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XV.


"Essi sono spiriti di demoni,

che fanno prodigi e vanno ai re di tutta la terra,

al fine di radunarli per la battaglia

del gran giorno di Dio onnipotente."

Apocalisse 16, 14-15




Il pentalfa intorno all'occhio destro di Renárd si contraeva ad ogni suo minimo spasmo di terrore.

Richelieu non faceva che fissarlo schifato da quando gli aveva levato di dosso la benda. «Voi catari siete davvero l'inconfutabile reincarnazione del demonio» sibilò, sovrastando appena il tintinnio delle fibbie dell'usbergo. «Non mi stupisco che quel sant'uomo di Guzmán abbia cercato in tutti i modi di cancellare la vostra presenza dalla faccia della terra.»

Il vecchio era così atterrito da non avere nemmeno il coraggio di sollevare la testa, figuriamoci di ribattere al verdetto del cardinale. Con il viso e gli abiti macchiati di fango, attendeva in silenzio il sorgere dell'alba stretto fra le spingarde dei soldati.

Richelieu distolse lo sguardo con un grugnito, ricominciando a seguire i gesti impacciati del sostituito di Dubois.

Il mistero della sparizione del tenente in concomitanza con quella di Veronique poteva essere spiegato in una maniera soltanto: Nathanaël aveva costretto Victor a seguirlo fino alla rocca prendendolo come suo ostaggio.

Era tutto così logico, ora.

Rohan-Soubise aveva inviato quel ragazzo a compiere la sua sciagurata missione. L'aveva messo su una zattera insieme al padre per farlo giungere dall'altra parte della riva senza destare alcun sospetto.

Peccato che Richelieu non fosse mai stato un uomo da poter ingannare così facilmente, e li aveva subito fatti mettere ai ceppi con l'accusa di eresia. 

Errore, grandissimo errore.

Avrebbe dovuto ucciderli subito come semplici prigionieri di guerra, anziché attendere di appiccare il rogo. E invece aveva accettato di interrogare il vecchio pazzo e di ascoltare ogni sua singola menzogna, diffidando dell'unica risposta degna di riguardo. 

Altro immenso, imperdonabile sbaglio.

Alla fine, quella sull'evanaître si era rivelata essere la sola informazione veritiera dell'intero discorso, mentre il resto della dichiarazione doveva essere stato costruito apposta da Renárd per indurre il cardinale a rimuovere dalla sua mente ogni sospetto di collaborazione con Rohan-Soubise.

Ma certo, era tutto così maledettamente ragionevole, ora...

«Questi lacci sono ancora larghi: stringeteli» ordinò Richelieu. «È una corazza, non un grembiule.»

Il soldato senza nome si affrettò a rimediare. «P-Perdonatemi, Eminenza.»

«Perfino le sguattere delle salmerie sarebbero in grado agganciare questi spallacci.» Richelieu piegò infastidito il collo per evitare ogni possibile contatto con la disastrosa incapacità del ragazzo. «Prego per il vostro bene che non vi assumano mai come palafreniere.»

Il soldato richiuse la cubitiera con uno schiocco metallico. «S-Sì, sissignore.»

Il cardinale allungò cauto il braccio per sincerarsi di riuscire ancora a muoverlo. «Il vostro nome?» domandò, una volta che si fu volta toverso il ragazzo.

«Max...» Il soldato si schiarì imbarazzato la voce, occhi fissi sulla punta dei suoi stivali. «Maximine d'Entrés, Eminenza.»

«Maximine...» ripeté Richelieu, scuotendo la testa. «Immagino sia la forma diminutiva e vagamente volgarizzata di Maximilien.»

Il ragazzo era ormai pietrificato dalla soggezione. «S-Sì, scus... scusatemi.»

Avvolto dall'assordante rombo dei cannoni intenti a porgere il loro primo saluto al sole, Richelieu gli scoccò un'occhiata inacidita. «Finite il vostro lavoro.»

Maximine tornò ad affannarsi attorno al vambrace con la fronte imperlata di sudore.

«Ho conosciuto un Maximilien, molti anni fa...» commentò Richelieu. Lasciò che l'eco della sua voce rimbalzasse sopra le vele tese delle navi in procinto di assalire il baluardo eretico. «Monsieur Maximilien Auguste de Béthune, duca di Sully, barone e marchese di Rosny e conte di Muret e Villebon.»

Maximine deglutì a fatica, con le borchie della corazza quasi conficcate nei palmi delle mani. «Intendete il ministro delle finanze, Eminenza...?»

Richelieu gli rivolse un sorriso sornione. «Proprio lui, Maximine. Proprio lui.» Rimase immobile per qualche secondo ad osservare le manovre degli argani, poi riprese a narrare: «Uno dei nobili più pii che abbiano mai calpestato il suolo di Francia, senza alcun dubbio. Ogni momento della giornata era buono per innalzare le lodi a Nostro Signore Gesù Cristo...» Sorrise di nuovo, nel rammentarlo. «Probabilmente è stato e sarà sempre l'unico eretico che sia mai riuscito a debellare definitivamente le forze del maligno da dentro il suo spirito.»

«Q-Quale... maligno, cardinale...?»

Richelieu rivolse lo sguardo a quella specie di rifiuto umano che aveva osato intromettersi nella conversazione. «Quante volte ti ho ripetuto di tenere la bocca chiusa, Renárd?»

Nestor continuò imperterrito a farfugliare: «S... Siete voi cattolici le vere forze del maligno... siete divenuti così ciechi di fronte alle vostre violenze che nemmeno vi accorgete di stare commettendo abomini agli occhi di Dio...»

Se solo Maximine avesse già terminato il suo lavoro, Richelieu gli sarebbe di nuovo piombato addosso tempestandolo di calci. «Qui l'abominio sei tu, Renárd. Non io» sibilò. «Soltanto Dio dovrebbe possedere un potere simile all'evanaître, e quindi comprenderai anche che di certo non è stato Lui a concedervelo...» Fece schioccare lugubre le dita delle mani, mentre Maximine controllava che le scarselle fossero fissate al meglio sotto la cintura. «Ma piuttosto il diavolo.»

Nestor represse un singhiozzo da cucciolo ferito. «Non sapete quello che dite... l'evanaître...» Tossì aria malata di nebbia. «L'evanaître non ci è stato elargito affinché diventasse un'arma nelle vostre mani...»

«Oh, di questo ne sono convinto, eretico» ribatté il cardinale. «Ma non ho alcuna intenzione di protrarre oltre questa farsa, se è questo che ti spaventa. Quando farò ritorno dalla rocca insieme alla principessa, sappi che a tuo figlio toccherà in sorte la tua medesima fine.» Sorrise, quasi compiaciuto della sua stessa lungimiranza. «Non voglio rischiare di dover condannare la Francia ad un altro secolo di caccia alle streghe.»

L'improvviso scalpiccio di cinque paia di suole chiodate catalizzò altrove l'attenzione di Richelieu e del vecchio cataro.

Era Saint-Bonnet, di ritorno con i quattro uomini scelti per la missione. Richelieu rammentò di averli veduti di sfuggita il giorno precedente, quando il re era sbarcato sull'isola.

«Siete in ritardo» esclamò, costringendo Maximine, ancora intento a ritoccare gli ultimi particolari, a seguire i suoi passi affrettati in direzione del capitano. «Vi siete già dimenticato che dobbiamo arrivare alla rocca prima che le mie navi l'abbattano?»

Proprio in quel momento, un tremendo boato parve svuotare il cielo soltanto per riempirlo con gli strilli degli artiglieri e gli scoppi delle palle di cannone.

Richelieu si voltò a bocca aperta verso lo sbocco dell'oceano. No. Non poteva essere già cominciata...

«Cardinale...» udì ansimare Saint-Bonnet, quasi da un'altra dimensione. «È già troppo tardi...?»

«No.» Richelieu scacciò con un cenno quel timore. Si rivolse ai soldati posti a sorveglianza di Renárd e ordinò loro: «Lasciatelo. Ha bisogno delle mani, per evocare la sua stregoneria.»

Nestor non provò neppure ad opporsi. Si fece trascinare di fronte al padiglione con lo sguardo perduto chissà dove, mentre i segni vermigli del pentalfa continuavano a torcersi sulla sua pelle grinzosa.

Richelieu poggiò le dita sul cinturone borchiato e passò in rassegna uno per uno i volti dei subordinati del capitano. Il primo della fila aveva pressapoco la stessa età di Saint-Bonnet. Possedeva un paio di occhi slavati dal vino, ma anche l'impenetrabile smorfia degli assassini di professione. «Il vostro nome?» domandò il cardinale.

«Armand de Sillègue d'Athos d'Autevielle, Eminenza.»

«Avrò bisogno di potervi chiamare singolarmente, quando saremo entrati nel castello» sospirò Richelieu. Sentire il proprio nome addosso a quell'essere di dubbia moralità l'aveva quasi sconvolto. «Fino al mio prossimo contrordine, voi sarete semplicemente Athos.»

«Come desiderate, Eminenza.»

Il cardinale passò oltre, bloccandosi di fronte ad un gigante stretto nell'uniforme blu dei moschettieri del re. «Sapete già cosa voglio.»

Il titano rispose con una mezza risata cavernosa: «Sono Isaac duVallon de Bracieux de Pierrefonds, Eminenza... ma i miei compagni mi hanno sempre chiamato Porthos.»

«E così farò anch'io.» Richelieu indicò i due giovani alle spalle di Saint-Bonnet. «Voi due. Veloci.»

«Henry d'Aramis» mormorò il primo, scostandosi i capelli bruni dal viso.

Richelieu annuì sorridendo. «Ottimo. Finalmente un soldato che non mi fa perdere del tempo prezioso.» Appena finita la frase, fulminò l'ultimo moschettiere del drappello puntandogli contro il dito. «Gli ugonotti vi hanno strappato la lingua, per caso?»

Il ragazzo trovò miracolosamente la forza per deglutire e fronteggiare il suo sguardo ferrigno. «No, Eminenza. Mi chiamo Charles de Batz de Castelmore, e sono il figlio del barone d'Arta...»

«Non mi interessa di chi siete figlio, soldato» ribatté Richelieu. «Trovatemi un nome con cui possa chiamarvi che sia più breve di un elenco di discendenza, e vi assicuro che quando tutto questo sarà finito vi porgerò i miei più intensi complimenti per il vostro fantomatico lignaggio. Fino a quel momento...»

«D'Artagnan.»

Richelieu sgranò gli occhi come se avesse appena udito pronunciare una bestemmia. «Come avete detto?»

«Chiamatemi d'Artagnan, Eminenza» ripeté il ragazzo. «È abbastanza accettabile, per voi?»

Il cardinale aprì la bocca pronto a ribattere, ma Saint-Bonnet lo distolse da tale proposito con un la rapidità di un diplomatico: «Perdonate la sua insolenza, cardinale. È giovane, è vero, ma vi posso garantire che è uno dei più valenti soldati al mio servizio.»

Richelieu fronteggiò il sorriso sprezzante di d'Artagnan con i suoi occhi cinerini. «Me lo auguro per la sua vita, capitano.»

In lontananza, la battaglia esordiva timida martellando le barricate con gli scoppi delle spingarde e delle bombe incendiarie.

Un'improvvisa folata di vento sollevò lo strascico rosso della veste del cardinale costringendolo a mantenere ben salda la presa sulla spada, per evitare di colpire accidentalmente col fodero il fianco del capitano.

«Non si stanno affatto risparmiando, quei maledetti ugonotti» commentò cupo Aramis.

Richelieu si passò una mano fra i capelli arruffati dal refolo. «Non lo fanno mai, esattamente come noi.» E quasi nello stesso istante si voltò in direzione del cataro, inginocchiato sul terreno ghiaioso dello spiazzo. «Sbrigati a dare inizio al sortilegio, vecchio. Non ci rimane molto tempo.»

Nestor scoppiò in una lunga risata soffocata. «Non riuscirete a prendervi il mio potere! Nessuno ci riuscirà!»

«Noi saremo la tua unica eccezione, vecchio» replicò Richelieu. Conosceva a memoria la procedura di evocazione: era uno degli argomenti che aveva affrontato sui banchi della Grand Chartreuse, durante le lezioni di storia dell'eresia in terra di Francia. Sapeva meglio di chiunque altro di cosa avrebbe avuto bisogno Renárd per avviare il rituale. «Ti darò il mio coltello.»

Nestor lo guardò spaesato per qualche secondo, e Richelieu sentì montarsi dentro la rabbia.

«So che necessiti di sangue umano, per tracciare i limiti dell'evanaître!» sbraitò. «E so anche che ne hai bisogno per disegnare il tuo sudicio simbolo a terra!»

Nestor scosse la testa. «Avete sbagliato tutto, cardinale» mormorò, mostrando i palmi. «Ho sì bisogno di sangue, ma non di sangue qualsiasi... l'evanaître non può essere evocato senza il sangue di un innocente.»

Richelieu percepiva il battito accelerato del suo cuore perfino al di sotto dello spesso strato di acciaio. «E posso sapere come hai fatto ad evocarlo in passato?»

«Con il sangue di mio figlio, naturalmente...» Nestor rispose spalancando la bocca in un grande sorriso di rivalsa. «Il sangue dell'unico ragazzo puro in mezzo ad una schiera di peccatori ed ipocriti!»

Richelieu si premette le dita sulle tempie nel tentativo di estraniars idall'insistente melodia della guerra e dal fastidioso ansimare di Maximine alla sua destra. Pensare: doveva pensare subito ad una soluzione, per il bene di Veronique e della Francia tutta.

Saint-Bonnet cercò di avvicinarglisi barcollando: «Cardinale, io non riesco a comprend...»

«Tacete.» Richelieu lo rimbrottò a palpebre chiuse. Quando, poco dopo, le aprì, puntò svelto lo sguardo sul giovane guascone di nome d'Artagnan.

«Cosa avete intenzione di fare?» gli domandò il moschettiere, guardando ad occhi sbarrati il cardinale che lentamente estraeva il pugnale dalla guaina appesa a ridosso del fodero.

Richelieu fece scorrere il dito guantato sul filo perfettamente limato dell'arma. «Nulla di cui dobbiate preoccuparvi, d'Artagnan.» Allungò il braccio all'indietro, e afferrò il polso di Maximine d'Entrés, assolutamente troppo sgomento per opporsi alla stretta. «Il mio unico ordine è che voi continuiate a guardare.»

E, senza l'ombra di una remora a rabbuiargli il volto, affondò la lama nel palmo destro di Maximine.

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