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Capitolo 4

C'è stato un tempo in cui molti mi consideravano una leggenda, un campione, un mito o persino Dio sceso in terra. Giuro di aver sentito dire che avrei potuto vincere il titolo di campione del mondo di motocross, volendo. Io? Seriamente? Non mi sono mai considerato una leggenda, ne un mito, per non parlare della storia di Dio sceso in terra e, mi pesa ammetterlo, ma il titolo di campione del mondo me lo potevo sognare.
Certo, ero bravo in quello che facevo ma non mi ero mai considerato chissà chi.
Fino a due anni fa ero un ragazzo normale: andavo a scuola, uscivo con gli amici, mi sbronzavo il sabato sera, avevo la relazione perfetta con una biondina che stava un anno indietro a me a scuola, mi ammazzavo di play nel tempo libero e litigavo con mia mamma perché ero una capra a scuola e invece di studiare passavo le giornate in moto. Ero un normalissimo adolescente, insomma.
Avevo due grandi passioni oltre alla biondina: amavo andare in moto e avevo una spiccata attitudine nel cacciarmi nei guai.
Nonostante l'opinione di chiunque mi avesse visto correre in moto, lo giuro, ero molto più bravo a cacciarmi nei casini fino al collo.

Certe volte, ripensandoci, mi chiedo come abbia fatto ad arrivare ai diciassette anni senza finire in prigione e senza rompermi l'osso del collo.

I miei casini sono iniziati quando, nonostante la vita mi avesse dato tanto, decisi di volere di più.

Quella mattina quando mi svegliai c'era odore di pioggia.
Mio nonno diceva sempre che le vite delle persone hanno odori differenti tra loro.
Non ci ho mai creduto troppo ma nel caso in cui fosse vero, probabilmente, la mia avrebbe avuto odore di pioggia, sigaretta e pneumatici.


Dopo aver combattuto per alzarmi dal letto mi diressi in cucina.
Fin da piccolo avevo bisogno di latte e cereali per iniziare al meglio la giornata e quel giorno ne avevo particolarmente voglia.


-Dylan, mi fai un favore? Oggi vai a scuola in pullman- ed ecco che come tutte le volte che pioveva mia sorella tentava di farmi lasciare a casa la moto.


Sorrisi e la abbracciai.
Isabel era sempre stata protettiva nei miei confronti, fin da quando ero piccolo.
Nonostante mi lamentassi sempre del fatto che fosse troppo appiccicosa non potevo pensare di stare senza di lei.
-Izzy non ti preoccupare, vado pianino pianino-
Mia sorella sciolse l'abbraccio per mollarmi un coppino bestiale.


Sorrisi vedendo che nonostante fosse tre anni più grande di me avesse bisogno di alzarsi sulla punta dei piedi per arrivare a colpire il mio collo.
La abbracciai forte e cacciai il naso nei suoi capelli, respirandone tutto il profumo che mi faceva sentire ogni volta a casa.


Se la mia vita aveva un odore acre, di quelli che fa storcere il naso a chi non è abituato a sentirlo, la sua probabilmente sapeva di libri, biscotti e matite Caran d'ache appena comprate.


Nonostante la richiesta del mio famigliare preferito decisi di andare comunque a scuola in moto.
A scuola c'era Cloe, che figura avrei fatto ad arrivare in autobus quando avevo una moto che era il corrispettivo su due ruote della nimbus 2000? 


Ed eccola lì, la  creatura più piccola ed innocente del mondo che, come tutti i giorni, mi fissava con una finta faccia contrariata, gli occhioni blu e un sorriso di quelli che smorza il fiato.
-Prima o poi ti ci butto giù da quella moto, fosse l'ultima cosa che faccio-


La guardai divertito e per un secondo mi venne voglia di appoggiarle le mani sulle guance e stamparle un bacio sulle labbra ma per darle sui nervi mi accontentai di caricarla sulla mia spalla e farle attraversare tutta la scuola con quel suo bel culetto per aria.

Appena la appoggiai per terra le scompigliai i capelli e lei, per tutta risposta, mi piantó i denti in un braccio.
-Ma che... perché hai della pellicola sul braccio?- Mi chiese tirandomi su la manica della felpa.
Alle mie spalle sentii una fragorosa risata e poi una potente pacca si abbattè sulla mia spalla.
-Qualcuno qui ha vinto un'altra gara eh-
-Che centra vincere una gara con i tatuaggi?-
Per tutta risposta alzai del tutto la manica sinistra e mostrai alla piccola Cloe tutti i tatuaggi che ricamavano la mia pelle.
-Sai Cloe, è scaramanzia, uno ad ogni gara vinta.- Gli spiegò Cedric, il mio migliore amico, alzando a sua volta la manica della felpa.


Era una nostra abitudine, un piccolo tatuaggio per ogni competizione vinta dalla nostra prima gara importante: io ne avevo ventidue, lui "solo" diciotto.
-E come vi è uscita sta cavolata?- Io e il ragazzo dai capelli rossi ci guardammo con un sorriso malinconico.
-Prima o poi te lo spieghiamo.- Le dissi accompagnandola davanti alla sua classe.


Era così bella mentre alzava gli occhi al cielo.
Quel pomeriggio aveva smesso di piovere, quindi caricai la mia principessa sulla mia regina e, seguiti dal mio migliore amico, ci dirigemmo al bar che faceva i migliori milk-shake del mondo.

Cloe mi riempiva la testa con la sua risata cristallina, il casco che sbattucchiava sulla mia spalla, le braccia strette intorno alla mia vita e il suo profumo che mi riempiva le narici. Era tutto così bello che pensai quasi di tirare diritto.

-Pensavo di comprarmela anche io una moto, sapete?-

Per poco non mi strozzai con il milk-shake.

-Cosa vuoi fare tu?- le chiese ridendo Cedric.

-Comprarmi una moto. Parlate talmente tanto di moto, voi due, che l'unico modo per starvi letteralmente dietro è comprarmene una. Per di più tra un mese compirò sedici anni.-

-E non puoi chiedere un pony come tutte le brave bimbe?- le chiesi io scherzando. Di tutta risposta la mia brava bimba mi assestò un calcione negli stinchi degno di un rugbista.

Un mese dopo mi feci trovare davanti alla finestra di camera sua a cavallo di una piccola Suzuki rosa fluo. Ricordo come se fosse ieri la faccia che fece uscendo di casa: non avevo mai visto nulla di così bello in tutta la mia vita.

Mi abbracciò talmente forte da farmi pensare che i nostri corpi si stessero fondendo, il bacio che mi diede subito dopo mi fece dimenticare tutti i casini in cui mi ero cacciato per permettermi quella moto.

Quella sera il mio cellulare non smise di squillare nemmeno per un istante ma io lo ignorai, ero troppo occupato a vivere per preoccuparmi dei casini che avevo lasciato in sospeso.

Quell'anno passai l'estate più bella della mia vita: passavo le giornate a girare in moto con Cloe e Cedric. Eravamo felici e sentivamo di avere il mondo in mano.

Ben presto mi resi conto di aver trovato il modo migliore per sfruttare il mio talento: se le gare che facevo tutti i fine settimana non erano sufficienti a farmi guadagnare quanto volevo allora avrei optato per un'alternativa più redditizia. 

Era la seconda settimana di settembre dello scorso anno quando partecipai alla mia prima gara clandestina.

Io, Cloe e Cedric decidemmo di immortalare  l'evento con una Polaroid. Venne malissimo ma da allora diventò il mio portafortuna.

Ero veramente convinto che quella foto potesse migliorarmi la vita: vivevo della mia passione, festeggiavo con la ragazza più bella che avessi mai visto ed ero circondato da centinaia di persone che si dicevano miei amici.

Avevo la vita perfetta, non potevo chiedere nulla di meglio.

Si sa, la vita è fatta di alti e bassi, il problema è che più stai in alto e più la caduta sarà disastrosa.

Ecco cosa successe: caddi. 

Letteralmente.

Durante una gara di qualificazione per i nazionali di motocross, a inizio gennaio, calcolai male un dosso e caddi.

Fu una brutta caduta, mi dissero di considerarmi fortunato se fossi riuscito a camminare di nuovo. L'impatto contro il suolo era stato così violento da rompermi un ginocchio, una spalla e mandarmi in coma per giorni. 

Quando mi sveglia accanto di me c'erano mia mamma, mia sorella e la mia ragazza.

Mi dissero che non sarei più potuto salire su una moto.

Nel tempo che passai in riabilitazione persi tutto quello che avevo conquistato nei due anni precedenti.

Non ero più il grande campione di motocross, non avevo più centinaia di amici, la mia  moto era andata distrutta e persino le cose con Cloe non andavano più particolarmente bene.

Mi ero talmente concentrato sul mio dolore da non rendermi conto di quanto la situazione potesse essere dura anche per lei.

Ogni giorno che passavo a letto sentivo la rabbia farsi posto dentro di me, tutto mi innervosiva e, piano piano, perdevo tutte le cose belle che mi avevano caratterizzato per anni.

Impiegai tre mesi a rimettermi in sesto e almeno un altro per rendermi socialmente tollerabile.

Il 31 Marzo i miei amici, quei pochi che non erano spariti dopo l'incidente, mi organizzarono una festa a sorpresa. 

Quella sera, subito dopo cena, Cedric aveva suonato il campanello di casa mia, sventolando allegramente la sua patente nuova di pacca. 

-Adesso io e te facciamo un giro.- aveva detto il mio migliore amico sorridendo come un idiota.

Dopo circa dieci minuti di strada la sua macchina si fermò davanti ad un capannone come tanti nella zona commerciale. 

Conoscevo bene quel posto, era stato spesso luogo di feste dopo le nostre numerose gare. 

Gli feci l'occhiolino e scesi lentamente dall'auto. 

Pensavo che fosse una delle tante feste a cui ero andato dozzine di volte.

Capii che cera qualcosa di strano quando, aprendo le porte del capannone, vidi un sacco di volti che mi sorridevano. Erano tutti lì, i miei amici, i miei ex compagni di squadra, quelli di scuola. Tutti. Tutti tranne lei.  

Mi mancò l'aria ma feci finta di niente, sfoderai il sorriso migliore che sapevo fare e tentai di godermi la festa. 

Non avrei potuto bere, antidolorifici e alcol non sono mai un'accoppiata vincente ma stavo talmente male che pensai che forse una birra piccola fosse l'ultimo dei miei problemi. 

Tracannai la birra piccola e trovai finalmente la forza per andare a ballare in pista, o almeno a far finta.

Fu allora che vidi tra la folla una ragazzina bionda che ballava con l'eleganza di una farfalla. 

Lei si girò verso di me e mi sorrise dolcemente.

In quel momento mi sentii veramente un idiota, avevo la ragazza migliore che potessi desiderare e avevo rischiato di perderla perché ero stato talmente stupido da non rendermi conto di quanto valesse.

Andai incontro a Cloe la abbracciai. In quel momento sparirono tutte le persone accanto a noi, restammo solo noi due uniti in un abbraccio che desiderai potesse non finire mai ma che invece si concluse alquanto bruscamente. 

Cloe si staccò con da me con unaria schifatissima, mi guardò e capii istantaneamente cosa stesse succedendo: -Devi vomitare? -lei fece sì con la testa e io scoppiai a ridere, la accompagnai al bagno e la aiutai a liberarsi dell'alcol di troppo.

Insistei per riaccompagnarla a casa e, anche se con parecchie lamentele, lei accettò.

Girai il capannone alla ricerca di Cedric e quando realizzai che era impegnato con una mora tutta curve abbandonai l'idea di chiedergli uno strappo. 

-Amore ma tu come sei arrivata qui?-

-Con la mia moto, ovviamente.- Disse lei ridendo.

Dall'incidente non ero più salito su una moto. provai una leggera stretta allo stomaco ma decisi di non darci molto peso.

La caricai in sella e partii per quel breve tragitto che separava il capannone dalla casa della mia morosa.

Sentii il cuore salirmi in gola non appena accesi la moto, come se quel suono fosse l'essenza stessa della mia vita. 

Il cuore batteva forte e nonostante la strada fosse vuota guidai con una lentezza che non mi apparteneva.

Avevo paura.

Mi mancava il fiato, il cuore batteva talmente forte da minacciare di saltarmi fuori dal petto, le mani mi tremavano fortissimo e avevo la vista appannata.

Approfittai di un semaforo rosso per girarmi a guardarla e, nonostante il casco che le copriva gran parte del viso, vidi il suo meraviglioso sorriso. 

Le accarezzai un braccio e le sussurrai quella frase che non avevo mai trovato il coraggio di dirle:

-Ti amo, Cloe.-

Lei sorrise qualcosa che suonò come un buffissimo : -Tanto tanto.-

 Il mio malessere sparì immediatamente e ripartii con la mia solita sicurezza.

Cloe emise un verso preoccupato e mi voltai leggermente per controllare che stesse bene, quando tornai a guardare davanti a me feci giusto in tempo  a vedere due luci travolgerci.

In un attimo era tutto finito. 

Non ricordo molto di quel momento, solo un fortissimo botto e poi il buio. 

Secondo gli accertamenti della polizia io fui l'unico superstite ma sono più che sicuro che in quel 31 Marzo morii un pochino anche io. 

Mi sono odiato per tantissime cose dopo quel giorno: per le gare clandestine, per aver guidato dopo un grave incidente, per aver bevuto una birra nonostante l'assunzione dei farmaci me lo proibisse, per non aver guardato avanti al momento giusto, per essere stato una persona orribile per tanto tempo, per non essere morto anche io.

Non credo di averla superata, non del tutto, e forse non la supererò mai. Forse è giusto così.

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