Faith and Distance
Cammino lungo la Quinta Strada, senza meta, un piede dopo l'altro, su una linea immaginaria inseguita con la punta delle décolleté di pelle nera.
Chiacchiericcio dei passanti indaffarati e rumore del traffico nelle orecchie, avverto la presa della tua mano sul braccio, proprio nello spazio di carne accanto al gomito, sopra il paltò di morbido cachemire che mi regalasti un Natale passato.
Eppure, ogni volta che guardo la mia immagine riflessa nelle vetrine dei negozi, la lastra cristallina riflette soltanto me, una donna bionda coi capelli ravvivati da striature di colpi di sole, lisciati dall'abile spazzola di un acconciatore.
Il viso è stato accuratamente truccato per nascondere un pallore innaturale e le profonde occhiaie della sofferenza dell'anima. La sfumatura del tubino indossato sotto il cappotto, medesima di quest'ultimo, aggrava l'incarnato del mio volto.
Perfetta: così appaio a uno sguardo esterno di una persona superficiale. Al contrario, lo spettro della moglie che ero mi scruta con rimprovero. Ero questo, moglie, ma non lo sono più, da quando ti sei allontanato da me.
La distanza, concetto astratto e concreto, è ciò che ci separa. Il tempo è divenuto un valore altrettanto soggettivo. Un giorno che non passa, un'ora appresso alla successiva, le lancette dell'orologio di pregio - tuo ennesimo generoso dono - che percorrono con una lentezza esasperante i numeri romani e i diamanti sfaccettati del quadrante di madreperla. Nell'estrema difficoltà di chiudere un cerchio di un tramonto perenne, riaperto da un'alba comunque solitaria.
Hai organizzato l'ultima sorpresa, non dubitarne, persino dopo aver giurato che non ve ne sarebbero più state.
Sto provando, Tony, sto cercando di scavare dentro il mio cuore inaridito per recuperare qualsiasi briciolo di forza che possa aiutarmi a vivere, per me, per te, per Morgan, compiutezza del nostro amore.
Fatico, incespico, nelle pieghe dell'anima devastata. Mi sorreggo con la professione dello spirito e con un gesto continuo, divenuto nervoso vizio. Passo costantemente il polpastrello del pollice della mano sinistra alla base dell'anulare, percorrendo la circonferenza della tua vera nuziale infilata sotto la mia. Ha un calibro più ampio, la indosso così per non perderla. La superficie esterna dell'oro giallo si è consumata, lisciata dalle mie carezze, tenere blandizie che non posso più dare a te. Il callo d'amore formatosi sul mio dito è un'insperata fortuna: figura un gancio sulla realtà ancora viva e pulsante intorno a me, imperfezione fisica di una verità assoluta immodificabile e inaccettabile.
Il biasimo non è contemplato: non c'è stato un momento in cui ho desiderato che avessi preso una strada differente e avara. Tuttavia, l'ammirazione per il tuo immenso coraggio e per l'altruismo dimostrato nella circostanza della fine terrena non allevia affatto la mia incombente sofferenza.
Ho una borsetta con me, una bustina rettangolare di pelle nera, dalla linea essenziale e di piccole dimensioni. Sulle spalle, invece, porto uno zaino straripante di dolore pungente, gravoso peso che mi impedisce persino di respirare compiutamente.
Continuo a camminare, imperterrita, a piccoli passi. Affermasti che la fine è parte del viaggio. Beh, Tony, ho scoperto che detesto viaggiare, giacché il biglietto capitatomi in sorte prevedeva un tragitto troppo breve, pur bellissimo. Mi dicesti che se ti fossi addormentato di un sonno malato, sarei stata nei tuoi sogni, sempre io. Ti credo... adesso ti credo. Perché tu vivi nei miei, altrettanto nei ricordi.
Ho bisogno d'aria, non riesco più a passeggiare fra la calca, il ronzio del flusso dei veicoli mi infastidisce. Arrivata all'altezza dell'Upper West Side, attraverso velocemente la strada, incurante dei clacson delle auto suonati contro di me, moderni rimproveri nella mia direzione.
Da un vialetto acciottolato laterale entro nel polmone verde della città, il Central Park testimone di tanti nostri baci, d'innumerevoli passeggiate; persino di una leggera attività fisica programmata per mantenerci in forma, svolta in tute identiche da te ideate, in cui ci sentivamo più vicini in un periodo di gravità morale.
Da tanto non vengo più qui, rifletto. Manco da prima che mancassi tu. I piedini capricciosi, scollegati dalla volontà, mi portano in prossimità dello Strawberry Fields Memorial, luogo più amato del bosco incantato, costeggiato all'infinito, dividendo - noi, alla stregua di bambinetti golosi - un cono dalla cialda croccante riempito da un vortice morbido di gelato alle creme, ricoperto da zuccherini multicolori.
Strawberry Fields Memorial a Central Park
L'area è dedicata alla memoria del cantante John Lennon, il nome si ispira alla canzone Strawberry Fields Forever dei Beatles.
Ha la stessa forma della goccia di tormento scesa involontariamente sulla guancia dall'incrocio della mia palpebra destra, cristallo trasparente dalla china inesorabile.
Una grossa lacrima di piante rigogliose: olmi americani di grandi dimensioni e dalle ampie chiome, le cui foglie ruvide dai margini seghettatati ombreggiano sulla calura della primavera appena sopraggiunta sul calendario.
È da sempre un giardino di pace, circondato da orlature puntinate di fiorellini variopinti, ritrovo di artisti e persone comuni, scelto per ricordare, per riposare e per rasserenarsi, mai per condiscendenza alla tristezza: forse è per questo che sono qui.
Stranamente mi sembra più frequentato del solito. Le panchine di metallo verde sono gremite di newyorkesi e turisti seduti, altri non vi hanno trovato posto e sono rimasti in piedi intorno al mosaico di microscopiche tarsie bianche e nere, recante la scritta Imagine, la nota ballata che Lennon scrisse, a mo' di cantico di un mondo migliore e di un futuro terso.
Non riesco a scorgerlo da lontano, a causa dell'ostacolo dei corpi altrui. Rammento le tue parole, Tony, che esaltavano la lavorazione sopraffina delle tessere policrome degli artigiani italiani cui fu commissionato, richiamo a decorativi mosaici pompeiani.
È quando arrivo in prossimità del nutrito gruppo di persone che un paio di loro si voltano nella mia direzione, scambiandosi un'occhiata strana ed eloquente; si spostano subito, creandomi un corridoio di passaggio in cui mi appresto, verso il cerchio di roccia.
Sussulto, incredula. La scritta Imagine è celata. Al centro del globo, pietre di un azzurro cangiante e di una lucida sfumatura di argento rodiato replicano l'identica forma del reattore del nucleo del tuo petto, cuore pulsante di Iron Man: il secondo cuore di un genio, per me unicamente muscolo cardiaco del mio sposo.
Attorno, fino all'estremo della circonferenza del mosaico, migliaia di boccioli di rose gialle e rosse ricoprono i pezzi di opus tessellatum sul letto di cemento, sfumando in un arcobaleno concepito in due soli colori, predestinati alla corazza di un eroe.
La cornice è circolo di innumerabili lattescenti candele votive in giare di vetro trasparente. Gli stoppini accesi bruciano una cera aromatica, ispirata al gelsomino in fiore, ai garofani e al neroli, sposalizio perfetto con note evocatrici di fresco eucalipto e di pregiati legni di sandalo. Ne inspiro la fragranza nella tiepida brezza primaverile, evoca calma ed equilibrio al mio spirito agitato e commosso.
Lei è la signora Stark. La moglie di Tony. Non suona come una domanda perché non lo è. Una giovane donna, seguita dal compagno e da due gemelli di circa sei anni, un maschietto e una femminuccia, mi si affianca. In molti mi hanno riconosciuta, lei ha avuto il coraggio di parlarmi per prima. Sono in debito nei confronti di suo marito, e lo sarò per il resto della vita. Se non fosse stato per lui e per il suo sacrificio, per l'impegno suo e dei suoi colleghi, non mi sarei mai ricongiunta con la mia famiglia. Il mio oggi non ci sarebbe e... nemmeno il domani. Tony è nei miei pensieri e nelle mie preghiere, costantemente, e anche lei. Afferra le mie mani in una presa struggente; tanto veemente e al tempo stesso calorosa nonostante la scarsa conoscenza, che la borsetta mi sfugge da sotto il braccio e cade a terra.
Non riesco a risponderle, il respiro è fermo in gola, soffocato dall'emozione. La sento continuare. Veniamo qui almeno una volta alla settimana e accendiamo un lumicino. È la verità, non mente. Dalla tracolla di cuoio marrone scuro estrae un cero identico alle candele poste a terra. Ė un modo per onorarlo, e non siamo gli unici. Me lo passa e accendo lo stoppino con un fiammifero, ponendo la giara di vetro accanto a quella che mi sfiora la punta delle décolleté.
La mano della donna afferra la mia destra, all'altro lato percepisco la manina della bambina prendermi la sinistra; le fedi, in quel distinto attimo, premono con gagliardia sulla mia pelle, provocandomi un brivido.
Il cerchio solidale si salda e si chiude, catena immensa di carne e sospiri.
Guardo di fronte a me.
C'è un cuore che batte, nel mezzo di Central Park. È il tuo cuore, Tony, più vicino che mai.
Ti rassicurai, ribadii che io e Morgan saremmo state bene, ti esortai a riposare. Riposati, tanto, e aspettami.
Andrò avanti a qualunque costo, fin quando ci rincontreremo in un'altra dimensione. Ci riuscirò.
Perché oggi ho capito pienamente che il contrappasso da pagare era la felicità degli altri.
E che la distanza fra noi non esiste.
FINE
Questa storia partecipa al concorso "La distanza fra me e te" del Profilo WattpadFanfictionIT.
L'idea era narrare della distanza più profonda che esista tra due persone che si amano, quella dell'anima. Con la certezza che prima o poi i due cuori si incontreranno di nuovo nella stessa dimensione. Perché nessuno muore davvero se vive nel cuore di chi resta. Per lo meno è la mia profonda convinzione. Spero sia stata una buona lettura. E come sempre... buona vita!
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