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6

Quando riaprì gli occhi, Frank era di nuovo sul treno. Batté le palpebre, confuso, ma poi accettò quel curioso colpo di scena con un'alzata di spalle quasi impercettibile. Il treno sussultò mentre passava sul binario di scambio, poi si stabilizzò in un brontolio appena vibrante. Frank richiuse gli occhi e appoggiò la testa sul sedile.
Ebbe l'impressione che fosse passato appena un secondo ma, quando si risvegliò, qualcosa era cambiato. Perplesso, aggrottò la fronte. Doveva essersi riaddormentato. La luce sferzante del vagone gli ferì gli occhi, costringendolo a socchiuderli. Scosse leggermente la testa per schiarirsi le idee e si mosse sul sedile per trovare una posizione comoda. Le buste della donna occupavano una quantità di spazio assurda e qualcosa di appuntito, che usciva da un sacchetto color salmone brillante, gli stava pungolando dolorosamente le costole.
Ricordò di aver promesso a suo padre di mandargli un messaggio quando fosse stato sul treno e, con una certa difficoltà, fece sgusciare il telefono fuori dalla tasca. Accese lo schermo e iniziò a scrivere.

"Papà, ho preso il treno.
Ho preso quello che parte prima,
non vedo l'ora di incontrarti :)
-Frank. "

Un improvviso sobbalzo del treno gli fece sbattere il gomito e strappò il suo telefono dalle dita. Frank tentò di afferrarlo con l'altra mano, ma riuscì solo a toccarne l'estremità inferiore spingendolo ulteriormente fuori portata. Con un orribile schianto secco, il telefono cadde sul pavimento.
«Cazzo», borbottò sottovoce. Le sue dita frugarono per qualche secondo per terra, prima di trovare il cellulare. Era appiccicoso; qualche idiota doveva aver versato del succo di frutta. Frank raccolse il telefono per esaminare il danno.
Invece del succo, era ricoperto di una sostanza densa e rosso scura che scorreva sullo schermo e gocciolava lentamente, creando delle piccole macchie sulle sue ginocchia coperte dai jeans. Frank alzò lo sguardo e, per la prima volta, incontrò gli occhi della donna davanti a lei. Lo fissavano, privi di vita. Un rivolo di sangue le scorreva giù dalla testa e aveva la bocca spalancata, con le labbra grigie tirate in un urlo. Frank si guardò intorno frenetico e scorse i due tifosi dei Rangers che aveva tentato di evitare. Erano abbracciati, con le teste appoggiate in un modo che sembrava quantomeno sbagliato. Un altro sussulto del treno li fece ciondolare in avanti come burattini, con le teste trattenute sul collo soltanto dalle sottili strisce dei tendini. Frank aprì la bocca per urlare mentre tutto andava in pezzi.
Cominciò con un orribile stridore, un suono che gli fece stringere i denti e gli segò ogni nervo del corpo, mentre il metallo sbatteva contro altro metallo e veniva lacerato. Le luci sfarfallarono e gli sembrò che il treno si imbizzarrisse come un cavallo. Era ancora seduto quando venne scaraventato in avanti.

«Frank!». La voce, all'inizio sconosciuta, la riportò alla coscienza. «Frank, svegliati!». Qualcosa gli stava scuotendo con forza la spalla.
Frank sollevò di scatto la testa dal tavolo, ansimando, e guardò dritto in un paio di preoccupati occhi verdi.
«Stavi urlando», disse Gerard, per la prima volta da quando ci aveva parlato, con un tono ansioso.
La paura del sogno era ancora vivida. Ma non era reale. Non lo era. A poco a poco il suo respiro si calmò, mentre la realtà riaffermava se stessa.
«Un incubo», borbottò Frank, imbarazzato. Si alzò in piedi, via dallo sguardo di Gerard, e si guardò intorno. Il fuoco era spento da un bel po', ma le prime luci dell'alba avevano iniziato a illuminare il cielo, così lui poté vedere chiaramente il luogo in cui si trovava.
Il cottage sembrava più freddo nella luce del mattino. In passato le pareti dovevano essere state celesti, ma ormai la pittura era sbiadita e aveva cominciato a staccarsi. I buchi nel tetto e le finestre mancanti avevano consentito all'umidità di penetrare nei muri e adesso c'erano chiazze verdi di muschio che si allargavano sulle superfici. L'abbandono incurante di arredi e oggetti aveva un che di triste, e per qualche motivo gli venne la malinconia.
«Dovremmo andare» il ragazzo dai capelli bianco cenere interruppe il flusso dei suoi pensieri, riportandolo al presente.
«Sì».
Gerard lo osservò. «Ti senti bene?».
«Certo». Frank prese un respiro profondo e tentò di sorridergli. Non era un sorriso convinto, ma lui sperò che la scarsa conoscenza reciproca gli impedisse di accorgersene. L'altro ragazzo strinse leggermente gli occhi, ma annuì.
«Allora, qual è il piano?» gli chiese in tono vivace, cercando di superare il momento imbarazzante. Funzionò, fino a un certo punto.
Gerard sollevò metà della bocca in un sorriso e andò verso la porta. «Camminiamo. Da quella parte». La indicò con il braccio e poi rimase con le mani sui fianchi, in attesa che Frank lo raggiungesse.
«Adesso?» domandò lui, incredulo.
«Già» replicò secco, e scomparve fuori dal cottage.
Frank guardò, sconcertato, la cornice della porta che lui aveva appena lasciato libera. Non potevano andare via così, come se niente fosse. Non senza bere un po' d'acqua dal ruscello e trovare del cibo, o magari darsi anche una lavata veloce. Si chiese che cosa avrebbe fatto Gerard se lui si fosse seduto rifiutandosi di seguirlo. Avrebbe continuato a camminare, probabilmente.
«Dannazione» borbottò, affrettandosi ad alzarsi e uscire.

«Gerard, tutto questo è ridicolo».
«Che c'è, adesso?». Si girò per guardarlo, chiaramente esasperato.
«Stiamo camminando da ore, ore e ore».
«E?».
«Beh, il treno è deragliato soltanto a un'ora a nord di New York. In questa parte degli Stati Uniti non esiste un solo luogo in cui poter camminare per chilometri e non trovare niente».
Gerard lo osservò con uno sguardo penetrante. «E con questo cosa vorresti dire?».
«Voglio dire che stiamo per forza girando in tondo. Se tu sapessi davvero dove stiamo andando, a quest'ora saremmo dovuti arrivare». Frank piantò le mani sui fianchi, pronto a litigare ma, con sua grande sorpresa, il viso di Gerard sembrò decisamente sollevato. Il che lo mandò in confusione. «Non possiamo continuare a camminare e basta», aggiunse.
«Hai un'idea migliore?».
«Sì, la mia idea migliore era rimanere vicino alla galleria ferroviaria dove qualcuno ci avrebbe trovato».
Di nuovo, lui sorrise. La preoccupazione di quella mattina era scomparsa da un pezzo e il Gerard sarcastico e arrogante era tornato.
«Troppo tardi, ormai» ribatté, ironico. Dopodiché si voltò e riprese a camminare.
Frank guardò la sua schiena, pieno di incredulità. Era incredibilmente sgarbato e presuntuoso.
«No, Gerard, dico sul serio. Fermati!». Tentò di dare una nota autoritaria alla sua voce, ma suonò disperata persino alle sue stesse orecchie.
Anche da dieci metri di distanza udì il sospiro spazientito del ragazzo.
«Voglio tornare indietro».
Lui si girò per guardarlo in faccia e Frank vide che riusciva a mantenere la sua espressione calma solo con un un'enorme fatica.
«No».
Lui rimase a bocca aperta, attonito. Chi si credeva di essere? Non riusciva a credere che potesse pensare di comandarlo a bacchetta in quel modo. Frank decise a tirare fuori il lato più testardo di sè.
«Che significa "no"? Non sei tu a decidere dove vado io. Nessuno ti ha dato il comando. Tu sei smarrito quanto me, e io voglio tornare indietro». Pronunciò ogni singola sillaba dell'ultima frase, come se la forza delle parole potesse tradursi in azione.
«Non puoi tornare indietro, Frank. È finita».
Disorientato da quelle parole, Frank alzò le sopracciglia e strinse poi le labbra fino a farne una linea sottile. «Di che parli? Che cosa è finito?».
Le frasi criptiche di Gerard cominciavano a dargli davvero sui nervi.
«Niente, okay? Non è niente». Gerard scosse la testa e sembrò che faticasse a trovare le parole giuste. «Ascolta, fidati di me». Il suo sguardo ardente lo fissò negli occhi. «Siamo arrivati fin qui. Ci vorrebbe troppo tempo per tornare indietro e ritrovare la galleria. Io so dove stiamo andando».
Frank voleva disperatamente tornare sul luogo dell'incidente, certo che qualche incaricato, che sapesse sistemare tutto, sarebbe stato lì. D'altra parte, non sarebbe mai riuscito a tornarci da solo ed era terrorizzato all'idea di perdersi in mezzo alla natura selvatica. Sembrò che Gerard percepisse la sua incertezza. Tornò indietro verso di lui, arrivandogli vicino e piegando le ginocchia in modo da poterlo guardare negli occhi. Frank avrebbe voluto indietreggiare, ma era bloccato. In fondo alla memoria sentì risuonare degli echi, ma Gerard era veramente troppo vicino e lui perse il filo dei suoi pensieri.
«Dobbiamo andare da questa parte», gli mormorò. «Devi venire con me». Lo guardò intensamente, scrutò, finché non vide le sue pupille dilatarsi tanto da oscurare il nocciola dell'iride, poi sorrise soddisfatto. «Forza», gli ordinò.
Involontariamente, i piedi di Frank obbedirono.
Continuarono a camminare su acquitrini fangosi che, in un modo o nell'altro, sembravano trovarsi sempre in salita. Le gambe di Frank urlavano di dolore e ogni passo era accompagnato da un gelido ciaf-ciaf nelle scarpe da ginnastica. I jeans a zampa avevano assorbito acqua fin quasi all'altezza delle ginocchia e per camminare doveva trascinarli.
Gerard, tuttavia, era del tutto immune dalle sue occhiatacce e borbottii. Manteneva l'andatura spedita senza compassione, restando sempre a un metro circa davanti a lui, silenzioso e deciso. Di tanto in tanto, se lui inciampava, Gerard voltava di scatto la testa ma, non appena si accertava che stesse bene, continuava a camminare determinato verso la sua meta.
Frank si sentiva sempre più a disagio. Il silenzio fra di loro era come un muro di mattoni, del tutto impenetrabile. Sembrava quasi che il ragazzo fosse irritato dal fatto che lui gli stesse appiccicato, come se fosse un fratellino scomodo alla quale aveva promesso, controvoglia, di badare. Non gli restava che impersonare il ruolo e trascinarsi dietro di lui come un ragazzino imbronciato per non aver ottenuto quello che voleva. Frank era troppo intimidito per tentare di discutere con Gerard del suo comportamento ostile. Affondò il mento nella felpa e sospirò. Mentre guardava attentamente l'erba alta, tentando invano di evitare le buche e gli strani cespugli che non vedevano l'ora di farlo inciampare, borbottava lamentoso sottovoce, arrancando dietro la sua guida.
In cima all'ennesima collina, finalmente il ragazzo si fermò. «Hai bisogno di riposarti un po'?».
Frank alzò lo sguardo, grato a quella domanda.
«Sì...». Sentiva che, dopo un silenzio tanto prolungato, avrebbe dovuto bisbigliare, ma il vento che li sferzava si portò via le sue parole nel momento stesso in cui le uscirono dalla bocca. Tuttavia, Gerard sembrò aver capito perché puntò verso un grande masso che affiorava dall'erba e, con molta naturalezza, vi si appoggiò. Si mise a osservare l'orizzonte, come una sentinella.
Frank non aveva la forza per cercare un punto all'asciutto che facesse al caso suo. Si afflosciò per terra esattamente dove si trovava. Quasi all'istante l'umidità penetrò nei jeans, ma lui era già talmente gelato e fradicio che si accorse a malapena del cambiamento. Era troppo stanco per pensare, troppo o per discutere. Psicologicamente provato, era pronto a seguire Gerard ciecamente, ovunque lui avesse voluto portarlo. Forse, pensò colto da un'idea cupa, era stato questo il suo piano, fin dall'inizio.
Era strano; da qualche parte, in un angolo remoto della mente, Frank sapeva che c'erano parecchie cose che non quadravano. Il fatto che avessero camminato per quasi due giorni senza incontrare nessuno, il fatto che Gerard non avesse mangiato né bevuto alcunché dall'incidente, eppure non sentisse fame né sete e, infine – la cosa più spaventosa – il fatto che non parlasse da quarantotto ore né con suo padre né con sua madre e che loro non avessero idea che lui stesse bene. In un certo senso, questi pensieri restavano in fondo al suo cervello, lo pungolavano, ma soltanto vagamente; delicati colpetti di coda di uno stallone in procinto di caricare. Non riusciva a concentrarsi su di loro.
All'improvviso Gerard la guardò, ma Frank era troppo preso dai suoi pensieri per distogliere lo sguardo in tempo.
«Che c'è?» gli chiese.
Il corvino si morse il labbro chiedendosi quale, fra le milioni di domande che aveva in serbo, porgli per prima. Era davvero difficile parlare con quel tipo e non aveva mostrato il benché minimo interesse a conoscerlo meglio. Sembrava apatico. Probabilmente rimpiangeva di non essersi incamminato non appena uscito dalla galleria, invece di aspettare di veder comparire qualcuno. Frank si chiedeva se anche per lui non sarebbe stato meglio così. Sarebbe dovuto rimanere nei pressi della galleria e, se non fosse arrivato nessuno, alla fine si sarebbe convinto a ripercorrere la strada all'indietro e uscire dalla parte opposta. A quest'ora sarebbe stata a casa a litigare con Lydia per un altro viaggio a Trenton.
Da qualche parte alla sua sinistra, lontano, un gufo emise il suo lamento. Era acuto, addolorato, come di un animale sofferente. Il suono parve riecheggiare sulle colline circostanti dando loro un che di angoscioso. Lo fece rabbrividire.
«Che cos'era?», chiese a Gerard.
Lui alzò le spalle, tranquillo. «Soltanto un animale. Tempo fa sono stati portati dei lupi, qui. Non preoccuparti» aggiunse, con un sorrisetto in risposta al suo nervosismo. «È pieno di cervi, qui intorno. Non si disturberanno a mangiare te».
Alzò lo sguardo al cielo, che si stava scurendo. Era sfumato nel tardo pomeriggio senza che Frank se ne fosse reso conto. Avevano camminato davvero così a lungo? Frank si strinse le braccia intorno al corpo tentando di scaldarsi. D'un tratto, il vento parve più forte. Gli turbinava intorno tirandogli ciocche di capelli sul viso, facendole danzare davanti ai suoi occhi come ombre ondeggianti. Frank tentò di scansarle, ma le sue dita trovarono soltanto aria.
Gerard si staccò dal masso cui era appoggiato mentre con gli occhi scrutava la notte incombente. «In ogni caso, dovremmo darci una mossa» gli disse. «Non voglio che ci ritroviamo bloccati in cima a una collina quando sarà buio».

E infatti divenne buio in un tempo talmente breve da essere ridicolo. Frank faceva fatica a vedere, mentre scendevano giù dalla collina. Quel lato dell'altura era ricoperto di ghiaia che le schizzava via da sotto i piedi e da rocce rese viscide dalla pioggia recente. Frank tentò di scegliere la strada un passetto alla volta, tenendo un piede ben piantato a terra e tastando timidamente il terreno con l'altro. Era un'andatura lentissima, e percepiva l'impazienza di Gerars. Eppure, lui rimase indietro per camminargli accanto, con un braccio mezzo teso pronto ad afferrarlo se fosse caduto, e questo era consolante. Al di sopra del vento e del suo stesso respiro, di tanto in tanto Frank udiva il debole latrato di qualche animale che si aggirava furtivo nella notte.
«Fermo». Gerard fece scattare il braccio teso davanti al ragazzo. Allarmato dall'arresto brusco, Frank si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati. La sua postura rigida gli provocò una scarica d'apprensione. Gerard era immobile e teso, assolutamente all'erta. Ogni muscolo del corpo contratto, pronto all'azione. I suoi occhi erano concentrati su qualcosa che avevano davanti, che guizzava con piccoli, rapidi movimenti, mentre lui scrutava bene la scena. Le sopracciglia erano scese sopra gli occhi, la bocca serrata in una linea feroce. Qualsiasi cosa fosse, non era buona.

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