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Buon Natale, Severus

Sei bella. I tuoi occhi grandi non hanno perso neppure una sola scintilla della luce incontenibile di cui mi sono innamorato, quando innamorarsi sembrava essere impossibile. Quando conoscevo l'amore solo come tormento, sensi di colpa e solitudine.
Sei arrivata nella mia vita facendo tanto di quel rumore da uccidere il mio silenzio.
Ti ho odiata per questo. E ho odiato me stesso per non essere in grado di tenere fede ad un personaggio che avevo costruito con abnegazione. Giorno dopo giorno, ingiustizia dopo ingiustizia, incubo dopo incubo.
Ti ho odiata così tanto da ritrovarmi ad amarti.
E adesso sei qui, con i piedi nudi che corrono sul pavimento di una stanza che negli anni sei riuscita a rendere meno tetra, e con una camicia che hai rubato dal mio armadio, in un' abitudine che non sono mai riuscito a strapparti di dosso.
Avevo alzato il sopracciglio, mi ero cimentato nella mia migliore espressione di biasimo, la sera in cui lo avevi fatto per la prima volta, ormai tanto, tanto tempo fa. Non era servita a niente allora, come continua a non servire a niente adesso, quando tento di difendermi dalla tua positività irrefrenabile, manifestata ancora con tutto l'entusiasmo riservato ai bambini.
Sei ancora una bambina, Hermione. Malgrado gli anni e la vicinanza pericolosa con tutti i miei demoni.
Dovrei ringraziarti per questo. Per non aver permesso al marciume della mia vita e agli incubi che ancora, talvolta, mi si impadroniscono degli occhi, di strapparti di dosso la tua allegria disarmante.
Ti avvicini con passo furtivo all'armadio. Quel pezzo di armadio della mia stanza che ti sei conquistata a suon di musi lunghi e mani sui fianchi, in un tentativo di farmi cedere che avevo ritenuto puerile e futile, e che invece si è rivelato di un'efficacia insospettabile.
Apri l'anta. Cerchi di non farti vedere. Ma è un tentativo inutile. Sai che vedo tutto. Che prevedo quasi tutto.
Tranne te. Non ti avevo prevista, ragazzina.
Non avevo previsto il potere di un sorriso lasciato uscire nell'ombra. Di una risata fatta esplodere in mezzo al silenzio e all'autodistruzione.
L'anta cigola. Sollevi gli occhi al cielo. Mi scocchi un'occhiata da sopra alla spalla che la mia camicia, inequivocabilmente troppo grande, lascia scoperta, risvegliando istinti che pensavo di aver appena finito di saziare.
Non è così. Con te non è mai così.
Potresti non bastarmi mai. Alla faccia dei miei cinquanta anni, della mia austerità e di tutta la forza di volontà a cui assurdamente continuo a costringermi.
Estrai qualcosa dal fondo, cercando di superare la barriera degli infiniti paia di jeans che penzolano silenti dalla stampella.
La carta fa rumore. Batti un piede per terra, in un gesto di stizza tanto infantile quanto eccitante.
Ti volti verso di me, che me ne sto abbandonato sul divano coperto di cuscini rossi e bianchi, su cui renne e improbabili Babbi Natale riluccicano con tutta la forza di assurde paillettes urticanti. Hai insistito per disseminare la stanza di palline, luci dai mille colori, alberi delle più disparate grandezze. Cosa resta del rifugio asettico di un mostro, in questa stanza? Niente, non resta più niente. Forse se ne è andato addirittura il mostro. Lo hai preso a calci giorno dopo giorno, anno dopo anno. Lo hai fatto uscire dalla sua prigione di dolore e di vergogna. Lo hai costretto a rivelare l'uomo che vi era nascosto sotto.
Lo stesso uomo che ti osserva immobile, trattenendo a stento un sorriso, con la casacca irrimediabilmente coperta di porporina rossa.
Ti avvicini. Tieni qualcosa dietro alla schiena. Sai che non serve. Sai che so benissimo cosa nascondi.
Eppure non ti arrendi mai. Avrei dovuto capirlo quando, in una sera lontana, con l'aria più risoluta che eri riuscita a trovare, mi ti sei parata davanti. E mi hai baciato.
Non sono riuscito a fermarti allora e non ho la forza di fermarti adesso.
Ringrazio ogni giorno quella ragazzina dagli occhi troppo grandi che non ha voluto soccombere sotto tutto il peso della mia incapacità di vivere.
Superi il tavolino su cui ha sistemato una quantità di candele in grado di dare fuoco all'intero castello con una sola, piccola disattenzione. Ti avvicini a me con le tue gambe nude, con i tuoi capelli ancora spettinati da una passione che poco fa ci ha travolti e con tanta di quella dolcezza da rendermi difficoltoso il respiro.
Sorridi.
Un piccolo pacchetto, racchiuso in una carta pericolosamente argentata, fa capolino dalle tue dita. La consapevolezza che i miei vestiti non torneranno mai più impeccabili mi conquista i pensieri. Questa maledetta porporina con cui ti ostini a ricoprire ogni cosa mi farà imprecare per le settimane a venire. Non me ne importa.
Allungo le mani. Sorrido.
«So già che tu non mi hai regalato niente, come sempre. E so anche che pensi che sia uno di quei libri che ogni anno mi ostino a comprarti e che, ogni anno, scopro che hai già letto... Ma questa volta non è così.»
Ti abbandoni sul divano al mio fianco.
«No, questa volta non è così...» lo sussurro sollevando ancora una volta un sopracciglio e sfilando da dietro alla schiena un pacchetto legato con una banale carta da pacco. Tutto quello che il mio vibrante entusiasmo natalizio è riuscito a concedermi.
Ti porti una mano alla bocca, dissimulando malamente lo stupore e le lacrime che assurdamente ti fanno capolino negli occhi.
Pensavi di essere così brava, ragazzina? Di poter prevedere le mosse della spia infallibile?
La tua innocenza mi stringe lo stomaco. Mi ricorda, se mai ce ne fosse davvero bisogno, quanto infinitamente io mi sia ritrovato ad amarti.
Afferri il pacchetto tra le mani. Con i polpastrelli accarezzi la carta leggermente spiegazzata. Per un attimo ti distrai dal regalo che mi hai appena infilato sulle gambe. Poi ti rianimi.
«Lo apro prima io!» sentenzi.
Nella frazione di un secondo il pacchetto, che avevo impiegato troppo tempo a fare, viene disintegrato dalle tue dita.
La piccola scatola blu scuro si palesa in tutta la sorpresa che si porta dietro.
Sai cos'è. Anche se forse non avresti mai neppure osato immaginarlo.
Fai saltare la chiusura premendo sul piccolo bottoncino di ottone. Le tue mani tremano.
L'anello di diamanti che ho comprato, pieno di insicurezze, in una gioielleria di Diagon Alley riluccica nella luce del mattino.
Una lacrima ti riga la guancia.
Maledizione quanto sei bella, Hermione!
Ti porti i capelli dietro alle orecchie. Con le dita ti asciughi il naso, in un gesto poco elegante, che nelle tue mani riesce a diventare irresistibile.
«Non sono mai stato bravo con le parole. Con questo genere di parole, intendo...» sussurro.
Fai un sorriso, mentre mi guardi per una frazione di secondo.
Poi stacchi l'anello dal supporto con un gesto deciso. Te lo infili al dito.
Sai che io non lo farò.
Lo osservi come si osserva ciò che si desidera da tempo, senza mai concedersi il lusso di crederci.
Qualcosa di simile alla voglia di piangere mi risale la gola. Vedo tutta l'emozione che ti invade il petto, ti osservo mentre cerchi invano di contenere le lacrime. Spio, forzatamente immobile, il tuo sorriso infrangersi sulle pareti di questa stanza e travolgere ogni cosa.
È questa la felicità, Hermione!
Malgrado il mio passato, nonostante tutte le macchie sull'anima che mi porto dietro.
Sei tu la mia felicità. Sei sempre stata tu, anche se non lo sapevo.
Fai per abbracciarmi.
Poi ti fermi.
«Adesso tocca a te...» lo dici con un sorriso. E con uno strano luccichio negli occhi che non sa se esplodere o essere trattenuto.
Osservo il pacchettino abbandonato sulle mie ginocchia. Ormai anche i pantaloni sono pieni di porporina argentata.
Sollevo delicatamente il nastro. Con la mania di perfezionismo di cui sono schiavo scollo la quantità inutile di scotch che hai appiccicato sui lati.
Una scatolina di cartone si rivela ai miei occhi, mentre uno sguardo interrogativo si infrange sul tuo viso impaziente.
Sollevo il coperchio.
Uno strano oggetto di plastica bianco fa capolino dalla rafia colorata.
Per un attimo mi sembra di non capire. Poi due piccole linee rosse compaiono da una finestrella, conquistando il mio campo visivo.
Sento il respiro mancare nella gola.
Ti guardo. Tu nascondi un sorriso tra le dita, con le guance rosse, gli occhi che tremano e una paura mista ad orgoglio che si fa spazio a gomitate nel tuo sguardo.
Sento una lacrima trovare la strada per evadere dalle palpebre, scendere sugli zigomi e intrufolarsi nelle pieghe della camicia.
Tu resti immobile un istante, ad osservare tutta l'umanità che questa volta, per la prima volta, non sono riuscito a trattenere.
«Saresti d'accordo?» lo dici in un sussurro «Non ne abbiamo mai parlato, lo so... non sei obbligato, insomma... è che...»
Ti bacio.
Ti bacio tra le lacrime che non vogliono smettere di uscire, tra i battiti di un cuore che sembra volersi liberare delle costole, e tra tanta di quella felicità a cui non sono più nemmeno in grado di dare un nome.
Le tue mani si stringono dietro al mio collo, mentre ti fai piccola tra le mie braccia.
Ti bacio i capelli.
«Sei riuscita a cogliere di sorpresa il maestro dell'inganno, ragazzina.»
«Quello che diventerà mio marito e padre di mio figlio, intendi?» lo dici ridendo.
Ti allontano.
Ti osservo negli occhi. Maledizione come vorrei essere in grado di dirti tutto cosa mi esplode nel petto.
Non ne sono capace.
«Sì...» dico solo . E tu capisci tutto quanto.
«Buon Natale, Severus!»
«Buon Natale... amore mio!»

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