Capitolo 5
Era passata una settimana precisa dalla mia conversazione con Dylan e da allora un leggero strato di insonnia avvolse le mie nottate.
Brutta bestia l'empatia. Non bastavano tutti i miei problemi a tenermi sveglia, e già quelli non erano pochi, soffrivo pure per quelli altrui.
Era circa l'una di notte e io non facevo altro che girarmi e rigirarmi nel letto ma, nonostante la stanchezza, non riuscivo a prendere sonno.
Il mio pigiama altro non era che una vecchia maglia a mezze maniche di Matthew, il maggiore dei miei fratelli, che mi copriva a mala pena le cosce. Indossai un grosso cardigan blu di lana appartenuto a mia nonna e che aveva sicuramente vissuto giorni migliori. Era slabbrato e infeltrito e per di più, forse a causa degli eccessivi lavaggi, aveva assunto un colore smunto il che, in aggiunta a rattoppi e qualche buchetto qua e là, gli conferiva un aspetto piuttosto trasandato.
Presi in mano le scarpe, che erano tra le poche cose che non avevo sfilato dal guardaroba di parenti vari, e uscii in silenzio dalla mia stanza.
L'appartamento era avvolto dal silenzio e persino il mio respiro sembrava il più rumoroso dei suoni.
Emisi un sospiro di sollievo solo quando mi chiusi la porta alle spalle.
Ringraziai mentalmente la me adolescente: forse il periodo di ribellione che avevo vissuto qualche anno prima non era servito solo a dimostrare quanto stessi male con i capelli biondi.
Ero l'ultima di quattro fratelli, non che unica figlia femmina di una famiglia piuttosto protettiva e posso dire con abbastanza sicurezza che quando avevo sedici anni uscire di nascosto, senza emettere alcun suono, era diventato un vero e proprio talento.
Infilai le vans solo dopo aver camminato per diversi minuti a piedi scalzi su uno dei sentieri che conduceva ai campi sportivi.
Mi sedetti a gambe incrociate in su sugli enormi spalti di cemento del campo da atletica, tirai fuori dalle tasche del cardigan il mio fedele pacchetto di sigarette e un accendino rosso fiammante. Fumai lentamente, aspirando a pieni polmoni tutto il fumo misto ai pensieri troppo ingombranti per restare nella mia testolina.
Mi guardai attorno alla ricerca del più piccolo dei movimenti e, non trovandone alcuno, misi una mano nella coppa sinistra del mio reggiseno per poi estrarne un piccolo cellulare.
Con le mani tremanti dall'agitazione digitai l'unico numero che sapevo a memoria.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Attaccai e nascosi il telefono nella tasca del cardigan e mi guardai accendendo un'altra sigaretta.
Ero circa a metà quando il display si illuminò, vibrando e mostrando un numero che non avevo mai visto.
-Ehi, Matt. -
-Briciola, sappi che mi hai appena fatto perdere cinquanta sterline con Marcus e Matthew. Spero che tu sia in pericolo mortale. -
-Mitch! Hai veramente scommesso su di me? - alzai gli occhi al cielo sorridendo.
Dio, quanto mi mancavano quei tre idioti.
-Sì, io ho detto che saresti resistita almeno due mesi prima di voler tornare a casa. E invece...-
-Non voglio tornare a casa. Avevo solo voglia di sentire i miei fratelli. -
-Ma davvero? - lo sentii parlare lontanamente e nella mia mente vidi chiaramente mio fratello coprire con una mano il telefono per poi girarsi verso gli altri due e riferire -Non vuole tornare a casa, ridatemi i soldi brutti stronzi.-
-Davvero. -
Sentii parecchi borbottii dall'altro capo del telefono.
Io e i miei fratelli parlammo allegramente per quasi mezz'ora poi in fruscio mi obbligò a zittirmi.
Sentii qualcosa scricchiolare alle mie spalle e, senza agganciare la telefonata, misi il telefono in tasca e mi feci piccola piccola contro il muretto più vicino a me.
-Fray? Cosa ci fai qui? E soprattutto, perché sei mezza nuda? Non hai freddo? -
Persi un battito quando riconobbi la voce nel buio alle mie spalle.
-Brooks? Fanculo, mi hai fatto prendere un colpo. Credevo fossi Evan o uno dei custodi-
Dal telefono ancora acceso si sentirono uscire le voci dei miei fratelli, che sembravano piuttosto alterati.
-In che senso " praticamente nuda", scusa? -
-Brutta disgraziata, cosa fai nuda con un uomo? -
-Tata, ma sei pazza ad uscire vestita leggera? Non vorrai mica ammalarti, eh. - dissero i tre contemporaneamente.
-Ragazzi vi saluto, mandatemi qualche stecca di sigarette, dei contanti e i tre libri che ci sono sul mio comodino, grazie mille. Ah, salutatemi la nonna. - chiusi frettolosamente la chiamata e riposi nuovamente il telefono nel reggiseno.
Mi alzai in piedi pulendomi il sedere dai sassolini e la polvere che copriva gli scaloni.
-Joshua, ti prego di tenere per te quello che hai visto. -
-Non sono un infame, non preoccuparti. Mi chiedo solo come tu abbia fatto a non farti beccare, fino ad ora. Evan non ti ha controllato la borsa? -
-La borsa, non il reggiseno.- gli dissi ammicando.
Stavo per andarmene quando sentimmo dei passi provenire dalla scalinata alle nostre spalle.
Ci guardammo a vicenda, con aria preoccupata. Gli feci cenno con la testa verso il breve salto che si apriva accanto a noi. Lui sgranò gli occhi e scosse la testa, poi capì che era l'unica opzione e saltò.
Dopo essere saltati entrambi giù dagli spalti ci nascondemmo sotto di essi, nell'apertura solitamente utilizzata per riporre i palloni.
Il guardiano notturno illuminò con la sua torcia la scalinata su cui, fino a pochi secondi prima eravamo seduti io e Josh. Aspettammo quella che sembrò uneternità poi il ragazzone mi guardò, abbozzò un mezzo sorriso e tese la mano verso di me.
-Forse è meglio andarsene, Megan Fray. - bisbigliò al mio orecchio, marcando pesantemente il mio nome.
Le sue parole mi lasciarono perplessa per qualche secondo poi afferrai la sua mano e lo seguii lungo le stradine dell'Istituto.
Nonostante lui camminasse a passo relativamente lento fui costretta a camminare più velocemente del solito per stargli dietro.
Il Saint Louis Institute era stato costruito in modo da riprodurre il più possibile un paesino. Le strutture abitative erano casette di mattoni rossi su due piani, poste attorno ad una piccola piazza con delle attività commerciali su misura per gli ospiti.
La piazza commerciale ospitava un minimarket, dei negozi di abbigliamento, due parrucchieri, un cinema, qualche ristorante, una tabaccheria, una libreria e persino un cafè.
Noi eravamo diretti lì. O almeno, così ipotizzai dopo alcuni minuti di cammino.
I negozi si trovavano sotto dei porticati e nel centro della piazza si trovava un'aiuola erbosa.
Le saracinesche dei negozi erano calate e, se non fosse stato per le insegne al neon che lampeggiavano, non avrei nemmeno saputo riconoscere l'uno dall'altro i vari negozi.
Quando Josh si fermò mi resi conto di essere in piedi in mezzo alla rotonda.
Lui mi lasciò la mano e si sdraiò con il naso all'insù.
-Megan, io sto cercando di guardare il cielo ma le tue mutande mi distraggono parecchio...-
Per mia immensa fortuna il buio celò il mio viso e quindi Josh non si accorse di quanto violentemente arrossii.
Mi sdraiai al suo fianco, tentando di coprirmi il più possibile con maglia e cardigan che però lasciavano scoperti decisamente troppi centimetri di pelle.
-Sai Josh, con i miei fratelli capitava spesso di mettersi sdraiati sotto i semafori a guardarli cambiare colore, ma eravamo tutti parecchio ubriachi.-
-Devi guardare il cielo, non le insegne.-
-Mi distraggono. -
-Conta al contrario da dieci a zero. -
-Perché? - lo guardai stranita
-Tu conta. - sbuffai
-Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno...- mi misi a ridere. -Josh, non è successo nulla. -
- Devi arrivare a zero. -
-Zero. -
All'improvviso le insegne si spensero, come se stessero aspettando il mio segnale mostrandoci uno dei cieli più né lo che avessi mai visto in vita mia.
-Che magia è mai questa? - chiesi, tirandomi a sedere.
Lo guardai sorridere al cielo, il viso finalmente sereno era illuminato dalla luna e dà la flebile luce che proveniva da suo orologio.
Segnava le due in punto.
-C'è il trucco, non vale! - dissi offesa.
-C'è sempre il trucco. -
Restammo sdraiati a fissare il cielo, parlando del più e del meno per quasi un'ora. Quando l'orologio segnò che mancavano poco meno di cinque minuti alle tre, Josh si mise a sedere e allungò la mano verso di me.
-Andiamo. -
-Dove? -
-In appartamento, è tardi. -
-Mi piace stare qui. -
-C'è un tempo e un luogo per ogni cosa e questo non è né il momento né il posto adatto, fidati. -
Mi sedetti a gambe incrociate e rimasi ferma, in segno di protesta.
-Dai Fray, non fare la bambina. - disse lui allungando la mano verso di me, in un gesto che stava diventando fin troppo familiare. Io sorrisi e afferrai la sua mano, facendo finta di alzarmi ma ne approfittai per tirarlo giù con me.
Il ragazzone mi cadde addosso a peso morto poi rotolò sul fianco e ci ritroviamo nuovamente sdraiati per terra a fissare le stelle. Improvvisamente mi resi conto di quale fosse il motivo per cui volesse tanto andarsene da lì.
L'impianto di irrigazione partì allo scoccare delle tre, bagnandoci completamente.
Restammo così per qualche secondo poi io scoppiai a ridere in modo fragoroso. Josh si girò verso di me e cercò in tutti i modi di farmi smettere di ridere ma fallì miseramente. Per un istante mi sembrò di sentirlo ridere.
Mi alzai in piedi e per la prima volta da tantissimo tempo mi sentii una normalissima diciottenne.
Mi ricordo bene la passeggiata che ci separava da casa. Risi tantissimo con una delle persone con cui mi aspettavo meno di poter fare una cosa del genere. Arrivammo alla porta di casa che eravamo fradici e infreddoliti. Per quanto avessimo tentato di fare silenzio probabilmente qualche bisbiglio ci tradì perché appena varcata la porta d'ingresso sentimmo la porta della camera di Evan aprirsi.
Eravamo paralizzati dal panico. Una cosa del genere ci sarebbe potuta costare tranquillamente l'espulsione e ci era già andata bene con il guardiano, prima al campo sportivo.
Evidentemente non era ancora giunta la nostra ora perché la porta della camera di Aaron, situata al lato opposto del corridoio rispetto a dove ci trovavamo, si spalancò e il ragazzo iniziò a urlare a squarciagola.
-AIUTO! C'È UN PIPISTRELLO IN CAMERA MIA. - sentimmo Evan dirigersi verso la camera del biondino e Josh sfruttò il diversivo per trascinarmi su per le scale.
Lanciai un bacio volante ad Aaron che lo afferrò con fare piuttosto teatrale per poi rientrare nella sua camera.
Io e Josh salimmo in fretta le scale ed entrammo entrambi nella mia camera, chiudendoci delicatamente la porta alle spalle.
-Visto che hai fatto casino e non posso tornare in camera mia non è che avresti un'altra di quelle maglie da uomo da prestarmi? - chiese con un cenno indicando la mia maglia zuppa.
Annuii e gliene diedi una dalla pigna che avevo nell'armadio.
Lui si tolse i pantaloni e la maglietta a mezze maniche, mostrando un fisico che non ci si aspetterebbe da un tossico.
Mi girai all'istante per concedergli la sua privacy, rossa in volto.
-Io vado a farmi la doccia. - sbiascicai io.
-Aspetta. - disse lui trattenendomi per un polso. -Mi serve un asciugamano per i capelli, se no bagno la maglietta e siamo punto e a capo. - bisbigliò, sciogliendo la crocchia.
-È lì. - dissi indicando con un cenno del capo il ripiano alle mie spalle.
L'ombroso ragazzo mi guardò con un sorriso sbieco poi si avvicinò a me per prendere l'asciugamano.
La tensione era troppa, lo guardai negli occhi per un istante poi abbassai lo sguardo, momentaneamente incapace di reggere il suo.
Josh appoggiò due dita sotto il mio mento e mi tirò su la testa, costringendomi a guardarlo negli occhi.
Le sue labbra si posarono delicatamente sulle mie ma non ebbi nemmeno in tempo di realizzarlo perché lui si allontanò subito.
-Scusami, non volevo. O meglio, volevo ma non dovevo. -
Josh fece dietrofront, si diresse verso la porta e se ne andò in silenzio.
La mattina quando scesi in cucina trovai tutti i miei coinquilini intenti in una conversazione piuttosto animata.
-Megan, tu a che ora hai la terapia domani? - mi chiese dolcemente Drew.
-Mi sembra alle 4.30. Perché? -
-Visto che fanno tutto con il culo? Appena Evan torna a casa mi sente! Oh, se mi sente! - urlò incazzata Rachel. Non lavevo mai vista così, faceva quasi paura.
Drew, che nel frattempo aveva iniziato a preparare la colazione, scrollò le spalle e, senza nemmeno girarsi, aggiunse tranquillo: - Cosa ti aspettavi? Di riuscire ad organizzare qualcosa qui dentro? -
-Beh, non sarebbe male. - replicò Aaron.
Fu allora che Drew lanciò la bomba che avrebbe minato lequilibrio instabile dellappartamento cinque: -Benvenuto al Saint Louis Institute, la clinica psichiatrica migliore del regno unito, secondo la quale noi siamo tutti dotati del dono dell'ubiquità. E poi saremmo noi i pazzi? -
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