10
Quella notte la trascorsero in un altro cottage, un'altra casa sicura sulla strada che attraversava la terra perduta. Il pomeriggio era passato in fretta, avevano marciato a un passo talmente sostenuto da far pensare a Frank che Gerard stesse tentando di recuperare il tempo perso a discutere. Raggiunsero il cottage un attimo prima che il sole scomparisse all'orizzonte. Durante l'ultimo chilometro, Frank aveva pensato di riuscire a udire un ululato lontano, sebbene fosse difficile distinguerlo dal vento.
Gerard aveva aumentato ulteriormente l'andatura, gli aveva preso persino la mano per farlo accelerare, confermando così il sospetto che il pericolo fosse vicino e in agguato.
Non appena oltrepassarono i confini del cottage, Gerard si rilassò all'istante. I muscoli della mascella, contratti per la preoccupazione, si sciolsero in un lento sorriso e le sopracciglia si distesero spianando le rughe sulla sua fronte.
Anche questo cottage somigliava agli altri: mobili rotti sparsi in un unico grande ambiente. C'erano due finestre a ogni lato della porta e altre due sulla parete di fondo. Erano composte da piccoli pannelli di vetro, molti dei quali erano rotti, e permettevano al vento di fischiare rumorosamente attraverso la stanza. Gerard prese alcuni pezzi di stoffa che erano accanto al letto e cominciò a otturare i buchi, mentre Frank si lasciava cadere su una sedia, esausto per lo sforzo compiuto nella giornata.
Se non aveva bisogno di dormire, la sua stanchezza era reale? Pazienza, pensò. I muscoli gli facevano male; o almeno questa era l'impressione. Tentando di spostare il corso dei suoi pensieri confusi, si concentrò su Gerard, che si stava dando da fare.
Una volta finito con le finestre, il ragazzo accese un fuoco. Ci mise molto più tempo della notte precedente, armeggiando con la disposizione della legna e spezzando i ramoscelli per farne una piramide perfetta. Persino quando le fiamme scoppiettarono allegramente lui non si mosse dal camino, ma rimase accovacciato a fissare il fuoco, come se fosse ipnotizzato. Lo stava evitando, Frank ne era sicuro - un'impresa quasi impossibile dato lo spazio ristretto della stanza. Decise di puntare sull'umorismo per tirarlo fuori dalle sue fantasticherie.
«Se questo posto è frutto dei miei pensieri, allora perché tutti i cottage sono delle catapecchie? La mia immaginazione non poteva mettere su dei punti di ristoro un po' più decenti? Magari qualcosa con una console e un televisore».
Gerard si voltò e gli concesse un sorriso modesto e forzato. Frank gli sorrise a sua volta, smarrito per aver fallito il tentativo. Lo guardò mentre attraversava la stanza e si sedeva dall'altra parte del piccolo tavolo. Erano in una posizione speculare, faccia a faccia, a solo mezzo metro di distanza, i gomiti appoggiati sul tavolo. Per un breve momento si fissarono a vicenda. Gerard lesse l'imbarazzo negli occhi del corvino e, con un certo sforzo, finalmente gli offrì un sorriso genuino. Quel gesto diede coraggio a Frank.
«Senti, quanto a prima...»
«Non preoccuparti» lo interruppe Gerard, bruscamente.
«Ma-» Frank aprì la bocca per continuare, ma scivolò nel silenzio.
Gerard vide nei suoi occhi il rammarico, il senso di colpa e - ancora peggio - la compassione. Da una parte provò una sorta di piacere perverso per il fatto che lui si preoccupasse del suo dolore tanto da dispiacersi per lui, ma dall'altra sentì un'irritante frustrazione, perché lo stava facendo pensare a cose che aveva ormai accettato da molto tempo. Per la prima volta si sentiva afflitto per la propria sorte. Per l'infinita prigione circolare che era la sua esistenza. Per tutte quelle anime egoiste che avevano mentito, ingannato e sprecato le vite che avevano ricevuto; un dono che lui desiderava disperatamente e che non avrebbe mai potuto avere.
«Com'è?» chiese Frank all'improvviso.
«Com'è cosa?».
Gerard lo vide stringere le labbra mentre cercava le parole per esprimere il suo pensiero.
«Traghettare tutte quelle persone, accompagnarle per tutto il percorso e poi vederle scomparire, o passare oltre, o qualsiasi cosa sia. Dev'essere difficile. Scommetto che alcune di loro nemmeno lo meritano».
Gerard lo fissò, sconcertato dalla domanda. Nessuno, nemmeno una delle migliaia di anime che aveva condotto oltre, gli aveva mai chiesto una cosa simile. E quale risposta poteva dargli? La verità era aspra, ma non voleva mentirgli.
«All'inizio non ci pensavo davvero. Era un lavoro e io lo eseguivo. Proteggere ogni anima, tenerla al sicuro, sembrava la cosa più importante del mondo. C'è voluto parecchio tempo prima che cominciassi a vedere qualcuna di loro per ciò che erano veramente. Le persone che erano. Ho smesso di compatirle; smesso di essere gentile. Non lo meritavano». La voce di Gerard cambiò, mentre l'amarezza gli riempiva la bocca. Respirò a fondo, reprimendo il rancore, passandoci sopra con la facciata di indifferenza che aveva perfezionato nel corso del tempo. «Loro passano oltre e io devo guardarli andare via. Ecco com'è».
Ed era stato così per moltissimo tempo, ormai. Poi era arrivato Frank ed era talmente diverso da avergli fatto perdere di vista il ruolo che interpretava abitualmente. Era stato piuttosto orribile con lui - beffardo, freddo, sarcastico - ma non poteva farne a meno. Chissà come, Frank lo aveva sbilanciato, mandato fuori fase. Non era un angelo - lo sapeva - lo aveva visto nei milioni di ricordi che si riproducevano nella sua testa, ma in lui c'era qualcosa di insolito - anzi, speciale. Sentì il senso di colpa avvitargli lo stomaco, mentre Frank si torturava le mani a disagio sulla sedia.
«Parliamo d'altro» propose Gerard, per preservare i sentimenti di Frank.
«Okay». Frank accettò prontamente, sollevato di avere l'opportunità di cambiare discorso. «Dimmi qualcosa in più su di te».
«Che cosa vuoi sapere?».
«Mmh». Frank pensò a un elenco di domande che gli era ronzato in testa per tutto il pomeriggio. «Dimmi qual è stata la forma più assurda che hai mai assunto».
All'improvviso Gerard sorrise e Frank capì di aver scelto la domanda giusta per alleggerire l'atmosfera.
«Babbo Natale» gli rispose.
«Babbo Natale?» esclamò lui. «Perché?».
Gerard si strinse nelle spalle. «Era un bambino piccolo. Era morto la vigilia di Natale in un incidente d'auto. Aveva soltanto cinque anni, e Babbo Natale era la persona di cui si fidava di più al mondo. Si era seduto sulle sue ginocchia, in un negozio, un paio di giorni prima, ed era uno dei suoi ricordi preferiti». Una luce divertita gli brillò negli occhi. «Ho passato tutto il tempo a scuotere la pancia e urlare: "Oh! Oh! Oh!", per tenerlo allegro. È rimasto molto deluso quando ha scoperto che Babbo Natale non sapeva cantare Jingle Bells senza stonare».
Frank scoppiò a ridere all'idea del ragazzo seduto davanti a lui travestito da Babbo Natale. Poi si rese conto che Gerard non si era travestito, ma che era stato Babbo Natale.
«Sai qual è la cosa più assurda per me?» gli chiese. Gerard scosse la testa. «È guardarti e pensare che sembri avere la mia età, ma sapendo che in realtà sei un adulto. No, più vecchio di un adulto. Più vecchio di chiunque io conosca».
Gerard gli sorrise con simpatia.
«E io non ho un buon rapporto con gli adulti; a loro piace comandarmi a bacchetta. Un po' come fai tu, in effetti». Rise.
Anche Gerard rise, godendosi il suono. «Beh, se ti può aiutare, io non mi sento... un adulto».
Frank sorrise.
«Altre domande?».
«Raccontami... raccontami della tua prima anima in assoluto».
Gerard fece un sorriso mesto. Non riusciva a rifiutargli niente.
«Dunque, è stato tanto tempo fa» cominciò, «Un uomo giovane. Si chiamava Richard».
Frank gli fece cenno di continuare, curioso.
Era stato davvero tantissimo tempo prima, ma con gli occhi della mente Gerard riusciva a vedere ancora ogni dettaglio. Il primo ricordo della sua esistenza era il cammino, il cammino in un paesaggio di un bianco accecante. Non c'erano fiori, né muri, né cielo. Il fatto che stesse camminando era l'unica prova che esistesse una superficie. Poi, dal nulla, erano iniziati ad apparire dei dettagli. Il terreno sotto i suoi piedi, d'un tratto, era un sentiero di terra battuta. A destra e sinistra spuntavano delle siepi alte e incolte, fruscianti di suoni prodotti da creature viventi. Era notte, il cielo sopra di lui era un tappeto d'inchiostro nero cosparso di stelle scintillanti. Gerard riconosceva tutte quelle cose e sapeva dargli un nome. Sapeva anche dove stava andando e perché si trovava lì.
«C'era un incendio» disse, «Un denso pennacchio di fumo saliva in spire verso il cielo e io ero diretto lì. Camminavo in una stradina. Poi, dal nulla, ecco due uomini arrivare di gran carriera alle mie spalle. Mi corsero talmente vicino che riuscii a sentire lo spostamento dell'aria, ma loro non mi videro. Quando arrivai all'origine dell'incendio, vidi che i due uomini stavano tentando di tirare su l'acqua da un pozzo, ma i loro sforzi erano vani. Non potevano estinguere un rogo come quello. Era un inferno. Nessuno poteva sperare di sopravvivere a una cosa del genere. Motivo per cui io mi trovavo lì, ovviamente».
Rivolse un debole sorriso a Frank che lo guardava con attenzione estatica.
«Ricordo che mi sentivo... non nervoso, ma esitante. Dovevo forse andare a prenderlo, oppure rimanere dov'ero e aspettare? Avrebbe già saputo chi ero, o avrei dovuto convincerlo a venire con me? Che cosa avrei fatto se lui fosse rimasto sconvolto o se si fosse arrabbiato? Ma alla fine fu semplice. Lui uscì da un muro della casa in fiamme e si fermò davanti a me, del tutto illeso. Dovevamo metterci in viaggio. Ma Simon non sembrava disposto a partire. Stava aspettando qualcosa. No. qualcuno».
Frank batté le palpebre, confuso. «Lui poteva vederli?».
Gerard annuì.
«Io non potevo», mormorò lui, pensoso, abbassando lo sguardo. «Non vedevo nessuno. Io ero... ero solo». La voce del ragazzo si spense sull'ultima parola.
«Le anime possono vedere la vita che hanno lasciato ancora per un po'. Dipende dal momento in cui sono morte» spiegò Gerard. «Tu sei morta mentre eri incosciente e, quando l'anima si è svegliata, ormai era troppo tardi. Tutti gli altri erano scomparsi».
Frank lo guardò, gli occhi pieni ditristezza. Poi deglutì sonoramente. «Cosa è successo a Richard?».
«Cominciarono ad arrivare delle persone e, anche se Simon era triste mentre le guardava, non si spostò dal mio fianco. A un certo punto, dal vialetto arrivò una donna che correva a perdifiato, con la gonna tirata su per lasciare libere le gambe e sul viso un'espressione d'orrore. Urlava il suo nome. Era un suono angoscioso, straziante. Si precipitò oltre la folla e fece per gettarsi dentro la casa, ma un uomo l'afferrò. Dopo aver resistito per qualche secondo, lei si accasciò tra le sue braccia singhiozzando disperatamente».
«Chi era?» mormorò Frank, catturato dalla storia.
Gerard scrollò le spalle, «La moglie di Richard, immagino, o la sua innamorata».
«E dopo che cos'è successo?».
«La parte più difficile. Aspettai, mentre Richard assisteva alla crisi della donna con un'espressione straziata sul viso. Teneva un braccio teso verso di lei, ma sembrava rendersi conto che non poteva offrirle alcuna consolazione, e rimase fermo accanto a me. Dopo qualche secondo, si girò e chiese: "Sono morto, vero?". Io annuii e basta, temevo di non riuscire a parlare. Mentre si voltava a guardare la donna in lacrime, mi chiese se doveva venire con me e io risposi di sì. Poi mi chiese dove saremmo andati e io entrai nel panico» confessò Gerard, «Non sapevo cosa dirgli».
«E che cosa gli hai detto?».
«Dissi: "Io sono soltanto il traghettatore. Non sono io a decidere la destinazione". Per fortuna lui accettò la mia risposta, così mi voltai e cominciai a camminare nella notte buia. Dopo aver dato un ultimo sguardo alla donna, Richard mi seguì».
Frank rispose con un mugolio di comprensione, pensando alla moglie lasciata sola. «Quell'uomo, Richard, sapeva di essere morto. Lo sapeva da subito» disse, incredulo.
«Beh» ribatté Gerard, «era appena uscito dal muro di una casa in fiamme. Oltretutto, all'epoca, la gente era molto più religiosa. Non contestavano la Chiesa e credevano in quello che gli veniva insegnato. Loro mi vedevano come un messaggero mandato dall'alto. credo che tu lo definiresti "angelo". Non osavano mettermi in discussione. Di questi tempi la gente è molto più problematica. Sembra che tutti credano di avere dei diritti». Alzò gli occhi al cielo.
«Ah» guardò in su, incerto se porre o meno la domanda seguente.
«Che cosa c'è?». Gerard vide la sua esitazione.
«Chi eri per lui?» mormorò il ragazzo corvino.
«Soltanto un uomo. Ricordo che ero alto e muscoloso, e avevo anche la barba». Si interruppe, vedendo l'espressione sul viso di Frank. Notò che mordicchiava le labbra per non ridacchiare.
«A quei tempi un sacco di uomini la portavano, lunga e folta. Avevo anche i baffi. Mi piaceva parecchio; era bella e calda».
Questa volta Frank non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata, che però svanì in fretta.
«Chi è stata l'anima peggiore?» gli chiese, sottovoce.
«Tu» rispose Gerard, e gli sorrise, ma non con gli occhi.
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