20
«Pronto per l'ultima parte del viaggio?» gli chiese Gerard, sforzandosi di assumere un tono allegro. Erano fuori dal cottage, preparandosi ad andare.
«Sì». Frank sorrise deciso. «Dove andiamo?».
«Per di qua». Gerard cominciò a camminare intorno al cottage, lontano dal lago.
Il corvino lanciò un ultimo sguardo all'acqua. Adesso sembrava di nuovo calma e placida, con la superficie leggermente increspata che mandava bagliori là dove il sole solleticava le minuscole onde. Frank ricordò gli orrori che si nascondevano là sotto e rabbrividì, poi si affrettò dietro a Gerard come se avesse potuto lasciarsi i brutti ricordi alle spalle. Lui si era fermato dall'altra parte del cottage per aspettarlo. Guardava lontano, con una mano appoggiata di taglio sulla fronte per proteggersi dalla luce del sole.
«Vedi quello?».
Frank guardò nella sua stessa direzione. Il paesaggio era piatto. Un piccolo ruscello scorreva pigro e tortuoso verso l'orizzonte. Alla sua sinistra, un sentiero correva parallelo all'acqua. A parte alcuni cespugli, non c'era altro da vedere.
Frank sollevò un sopracciglio, perplesso. «Ehm, no».
Il suo tono fece girare il ragazzo, che sorrise e fece una faccia scocciata. «Guarda meglio».
«Gerard, non vedo nulla».
Gerard sospirò, e Frank avrebbe detto che stava godendo nel sentirsi superiore. Si spostò dietro di Frank e si chinò sopra la sua spalla. Il suo respiro gli scaldò il collo, incendiando la sua pelle.
«Guarda l'orizzonte». Indicò dritto davanti a sé. «Riesci a vedere quel luccichio?».
Frank strinse gli occhi. L'orizzonte era davvero molto lontano. Riusciva a individuare un vago bagliore là dove la terra incontrava l'azzurro del cielo, ma poteva trattarsi benissimo di un gioco di luce, o del fatto che stesse cercando di vedere qualcosa a tutti i costi. Ma infine scosse la testa.
«Beh, noi stiamo andando lì. È la congiunzione fra la terra perduta e.. l'aldilà».
«Oh... e poi cosa succede?» chiese Frank.
Gerard alzò le spalle. «Te l'ho detto, non ci sono mai stato. Quello è il punto più lontano che abbia mai raggiunto».
«Lo so, ma che cosa hai visto? Voglio dire, è come la scala per il paradiso o roba simile?».
Gerard lo guardò incredulo, trattenendo una risata.
«Tu pensi che dal cielo scenda un'enorme scala mobile?».
«No» disse Frank e sbuffò una risata.
Gerard sorrise leggermente. «Loro scompaiono. Tutto qua. Fanno un passo e spariscono».
Frank arricciò il naso. Era sicuro che stesse dicendo la verità, ma non gli era di grande aiuto.
«Forza, dobbiamo avviarci». Gerard gli diede una piccola spinta per farlo muovere.
Frank guardò di nuovo l'orizzonte, sforzando gli occhi verso quel luccichio. Riusciva a vederlo? Era difficile da dire. Ma gli stava facendo venire il mal di testa, perciò lasciò perdere e si accontentò di guardare il sentiero di fronte a loro. Sembrava lontano. Non in salita, almeno, ma lontano.
«Visto che è l'ultimo giorno, e le mie gambe fanno male...»
«Non ti porterò sulle spalle, Frank»
«Lo sai, ieri ho quasi rischiato di annegare», continuò, anche se sapeva che Gerard non avrebbe rallentato per aiutarlo.
Gerard lo guardò con una strana espressione sul viso, ma poi si rigirò e continuò a camminare.
«Okay, probabilmente non sarei potuto morire, dato che già lo sono, ma è stato molto traumatico».
Questa volta lui si fermò, ma non si voltò. Frank lo raggiunse in tre passi, ma rimase indietro. Qualcosa nella sua postura lo fece stranire.
«Sì, avresti potuto» fu un sussurro, portato troppo lontano dal vento perché Frank potesse udirlo.
«Cosa?».
Gerard guardò il cielo, prese un respiro profondo e si girò per guardarlo in faccia. «Saresti potuto morire». Ogni parola fu scandita e pronunciata lentamente, andandosi a piantare nel cervello di Frank.
«Sarei potuto morire di nuovo».
Era proprio sicuro che fosse morto?
Gerard annuì.
«Ma come? E dove sarei andato a finire? Io non...» si fermò a pensare, confuso.
«Qui puoi morire. La tua anima, cioè. Quando sei vivo è protetta dal corpo, quando muori perdi quella protezione. Sei vulnerabile».
«E che succede se l'anima muore?».
«Sei perduto»
Frank fissò il vuoto, rendendosi conto di quanto fosse arrivato vicino all'oblio. Aveva preso la morte del suo corpo senza lamentarsi troppo perché, beh, era comunque lì. Sapere che sarebbe potuto sparire in un attimo – perdendo la possibilità di incontrare le persone che contava di rivedere – lo scioccò tanto da ridurlo al silenzio.
«Andiamo. Mi dispiace, ma non abbiamo tempo per fermarci, dobbiamo muoverci. Non ci sono più case sicure, Frank».
Udirlo pronunciare il suo nome lo tirò fuori dall'incoscienza. «D'accordo» mormorò. Senza guardarlo, si incamminò. Sebbene gli facessero male gambe e braccia e si sentisse esausto, non voleva correre altri rischi.
Gerard lo osservò allontanarsi. Teneva la testa alta e camminava a passi rapidi, ma inciampava spesso. Sapeva che, dopo quello che era successo il giorno prima, doveva essere malridotto.
«Tieni duro». Corse verso di lui.
Frank si fermò e si girò per aspettarlo. Quando lo raggiunse, Gerard non si fermò, ma fece un altro passo per mettersi davanti a lui. Gli sorrise, poi si girò di schiena.
«Salta su».
«Cosa?».
Lui si voltò con aria seccata. «Salta. Su».
«Oh». Il viso di Frank si illuminò di sollievo. Si sostenne con le mani alle spalle di Gerard e saltò, mettendogli le gambe intorno alla vita e le braccia intorno al collo. Lui agganciò le braccia sotto le ginocchia di Frank e cominciò a camminare.
«Grazie!» gli sussurrò nell'orecchio.
«È solo perché mi fai compassione» scherzò lui.
Ogni suo passo, lungo e potente, lo spintonava. Ben presto, il corvino si ritrovò appeso alla sua schiena, irrigidito e scomodo. Gli dolevano le braccia con cui si teneva alle sue spalle, e la presa di Gerard sotto le sue ginocchia gli stava facendo male. Eppure era decisamente meglio che camminare. Tentò di rilassare i muscoli e si concentrò nel godersi lo stare così vicino a lui. Il ragazzo aveva le spalle larghe e forti e stava trasportando il suo peso come se Frank fosse fatto di piume. Appoggiò il viso nella curva del collo e inspirò profondamente, assaporando il suo odore. Mentre camminava, i capelli bianco cenere di Gerard gli solleticavano la guancia, e lui dovette remprimere l'impulso di infilarci una mano in mezzo.
«Quando saremo arrivati» cominciò facendolo sussultare, «dovrai scendere e camminare da solo».
Frank strinse di più la presa. «Non hai detto che saresti venuto con me?».
«Verrò» si affrettò a rispondergli, «ma devi fare i passi da solo. Io sarò dietro di te».
«Non puoi andare avanti tu?».
«No. Non puoi entrare nel mondo dell'aldilà seguendo qualcun altro»
«Ma tu sarai dietro di me?» gli chiese, nervoso.
«Lo prometto. Ti ho detto che lo avrei fatto».
«Gerard» pronunciò veloce il suo nome, d'un tratto. «Riesco a vederlo».
A circa un chilometro davanti a loro, l'aria pareva cambiare. La terra, oltre quel punto, sembrava esattamente uguale al resto, ma appariva stranamente distorta, come dietro uno schermo trasparente. Il punto sul terreno in cui lo schermo toccava la terra sembrava davvero luccicare leggermente. Mentre lo fissava, Frank sentì una stretta allo stomaco. Erano arrivati.
«Mettimi giù» mormorò.
«Cosa?».
«Voglio camminare».
Gerard gli lasciò le gambe e lui scivolò giù fino a toccare terra. Stiracchiò le braccia, poi raddrizzò le spalle e si girò per affrontare la fine del suo viaggio. Senza guardare Gerard, cominciò a camminare.
Il cuore gli batteva all'impazzata. Sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene. Sebbene sentisse gambe e braccia indolenzite, era come se le sue membra non gli appartenessero e lui non avesse il pieno controllo di se stesso. Prese respiri profondi e regolari. Il terreno sembrava inesistente, sotto i suoi piedi. Man mano che si avvicinavano, diventava più facile vedere la giuntura tra i due mondi, ormai a pochi metri. Il paesaggio al di là della giunzione era soltanto leggermente sfocato, come se lo stesse guardando con gli occhiali di qualcun altro. Stava cominciando a dargli un leggero capogiro, perciò tentò di guardare soltanto per terra, lanciando di quando in quando un'occhiata alla riga luccicante che attraversava il sentiero.
Gerard si teneva volutamente un passo indietro, mentre lo osservava attentamente. Sebbene Frank non lo guardasse, né gli parlasse, il ragazzo aveva la sensazione che fosse decisamente consapevole dei suoi movimenti. Quando arrivò a circa cinque metri dal limite, Frank si fermò. Guardò la riga, controllando il proprio respiro.
Gerard riusciva a leggere lo stress in ogni muscolo del suo corpo.
«Ti senti bene?» gli chiese.
Frank si girò verso di lui con occhi tormentati. Gerard aveva pensato che fosse calmo, ma adesso vedeva che era pietrificato.
Frank stava provando sensazioni fisiche che non aveva mai conosciuto prima. La tensione del momento aveva fatto affiorare molte cose nella sua mente, aveva acuito la sua concentrazione su quello che contava veramente. Non sapeva che cosa vi fosse dall'altra parte del confine e, anche se lui aveva promesso di seguirlo, c'era una cosa che prima doveva dirgli.
Anche se l'idea lo terrorizzava e sapeva che dicendolo si sarebbe reso emotivamente più vulnerabile di quanto fosse mai stato in vita sua.
I pochi giorni trascorsi gli avevano insegnato molto su di sé, era cambiato. Era più forte, più coraggioso. Aveva affrontato il pericolo. Si era confrontato con le sue paure e, in questo, Gerard aveva giocato un ruolo determinante. Lui l'aveva protetto, confortato, guidato. Gli aveva aperto gli occhi su sensazioni mai conosciute prima. Era importante dirgli come si sentiva, anche se gli faceva fremere lo stomaco e bruciare le guance. Fallo e basta, disse a se stesso.
«Io ti amo».
Non staccò mai gli occhi dal viso di lui, tentando di leggervi la sua reazione. Le parole parvero rimanere sospese nell'aria che li separava. Ogni nervo di Frank era formicolante e all'erta, gli ormoni gli esplodevano nelle vene. Non intendeva farlo così, d'impulso, ma aveva bisogno di dirlo. Rimase in attesa di una sua reazione, ma il viso di Gerard rimase impassibile. Il cuore prese a battergli in modo tanto irregolare che temette potesse fermarsi. Quando il silenzio si prolungò, Frank cominciò a tremare, il suo corpo si preparava al rifiuto.
Lui non lo ricambiavo. Era ovvio. Aveva male interpretato male qualunque cosa. Chiuse le mani a pugno affondando le unghie nei palmi e si morse il labbro. Il dolore nel petto era un tormento, come lame che lo trapassavano da parte a parte. Superava qualsiasi sensazione e gli rendeva difficile respirare.
Gerard la fissava, mentre lottava con se stesso. Anche lui lo amava. Lo sapeva con ogni fibra del suo essere. Quello che non sapeva era se doveva dirglielo oppure no. I secondi passavano e ancora non sapeva decidere. Notò che il respiro di Frank si era fatto irregolare e capì che stava interpretando il suo silenzio nel modo peggiore possibile. Credeva che lui non l'amasse. Gerard chiuse gli occhi, tentando di analizzare le prospettive. Se glielo avesse lasciato credere, forse, sarebbe stato più facile per lui passare oltre. Era giusto non dire niente.
Guardò negli occhi di Frank, pieni di tristezza, e questo fece attorcigliare il suo stomaco.
No. Il dolore, la sofferenza, il rifiuto... non potevano essere quelli gli ultimi ricordi di sé che gli avrebbe lasciato. Doveva dirgli quell'ultima verità, quale fosse il costo per entrambi. Sperando che la voce non tremasse, aprì la bocca.
«Anch'io ti amo, Frank».
Lui lo guardò per un istante, per un attimo cristallizzato. Il cuore batté se possibile ancora più forte, mentre Frank elaborava le parole appena sentite. Lui lo amava. Gli sfuggì una mezza risata, poi sorrise mentre i suoi occhi si facevano lucidi dalla sorpresa. Il dolore nel petto si era dissolto, sostituito da uno diverso, positivo. Avanzò di un passo, esitante, finché non riuscì a sentire il respiro di Gerard sul viso. Era irregolare, come il suo.
Gli occhi verdi, ardenti, lo trapassarono facendolo tremare.
«Aspetta» gli disse, ritraendosi. «Baciami quando saremo dall'altra parte».
«No» rispose lui, la voce bassa e roca. D'un tratto gli strinse una mano, quasi in una morsa. «Adesso».
Con una mano lo attirò a sé, con l'altra gli prese la nuca, facendo scivolare le dita fra i suoi capelli. La pelle di Frank fremette e una fiacca protesta gli morì in gola. Il pollice di Gerard lo accarezzava piano dietro il collo e lui rimase a fissarlo mentre appoggiava la fronte alla sua. Poi gli lasciò le mani e il collo e colmò l'ultima distanza che li separava stringendolo forte fra le braccia.
Frank spostò la testa indietro di poco, dopo chiuse gli occhi e aspettò.
Gerard esitò. Liberato dagli abissi degli occhi di Frank, nella sua mente riaffiorarono i dubbi. Era sbagliato. Era vietato. Così come lo era ogni sentimento che provava per lui. Non avrebbe proprio dovuto avere la capacità di sentirsi così: non era previsto che accadesse. Ma era accaduto. E quella stava per diventare la sua unica occasione per sperimentare il miracolo per cui gli uomini vivevano, per cui uccidevano. Chiudendo gli occhi, premette le labbra su quelle di Frank.
Erano morbide. Fu questo il suo primo pensiero. Morbide, dolci e tremanti. Sentì le dita di lui torcere la stoffa della sua felpa, le mani tremare leggermente sui suoi fianchi. Le labbra di Frank si schiusero, muovendosi sulle sue. Lo udì emettere un piccolo gemito e quel suono gli provocò un'onda al centro dello stomaco. Lo strinse ancora più forte, la bocca ancora più esigente. Aveva il cuore impazzito, il respiro ansimante. L'unica cosa di cui aveva coscienza era il calore di Frank, la sua morbidezza. Lo sentì farsi più audace, salire in punta di piedi per aderire di più a lui, sollevare le mani dai suoi fianchi e prendergli le spalle, il viso. Gerard lo imitò, facendo scorrere le dita lungo le sue guance, più sotto fino al mento, memorizzando.
Stretto fra le braccia di Gerard, Frank era in preda alle vertigini. Con gli occhi chiusi, il mondo intorno sembrava non esistere. Soltanto le labbra di Gerard, premute sulle sue, e le sue mani che lo stringevano e gli accarezzavano la pelle con dolcezza.
Quando lui alla fine si staccò, Frank era senza fiato. Gerard gli prese il viso fra le mani e lo guardò, con gli occhi ancora ardenti, per un lungo momento. Poi riabbassò la testa e gli diede due baci delicati sulle labbra. Gli sorrise, un lento, languido sorriso che gli fece contrarre i muscoli della pancia.
«Avevi ragione» gli disse Frank, riprendendo fiato. «Meglio prima».
Si voltò e osservò la linea di confine. Adesso non nascondeva più alcuna minaccia, per lui. Gerard lo amava e l'avrebbe seguito ovunque lui fosse andata. Dieci passi sicuri lo portarono fino al confine. Guardò in basso, assaporando la sensazione. Quello era l'ultimo momento nella terra perduta. Poteva dire addio ai demoni, alle marce in salita e ai sonni agitati in case diroccate. Sollevò il piede sinistro e si fermò, proprio sopra la linea. Un altro respiro profondo, poi la superò.
Rimase fermo a considerare il tutto. Sembrava uguale. L'aria era ancora tiepida, con una brezza leggera, il sentiero di terra scricchiolò leggermente quando spostò un piede. Il sole brillava ancora nel cielo e le colline circondavano come prima il paesaggio. Frank si accigliò, curioso, ma non eccessivamente preoccupato. Si era aspettato qualcosa di più drammatico.
Si rigirò verso Gerard, con un sorriso un po' nervoso sulle labbra. Questo gli si gelò sul viso. Delle mani di ghiaccio gli afferrarono il cuore e la sua bocca si aprì urlando un silenzioso "No".
Il sentiero era vuoto.
Frank fece un passo avanti, ma il confine luccicante era scomparso. Tese le braccia, tastando con le mani in cerca del punto in cui Gerard era stato fino a un minuto prima. Le sue mani entrarono in contatto con un muro invisibile, solido e impenetrabile.
Era passato oltre e non c'era via di ritorno. Gerard era scomparso. Era di nuovo solo.
Frank cominciò a tremare in tutto il corpo, una nauseante mistura di adrenalina, shock, e orrore gli inondò le vene. Vacillò, perse l'equilibrio, poi cadde in ginocchio, le mani sulla bocca, come se potesse trattenere i singhiozzi. Ma non ci riuscì. Traboccarono, cominciarono come gemiti sommessi per trasformarsi in un pianto angoscioso. Un dolore bruciante gli lacerò il cuore. Le lacrime scendevano sulle guance e cadevano per terra.
Gli aveva mentito. La sua promessa di accompagnarlo era stata soltanto un inganno, e lui così sciocco da credere a tutto. Doveva essere stato il suo piano fin dall'inizio. Rivide mentalmente il modo in cui gli sorrideva, con gli occhi che brillavano, ma poi d'un tratto la sua faccia diventava una maschera di freddezza e indifferenza. Lui lo sapeva già. E quando gli aveva detto che lo amava? Era una bugia anche quella?
No, questo non lo credeva. La sua anima, quello che era, gli diceva che lo amava. Si amavano, ma non sarebbero mai stati insieme.
Frank scoprì che già faceva fatica a ricordare chiaramente il suo viso. I piccoli dettagli si stavano disperdendo, come granelli di sabbia nel vento. Non riusciva a ricordare la sfumatura esatta dei suoi capelli o la forma della bocca. Un gemito straziante gli sfuggì dalle labbra, una sofferenza che infiammava ogni nervo. Sapendo di essere solo, sapendo che nessuno avrebbe assistito al suo dolore, si abbandonò alla disperazione che lo travolse.
Batté i pugni contro la parete, poi vi premette sopra i palmi, desiderando con tutte le sue forze che si dissolvesse e lo lasciasse tornare indietro.
Gerard era dall'altra parte del confine, mentre lo guardava crollare. Come una guardia al di là di un falso specchio, sapeva che lui non poteva vederlo. Il suo inganno aveva funzionato e il dolore che gli aveva provocato era ben chiaro sul viso di Frank. Sapeva di avergli mentito, di aver programmato il finale. Sapeva che Frank non lo avrebbe rivisto mai più. Anche se gli lacerava il cuore, Gerard si sforzò di guardare ogni lacrima, di ascoltare ogni singhiozzo e urlo. Desiderava disperatamente correre da lui e abbracciarlo, asciugargli le lacrime dalle guance. Sentire di nuovo il suo calore fra le braccia, la sua morbidezza. Sollevò una mano nell'aria e la mise palmo a palmo con quella di Frank, fredda sofferenza – una parete trasparente a separarli. Gerard ordinò ai suoi piedi di avanzare, di oltrepassare il confine, ma non accadde niente. Lui non poteva passare.
Aveva concesso a se stesso di dirle che l'amava, e a Frank di sperare, e questa era la sua punizione. Era stato lui a provocare quel dolore e ne avrebbe sopportato ogni secondo. Sperava soltanto che Frank si rendesse conto che, sotto tutte le bugie, il suo amore era stato sincero e reale.
Gerard aveva sempre saputo che non sarebbe potuto passare oltre insieme a lui. La sua promessa era stata un trucco, una perfida finzione per dargli il coraggio di compiere il passo finale. Aveva messo tutto se stesso per indurlo a credergli, per vedere il suo viso riconoscente e sollevato, per lasciare che si fidasse di lui, consapevole che quel momento stava arrivando. Per concedersi di baciarlo e stringerlo, e sapere di non poterlo trattenere. Per sapere che quando lui avesse oltrepassato il confine e si fosse voltato indietro, avrebbe scoperto il suo inganno.
Attraverso il velo fra i due mondi, lo guardò piangere. Frank chiamava il suo nome e le lacrime gli rigavano le guance. Si sentì pieno di vergogna, disprezzo di sé e disperazione. Avrebbe voluto guardare altrove, nascondere agli occhi le conseguenze delle sue azioni, ma non lo fece.
«Mi dispiace» sussurrò, sapendo che lui non poteva sentirlo, ma sperando in un certo senso che lo avrebbe capito.
Sebbene ogni secondo in cui lo guardava gli sembrasse lungo quanto ore di tortura, alla fine Frank cominciò a sbiadire. I contorni della sua bellissima figura cominciarono a luccicare e offuscarsi e lui cominciò a perdere corpo, fino a ridursi a poco più di un soffio di fumo. Lo guardò mentre lo lasciava. Quando Frank fu soltanto nebbia, Gerard tentò di memorizzare ogni dettaglio del suo viso, cercando di racchiudere nel cuore l'esatta sfumatura dei suoi occhi.
«Addio» mormorò, desiderando con tutto se stesso di poter andare con lui. Un battito di ciglia ed era scomparso.
Gerard fissò il punto sul terreno dov'era stato, poi ingoiò il magone e prese un profondo respiro. Si girò di nuovo verso il sentiero e cominciò ad allontanarsi.
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