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Un matrimonio

Era incredibile, eppure era successo: Charlotte e James l'avevano fatto, avevano creato il tavolo dei single per il loro matrimonio.

Mia guardò il tableau nel punto in cui il suo nome era impilato insieme ad altri cinque, rigorosamente unici nelle loro righe; la conferma le arrivò nel momento in cui riconobbe il nome di sua cugina Stefanie, anch'ella single. Quello significava che gli altri quattro ragazzi, che lei non conosceva, dovevano essere amici o colleghi degli sposi non accoppiati.

Incrociò le dita, sperando che tra loro ci fosse il suo principe azzurro. Era sempre rimasta affascinata dall'idea romantica di incontrare l'uomo della sua vita a un matrimonio, così cominciò a fantasticare su come avrebbe ballato con uno di loro, per poi fare coppia fissa, e infine rivedersi, dopo anni, con gli sposi che li avevano messi allo stesso tavolo e ringraziarli per aver fatto le veci di Cupido.

Eppure ogni sua speranza si sgretolò nel momento in cui avvistò gli occupanti del tavolo "Gerbere" a lei assegnato.

Il primo a presentarsi, con addirittura un datato baciamano, fu Scott, il commercialista di James; un uomo che evidentemente aveva fatto del suo mestiere la sua esistenza, perché, oltre a indossare un paio di occhialetti tondi e un orrendo riporto, dopo quattro chiacchiere in croce, stava per proporle di farle la dichiarazione dei redditi.

Accanto a lui era seduto un tipo che non poté fare a meno di additare come "strano", perché sembrava scosso da ogni genere di tic facciale; non spiccicò parola per tutta la sera.

Li raggiunse in una nuvola di alcool un amico dell'università di Charlotte, Liam: borioso, con la battuta sempre pronta e volgare, venne subito segregato da entrambe le ragazze nell'angolo più remoto del loro cervello per essere dimenticato.

Un raggio di speranza sembrò risplendere quando prese posto accanto a lei Jason, un avvocato collega di Charlotte: alto, spigliato, moro; indossava quel completo come Mia indossava il pigiama, era perfettamente a suo agio. E i suoi occhi, così neri e brillanti, accompagnavano una voce suadente, che le fece perdere la testa nel giro di due minuti.

Jason sembrava, allo stesso modo, rapito da lei: le parlava piano, le sussurrava battutine all'orecchio, le scostava i capelli dalla fronte con delicatezza. Era come se nessun altro fosse presente a quel tavolo, anzi, nell'intera sala.

Le chiese di ballare e lei accetto ben volentieri: danzare tra le sue braccia, lasciarsi trasportare, era come... volare!

Mia ne era certa: era lui! Doveva essere lui!

«Sei così bella» le confidò mentre i loro nasi si sfioravano. Le luci soffuse, la musica lenta, i loro corpi così vicini, il respiro di lui che accarezzava il collo di lei. «Che ne dici di fare due passi?»

I suoi occhi brillavano di una strana luce, sembravano ardere addirittura.

Mia si chiese se fosse quello il desiderio di cui tanto parlavano le sue amiche e i libri che leggeva e i film che vedeva. Si chiese se davvero lei potesse essere una donna da bramare a quel modo. E si rispose di sì a entrambe le domande, perché sapeva che anche lei stava provando le stesse cose: voleva baciarlo, voleva accarezzargli la mascella, voleva perdersi in quegli occhi così come in quelle braccia.

Allora rispose di sì anche a lui e si allontanarono dalla folla, per andare a perdersi nella serra.

Era tutto così perfetto che Mia ne era quasi spaventata: aveva paura che fosse un sogno, ma la mano di Jason che stringeva la sua era vera, grande e calda.

La fece accomodare su una panchina, cingendole le spalle; sciolse l'intreccio delle loro dita per accarezzarle il collo: «Hai una pelle meravigliosa». Così lasciò che le labbra prendessero il posto dei polpastrelli e che Mia prendesse fuoco.

La pelle bruciava sotto la leggera umidità di quei baci, lo stomaco si contrasse e sentì addirittura arricciarsi le dita dei piedi. Lasciò andare un gemito: «Jason...»

Lui risalì piano dietro il suo orecchio, le sollevò il mento con due dita e la guardò negli occhi marroni: «Mia...»

«Jason, forse stiamo correndo troppo?» Forse era vero, ma quello che le urlava il suo cuore era di buttarsi. Se lui si fosse fermato, in realtà l'avrebbe percepito come un rifiuto e non avrebbe potuto sopportarlo. Lui era quello giusto!

«Mia, se stiamo correndo troppo è perché tu mi piaci troppo» le sorrise. Uno di quei sorrisi che le aveva regalato per tutta la sera e che l'avevano fatta sciogliere fino a quel momento. «Ti desidero da morire».

Mia avvampò in viso.

«Non ho smesso di guardarti da quando sei entrata in chiesa».

«Ma cosa...?» Si portò una mano fredda sulla guancia bollente: il suo corpo stava impazzendo e le carezze che le stava donando non aiutavano affatto a calmare la tempesta che aveva dentro.

«Mia...» Le posò una mano sul ginocchio lasciato scoperto dalla gonna del tubino color glicine: «Lasciami entrare».

Quel gesto, unito alle sue parole, la fece irrigidire in un attimo. Lui doveva essersene accorto, ma si salvò in calcio d'angolo: «Lascia che guardi dentro di te, quanto tu sia meravigliosa».

Evidentemente quelle parole funzionarono, perché Mia si rilassò di nuovo e gli sorrise.

Le loro labbra si unirono nel più bello dei baci mai dati.

La lingua di Jason era esperta e vogliosa, la mano sul ginocchio, intraprendente, si infilò sotto il vestito, accarezzandole la pelle con movimenti circolari, sempre più audaci, sempre più in alto, tanto da portare Mia a pronunciare mugugni che non sapeva nemmeno di poter produrre.

Stava succedendo, lo stavano per fare, ma lei sentiva che c'era qualcosa di mancato in tutta quella situazione: aveva sempre sognato la sua prima volta e sapeva che avrebbe dovuto essere perfetta, non in una serra, durante il matrimonio di sua cugina, per pochi minuti rubati e col rischio di essere scoperti in una situazione decisamente imbarazzante.

«Jason, no. Aspetta» lo fermò, posando una mano sulle cosce a bloccare la sua e una sul torace per scostarlo leggermente. «Non qui. Non così». Sorrise alla sua espressione smarrita e gli lasciò un altro bacio sulle labbra per rassicurarlo. «Torniamo di là. Ormai si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto».

Si alzò, ma lui la trattenne per un polso, come se non volesse ancora arrendersi: «Nessuno ci starà cercando» la baciò ancora, più profondamente.

Mia sentì la sua erezione attraverso i pantaloni dell'abito e la gioia le esplose nel petto: lui la voleva! Voleva fare l'amore con lei in quel momento!

Eppure sapeva che quello non era il momento giusto.

Lo scostò ancora: «Non fare il ragazzino. Andiamo». Lo prese per mano e lo condusse nuovamente nella sala, dove la festa, effettivamente, sembrava essere proseguita senza che nessuno si fosse accorto di nulla.

Ma qualcosa era successo: Mia era cambiata, era pronta a donarsi a Jason. Sapeva che se fosse successo in un'altra occasione, sarebbero già stati a rotolarsi in un letto.

Quando ripresero posto al tavolo lo scrutò, accorgendosi che si era incupito: forse aveva esagerato? Forse non avrebbe dovuto fermarlo... fermarsi?

Invece lui le rivolse un altro sorriso e tutto tornò come prima, con il cuore caldo e le gambe traballanti.


C'era il taglio della torta e Stefanie era scomparsa. Mia sbuffò girando un altro angolo del giardino: ma dove diavolo si era cacciata? Sapeva che gli sposi volevano tutti presenti per fare le foto e lei si era dileguata nel nulla.

Si decise a chiamarla col cellulare: lo sentiva squillare senza però ricevere risposta, quando finalmente riconobbe la sua suoneria. Ne seguì la melodia, passo dopo passo, nota dopo nota, ritrovandosi all'interno della serra.

Qualcosa le si ficcò nel petto, un timore, un dubbio, un incubo. Qualcosa che affondò le sue radici nella verità.

«Sei così bella» era la voce di Jason: «Ti desidero da morire».

Una risata trattenuta. Quella di Stefanie.

«Non ho smesso di guardarti da quando sei entrata in chiesa».

Rumori di baci, umidi, lascivi. Ora ne era certa. Mia non ebbe più alcun dubbio su come stessero effettivamente le cose.

Fece ancora un altro passo, semplicemente per vedere Jason e Stefanie seduti sulla stessa panchina che qualche ora prima aveva occupato lei; la mano di lui infilata sotto un'altra gonna e la bocca posata su un altro paio di labbra.

«Che schifo!» le uscì direttamente dalla gola, quasi volesse vomitare quelle parole.

Sua cugina e il viscido marpione la sentirono e si voltarono: Stefanie era imbarazzata, non aveva capito niente dell'uomo che le stava davanti; ma Jason... Jason era tutt'altra questione.

Si alzò e le andò incontro: «Mia, tesoro...»

«Non provare a toccarmi con quelle luride mani!» gli intimò minacciosa. «E tu, Stefanie, lascia che guardi bene dentro di te, quanto tu sia meravigliosa!»

Si voltò e li abbandonò lì, insieme a ogni idea di amore romantico che avesse potuto serbare nel cuore, e costruendosi una corazza contro i sentimenti che sarebbe stato difficile scalfire.

Sarebbero passati degli anni prima che Mia potesse dare ancora fiducia a un altro uomo... Ma questa è un'altra storia...


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Il prompt era questo:

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