Un malinteso
Michela era seduta sulla seggiola di ferro con le gambe accavallate, un piede che continuava ad andare su e giù, sempre più velocemente e in modo sempre più irritante, a causa del nervosismo; le braccia erano incrociate al petto, le guance sbuffavano aria nel vano tentativo di sbollire la rabbia. I capelli erano raccolti in una coda che stava lentamente cedendo alla gravità, mentre le sopracciglia tenevano botta, inclinate verso l'alto, accentuando il disappunto sul suo volto.
Al suo fianco era accomodato, quasi disteso, come se si trovasse adagiato sul divano di un triclinio, Riccardo: le gambe distese sotto al tavolo di legno, semplice e lineare, praticamente anonimo, leggermente divaricate; le mani erano intrecciate dietro la nuca, come se stessero sostenendo tutto il peso della testa, per impedirle di cadere all'indietro. Sulla faccia aveva stampato un sorriso, che, più di una volta durante quella notte, Michela aveva definito da "figlio di buona donna", spronandolo di conseguenza ad allargarlo ancora di più.
«Non capisco quale sia il problema, Zuccherino» le disse, socchiudendo gli occhi marroni per guardarla di traverso.
A quell'ennesima intenzione di farle saltare i nervi, Michela lo accontentò e sbottò, girandosi verso di lui: «Chiamami "Zuccherino" un'altra volta e giuro che ti tiro un calcio nelle...»
«Allora, signori...» La minaccia venne interrotta dall'ingresso del commissario Barbieri nella stanza.
«Signor Lentini, la prego di sedersi in modo composto. Non siamo in spiaggia, ma in una centrale di polizia.»
A quel richiamo, Riccardo provò a sistemarsi sulla sedia e Michela si lasciò sfuggire un'espressione trionfante sul volto, per quella, seppur misera, soddisfazione di vederlo in qualche modo umiliato.
Barbieri, caratterizzato da una pancia prominente che lo collocava più dietro una scrivania che all'interno di una volante, richiuse la porta alle sue spalle e trascinò un'altra sedia davanti al tavolo per sedere di fronte a loro. Posò un paio di fascicoli sul ripiano e li aprì.
Mentre sfogliava i documenti lentamente, passando da un plico all'altro, lanciava di tanto in tanto occhiate ammonitrici ai due soggetti che gli stavano davanti: la donna, nervosa e contrariata, con la schiena dritta e la smania di mostrarsi perfetta agli occhi della legge; l'uomo indolente e strafottente, pareva uno che stava lì per caso ed estraneo a tutta quella faccenda.
Avevano avuto quell'atteggiamento sin dal primo momento in cui li aveva arrestati, in quella camera d'albergo: disturbo della quiete pubblica.
La loro difesa era stata così assurda e non smettevano di urlarsi contro nemmeno in presenza degli agenti, che alla fine era stato costretto a portarli in centrale per accertarne le generalità e i precedenti.
Fece un profondo respiro, incrociò le mani sul tavolo e si rivolse di nuovo a loro, guardando dritto negli occhi prima l'una e poi l'altro e sperando di incutere almeno un pizzico di timore... almeno in uno dei due... «Il colloquio con le signorine...» sollevò un foglio alla sua destra per leggere: «Amber Miloti e Jan... Janette Caruso...» sollevò gli occhi al cielo «oh, Signore... Dicevo, il colloquio con le due signorine presenti nella camera duecentodue le ha prosciolte da qualsiasi accusa ai danni degli altri ospiti presenti questa sera nell'albergo Mirabello. Le abbiamo quindi lasciate andare.»
Michela fece un verso acuto e particolarmente scocciato, perché non le importava assolutamente un fico secco del destino delle signorine Amber Miloti e Janette Caruso.
Riccardo fece spuntare di nuovo il suo sorriso da piacione, riportando alla mente i corpi sodi e torniti delle graziose fanciulle, avvolti dai loro vestitini colorati e luccicosi.
«Per quanto riguarda lor signori...» puntò il dito indice prima su uno e poi sull'altra: «Le vostre urla sono state così alte e prolungate che posso assicurarvi che passeremo la notte a chiarire questa situazione.»
«Commissario, gliel'ho già detto, quella era la mia camera!» ripartì subito all'attacco, o forse "alla difesa", Michela.
Barbieri sollevò i palmi per fermarla: «Sì, signorina Serafico, me l'ha già detto. Così come il signor Lentini, qui presente» lo indicò come a sottolinearne la fisicità, «afferma che quella fosse la sua camera.»
Riccardo sollevò le spalle e le sopracciglia: «Esattamente.»
«Senti, non ci provare, bello!» lo redarguì ancora lei: «Quando sei entrato con quelle due... quelle... sgallettate, io ero già in camera e, più precisamente, sotto le coperte!»
«Wow!» Riccardo la guardò meravigliato, la bocca spalancata, come se per la prima volta in tutta la sera avesse perso l'uso della parola.
La cosa la mandò in confusione: «Cosa?»
«Allora pensi che sia bello!» Assunse un'espressione estasiata, quasi sognante, e si mise una mano al petto, come per proteggersi da un principio di infarto: «Se solo avessi saputo, avrei potuto raggiungerti sotto quelle coperte, Zuccherino.»
Michela inspirò rumorosamente e trattenne il fiato per almeno cinque secondi: «Tu, grandissimo figlio di...»
«Adesso basta!» Barbieri riprese in mano la situazione con un urlo ben assestato. I due si ammutolirono immediatamente e tornarono a fissarlo spaventati dal fragore improvviso. «Ora sono costretto a lasciarvi di nuovo per qualche minuto. Se sento ancora volare qualche improperio, dall'uno o dall'altra, badate bene, vi posso assicurare che vi sbatto in cella e butto via la chiave fino al giorno del Giudizio Universale!» Raccolse i fascicoli dal tavolo e se li mise sotto braccio. Poi, appena prima di uscire dalla stanza, aggiunse che avrebbe fatto avere loro acqua e caffè nell'attesa; un minimo gesto di gentilezza nei confronti di quei due sconsiderati che gli stavano dannando la nottata.
Poco dopo un agente portò loro quanto promesso, posando sul tavolo un paio di bottigliette d'acqua da mezzo litro e un vassoio di polistirolo con bicchierini di plastica pieni di caffè, palette e bustine di zucchero e dolcificante.
Riccardo osservò Michela afferrarne subito uno per portarselo alle labbra rosa, carnose e ben delineate: «Zucchero?»
La mano della donna si strinse sul bicchierino fino quasi a stritolarlo: «Ma allora lo fai apposta? Ti ho detto...»
«Ehi, calma!» si difese lui: «Ti stavo solo chiedendo se volessi lo zucchero nel caffè.»
Michela arrossì violentemente per il fraintendimento e si limitò a scuotere la testa per rifiutare.
L'uomo prese una bustina e la versò completamente nella bevanda calda, poi cominciò a mescolare lentamente con la paletta: «Ah, non dovresti, sai?» sospirò. «La vita è già abbastanza amara di per sé. Dovresti aggiungerci un po' di dolcezza, quando puoi.»
«Quanta saggezza...» fu il suo unico commento laconico.
Riccardo non si lasciò intimorire, come al solito del resto; si voltò completamente verso di lei e tornò a sorriderle: «Senti, forse abbiamo cominciato col piede sbagliato stanotte.»
«Concordo: il tuo ha varcato la soglia della mia stanza, stanotte.» Lui scoppiò a ridere e la cosa la fece infuriare ancora: «Avrei dovuto rilassarmi stanotte, non passarla in una squallida stazione di polizia!»
«Beh, non tanto squallida» si osservò intorno. Occhieggiò nuovamente nella sua direzione, ma vedendo che non aveva ancora voglia di proseguire una conversazione civile, cercò la strada dell'empatia: «Anche io avrei dovuto rilassarmi... stanotte... Volevo festeggiare... Sono riuscito a concludere un grosso affare oggi.»
«Tsè... Festeggiare...»
Ma anche quel pensiero, acido, confessato ad alta voce, venne interrotto dal commissario Barbieri, che faceva ritorno nella stanzetta priva di finestre: «Signorina Serafico, signor Lentini» quella volta però rimase in piedi davanti a loro e poggiò le mani sui larghi fianchi. «Ho appena finito di interrogare il concierge del turno di notte.» Due paia d'occhi si posarono attenti sul volto dell'omone, che rimase piacevolmente soddisfatto a quella reazione: finalmente avevano capito con chi avevano a che fare. «Si tratta di un ragazzo alla sua prima esperienza lavorativa e, se continua così, potrebbe rivelarsi anche l'ultima.»
«In che senso?» si informò Riccardo.
«Il ragazzo sta svolgendo il suo periodo di prova al Mirabello, ma, visto che si annoiava, ha pensato bene di utilizzare stupefacenti durante l'orario di lavoro» mimò il gesto di fumarsi uno spinello.
Michela spalancò la bocca scioccata: «Si è fatto... una canna?» chiese incredula.
«Visto che non ero io a essere ubriaco? Era lui a essersi fatto!» Riccardo scoppiò a ridere della sua stessa battuta, ma gli altri parvero non cogliere l'ilarità della situazione.
Barbieri riprese la parola: «Alla luce di questi fatti, siete quindi liberi di andare.»
Michela sospirò rumorosamente e lasciò cadere le spalle mentre si alzava dalla sedia; a Riccardo invece tutto quello sembrava così ovvio, che non mutò la sua espressione allegra nemmeno nel momento in cui fu decretata la sua libertà.
«Ho contattato il proprietario dell'albergo» continuò il commissario: «visto l'accaduto, si scusa e vi fa sapere che ha riservato per voi due delle camere migliori per questa notte. Una ciascuno.» ci tenne a precisare.
La donna sollevò il mento stizzita: era il minimo che potessero fare.
L'uomo azzardò un'ultima proposta: «Una volante ci riaccompagnerà in albergo?»
Il viso di Barbieri divenne all'istante paonazzo dalla collera: «Signor Lentini, ritenetevi fortunati che non incida sulle vostre fedine penali le accuse di questa notte con il pennarello indelebile. Chiamatevi un taxi!»
A quell'ulteriore sfuriata, i due si accavallarono a ridosso della porta, fuggendo il più lontano e il più velocemente possibile da tutta quella vicenda.
La mattina seguente Riccardo strinse la mano della contessa Benvaglio, mostrandole uno dei suoi migliori sorrisi da agente immobiliare: «Come le dicevo ieri, contessa, a seguito della ristrutturazione, potremo mettere in vendita la villa a un prezzo decisamente maggiore.»
La contessa sospirò sotto l'effetto di quegli occhi magnetici: «Riccardo, penso davvero tu abbia ragione. Ma quanto verrà a costarmi ristrutturare?»
«Questo dipende dall'architetto, dai materiali che le suggerirà di utilizzare...»
«Capisco, capisco» annuì la donna. «A questo punto potremo chiedere direttamente a lei un preventivo. Guarda, sta arrivando.»
Si rivolsero entrambi verso il portone di ingresso della villa, nel momento in cui un paio di tacchi alti scandiva il ritmo sul marmo del pavimento.
Il viso di Riccardo si illuminò a giorno e la sua voce si colorò di allegria: «Zuccherino!»
La mano di Michela si strinse nervosa sulla tracolla della borsa che pendeva al suo fianco: quella della villa della contessa Benvaglio sarebbe stata una lunga, estenuante, ristrutturazione.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro