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4.Un disastro

Si avvicinò di più.
Osservò che il ragazzo continuava a fissare la bevanda fumante nella sua mano.
Era come se si fosse perso in quel liquido marroncino, come se in quello ci fosse la risposta ai misteri dell'universo.

Olivia continuò ad avanzare nella direzione del bar, senza smettere di guardarlo
Si trovava in un tavolo color panna rotondo e piccolo, piuttosto al centro.
Intorno a lui, negli altri tavoli, c'era molta gente: chi intento ad azzannare un cornetto, chi occupato a commentare con gli altri le notizie del giornale, chi semplicemente tentava di svegliarsi e di capire in che anno si trovasse.

Era ormai molto vicina al locale, ma non riusciva ancora a capire se fosse davvero lui. E dato che quella mattina il destino voleva darle una mano, lo fece: un bel gruppetto di persone, sedute nel tavolo davanti al ragazzo, iniziò lentamente ad alzarsi dalle sedie.
Ormai in piedi, formarono una sorta di muro umano davanti a lui, mentre erano immerse in una conversazione che aveva tutta l'aria di non finire più.

Ora Olivia non riusciva quasi più a vederlo, aveva perso di vista persino il suo alto ciuffo biondo.
Cercò un buco tra la folla, una fessura dalla quale continuare a poterlo osservare, ma nulla. Decise così di avvicinarsi ancora di più.
Arrivò vicino ad una lunga fioriera rettangolare, che le arrivava all'altezza delle ginocchia.
Anche da lì, la visuale era sempre coperta da quelle donne e uomini intenti a parlare. Così si spinse in avanti con il busto, appoggiando le gambe alla fioriera.

Le persone sedute nei tavoli più vicini a questa la guardarono male, ma lei era troppo concentrata per accorgersene.
Ad un certo punto si aprì uno spazio davanti al ragazzo.
Olivia tornò per un brevissimo instante a vederlo, prima di perdere l'equilibrio e cadere rovinosamente in avanti. Investì col suo corpo una signora, che sfortunatamente aveva deciso di gustare un cornetto nel tavolo più vicino ai fiori.
Provò ad aggrapparsi alla pelliccia dell'anziana per non cadere, ma fu inutile.

Cadde a terra, sbattendo la faccia al pavimento che non era esattamente morbido. La botta le fece perdere i sensi per qualche secondo.
I clienti del bar si fiondarono su di lei, per prima la signora a cui Olivia aveva tentato invano di tenersi.
Al suo risveglio si trovava a pancia in su, qualcuno doveva averla girata per farla respirare.

Aprì gli occhi lentamente.
La testa le faceva malissimo, era come se una banda di percussioni avesse iniziato a suonarle nel cranio.
Vide sopra di sé tante facce ansiose di controllare come stesse e
sentì la voce di un uomo di mezza età dirle preoccupato –Signorina, come si sente? Vuole che chiami un'ambulanza?-

Nonostante fosse stordita e le facesse male praticamente tutto, riconobbe il volto del ragazzo biondo chino su di lei.
Anche lui come gli altri era arrivato in suo soccorso, avendola vista cadere.
Aveva dovuto sfracellarsi al suolo, per poter vedere bene il suo viso e capire che era davvero lui. Il destino aveva avuto uno strano modo di aiutarla a raggiungere il suo scopo.

Le voci continuavano a chiederle come si sentisse, cosa le facesse male, quante dita vedesse e cose simili.
Parlavano tutti insieme e davano vita ad un chiasso infernale.
Olivia le sentiva, ma non aveva voglia di ascoltarle e di rispondere. Era concentrata solo ad osservare quei grandi occhi marrone scuro.

Il dolore sembrò svanire e venne rimpiazzato da quella strana sensazione di familiarità, la stessa che aveva provato la prima volta in cui l'aveva visto.
Era come se lo conoscesse bene, molto bene. Come se lo conoscesse più di quanto conosceva se stessa.
E sentiva che per lui era lo stesso.

Tutte le persone curve su di lei erano preoccupate, ma lui lo era il doppio.
Nei suoi occhi Olivia vedeva la paura, oltre alla preoccupazione.
Ci leggeva la terribile paura di perderla.
Dopo un po' dovette necessariamente distogliere lo sguardo da quegli occhi e rassicurare tutta quella gente.
– Grazie, ma sto bene, non serve nessuna ambulanza. -sussurrò mentre si alzava con difficoltà da terra. - Dico davvero.-

Alzandosi sentì il dolore tornare. Si accorse di avere un buco sui jeans: si era sbucciata un ginocchio e questo era stato un po' annerito dallo sporco.
Toccandosi il volto, capì di avere una ferita sullo zigomo da cui usciva ancora un po' di sangue. Poteva andarmi peggio, si disse, molto peggio.

Una volta in piedi, un cameriere le porse un po' di cotone con del disinfettante,
e lei se lo tamponò sullo zigomo dolorante.
Intanto continuava a tranquillizzare i presenti, senza perdere però di vista lo sconosciuto-conosciuto.
Il ragazzo aveva continuato a stare nei paraggi per tutto il tempo, senza essere troppo invadente e vicino.

Ad un certo punto, lo vide allontanarsi e uscire dal bar.
Velocemente, Olivia disse alle persone ancora intorno a lei che doveva assolutamente andare e uscì di corsa dal bar.
Si mise ad inseguirlo, schivando i passanti sul marciapiede.
Doveva chiedergli chi era, doveva almeno conoscere il suo nome.
Sembrava la parodia del principe che rincorre Cenerentola con la scarpetta in mano, anche se lei una sua scarpa non ce l'aveva.

Lo raggiunse dopo un po'.
E non sapendo come poterlo chiamare, lo afferrò per la felpa nera.
Lui si voltò verso di lei: era poco più alto di Olivia, se non si teneva conto dell'alto ciuffo.
Il ragazzo la squadrò dall'alto al basso e sorrise. " E ci credo che ti ride di nuovo in faccia! Sono due volte che lo incontri e in ognuna di queste lui è perfetto e tu, beh, tu sei un vero disastro. " le urlò la vocina.

Olivia appoggiò le mani sulle ginocchia e cercò di riprendere fiato.
Aveva i capelli neri arruffati e qualche fiore blu incastrato. Lo zigomo destro rosso fuoco e un po' di terra in faccia, sulla giacca e sui pantaloni.
La vocina aveva nuovamente ragione :era un disastro.

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