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«Aspetta, fermati! Dove diavolo stiamo andando?». Frank si bloccò di colpo, ansimando, inchiodò i piedi a terra e incrociò le braccia sul petto. Lo aveva seguito ciecamente fino a quel momento, ma stavano marciando ormai da venti minuti in totale silenzio, in chissà quale direzione, e lui non aveva detto una sola parola da quello sbrigativo "Vieni con me".
Tutte le domande, tutti i motivi per rimanere nei pressi dell'ingresso della galleria, che erano inspiegabilmente scomparsi dalla sua testa quando lui gli aveva ordinato di seguirlo, adesso si erano ripresentati con pieno vigore.
Gerard avanzò ancora di qualche passo, prima di voltarsi e guardarlo con espressione interrogativa. «Che c'è?».
«Che c'è?». La voce di Frank, incredula, si impennò di un'ottava, «Siamo appena usciti da un incidente ferroviario dopo il quale tutti gli altri passeggeri sembrano essere spariti. Non ho idea di dove siamo e per colpa tua stiamo camminando nel bel mezzo del nulla, lontano dal luogo in cui stanno venendo a cercarci!».
«Chi ci sta cercando, secondo te?». Sulle labbra di Gerard spuntò di nuovo quel sorrisetto arrogante.
Frank esitò per un attimo, confuso dalla domanda bizzarra, prima di lanciarsi ancora una volta nel proprio ragionamento. «Beh, la polizia, per dirne una. I miei genitori». Nel definirli al plurale per la prima volta, provò un piccolo brivido. «Quando il treno non arriverà alla stazione, non credi che la compagnia ferroviaria potrebbe chiedersi dove sia finito?».
E a questo punto sollevò le sopracciglia, segretamente compiaciuto dalla logica ferrea della propria argomentazione, e aspettò la sua risposta.
Gerard scoppiò a ridere. Era un suono quasi musicale, ma sfumato di derisione. Quella reazione lo fece infuriare di nuovo e, allo stesso tempo, la disorientò. Frank strinse le labbra aspettando la battuta conclusiva, che però non arrivò.
Invece, Gerard sorrise. E questo gesto gli cambiò completamente il viso, attenuandone la naturale freddezza. Eppure in lui c'era ancora qualcosa di poco chiaro. Sembrava sincero, ma la sincerità non si estendeva allo sguardo.
Quello rimaneva glaciale e distaccato.
Il ragazzo si avvicinò a Frank e chinò leggermente la testa in modo da poterlo guardare negli occhi, verde brillante in sabbia stupefatto. La vicinanza provocò a Frank un leggero disagio, ma non si spostò di un millimetro.
«Se io ti dicessi che non ti trovi dove pensavi di essere, tu che cosa diresti?» gli chiese.
«Cosa?». Frank era totalmente confuso e molto intimidito. L'arroganza di Gerard era esasperante, continuava a prendersi gioco di lui e poi se ne usciva con frasi assurde come quella. Che altro scopo poteva avere la sua domanda, se non disorientarlo e farlo dubitare di se stesso?
«Lascia perdere» ridacchiò, vedendo l'espressione di Frank. «Girati. Sapresti ritrovare la galleria, se dovessi farlo?».
Frank si guardò indietro. Il paesaggio era vuoto ed estraneo. Sembrava tutto uguale. Colline brulle e battute dal vento a perdita d'occhio, che sprofondavano a picco in vallate scoscese dove la vegetazione cresceva rigogliosa, al riparo dalle incessanti correnti d'aria. Non c'era alcuna traccia dell'ingresso della galleria e nemmeno dei binari. Questo sì che era strano; non si erano allontanati poi così tanto. Frank sentì una stretta al petto, mentre si rendeva conto che non aveva la più pallida idea della direzione da cui erano venuti e che, se Gerard l'avesse lasciato da solo, lui sarebbe stato completamente perso.
«No» mormorò, mentre capiva fino in fondo quanta fiducia avesse riposto in quello sconosciuto poco amichevole.
Quando vide la consapevolezza manifestarsi sul viso di lui, Gerard scoppiò a ridere. «Allora immagino che mi resterai vicino». E ricominciò a camminare.
Frank rimase immobile, combattuto, ma quando la distanza tra di loro cominciò ad aumentare, i suoi piedi parvero agire per proprio conto, timorosi di essere lasciati soli. Si inerpicò su un piccolo ammasso di rocce e fece una corsetta in mezzo all'erba bassa finché non ebbe colmato il distacco. Lui continuava a camminare di buona lena, favorito dalle lunghe gambe e dall'andatura spedita che gli permettevano di distanziare facilmente Frank.
«Almeno sai dove stiamo andando?», chiese poi, affannato, mentre correva per stargli dietro.
Di nuovo quel sorrisetto irritante. «Sì».
«Come?». Per stargli al passo, Frank stava riducendo le domande al minimo indispensabile.
«Perché sono già stato qui» gli rispose. Sembrava estremamente sicuro di sé e aveva preso il controllo completo della situazione, e anche di lui. Sebbene Frank detestasse ammetterlo, doveva fidarsi di lui, non aveva altra scelta.
«Ti dispiacerebbe rallentare? Per favore». Le gambe del ragazzo, non abituate all'esercizio, erano già in fiamme.
«Oh, mi dispiace» disse Gerard e, malgrado la freddezza, parve sincero. Passò a una velocità più moderata.
Frank, riconoscente, si adeguò alla nuova andatura e proseguì l'interrogatorio. «C'è un villaggio o qualcos'altro, qui vicino? Un posto dove i telefoni funzionano».
«Non c'è niente in questa terra perduta» mormorò Gerard.
Frank, preoccupato, si morse il labbro. Sapeva che per ogni minuto trascorso sua madre si sarebbe agitata sempre di più. Una delle condizioni che Lydia aveva imposto per permetterle di fare il viaggio era che lui l'avrebbe chiamata non appena avesse incontrato suo padre. Ora, non sapeva esattamente quanto tempo fosse passato - chiaramente era rimasto svenuto per un po', sul treno -, ma ormai Lydia doveva aver saputo dell'incidente. Se la chiamava e trovava la segreteria, avrebbe cominciato a preoccuparsi.
Immaginò anche suo padre, che l'aspettava alla stazione. Forse avrebbe pensato che aveva cambiato idea e non era voluto più andare, che si era tirato indietro. Questo sì che sarebbe stato orribile. No, alla stazione gli avrebbero detto dell'incidente. Il che sarebbe stato ancora peggio. Doveva assolutamente far sapere ai suoi genitori che stava bene. Immaginò che per quando tutto si fosse risolto, sarebbe stato troppo tardi per andare a New York per il weekend. Magari suo padre le avrebbe comprato un altro biglietto. Anche se l'azienda ferroviaria dovrebbe come minimo offrirmi un biglietto gratuito, pensò. Forse, però, suo padre sarebbe potuto andare da lui.
Ma poi un altro pensiero la fece fermare. Se non c'era alcun villaggio nei dintorni ed era quasi tardo pomeriggio, che cosa avrebbero fatto una volta sceso il buio?
Si guardò intorno in cerca di segni di civiltà. Gerard aveva ragione: il nulla.
«Hai detto che sei già stato qui», cominciò. Ormai si erano trascinati fino alla cima della collina e stavano scendendo lungo un pendio particolarmente scosceso dell'altro lato, perciò Frank teneva gli occhi incollati al terreno, attenta a ogni passo. Se avesse guardato il viso di Gerard, avrebbe notato lo sguardo cauto e circospetto che affiorò nei suoi occhi. «Quando, esattamente?».
Dal ragazzo al suo fianco provenne soltanto un silenzio soffocante.
«Gerard?».
Così tante domande, così presto. A Gerard parve un cattivo segno. Tentò di alleggerire l'atmosfera ridendo, ma Frank fece una smorfia e, stavolta, lo guardò bene in faccia. Lui ricompose la sua espressione in una più convincente.
«Fai sempre così tante domande?». Sollevò un sopracciglio.
Così lo ridusse al silenzio. Frank gli diede le spalle e guardò il cielo, dove le nuvole erano dipinte di un color grigio ferro e scurivano a ogni minuto che passava. Era arrivato il momento, pensò Gerard.
«Paura del buio?» gli domandò.
Frank arricciò il naso, ignorandolo.
«Senti» gli disse, «La luce non durerà finché arriveremo a destinazione. Temo che dovremo accamparci».
Frank si accigliò. Non aveva mai fatto campeggio, o nient'altro del genere.
«Non abbiamo una tenda. E nemmeno un sacco a pelo. Né del cibo», si lamentò. «Forse dovremmo tornare alla galleria e vedere se qualcuno ci sta cercando».
Gerard alzò gli occhi al cielo, di nuovo arrogante.
«È troppo tardi ormai! Finiremmo col girovagare a vuoto nel buio più totale. Conosco un riparo. Sopravvivremo. Hai passato di peggio, oggi».
Stranamente, Frank non aveva pensato granché all'incidente. Una volta uscito dalla galleria, Gerard aveva assunto il controllo in modo così scrupoloso che lui si era limitata a seguire le sue direttive. Per giunta era finito tutto così in fretta da fargli nutrire dei dubbi su cosa fosse realmente accaduto.
«Vedi quello?» chiese Gerard, strappandolo ai suoi pensieri e indicandogli un cottage diroccato, una capanna, a meno di un chilometro di distanza, annidato in una vallata stretta ai piedi della collina. Sembrava abbandonato da tempo, con un muro di mattoni fatiscente che ne delimitava i confini. Il tetto era disseminato di grossi buchi, la porta e le finestre erano sparite da un bel po' e sembrava che un'altra decina d'anni avrebbe potuto completare l'opera di demolizione delle pareti.
«Vuoi che rimaniamo lì, stanotte? Ma guardalo! Si sta praticamente aprendo in due. Insomma, c'è solo mezzo tetto! Moriremo di freddo!».
«No, stai tranquillo». La voce di Gerard trasudava sdegno, «Sta facendo a malapena due gocce. Probabilmente finirà presto e laggiù è molto più riparato».
«Io lì non ci vado» disse risoluto. Voleva soltanto continuare a camminare, per raggiungere presto un villaggio e chiedere aiuto.
«Sì, invece. A meno che tu non voglia proseguire da solo. Presto sarà buio. Buona fortuna». Glielo disse con freddezza e Frank non dubitò che parlasse sul serio. Che cosa poteva fare, lui?

Da vicino, il cottage non appariva affatto più allettante. La natura si stava riappropriando del giardino; dovettero farsi strada lottando contro cardi, rovi e folti ciuffi d'erba solo per arrivare alla porta d'ingresso. Una volta dentro, la situazione migliorò leggermente. Anche senza porta o finestre, il vento era decisamente calato e un'estremità del tetto era quasi del tutto intatta. Anche se durante la notte avesse piovuto, avevano buone probabilità di rimanere asciutti. Tuttavia, il luogo aveva l'aria di essere stato saccheggiato. Il precedente proprietario aveva lasciato vari oggetti e qualche mobile traballante, ma quasi tutto era rotto e sparso, senza riguardi, sul pavimento.
Gerard entrò per primo, raddrizzò un tavolo e una sedia e capovolse un secchio per potervisi sedere sopra. Fece segno a Frank di prendere la sedia. Lui si sedette con cautela, pensando che magari potesse schiantarsi sotto il suo peso. Non si ruppe, ma lui non riuscì a rilassarsi. Senza l'ululare del vento c'era un silenzio davvero imbarazzante. Oltretutto adesso non aveva nemmeno il terreno dissestato a tenerla occupata. Non c'era altro da fare se non sedersi e tentare di non fissare Gerard. Si sentiva terribilmente a disagio, intrappolato dentro un cottage minuscolo con un emerito sconosciuto. D'altra parte, il trauma subito stava cominciando a farsi sentire e lui aveva un disperato bisogno di parlare dell'accaduto. Sbirciò Gerard, chiedendosi come interrompere il silenzio.
«Secondo te che cosa è successo? Al treno, intendo».
«Non lo so. Un incidente e basta, immagino. Forse la galleria è crollata, o qualcosa del genere». Si strinse nelle spalle e fissò un punto al di sopra della testa di Frank. Ogni cosa, nel linguaggio del suo corpo, le diceva che lui non aveva voglia di parlarne, ma lui non aveva intenzione di mollare tanto facilmente.
«Ma cos'è successo a tutti gli altri? Non possiamo essere gli unici sopravvissuti. Nel tuo vagone cos'è successo?». Gli occhi di Frank ardevano di curiosità.
Gerard fece di nuovo spallucce, distaccato e indifferente. «Quello che è successo nel tuo, presumo». I suoi occhi la evitavano e Frank si accorse che lui era a disagio. Come poteva non avere voglia di parlare? Proprio non riusciva a capirlo.
«Perché eri lì?». A questa domanda, lui alzò di colpo lo sguardo, spaventato, e Frank approfondì subito la questione. «Voglio dire, dov'eri diretto? Andavi a trovare qualcuno?». All'improvviso desiderò non averlo chiesto. Negli occhi del ragazzo era balenato qualcosa che non gli piacque - un lampo di difesa.
«Mia zia vive nel nord-est», disse in tono definitivo, chiudendo la conversazione.
Frank tamburellò con le dita sul tavolo mentre considerava le sue parole. Andare a trovare una zia sembrava abbastanza innocente, ma lui si chiese se dietro ci fosse qualcosa di più sinistro. Altrimenti perché sarebbe stato così misterioso, così evasivo? Era isolato in mezzo al nulla con una specie di criminale? Oppure era solo diventato paranoico, in seguito allo shock?
«Come facciamo per mangiare?» domandò, più che altro per cambiare discorso, perché la sua indifferenza stava diventando irritante.
«Hai fame?». Chiese Gerard. Sembrava che lo avesse colto alla sprovvista.
Frank ci pensò su e scoprì, sconcertato, che la risposta era no. L'ultima volta che aveva mangiato era stata mentre andava alla stazione. Un hamburger ingurgitato in fretta con una cola light calda. Ore prima. Sebbene fosse magro, di solito mangiava come un cavallo. Lydia lo prendeva sempre in giro dicendo che una mattina si sarebbe svegliato con centotrenta chili in più tutti in una volta. Forse l'inappetenza era un sintomo dello shock.
«Quantomeno avremo bisogno di acqua» disse, anche se nel momento in cui le parole le uscirono dalla bocca, si rese conto di non essere neanche assetato.
«Beh, qui dietro c'è un ruscello» gli rispose lui in tono divertito. «Ma non so dirti quanto sia pulito».
Frank pensò di bere da un ruscello pieno di fango e insetti; non era affatto allettante. Oltretutto, pensò, se bevo avrò bisogno di andare in bagno e qui pare che non ce ne siano. A causa delle nuvole, la notte stava calando rapidamente e lui non voleva considerare l'idea di uscire da solo al buio. Bisognava tenere conto delle ortiche e dei rovi e poi sarebbe stato troppo impaurito per allontanarsi, quindi si sarebbe dovuto preoccupare di essere a portata d'orecchio. Sarebbe stato troppo imbarazzante.
Gli parve che Gerard leggesse nei suoi occhi quello che gli passava per la testa. Sebbene girasse il viso per guardare il crepuscolo dalla finestra, il sollevarsi delle sue guance era piuttosto indicativo. Stava ridendo di lui. Frank strinse gli occhi e rivolse lo sguardo rabbioso nella direzione opposta, fuori dal buco dove un tempo c'era stata la finestra. Non riusciva a vedere quasi niente, soltanto il profilo delle colline in lontananza. Il calare della notte lo stava rendendo nervoso.
«Pensi che siamo al sicuro, qui?», domandò.
Il ragazzo si voltò per guardarlo, ma con un'espressione indecifrabile. «Non preoccuparti», rispose tranquillo. «Non c'è niente là fuori».
Il senso di isolamento che trapelava dalle sue parole fu raggelante, quanto il pensiero di cose sconosciute che scorrazzavano qua e là nel buio e Frank, senza volerlo, rabbrividì.
«Freddo?». Non aspettò una risposta. «C'è un camino, laggiù. Ho dei fiammiferi, forse riesco ad accendere un fuoco».
Si alzò e in due falcate raggiunse il camino di pietra, collocato sotto quello che restava del tetto. La bocca del camino doveva aver rafforzato il muro, perché quella parte del cottage era nelle condizioni migliori. C'erano ancora alcuni ciocchi sparsi, lì accanto: Gerard li raccolse e li sistemò con cura dandogli la forma di una precaria capanna indiana. Frank lo osservò lavorare, rapito dalla sua silenziosa concentrazione. Mentre si metteva la mano in tasca, Gerard gli lanciò un'occhiata e lui si affrettò a guardare di nuovo fuori dalla finestra. Le sue guance si arrossarono e sperò che non l'avesse sorpreso a fissarlo. Una risatina sommessa proveniente dal camino gli confermò il contrario e Frank, mortificato, si contorse sulla sedia. Il rumore di un fiammifero sfregato venne accompagnato da un leggero sbuffo di fumo. Frank immaginò Gerard mentre teneva il fiammifero nel camino e tentava di convincere le fiamme ad attecchire, ma tenne risolutamente lo sguardo lontano da lui.
«A meno di non essere investiti da una raffica di vento, fra pochi minuti dovremmo stare un po' più caldi». Si alzò e tornò tranquillamente al suo sedile improvvisato.
«Grazie» borbottò Frank, e lo disse di cuore. Era grato per il fuoco. Si voltò e contemplò le fiamme, osservandole una per una mentre guizzavano e saltavano sopra i ciocchi di legno. Ben presto il calore cominciò a irradiarsi dal focolare, inondandoli di tepore.
Gerard tornò a guardare fuori dalla finestra, anche se non c'era niente da vedere. Avendo esaurito tutto il proprio coraggio nel tentare di sostenere una conversazione che era stata troncata prima ancora di iniziare, Frank non osò interrompere le sue meditazioni. Incrociò le braccia sopra il tavolo e vi appoggiò il mento, fissando il fuoco e non lui. La danza delle fiamme lo ipnotizzò e non ci volle molto perché sentisse le palpebre appesantirsi.
Mentre il sipario del sonno si chiudeva su di lui, Frank udì il vento frusciare intorno alle pareti fatiscenti del cottage. Sebbene non potesse sentirne il tocco gelido, ne udì il lamento mentre fischiava fra crepe e fessure, cercando una via d'accesso. Era un suono inquietante, spaventoso. Frank tremò, ma tentò di trattenersi prima che Gerard lo notasse.
Era il vento, nient'altro.

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