Capitolo 37
Mi ritrassi per la durezza della sua voce e quasi caddi a terra. Sapevo fosse arrabbiato con me per il fatto che avessi ficcanasato nel suo telefono, ma perché avrebbe dovuto urlarmi contro in quel modo?
Oltre ad aver ficcanasato nel suo cellulare e forse mentito a riguardo, non avevo fatto nient'altro di male. Ci avevo giocato per un po', ma mi ero annoiata e avevo cercato qualcos'altro da fare.
Scossi il capo e allontanai questi pensieri dalla mia mente. Non avrebbe mai potuto trovare la lettera, dato che era nascosta sotto il cuscino. E anche quando gli avevo mentito ed ero corsa in bagno, non avrebbe di certo potuto scoprirla.
Mi alzai dal divano prima ancora di ricordarmi ciò che mi era stato detto, e cioè di non muovermi di lì. Il mio cervello correva più veloce della luce, cercando di equilibrare tutti i pensieri che mi scorrevano per la testa. Forse questo era uno stratagemma per vedere se gli prestassi ascolto. Ma decisi comunque di avvicinarmi alla porta, con la testa in subbuglio.
Chi era alla porta, che aveva fatto incazzare Harry con me? Erano stati forse i miei fratelli, o meglio ancora, Sophia? Era stato forse qualcuno dei ragazzi o qualche membro della gang di Harry? Il mio cervello non riusciva a fermarmi mentre tenevo la mano ferma sulla maniglia della porta, che poi aprii.
Quando aprii la porta, ritrovai Harry in piedi, davanti la porta principale, con la mascella serrata e la mano stretta in un pugno. La porta era aperta ma dalla mia posizione avevo la visuale bloccata. Il cigolio del legno sotto i miei piedi attirò l'attenzione di Harry, che si girò con uno sguardo arrabbiato.
Mi avvicinai lentamente a lui, intimidita dal suo sguardo. Man mano che mi avvicinavo alla porta, sentivo il mio cuore aumentare di battiti al pensiero dei miei fratelli lì. Una volta arrivata davanti la porta, guardai fuori, ritrovandomi un viso familiare lì in piedi sulle scale. Il postino.
Quasi non scoppiai a ridere. Perché Harry era così incazzato per l'arrivo del postino? Guardai prima l'uno e poi l'altro, divertita. Harry rimase lì impalato con un espressione arrabbiata a ricoprirgli il volto, mentre il postino sembrava confuso e spaesato. E fu in quel momento che iniziai a realizzare.
Harry era incazzato che il postino fosse lì. Ma perché? Era lì tutti i giorni. Il postino. Era incazzato che il postino fosse lì. Era incazzato che il postino fosse lì. . .di nuovo.
Rimasi senza fiato quando finalmente realizzai. Poco prima avevo detto ad Harry che il postino avesse detto di non avere posta, mentre ora era lì con una mangiata di lettere. Gli avevo mentito per la lettera che avevo ricevuto, ma ora che il postino era lì, ero fregata. Come avevo potuto non pensarci?
Il postino veniva ogni giorno, nel pomeriggio, e io ero quella che solitamente andava ad aprirgli. Come avevo potuto non pensarci? Mi maledissi prima di ritornare a guardare Harry negli occhi, pentendomene subito dopo.
"Non credevo che oggi avessimo posta," commentò Harry, sorprendentemente calmo. Uscì fuori e afferrò la pila di lettere ordinate per nome.
"Perché non avreste dovuto, signore? La ricevete tutti i giorni," disse il postino. Harry ridacchiò e mi guardò in modo sinistro.
"Era proprio ciò che pensavo," disse, facendomi rabbrividire. Ero stata colta con le mani nel sacco. . .di nuovo.
"Beh, farei meglio ad andare ora. Arrivederci Harlan, arrivederci Arabella," disse, prima di girarsi e scendere giù per le scale. L'utilizzo di 'Harlan' invece di 'Harry' mi colse di sorpresa prima di ricordarmi che non tutti fossero nella sua gang.
Harry chiuse la porta, sbattendola e tenendo gli occhi bassi sulla pila di lettere che aveva in mano. Non osai iniziare la conversazione con lui, francamente non sapevo cosa dire. Essere colta con le mani nel sacco non era una cosa a cui ero abituata, non mi capitava di mentire a casa, ma da quando ero qui, lo facevo spesso.
Dopo aver dato un'occhiata a tutta la posta ricevuta, Harry si fece sfuggire una finta risata, prima di alzare lo sguardo su di me, la sua mascella serrata. Poi, la lanciò tutta a terra, fogli sparsi di qua e di là.
"Pensi davvero di poter continuare a mentire e a prenderti gioco di me!" Urlò, facendomi sobbalzare e tremare dalla paura.
"Harry, io-io non. . ." Iniziai a dire.
"No! Non lascerò più che tu ti inventa stupide scuse, col cazzo che lo farò!" Urlò.
"Ti prego," dissi, facendo un passo in avanti per toccargli la spalla, nella speranza di calmarlo un po'.
"Assolutamente no! Allontanati da me! Non so cosa stai cercando di fare, ma qualsiasi cosa sia, smettila immediatamente! Se pensi di essere speciale e di potermi abbindolare, ti sbagli di grosso!" Ringhiò, mentre il cuore martellava contro il petto.
"Non lo penso affatto," dissi, leggermente offesa dalle sue parole.
"Sì, come no. Ho visto come mi guardavi stamattina," disse, facendomi innervosire.
"Non ti stavo guardando in nessun modo!" Mormorai, mentre lui si avvicinava e mi bloccava.
"Certo, come dici tu," disse, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia al petto.
Per un po' ci fu il silenzio, nessuna parola fuoriuscì dalle nostre labbra. Il mio respiro era rumoroso, intrecciato alla paura che provavo nei confronti dell'uomo dinanzi a me, paura dovuta alla rabbia che si stava pian piano crescendo in lui.
Continuò a guardami con un ghigno, mentre si mordeva le labbra per la frustrazione. Una delle sue mani finì tra i suoi capelli, tirando con forze alcune ciocche, l'altra era nascosta nella tasca dei jeans. Normalmente, avrei pensato fosse molto sexy, ma non era il momento giusto per fare queste osservazioni. Spostò lo sguardo sulla posta a terra, prima di tornare a guardarmi.
"Raccogli tutto," ringhiò. "E quando hai finito, prendimi una birra e raggiungimi in salotto. "Dobbiamo farci una bella chiacchierata," disse, prima di andare via, lasciandomi terrorizzata.
Mi inginocchiai e iniziai ad afferrare i fogli da terra. Non appena sentii il suo corpo affondare sul divano nella stanza accanto e la tv accendersi, lasciai che le lacrime scendessero sulle mie guance.
Avevo paura della sua rabbia e delle sue possibili azioni. La sua definizione di 'bella chiacchierata' e la mia erano completamente diverse. E se mi avesse di nuovo picchiata? O peggio, se lo avesse fatto con più violenza? Non volevo neanche pensarci.
Nonostante fossi spaventata a morte, la delusione che si era diffusa sul suo viso negli ultimi dieci minuti era riuscita a far andare in frantumi il mio cuore. Stavamo andando così d'accordo e io avevo rovinato tutto, mentendo e curiosando nel suo telefono.
Scossi la testa e maledissi me stessa, prima di alzarmi e dirigermi in cucina con tutta la posta in mano. La poggiai sul bancone e mi diressi verso il grande frigo, per prendere una birra ad Harry. Ne erano rimaste poche, quindi mi avrebbe sicuramente mandata a fare la spesa.
Dopo aver aperto la birra, iniziai ad entrare in panico mentre mi avvicinavo al salotto. Cosa mi avrebbe fatto? Quanto duramente mi avrebbe urlata contro, o colpita? Feci dei respiri profondi e mi asciugai le lacrime, per cercare di nascondere il mio stato d'animo.
Non appena entrai, lo vidi seduto sulla sua poltrona di pelle marrone, una sigaretta penzolava dalle sue labbra. Quando si accorse della mia presenza, si girò e afferrò la birra; poi tirò via la sigaretta dalla bocca, facendomi ripensare a quanto era accaduto in mattinata.
Esalò tutto il fumo e poi prese un sorso di birra, chiudendo gli occhi per la soddisfazione. Subito dopo li riaprì e serrò la mascella, accorgendosi che io fossi ancora lì, immobile.
"Siediti," mi ordinò, facendomi scattare in direzione del divano più vicino. "Ora, dimmi tutto ciò che è successo oggi e, questa volta, cerca di non mentirmi."
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