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Andammo a ballare anche due sabati dopo, e le ore precedenti furono ben diverse: Valeria fremeva per partire. Era come un animale in gabbia che continuava a canticchiare i pezzi che passavano per radio aprendo e chiudendo le porte di casa con le anche.
Quello che non riuscivo a capire era come potesse essere sostanzialmente così dimessa durante il giorno, così in ansia per non attirare attenzione, per poi fremere così tanto per andare a mettersi in mostra, su un cubo, dentro una discoteca, con decine di occhi addosso.
«Ma ti piace essere guardata?» le chiesi uno dei giorni successivi alla prima uscita. Ero curiosa di sapere come funzionava la sua testa.
«Si, a te no?».
«Si, cioè... mi piace l'idea di essere oltre loro, che nessuno possa far altro che... guardarmi».
«Ah, pensavo che la facessi più semplice».
«Ma sei molto diversa da come sei fuori. Sembri un'altra».
«Non pensavo mi facesse questo effetto. E' strano, sembra quasi che mi metta un costume da supereroe».
«Da superfiga» replicai, non senza averci pensato un attimo. Ma era evidente che se si parlava di discoteca, mi potevo permettere una battuta in più rispetto a tutti gli altri contesti.
Avvertivo una fantastica sinergia tra noi due, una sinergia che mi aveva portato a pensare che forse avrei potuto azzardare qualcosa con lei. Ma poi pensavo un attimo, con occhio distaccato, a tutto quello: passavamo serate fantastiche, mi divertivo, ci offrivano persino da bere pur di scambiare quattro chiacchiere con noi. Gli sguardi erano di quelli che non mi piacevano, erano sempre falsi, interessati al corpo e disinteressati a qualsiasi altro elemento che ci contraddistingueva. Ne avevo continuamente dimostrazione dicendo stronzate clamorose senza paura di essere interrotta. Tuttavia avevo una compagna di avventure, ci sostenevamo e ci bastavamo e ci rendevamo le uscite fantastiche.
Provarci e rischiare di perdere tutto mi spaventava. Ed era strano perché ero sempre stata una che prendeva rischi. E allora perchè quel rischio non me lo prendevo? Nel tempo ho provato a darmi tante volte delle risposte a riguardo, e penso che non lo presi mai perché gli altri rischi mettevano in gioco solo me, la mia condizione, l'eventuale mia felicità, mentre quel rischio metteva in gioco anche lei, la sua felicità che rischiavo di distruggere, e io questo non lo volevo.
****
Nel weekend del 1 e 2 aprile, la classe di Valeria andò in gita in Toscana, tra Siena ed Arezzo. Quel weekend non andai a ballare da sola, preferendo stare a casa: non mi andava di affrontare tutto da sola un sabato sera sotto gli occhi degli altri, per me ormai quel momento era una cosa a due, punto.
Ci mandammo qualche squillo e qualche messaggino, nulla di morboso. Tornò nella tarda serata di sabato e la domenica non ci vedemmo, rimandando tutto il racconto al lunedì successivo. La mia gita, invece, era fissata tra giovedì e sabato della settimana successiva, saremmo andati da tutt'altra parte, a Roma.
La mattina di lunedì, Valeria aveva l'aria un po' colpevole. Mi puzzò subito e attesi con ansia che iniziasse lei a raccontare. In realtà, man mano che snocciolava una storia abbastanza standard su come era andata una gita di diciassettenni, era arrivata a sabato senza narrane nessunissimo sussulto.
«Poi, alla fine, in pratica siamo andati a ballare. Una nostra compagna aveva una conoscenza da quelle parti e ci ha portato. E niente» finì Vale, con la voce che si affievolì.
«Ti senti in colpa perchè sei andata a ballare?» le chiesi, divertita, «Vale, ma io sono contenta! Ma io sono contentissima! Vuol dire che ti trovi bene con te stessa! Ma che altro chiedere? Dovresti festeggiare!».
Ero sincera. Si, pensavo che sarebbe stato più figo se ci fossi stata anche io, ma non ero assolutamente gelosa, ero veramente felice per lei, e per una ritrovata serenità. Anzi, a dire la verità, ero quasi orgogliosa che tutto questo fosse successo, voleva dire che avevo fatto bene ad insistere, a trascinarla fuori, sebbene di nascosto.
«In realtà, beh, ho fatto una mezza cazzata» aggiunse, accentuando l'aria colpevole.
«Ti sei ubriacata e hai tirato il reggiseno a qualcuno» risposi, divertita, aspettandomi da lei il racconto di qualcosa di genere alcolico.
«Ho limonato con Riccardo. Teodorani» confessò, guardandosi la punta dei piedi.
Per un tempo lunghissimo non mi ero nemmeno posta il problema di eventuali ragazzi di Vale, semplicemente perché lei tentava il più possibile di essere invisibile. La Dea che ballava di fianco a me il sabato, nella vita di tutti i giorni era una ragazza low profile che non guardava i tipi ed era terrorizzata dagli sguardi altrui perché pensava che la giudicassero, ovviamente in maniera negativa.
Fu come sbattere contro un muro, per me. Anzi, fu come essere tamponata e poi andare a sbattere contro il muro: non solo Vale esisteva per i maschi di tutti i giorni, ma lei replicava, il che dimostrava in maniera lampante, che le piacevano i ragazzi, e non certo la sua migliore amica.
Fui forte, la abbracciai e le dissi che ero contenta e le chiesi com'era.
«Beh lui è forte. Balla un botto bene. Sembra una scemenza, ma abbiamo ballato a Piazza del Campo, così, dal nulla, quando tornavamo dalla discoteca. Ci hanno persino applaudito e alla fine, niente, è successo».
«E quindi state insieme» cercai di riassumere.
«Non lo so, è solo un bacio» mi rispose pensosa, poi mi guardò, «secondo te faccio bene?».
Povera me, incastrata come un topo, costretta a dire a quella che ti piace che fa bene a coltivare una relazione con un abile ballerino dalla lingua facile.
«Se ti piace, puoi provare a vedere come va» dissi, cauta.
Passai il resto della giornata a farmi mille viaggi, anche a livello di amicizia fra noi: sarebbe cambiato qualcosa? E se sì, cosa? Saremmo andate a ballare ancora assieme? Sarebbe stato possibile se lei si fosse messa con un ballerino? Non solo avevo avuto la conferma che per quanto riguarda il sentimento forte, non avevo speranze, ma ora era questione anche di amicizia.
Durante l'intervallo e nei cambi di ora, chiesi ad alcune compagne e scorrazzai per le classi chiedendo cosa sapevano del giovane Teodorani. Ne venne fuori una descrizione che suonava più o meno come "Uno sfigato che balla sui marciapiedi", indagando ulteriormente avevo capito che faceva breakdance in coppia con un altro ragazzo lombardo e che ogni tanto se ne stavano nella piazza delle poste o in qualche galleria del centro a fare sfoggio della loro arte.
Avrei voluto tanto vederlo a quattr'occhi e chiedergli che intenzioni aveva, ma continuavo a fare il pendolo tra lo sperare il meglio per Vale e augurarmi che lui fosse solo uno stronzetto ruba baci. Ma se anche avesse fatto parte di questa seconda tipologia, questo non risolveva il problema principale: a Vale non dispiaceva baciare ragazzi.
Rintracciai il suo amico lombardo allo Scientifico, mi presi cinque minuti la mattina di mercoledì e andai ad aspettarlo davanti all'ingresso della sua scuola. Era piuttosto riconoscibile con una casacca blu elettrico in cui capeggiava di traverso la scritta RANGERS.
«Sei Fabio?» chiesi a bruciapelo.
«Yes, e tu sei una che fa domande alla persona giusta».
«Senti, quando balli con il tuo amico? E dove?».
«Ehi, se sei della SIAE io non mi chiamo Fabio» continuò, facendo il simpatico.
«Fai il serio, volevo parlare con il tuo amico ma non fuori scuola».
«Trik fa colpo, vedo. Mi sa che ci becchiamo oggi pomeriggio. Ma non sono sicuro, male che vada andiamo al garage di un nostro amico. Se non sei della SIAE ti ci porto» poi aggiunse, con la faccia da furetto farlocco «E comunque, io sono meglio».
****
Pur considerandolo un mezzo scemo, mi convinse ad aspettarlo davanti alla Coop di Villa Chiaviche alle tre. E io aspettai, e aspettai, e aspettai, finchè se ne venne comodo comodo.
«Oh, meglio tardi che mai».
«Io non faccio tardi, io creo suspance».
Prendemmo un tram per il centro, lui con il suo zainetto striminzito e io con l'ansia di non sapere bene nemmeno cosa dire al suo socio. Quando arrivammo dalle parti della piazza delle poste, gli venne incontro un ragazzo più o meno della sua taglia, con dei cortissimi capelli castani e gli occhi guizzanti. Un paio di polsini giamaicani completava il quadro. Si scambiarono un elaborato cinque e poi Fabio disse che io lo cercavo.
«Cercavi me? Sei di qualche rivista di tendenze?» fece ironia, ma io non mi scomposi.
«Sei in classe con la Pisani, vero?».
Annuì, perdendo leggermente di smalto.
«Tranquillo, non mangio, sono semplicemente la sua migliore amica, tengo a lei e volevo informarti che» pensai a qualcosa rapidamente, «sono felice se troverà in te la persona giusta. L'importante è che... ecco, non giochi con lei. Tutto qui».
«Oh Riccà, che è 'sta storia? Ti sei trovato una che ti sopporta?» chiese Fabio, divertitissimo.
«Sentite, una e uno due. Si a me piace, anche se fa tutta quella che sta per i cazzi suoi, mi piace l'idea che siamo due che siamo diversi da tutti gli altri» puntualizzò, poi si fece vago, «Quindi, boh, spero ci stia. E comunque se sei la sua migliore amica, me lo dici come ti chiami o lo devo indovinare? Aspetta! Sarai mica Stefy Barselona?».
«Figa. Chi è Stefy Barsselona?» chiese di nuovo Fabio.
«Si, immagino di essere Stefy Barselona. Si, è vero, sono scappata a Barcellona l'estate scorsa» interruppi il siparietto.
«Ma scappata scappata?» si informò Riccardo, ma probabilmente anche Fabio era interessato alla risposta.
«Si, scappata scappata».
«Fabio, questa va bene per te, matti uguale» ironizzò il Teodorani, imprudentemente.
«Ehi, Riccardino, non fare battute, gli omini li scelgo per i cazzi miei».
«Dissing!» rise divertito Fabio, che comunque, per dire le cose con onestà, aveva passato gran parte del tempo a fissarmi il seno.
Avevo detto quello che dovevo dire, me ne potevo tornare a casa ma rimasi qualche minuto a vederli in azione, e mi chiesi se tutto ciò non fosse inevitabile: Riccardo ballava in mezzo a una strada, il suo scopo era farsi notare, guadagnando qualche spiccio per la sua arte. Vale ballava per farsi guardare, avevo capito in fretta che gli sguardi compiaciuti degli altri erano una specie di paga, per lei.
Mentre tornavo con il tram verso casa, non potei trattenere qualche lacrima. Mi rimaneva l'amicizia di Vale, ma era una parte dei miei desideri e forse non sarebbe bastata, forse avrei addirittura finito per rovinare anche quella, sapendo che non poteva trasformarsi in nient'altro.
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