
Che mi disintegra l'anima.
In un tormento tanto bello da sembrare pericoloso.
Anche se so di essere un uomo sbagliato.
Di essere un uomo perduto.
Ma tu stringimi.
Fammi sentire giusto, anche solo per un attimo.
E pulito.

Concedimi di raggiungerti.
Di accarezzarti i capelli.
E di implorarti di non andare.
Autorizza con un gesto questo impulso sconosciuto che mi biascica all'orecchio di gettare al vento una vita di finzione.

Guardami ancora una volta.
Mi basterebbe una solamente.
Per trovare il coraggio di correrti incontro e di confessarti ciò che non avrei mai dovuto provare.

Trafiggimi con lo sguardo.
Non andartene.
Non superare quel portone.
Dammi una scusa, Hermione.
Dammela adesso.
E salvami.
Dalla mia vita.
Dal mio sgomento.
E da me stesso.
Ti prego.
Mi bastano i tuoi occhi nei miei.
Per un attimo ancora.
Perché afferri la forza di urlare a squarcia gola quello che mi si dimena sotto le costole, senza che io gli permetta di evadere.

Sorprendimi.
Torna indietro.
Proprio adesso, mentre la porta si chiude.
E ti nasconde.
Lasciandomi solo in una stanza piena di gente.
In un mondo pieno di sogni che non sono in grado di sognare.
In una vita che non sono stato capace di vivere.

Feriscimi.
Ora che sei andata via.
Lontana da me e dal mio amore appassito.
Penetrami la carne con il tuo pugnale velato di inconsapevolezza.
Quello che non sai neppure di stringere tra le dita.

E uccidimi.
Così da non lasciarmi qui.
Affogato in ricordi mai consumati.
In attimi mai vissuti.
Concedimi di far sbiadire la tua immagine, di far evaporare il tuo profumo, insieme alla mia vita inutile.
Senza che io debba continuare a fingere di esistere.
Senza di te.
E senza che io abbia mai trovato la forza di dirti tutto questo.

***

Corrimi incontro.
Spalanca il portone.
Afferrami le braccia.
E trascinami nei tuoi sotterranei bui.

Lascia al tuo respiro il compito di parlarmi.
Tu che non sai farlo.
Tu che, quando lo fai, anneghi la voce in una cattiveria costruita con dovizia di particolari taglienti.

Rinchiudimi nel tuo mondo fatto di tenebre.
E non lasciarmi scappare.
Tienimi con te, nascosta dal resto del mondo.
Mentre io non riesco a capire come ho fatto a non trovare la forza di dirtelo.
Pur correndo il rischio di farmi sbattere in faccia una risata di scherno.
Di farmi prendere a sberle dal tuo sguardo incredulo davanti ad un sentimento così inadatto.
Così impossibile.

Non lasciarmi andare via.
Dimmi che mi sono sbagliata.
Che il gelo che ho sempre visto nei tuoi occhi era solo il frutto di una finzione eccellente.
Che sotto la tua casacca c'è qualcosa di più di un eroe travestito da assassino.

Dimmi che ho fatto un errore non confessandoti questo amore assurdo.

Dimmi che hai spiato i miei occhi che si nascondevano tra le pagine di un libro, cercando di incontrare i tuoi, anche solo per un attimo.
E che hai capito.

Dimmi che vorresti stringermi le mani.
Che vorresti ascoltare tutto quello che ho da raccontarti.

Dimmi che hai sempre finto un fastidio recitato in modo perfetto, mentre redarguivi ogni mia parola, ogni mio gesto, ogni mio tentativo futile di apparirti impeccabile.

Dimmi che mi ami.
Anche se non fosse vero.
Così che io possa ricordare per sempre il suono della tua voce, mentre pronuncia le parole che tante volte mi sono concessa il lusso di immaginare.
Così che possa bearmi della melodia di un tuo sentimento.

Dimmi che puoi capirmi.
Che puoi comprendere le mie paure nel confessartelo.
Nel confessarlo al mondo.
Perché il mondo non può assimilare come io abbia potuto innamorarmi di te, Severus.
Io che sono chiara come la luce del sole.
Proprio di te, che sei pallido e freddo come le ombre della notte.

Dimmi che hai capito il mio gioco.
E che hai giocato con me.
Per vedere fin dove mi sarei spinta ad amarti.
Per vedere a che punto il cuore di una ragazzina si sarebbe spezzato.

Dimmi che mi vuoi.
Anche per una notte soltanto.
Così che io possa tatuarmi addosso il tuo odore.
Così che io abbia le tue carezze da poter rimpiangere.

Dimmi di non andare.
Di tornare indietro.
Di stringerti così forte da impedirti di respirare.

Dimmi che lo hai sempre saputo.
Non farmelo confessare.
Perché non ne sono capace.

Dimmi che può esistere un domani.
E che non si chiude tutto insieme a questo dannato portone.
Non farmi salire su quel treno.
Fermami.
Trattienimi.
Imprigionami.
E amami.
Come io amo te.

Dimmi che ti mancano la mia precisione maniacale, il mio braccio sempre alzato, la mia risposta perennemente pronta.
Dimmi che ti mancano i miei occhi lucidi e le mie mani inesperte nelle quali celavo a stento la voglia di toccarti.

Dimmi che ti manco io.
Con tutte le mie paure.
Con tutte le mie storie ancora acerbe da scrivere.

Dimmi che vuoi sconfiggere le tue tenebre, con me al fianco.
Che ti faccio venire voglia di vivere.
Che vuoi che ti insegni a ridere.
E a piangere.

Dimmi che ci sei, Severus.
Che sei l'uomo che ho sognato ogni notte, tra la veglia e il sonno.
Rincorrimi.
Abbracciami.
Prima che io sparisca dalla tua vita, senza trovare la forza di dirti tutto questo.

Nota dell'autrice:
Un ben tornato a tutti voi, che leggete le mie storie con tutta la passione che sapete dimostrarmi.
Sono di nuovo qui, con un racconto che ha preso vita per caso.
Ero al parco, con mio figlio che dondolava sull'altalena.
Una ragazzina di circa quattordici anni parlava al telefono, seduta sulla panchina al mio fianco.
Diceva alla sua amica che non era riuscita a dirglielo, che aveva perduto per codardia qualcuno che per lei doveva essere importante.
E come un fulmine, senza un preavviso, questa storia ha attraversato la mia mente.
Sentivo le parole premermi nella gola, con la voglia di uscire, di stamparsi da qualche parte e di diventare reali.
Sono arrivata a casa, ho aperto il computer, e le ho vomitare fuori una dopo l'altra.
È una storia scritta di getto, che mi sono immaginata in un virtuale settimo anno, con un Severus sopravvissuto alla guerra.
Una storia in cui le parole non dette hanno privato due vite di un amore che non sapeva di essere condiviso.
Di un sentimento che avrebbe potuto specchiarsi nell'altro.
Non so se vuole esserci una morale, perlomeno non vuole imporla.
Ma tende a rispecchiare un mio pensiero ferreo.
Perché se ami qualcuno devi dirlo.
Perché poi il momento passa e ti ritrovi da solo, con nient'altro che polvere da stringere tra le dita.
Perché spesso viviamo di passato, speriamo nel futuro, e ci dimentichiamo di vivere la meraviglia del presente, nel quale tutto può succedere, se solo si trova la forza di parlare.
Quindi vi lascio questa piccola favola, sperando come sempre di regalarvi un'altrettanto piccola emozione.
Grazie, ancora una volta, per avermi permesso di rendere più reale un sentimento, per aver letto le mie parole, per regalarmi le vostre impressioni.
Alla prossima favola...

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