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Capitolo 60

Mentre l'ascensore emetteva il suo solito suono, le porte si aprirono rivelando una piccolo spazio grazioso; era elegante e profumava di nuovo. Il pavimento era identico a quello che ricopriva tutto l'edificio.

Per l'intera mattinata, non avevo fatto altro che pensare a cosa mi sarei trovata una volta varcate quelle porte. Si diceva che quell'edificio italiano fosse uno dei più grandi uffici de I Selvaggi, insieme a quello di Londra. In quel posto si erano tenuti la maggior parte degli affari, era praticamente il cuore della gang.

Harry mi aveva anche detto che tutta l'Italia fosse sotto il controllo della gang; la maggior parte dei poliziotti ne faceva parte per cui erano loro a comandare. All'inizio non volevo crederci, ma dopo aver notato il comportamento delle donne dell'ufficio, vestite in modo scandaloso, al passaggio dei membri de I Selvaggi, mi dovetti ricredere.

Dopo che venne premuto il pulsante 35, l'ascensore cominciò a salire. Harry iniziò a toccarsi i capelli e a muovere i piedi, come se fosse preoccupato. Per tutta la mattinata, aveva prestato molta attenzione all'atteggiamento che assumeva nei confronti delle persone attorno a lui. Dopo aver parcheggiato la sua auto, la receptionist era apparsa molto sorpresa quando Harry le aveva parlato con tono calmo. Le donne che chiacchieravano al bar erano rimaste a bocca aperta nel vedere entrare la sua figura.

Dal modo in cui reagivano, capii che Harry solitamente non fosse così calmo. Mi rendeva m leggermente nervosa pensare a cosa avesse potuto fare Harry a queste persone così ansiose nel parlare con lui. Da un lato, non volevo saperlo, ma c'era anche la possibilità di scoprire oggi il motivo. Una volta che le porte si aprirono, ci ritrovammo di fronte una stanza meravigliosa.

Il costoso marmo aveva nuovamente fatto la sua comparsa, abbinandosi perfettamente alle pareti bianche. La stanza era piena di costosi divani italiani in pelle, tavoli e piante. La scrivania principale era in mogano, con la parola "Selvaggi" incisa di nero su di essa. Diverse porte erano situate ai lati della stanza, dalle quali entravano e uscivano persone che sembravano far parte della gang. Una donna era a malapena vestita, mentre portava alcool, sigarette e probabilmente anche droga. Rabbrividii e uscii dall'ascensore.

Mentre un gruppo di uomini ci passava davanti, uno di loro mi guardò un po' più a lungo del dovuto. La mano di Harry si posò immediatamente sui miei fianchi; io arrossii e vidi l'uomo spalancare gli occhi e distogliere immediatamente lo sguardo. Ripresi a guardarmi attorno, osservando con ammirazione i particolari di quel luogo superbo.

"Ora passiamo dal mio ufficio, devo prendere delle cose e dopo devo correre a una riunione," disse, avvicinandomi ulteriormente a lui.

"Parteciperò anche io?" Domandai, guardandolo.

"Assolutamente no," scattò, facendomi alzare un sopracciglio.

"Quindi mi lasci pensare che le cose che farai durante l'incontro potrebbero farmi prendere la decisione di andare via. . ." Dissi; lui si fermò e mi spinse contro di lui.

"Solo perché c'è una possibilità che tu vada via, non significa che puoi comportarti così. Sei sempre mia, non importa dove di trovi, devi sempre rispettare le regole che ti ho imposto. Ci siamo capiti?" Ghignò, premendo violentemente le sue dita contro i miei fianchi. Annuii, mentre lui riprendeva a camminare, soddisfatto e con la sua mano ancora attorno alla mia vita.

Una volta superata la scrivania principale, dove la donna che vi sedeva ci guardò come se avesse appena assistito a un omicidio, ci dirigemmo verso una porta sulla quale vi era scritto 'Styles'. Sulle altre porte vi erano i nomi degli altri ragazzi, ma era quello di Harry a trovarsi al centro. Harry afferrò la chiave dalla sua tasca e aprì la porta.

L'ufficio era altrettanto spettacolare; l'arredamento era bianco ed elegante, con un pavimento rigorosamente lucido. La scrivania di Harry era posizionata al centro della stanza, mettendo il luce il costosissimo mogano. Entrai completamente dentro e mi diressi verso una delle poltrone presenti.

"Incredibile," mormorai, scuotendo la testa e sedendomi.

"Mettiti comoda, rimarrai qui per un bel po'," disse, afferrando una cartella da uno dei cassetti della scrivania.

"No, verrò con te," replicai, facendolo ridere e scuotere il capo.

"No, non verrai, assolutamente no."

"Perché? Perché sai che se perdi il controllo io andrò via?" Chiesi, facendolo scattate.

"Sì," rispose velocemente, posando le sue mani sulla scrivania. "È esattamente la ragione per cui non voglio che tu venga a questa riunione," disse, facendomi venir voglia di urlare.

"Non ti troveresti neanche dinanzi a questa situazione, se fossi stato sincero sin dall'inizio," dissi, guardandolo cautamente.

"Quale situazione? Non ho fatto nulla di sbagliato. Sto cercando di proteggerti dalla parte cattiva di me, non ti basta? Sto cercando di tenerti al sicuro, ci sto davvero provando," disse, alzando leggermente la voce.

"Lo capisco, Harry ma non è abbastanza," dissi.

"Non è abbastanza? Per chi? Per te? Per me? In tutta sincerità Arabella, non devo dimostrare proprio nulla a te," disse, serrando la mascella.

"Se non devi dimostrarmi nulla, perché sono ancora qui Ovviamente non ti interessa cosa io pensi di te, quindi perché non mi lasci andare?" Domandai, incrociando le braccia al petto. La conversazione stava diventando sempre più seria e temevo che da un momento all'altro lui potesse perdere il controllo.

"Non ho mai detto che non mi importa cosa tu pensi di me," disse, scuotendo il capo. "E poi, non puoi andare via, fai parte del mio piano, te lo ricordi?" Mi chiese, mentre io strizzavo gli occhi. Questo era un colpo basso persino per lui.

"Se faccio parte di questo piano e non c'è niente che io possa fare per andare via, allora perché dovrebbe importarti se io venissi a questa riunione?" Gli chiesi, facendolo ringhiare e stringere i pugni.

"Va bene, vieni con me. Io ti ho avvertita, non ti cagare addosso una volta che siamo lì," disse, alzandosi dal suo posto e dirigendosi verso di me.

Mi sentii felice, felice che, per la prima volta, avessi vinto io. Avevamo avuto tantissimi battibecchi che mi avevano sempre distrutta; finalmente, per una volta, non era andata così.

Ma non sapevo. . .non sapevo che quella riunione si sarebbe trasformata nel mio trauma definitivo.

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