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Un angelo sepolto dal fango

Se potessi esaudire un mio singolo desiderio – sceglierne uno solo fra tutti quelli a cui ho pensato da quando sono in vita – sarebbe quello di rendere ogni frammento della nostra esistenza indelebile. Trasformerei il nostro cervello umano in un grande archivio, i ricordi impilati e ordinati come libri, con noi che passeggiamo fra infiniti corridoi sfiorandoli con le dita per ripescarne uno. Sfogliarlo, rivivere le stesse emozioni, essere di nuovo quella versione di noi stessi di tanti anni prima.

Vorrei tanto, per esempio, rivivere quegli anni in cui i genitori si prendevano cura di me. Quando attivavano la mia fantasia trasformando un cucchiaino in un aeroplano per convincermi a mangiare le verdure frullate, che ogni volta sputavo sul seggiolone facendo una smorfia disgustata. Vorrei tanto ricordarlo, invece devo accontentarmi dei racconti di mio padre. Vorrei sentire di nuovo il sapore metallico del cucchiaio, l'acidità delle verdure, il borbottio delle labbra di mia mamma mentre faceva movimenti circolari per sospingere l'aeroplanino contro la corrente estiva che passava per la nostra cucina. Non voglio accettare che il tempo sia volato così, ma soprattutto quanto in fretta le cose siano cambiate.

Ho vent'anni, sono ancora giovane, ma ora sono io quella che sospinge il cucchiaino verso le labbra di mio padre. Con premura pulisco la sua barba con qualche pelo ingrigito, faccio attenzione a non macchiargli il maglioncino che ha comprato quando siamo stati in viaggio a Vienna otto anni fa. Papà accetta senza alcun capriccio il cibo e mastica lentamente, non c'è bisogno di fingere sia un aeroplanino. Tuttavia, nessuno dei due deve dire ad alta voce quanto sia strana questa situazione. So che contava di prendersi cura di me per ancora tanto tempo, di aspettarmi sveglio quando sarei tornata tardi da qualche festa con le amiche, di farmi trovare i pasti pronti e farmi altre ramanzine nel caso mi fossi rifiutata di mangiare le verdure, ma il destino ha scelto diversamente.

Sono passati quattro anni da quando ha perso l'uso delle gambe e delle braccia, è stato condannato a una sedia a rotelle fino alla fine dei suoi giorni. I suoi giorni hanno smesso di essere lavoro, cene con la moglie, sgridare me e mio fratello per le nostre stupidaggini da adolescenti. Ora sono composti da "per favore", "aiutami a fare questa cosa" e "grazie", da libri sfogliati e letti con attenzione, da film o serie tv trasmesse alla televisione.

Nonostante la vita sia stata ingiusta con mio papà, lui non ha mai perso quello sguardo che caratterizza qualcuno che ama con tutto se stesso essere vivo. Il suo cuore non ha mai smesso di amare, il suo cervello di imparare e i suoi occhi di osservare. Questo lo so perché vedo come mi guarda. Anche adesso, mentre gli spalmo la crema idratante sulle nocche raggrinzite dal freddo dell'inverno, mi guarda come se fossi la persona più bella di questo pianeta. Nonostante gli sia più difficile, non ha mai smesso di essere mio papà e io di essere la sua amata figlia di cui prendersi cura.

«Oggi rimarrà con te la zia, io tornerò in tempo per cenare insieme» dico. Gli lascio un bacio sulla fronte. «Terrò il telefono con la suoneria attiva, non fatevi problemi a chiamarmi.»

Sorride. «Non preoccuparti per me, oggi non è il tuo grande giorno?»
«Il mio grande giorno esiste solo perché è morta una povera donna,» sospiro, «ma sì, mi hanno affidato un articolo che sarà pubblicato in prima pagina.»

La nostra vita, in ogni caso, non si è fermata. Io stessa non la disprezzo. È semplice, a volte mi fa sentire come se stessi soffocando, ma mi soddisfa. Mi sveglio la mattina e penso a quanto sono stata fortunata ad aver ottenuto la carriera dei miei sogni: indagare, scrivere e incappare nei giornali in edicola o nei bar con articoli firmati da me, il mio nome e il mio talento sotto gli occhi di tutti. Vado a dormire e penso a quanto sono fortunata per il semplice fatto di poter abbracciare ancora il mio papà.

Non nego che alle volte mi manca la vita di prima, quando potevo permettermi di essere ancora una bambina spensierata. Quando eravamo ancora una famiglia. Ho imparato, però, a fare buon uso di ciò che mi è rimasto per ripartire e costruirne una nuova. Devo solo ricordarmi di non guardarmi mai indietro per più di qualche secondo.

«Una donna morta?» domanda mia zia, facendo il suo ingresso in salotto.

«È stata ritrovata in un campo da un contadino, si pensa fosse una prostituta» spiego. «La notizia non è ancora stata resa pubblica, soprattutto perché si sa ancora poco sulla vittima. In ogni caso Alexander ha chiesto a me di andare sul luogo del delitto per fare domande ai poliziotti. Il nostro quotidiano sarà il primo a parlarne, articolo in prima pagina firmato dalla sottoscritta.»

«Congratulazioni, Cassandra!» Mia zia applaude entusiasta, per poi stritolarmi in un abbraccio. «Ti hanno scelta perché sei la più brava, sono così orgogliosa di te!»

«Mi hanno scelta perché a gestire le indagini è il padre di un mio vecchio compagno di classe e sperano che il mio viso familiare lo faccia cantare come un uccellino, ma apprezzo di più la tua versione» Rido. «Ci vediamo dopo, fate i bravi!»

Non appena salgo in macchina cerco il cellulare nella borsa e controllo se mio fratello ha risposto ai dieci messaggi che gli avevo mandato. La risposta è no, ma non mi sorprende. Penso che lui sia una delle poche cose che mi mancano della vita di prima, quando ancora eravamo legati. Abbiamo sei anni di differenza, ma non li abbiamo mai sentiti. Era come se fossimo gemelli, con gli stessi pensieri e le stesse emozioni. Questo prima che si trasformasse in una persona completamente diversa da quella che pensavo di conoscere e che mi lasciasse da sola a gestire un lutto e la condizione improvvisa di nostro padre.

Tento di chiamarlo, ma il cellulare squilla a vuoto. Quando parte la segreteria alzo gli occhi al cielo. «Sono Cassandra, la sorella di cui ti ricordi l'esistenza quando hai bisogno di qualcosa, figlia di quell'uomo che è anche tuo padre ma che non vieni mai a trovare» Faccio un respiro profondo per mantenere la calma. «Senti, hai ventisei anni e non dovrei essere io a dirti queste cose, ma mettiti la testa a posto e prenditi le tue responsabilità. Sapevi che oggi devo rimanere in ufficio più del solito e non possiamo lasciare papà da solo, è la terza volta questa settimana che devo disturbare la zia e chiederle di restare al posto mio. Trova una soluzione, per favore. E richiamami appena senti questo messaggio.»

Lancio il cellulare sul sedile del passeggero e parto, cercando di mantenermi carica per la giornata che mi aspetta. Non posso permettere che mio fratello mi rovini anche questo momento, non glielo permetterò più. Mi concentro sul cielo nuvoloso, tipico della nostra città. Pare che il sole si dimentichi spesso della nostra esistenza. Vento, pioggia e umidità sono all'ordine del giorno. Tuttavia, a me non dispiace, mi fa sentire carica e avvolta dalle nuvole. I capelli che si arruffano, le tisane calde una volta tornati a casa, i cappotti.

Anche le persone non sono male. Siamo circa ventimila abitanti, ma l'aria che si respira è tranquilla, quasi forzatamente amichevole. Tutti sorridono sempre, tutti sono educati. Le signore per strada ti danno il buongiorno con il sorriso e gli uomini tengono la porta quando devi entrare in qualche posto. Nessuno è mai stato aggressivo o arrogante. C'è da dire, però, che le persone chiacchierano molto volentieri e che non ci vuole molto prima che una notizia sia sulla bocca di tutti.

Proprio per questo motivo spero che il caso venga risolto il prima possibile. La nostra comunità rimarrà scioccata alla notizia di una donna uccisa, un evento più unico che raro qui. L'ultimo omicidio è stato registrato più di dieci anni fa e a commetterlo è stato un turista, quindi nemmeno una persona del luogo. Riesco già a sentire l'allarmismo che si dilagherà di strada in strada: bambini che non verranno più fatti uscire, negozi chiusi prima, forse qualcuno smetterà di salutare o di tenere la porta nella convinzione di avere davanti l'assassino.

«Un angelo sepolto dal fango», così l'ha definita il mio capo Alexander. Non appena ho visto le foto della vittima ho sentito lo stomaco ribaltarsi e l'urgenza di vomitare: i lineamenti erano così dolci da sembrare veramente quelli di un angelo, ma soprattutto non quelli di una donna adulta. Gli occhi grandi da bambina, le braccia magre. Tutto in lei ricorda un'adolescente appena sbocciata, e la cosa potrebbe creare più di qualche problema.

Il luogo del delitto è pieno di poliziotti, la porzione di terreno è circondata da del nastro fosforescente. Il corpo è già stato portato via per l'autopsia, ma ci sono numerosi cani in cerca di possibili indizi che potrebbero chiudere la faccenda nell'arco di qualche giorno. Il tempo scorre ed è prezioso, soprattutto prima che la pioggia possa lavare via alcune prove che potrebbero incastrare il colpevole. Sempre nella speranza che riescano a trovarlo.

«Signor Folks» Attiro l'attenzione del capo delle indagini, che non appena mi riconosce sorride in maniera forzata. So che è contento di rivedermi, soprattutto dopo tutte le sere passate a casa sua a cena insieme a suo figlio e altri nostri compagni di classe, ma so anche che avrebbe preferito farlo in un contesto diverso. Uno, per esempio, in cui io non sono una giornalista ficcanaso e lui un poliziotto che deve fare attenzione a non lasciarsi sfuggire troppo. «Ho saputo della donna, mi ha mandato il mio capo.»

«Donna è esagerato» mormora. «Ti avrà già informata della particolarità del caso. Il suo documento dice che aveva ventun anni, ma il suo viso dimostra il contrario.»
«Eppure i documenti non possono mentire» ribatto.

«Cassandra... Non posso rilasciare tutte le informazioni prima ancora di capire cosa sia successo.»
«Allora forniscimi quelle che puoi darmi. Perché c'è questa incertezza sulla sua età?»

Il signor Folks sospira, per poi alzare le mani in segno di resa. «Il suo documento è falso, abbiamo mandato una pattuglia all'indirizzo segnato sulla carta d'identità ma ci vive un'altra famiglia. Inutile dire che non hanno mai sentito parlare di questa ragazza» spiega. «Questo ci fa sospettare che tutto su quel documento sia falso, a partire dall'età. Soprattutto perché ha il volto di un...»

«Angelo» Finisco la frase al posto suo, rabbrividendo. La possibilità che la vittima sia una ragazza minorenne, e che faceva la prostituta, rende il tutto peggiore. Mi stringo nel cappotto, chiedendomi quale sia la cosa giusta da fare: sarebbe corretto lanciarla in pasto agli sciacalli, una volta scoperta la verità? «Come si chiamava?»

«In teoria Eirlys Johns, ma chissà» Sospira. «Abbiamo fatto qualche ricerca su di lei, ma sembra comparsa dal nulla. Non ha una casa, non ha un nome, la sua età non la conosciamo. Niente parenti o amici, solo le colleghe al club in cui lavora che pare sappiano ancora meno di noi. Sembra piombata su questo terreno dal cielo nel momento stesso in cui è stata uccisa. Stiamo contattando le centrali di altre città per capire se loro possono scovare qualcosa, ma la vedo difficile.»

«Com'è stata uccisa?»
«L'autopsia renderà tutto più chiaro, ma le hanno tagliato la gola così in profondità quasi da decapitarla. Aveva dei segni sulle braccia, probabilmente ha tentato di difendersi.»

Resto in silenzio. «Non so cosa dire.»

So bene come funzionano questi casi, l'esperienza ha reso tutto chiaro: una donna che fa come lavoro la prostituta e la spogliarellista non sarà mai una vittima al cento per cento, ci sarà sempre chi dirà che se l'è meritato. Una donna che pare essere qui illegalmente e con un nome falso renderà tutti più sospettosi, dando inizio a una serie di complotti che agiteranno ulteriormente le acque. La probabilità che sia minorenne, però, farà impazzire ogni singolo individuo, dando inizio a un'ondata di scalpore e disgusto e voglia di giustizia. Questo, invece, spingerà la gente a voler aiutare, probabilmente intromettendosi nelle indagini ufficiali.

«Inserirò il suo nome nell'articolo, magari qualcuno si farà avanti con qualche informazione» dico. «Al momento terrò nascosta la possibilità non sia maggiorenne.»
«Grazie.»

Sorrido amareggiata. «Sto solo facendo il mio lavoro.»
«Già,» sospira, «anche io.»

Quando mi allontano porto con me una forte sensazione d'angoscia. È naturale domandarsi chi mai potrebbe compiere un gesto così cruento, chi mai potrebbe guardare negli occhi una donna così giovane e assassinarla a sangue freddo. Cammino a passo svelto, sentendo l'ansia che mi implora di rifugiarmi in macchina per godermi qualche minuto in silenzio. Questo finché un uomo non mi sbarra la strada.

Ci guardiamo negli occhi, sento la paura paralizzarmi le gambe. Mi osserva in silenzio, il suo sguardo di ghiaccio mi scava dentro, fino a ribaltare il mio stomaco. Cerco di mostrarmi disinvolta e di superarlo, ma mi sbarra di nuovo la strada. La sua vicinanza mi inquieta, il suo sguardo e i suoi lineamenti taglienti mi fanno sentire a disagio. Sento la schiena bruciare, come se una lama bollente mi stesse squarciando dal collo fino alla base della schiena. So di avere paura, ma giurerei che è come se la mia cicatrice fosse in fiamme in questo momento.

«Posso aiutarla?» domando.

«Cos'è successo?» chiede in risposta.

I suoi occhi sono fissi sui poliziotti, ma sento che sono io l'oggetto del suo interesse. Il suo corpo mi sovrasta, la sua intera presenza mi causa angoscia come se non fosse umano, come se non fosse una persona vera. Esibisco un sorriso cortese. «Non sono autorizzata a dare informazioni.»

«Cosa si sa della vittima?»

Rimango spiazzata. Lui non dovrebbe saperlo, la notizia non è ancora disponibile al pubblico. La sensazione di avere davanti il possibile responsabile del delitto frantuma la mia sicurezza, il mio sorriso vacilla. «Non sono autorizzata a dare informazioni» ripeto. «Mi faccia passare, devo andare.»

L'uomo mi fissa in silenzio, per poi spostarsi lievemente. Senza pensarci due volte, raggiungo la macchina. Mi chiudo dentro e prendo il cellulare per scattare una foto all'uomo, con l'intento di farla vedere al mio capo e al signor Forks, ma quando mi volto è già scomparso. Sono sicura di non essermelo immaginata, perché sul fango sono rimaste le sue impronte. La sua presenza ha impregnato tutta la zona, quasi come fosse un diavolo.

Osservo la scena del crimine e passo una mano sulle mie spalle, sentendo il mio corpo ancora scosso dall'esperienza. La cicatrice non brucia più, eppure è come se sapessi che lui è ancora qui. Un angelo sepolto dal fango con un diavolo che calpesta il suo riposo.

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Quattro ore di scrittura, un articolo per nulla soddisfacente. Avere la prima sul caso attirerà numerosi lettori, ma le informazioni sono troppo poche per trarne qualcosa di interessante. Avendo tolto tutti i particolari delicati, tutto ciò che ho potuto dire sono il nome, la misteriosità della sua comparsa in città e l'assenza, per il momento, di un indagato.
Lascio l'ufficio sentendomi tesa. La morte di quella giovane ragazza, quell'uomo terrificante, la mancanza di informazioni... A volte mi domando se io abbia scelto il lavoro giusto, se ho la stoffa per affrontare qualsiasi cosa mi porrà davanti.

Decido, prima di tornare a casa, di passare per un mercatino dell'usato. I miei genitori mi ci portavano sempre da piccola e trovo ancora molto conforto in mezzo a quei mucchi di cianfrusaglie. Mio papà si concentrava sempre sui vecchi libri di storia, mentre mia madre accumulava set per preparare bevande. Tutte le tazzine e le teiere sono ora chiuse in un vecchio scatolone in garage.

Mentre cammino per le bancarelle, facendo attenzione a non urtare nessuno, mi rendo conto di non avere uno scopo preciso. Ho solo bisogno di sentirmi, per un momento, una bambina attirata da degli oggetti che non hanno alcun valore. Toccare delle pietre come se fossero potenti talismani in grado di cambiarmi la vita, libri con le pagine usurate dal tempo e dalle dita dei loro precedenti lettori, vestiti che hanno ancora impresso l'odore dei vecchi proprietari o dei prodotti usati per lavarli. C'è così tanta storia, qui. Così tante vite che si intrecciano, magari senza esserne consapevoli.

Mi fermo davanti a una bancarella e osservo l'anziano signore che la gestisce, che si stringe al suo giubbotto cercando di affrontare le temperature che si fanno sempre più fredde. Mi sorride e io ricambio, per poi osservare le spille che vende. Sono state dipinte a mano, i dettagli sono curati e fatti così minuziosamente da sembrare stampati. «Li ha fatti lei?» chiedo.

L'uomo annuisce. Si alza entusiasta dal suo sgabello, forse emozionato che qualcuno finalmente riconosca il suo lavoro. Più si avvicina e più riesco a scorgere dettagli sul suo volto, le lentiggini spruzzate con precisione, la ricrescita di una barba ormai bianca. Assomiglia alle spille che vende: ogni dettaglio del suo viso sembra incastrato con cura e precisione.

«Dopo la pensione avevo parecchio tempo, così mi sono trovato un passatempo» Accenna alle spille. «Quelle le ho realizzate io, il resto è il risultato di anni e anni di raccolta.»

La bancarella non ha un ordine preciso, sembra quasi un mondo magico. Ci sono candele accese, vecchi tappeti, pelli, amuleti, le sue spille, libri dalle copertine talmente usurate da non poter nemmeno leggere i titoli. Ci sono vecchi dischi, così come dei quadri e delle fotografie rappresentanti eventi storici. «Amante della storia?» chiedo.

«Sì, e lei?»
«Più della storia attuale» ammetto. «Non mi piace rimuginare troppo sul passato, preferisco quello che ci circonda adesso.»
«Non è il passato a scandire il nostro presente?»

«Non per forza» dico. «Il mio mestiere mi ha insegnato che il passato non contiene tutte le risposte che cerchiamo.»
«Che lavoro fai?»
«La giornalista.»

«Ho quello che fa per te, allora» Si china lentamente e apre uno scatolone contenente numerosi libri, per poi estrarne uno dalla copertina in cuoio. Ha numerose pagine attaccate per puro caso, sembra così usurato da sembrare una reliquia storica sopravvissuta per miracolo. «Tieni, te lo regalo.»
«No, non posso accettare.»

«Tanto non lo vorrà mai nessuno, preferisco lo abbia una ragazza che ha fra le mani il presente di numerose persone» ridacchia. «Soprattutto perché il nostro presente scandisce il nostro futuro.»

«Su questo non posso controbattere» Afferro il libro, spostando la polvere con il palmo di una mano. «Cos'è?»
«Un libro di fiabe» risponde.

Aggrotto la fronte, perplessa. «E come potrebbe un libro di fiabe aiutarmi nel mio lavoro e salvare il futuro di numerose persone?»
Mi guarda negli occhi. «Morale e speranza» dice. «Un giorno la morale e la speranza potrebbero cambiare la tua vita.»

Ciao raga 🫶🏻
Questo è il primo capitolo, spero vi piaccia, sono stata un'eternità a scriverlo perché ogni due secondi trovavo un difetto lol
In ogni caso ho le idee ben chiare per questa storia, spero solo di non tirarla troppo per le lunghe (sto cercando di capire se limitarmi a un libro o spezzarlo in due).
Spero voi stiate bene <3
Al prossimo capitolo!

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