Capitolo 38
Si sedette comodamente sulla sedia di fronte a me, mentre io sedevo codarda sul divano. Normalmente era estremamente intimidatorio, ma quando si incazzava, somigliava tanto a un vulcano sul punto di eruttare. Sapevo che si sarebbe incazzato una volta scoperto della lettera, ma non credevo sarebbe successo così presto.
Non sapevo se dirglielo oppure raccontargli una bugia. Di solito riusciva subito a scoprire le mie bugie, per cui forse non era una buona idea. Tuttavia, se lui avesse saputo della lettera, avrebbe soltanto sollevato ancor più problemi tra di noi per cercare di scoprire chi l'avesse mandata.
Restammo in silenzio mentre lui beveva la birra e si leccava le labbra. Non avevo mai realizzato quanto bevesse durante il giorno senza apparire mai ubriaco. Invece io avevo dovuto placare il mal di testa il giorno dopo aver bevuto un piccolo sorso da quell'alcolico che aveva in ufficio.
"Hai intenzione di startene lì seduta e tremare come un animale spaventato o mi dirai la verità?" Domandò diretto. Non avevo neanche notato il lieve tremolio delle mani.
"Non avevamo posta," dissi con un filo di voce, ferma al mio posto.
"Certo, allora spiegami la montagna di lettere sul mobile," scattò, facendosi passare le dita tra i capelli.
"Forse si sono confusi," feci spallucce, cercando di fingermi innocente.
"Certamente," disse, alzando gli occhi al cielo e tirando via i capelli che rischiavano di cadergli sulla fronte.
"Arriva sempre, forse questa volta si sono confusi in questa zona," dissi, nella speranza che credesse alle mie menzogne.
"Un quartiere abitato solo da tre persone, e tra queste una è membro di una gang," alzò il sopracciglio. "Chi avrebbe potuto confondersi?"
"Un nuovo dipendente?" Chiesi, mentre i miei denti mordevano il labbro inferiore dalla paura. Era così ovvio che mentissi, quale idiota avrebbe creduto che ci fosse stato un nuovo dipendente che recapitasse la posta di Harry?
"Stai mentendo," disse, ribollendo dalla rabbia. "Ultimamente lo stai facendo un po' troppo spesso, e non posso sopportarlo."
Rimasi in silenzio, cos'altro avrei potuto dire? Non c'era altro che avessi potuto fare se non rimanere lì seduta e lasciare che mi urlasse contro. Anche se mi faceva incazzare come cosa, aveva ragione. Stavo mentendo, mentendo riguardo la posta e riguardo la lettera ma se l'avessi ammesso, non me l'avrebbe fatta passare liscia.
Avrei voluto essere rapita da qualcuno un po' più comprensivo, anche se sicuramente non era da tutti rimanere ancora in vita dopo. Ma in qualche modo credevo che la morte fosse il modo più facile per fuggire da questa vita; o forse, farmi andare bene tutta questa merda mi avrebbe aiutata, nella speranza che lui mi lasciasse tornare a casa.
In un mondo diverso, sarei stata seduta in casa con un libro tra le mani o a guardare la tv con tutta la famiglia, compreso il mio papà. Avrei vissuto una vita felice, priva della paura di essere sequestrata da casa mia o priva della preoccupazione di perdere qualche membro della famiglia.
A volte dimenticavo che la mia vita, e ciò che era diventata, non fosse altro che il risultato della formazione delle gang. Mi avevano resa una ragazza spaventata, che era addirittura terrorizzata di respirare nel modo sbagliato di fronte agli altri. Mi avevano abbattuta e allo stesso tempo mi avevano resa più forte nel sopportare la perdita di qualcuno. Mi avevano indebolita e al contempo resa più forte.
Alzai lo sguardo su di Harry, che stava battendo il piede contro il parquet che avevo lavato di recente. A volte mi domandavo come fosse riuscito a sopravvivere senza qualcuno che gli preparasse da mangiare e gli pulisse casa. Forse aveva una domestica?
"Mi stai ascoltando?" Chiese, risvegliandomi dai miei pensieri. Lo guardai con una faccia esausta.
"Scusami, che cosa hai detto?" Chiesi, facendolo brontolare.
"Presta attenzione, Arabella. Ho detto che non sorvolerò neanche sul fatto che poco prima stessi ficcanasando tra i miei messaggi," disse incazzato, facendomi sentire impotente.
"Non è colpa mia se i tuoi giochi mi annoiavano," dissi con un sorriso divertito, nella speranza che facesse ridere anche lui, ma non fui così fortunata.
"Questo non ti dava il diritto di ficcanasare tra i miei messaggi, Arabella, ci sarebbero potute essere cose importanti lì," disse.
"Ma non c'erano," gli feci notare e lui strinse la mascella.
"Non è questo il punto!" Urlò, facendomi rimbalzare sul posto.
"D'accordo, non lo farò più!" Gli urlai di rimando, non altrettanto forte quanto lui.
Non rispose, rimase lì seduto con uno sguardo che mi pareva più quello di un mostro che di un uomo. La sua mascella era così serrata che credevo sarebbe rimasto così per sempre. Aveva le mani strette in pugni e una era avvolta attorno al collo della bottiglia di birra, se avesse aumentato la stretta, l'avrebbe rotta.
"Non mi hai ancora detto chi era alla porta," disse, con voce derisoria, che io avevo imparato a ignorare.
"Non era nessuno," dissi, il che tecnicamente era vero. Quando avevo aperto la porta, c'era soltanto la lettera.
"Stai mentendo di nuovo!" Gridò con fronte corrugata.
"Giuro che non c'era nessuno, forse era uno scherzo dei ragazzi," dissi, cercando di convincerlo, ma lui non se la bevve.
"Beh, fortunatamente alla nostra età non siamo più bambini, a differenza di altri," disse, facendomi irritare ancor di più.
Decisi di non rispondergli e di rimanere seduta in silenzio. Se avesse voluto imprecare e urlarmi contro, gliel'avrei lasciato fare, avrebbe perso comunque le staffe, quindi perché sprecare l'energia verso un uomo infuriato che non conosceva i propri limiti?
Si era irrigidito dal momento in cui ero entrata nel suo ufficio e le sue mani erano rimaste chiuse in due pugni. Sapevo quanto fosse incazzato e praticamente riuscivo a vedere la tensione sul suo viso, ma riuscivo a vedere anche la rabbia e i commenti scortesi che sarebbero venuti fuori da un momento all'altro.
"Sai di non passarla liscia," disse, facendomi annuire debolmente. Lui annuì di rimando e alzò lo sguardo. "Andiamo nella tua camera," disse, facendomi prendere un respiro veloce.
"C-cosa?. . .Perché?" Chiesi velocemente, cercando di capire le sue intenzioni.
Scosse il capo, si avvicinò e mi afferrò il braccio, costringendomi ad alzarmi dal divano e trascinandomi dietro di lui. Mi avrebbe punita di nuovo? Speravo di no, non sarei riuscita a sopportarlo di nuovo, il mio sedere mi bruciava ogni volta che ci pensavo.
Mentre salivamo su per le scale, la mia mente iniziò a vagare con un turbine di pensieri. Magari se fossi corsa via, sarei riuscita a chiudermi dentro la mia camera. No, stupida mossa, mi avrebbe di certo raggiunta in un battibaleno. Ma magari era lento a correre dato che era così alto. In un momento di paura, l'adrenalina dentro di me mi aiutò a liberarmi dalla sua presa e a correre su per le scale.
"Arabella, fermati!" Gridò, mentre sentivo il rumore dei suoi passi sulle scale di legno dietro di me.
Corsi il più veloce possibile attraverso il corridoio, diedi una rapida sbirciatina dietro le mie spalle, ritrovandomelo alle calcagna. Mi avrebbe presa. Mi fermai un attimo sulla soglia della mia camera e aprii la porta. Una volta al sicuro, dentro, sbattei la porta e chiusi la serratura.
Alcuni secondi dopo, i suoi pugni risuonarono con forza contro la porta. Era così rumoroso e terrificante e tutto ciò che riuscivo a pensare era lo scricchiolio della porta a contatto con i suoi pugni violenti. Lo sentii maledire e imprecare dall'altro lato della porta, e indietreggiai verso il letto.
"Apri questa dannata porta del cazzo altrimenti la butterò giù," mi minacciò dall'altro lato della porta in legno.
Sapevo che ci sarebbe riuscito benissimo ad abbattere la fragile porta in legno ma ero troppo spaventata per lasciare il letto e aprirla. I suoi pugni colpirono un'ultima volta prima che il silenzio tornasse, forse era tutto un po' troppo silenzioso. Si era già arreso?
Prima ancora che ci potessi pensare, la serratura della porta volò via e la porta si spalancò, con Harry a seguire. Sapevo che l'avrebbe fatto e ora la porta era distrutta. Lui mi guardò seduta sul letto con mascella serrata e mani strette in pugni. Notò la mia espressione intimidita e sorrise.
"Noto che l'approccio verbale non funziona tanto bene con te," commentò, avvicinandosi al letto come un predatore avrebbe fatto con la sua preda. "E se provassimo quello fisico?"
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