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IV.



"Rabbia e pestilenza sopra la città dei fantasmi,

Albione tenta invano di sottrarsi alla furia,

Vibrando incatena a sé i condottieri della protesta,

Mentre il cortigiano devoto si piega sotto i calzari di Giove.


Figlia di re, ascolta la preghiera del consiglio,

Giovane più delle nubi che s'addensano a Calais,

È stato istruito il rampollo, nipote del giglio,

E nascerà fra i cannoni della bestia ruggente.


L'anatema avrà respiro stanotte,

Sette volte nove sopra le guglie della roccaforte,

Chiunque si inginocchierà di fronte al leone giullare,

Prima che il cielo si spezzi per sempre a metà.


L'assalto sta per compiersi e c'è chi ancora implora

La dinastia d'Iberia regge le redini della tenda,

Vi sarà uno scambio fra anime quando scoccherà l'ora,

Un libero spirito scruta il nemico da sotto la benda."


Miquèl de Nostradama,

meglio noto con il nome di Nostradamus.




«Cardinale! Cardinale Richelieu!»

Una torma di moschettieri e operai salariati si era ammassata lungo la banchina, alle spalle dell'onnipresente Victor Dubois.

Richelieu si aprì un varco verso il tenente a forza di gomiti. «Che diavolo succede?» A pochi metri da lui, una zattera di fortuna resisteva testarda all'Atlantico gonfio di spuma. Due fagotti scossi dalla tempesta lottavano per rimanere aggrappati alle assi.

«Sono ancora vivi?» chiese Dubois.

A Richelieu parve di scorgere un cenno da parte di uno dei due naufraghi, forse l'abbozzo di una supplica. Ora le loro luride vesti scure gli apparivano inconfondibili allo sguardo. «Sono eretici» sibilò. Si voltò verso il tenente, gli occhi ridotti a due tagli nella pelle del viso. «Ordinate ai vostri sottoposti di ritornare alle loro mansioni, Dubois.»

La faccia del tenente si trasformò in una maschera di ribrezzo. «Ma, Eminenza... potrebbero essere i nostri...»

«I nostri prigionieri, dite?» ghignò Richelieu, additandoli indignato. «Guardateli bene, tenente. Perché credete che quegli apostati avrebbero voluto liberare i nostri soldati?»

Dubois li vide contorcersi fra i marosi nel vano tentativo di rimanere a galla.

«Pietà, signore...!» L'eco dello scongiuro giunse flebile alle orecchie del cardinale, che imperturbabile osservava la scena a braccia incrociate. «Pietà per dei figli di Dio...!»

«Non sono ugonotti, Eminenza» farfugliò Dubois. «Non sono eretici...»

Richelieu si morse a sangue il labbro nell'attesa angosciosa. La corrente li avrebbe presto sommersi, soffocandoli nel suo abbraccio di morte. Il cardinale sarebbe veramente stato in grado di accettare su di sé la colpa di aver decretato la scomparsa di due cristiani devoti? «Prendete una cima, tenente.» Richelieu volse le spalle ai naufraghi e incontrò le ventidue paia d'occhi dei suoi subordinati. «Portateli a riva prima che sia troppo tardi.» Avrebbe poi avuto tutto il tempo necessario per accertarsi del loro credo, una volta salvi sulla banchina...

«Avete sentito il cardinale? Portatemi una corda, presto!» latrò Dubois.

Richelieu si voltò di nuovo verso la zattera in completa balia dei frangenti. La Rochelle, ciclopica oltre la caligine, sembrava fissarlo con i suoi infiniti, minuscoli occhi neri nell'attesa della sua prossima mossa.

«Aiuto...!»

Nella speranza del suo prossimo passo falso.

«Aiutateci...!»

Uno dei mozzi ritornò con una sartia di vimini, e la porse rapido a Dubois.

«Reggete» ordinò il tenente ai moschettieri, affidando loro l'estremità della corda. Lanciò l'altro capo in direzione della zattera, e il più robusto fra i due l'afferrò senza attendere un istante di più. «Tirate!»

La sartia si tese fino allo spasimo, mentre la zattera veniva trascinata a riva dalle braccia dei moschettieri.

Quando il bordo della chiatta cozzò contro la palizzata, alcuni fra i soldati saltarono in acqua per raccogliere i superstiti.

Richelieu li vide rigurgitare acqua, gli abiti intirizziti incollati alla pelle esangue. Li studiò entrambi sottecchi, rigirandosi il pizzetto brizzolato fra le dita della mano. 

Il più anziano fra i due doveva avere una decina d'anni più del cardinale. Aveva l'occhio bendato, e lunghi capelli canuti a sfiorargli le spalle. «G-Grazie...» balbettò, gettandosi ai suoi piedi. Cercò di baciargli la mano, ma Richelieu la ritrasse appena in tempo. «Siamo vostri debitori...»

Richelieu spostò lo sguardo verso il giovane alla sua sinistra, poco più che un ragazzino spaurito stretto fra le spalle dei soldati del re. «Chi siete?»

«Nient'altro che umili servitori della volontà divina...» biascicò il vecchio. Si passò una mano sul groviglio di rughe ancora invase dall'acqua. «Il mio nome è Nestor Renárd, e questo è mio figlio Nathanaël.»

Appellativi decisamente inusuali, per dei francesi timorati di Dio. Richelieu portò di scatto la mano alla spada, ma decise di non sguainarla. Non ancora, perlomeno. «La vostra religione?»

Nestor congiunse docile le mani senza smettere di ansimare. «La stessa dei nostri padri... e dei padri dei nostri padri.»

Il cardinale agguantò il vecchio per il colletto dell'abito. L'unico occhio di Nestor Renárd lo squadrò terrorizzato dal basso verso l'alto lacrimando l'oceano. «Ti ho fatto una domanda!» Vi fu qualcosa, in quello sguardo, che spinse il cardinale ad afferrare la mano di Nestor e a portarsela davanti agli occhi. E quello che vide non gli piacque affatto. «Proprio come avevo immaginato!» esclamò Richelieu, rivelando alla vista dell'esercito il marchio indelebile lasciato dai ferri dell'Inquisizione di Tolosa. «Se non sono ugonotti, sono sicuramente degli sporchi catari!»

Un mormorio sprezzante si alzò dalla schiera dei moschettieri, mentre Dubois tentava invano di nascondere la vergogna per aver dato asilo a simili individui.

«Tenente, metteteli subito ai ceppi!» ordinò Richelieu, allontanandosi dal vecchio. «Portateli alla casamatta di Brunél: ho intenzione di interrogarli appena possibile.»

«Signore... signore, vi prego!» ululò Nestor. «Siamo vostri fratelli!»

A quelle parole, Richelieu estrasse la lama e la puntò alla giugulare del vegliardo. Un fulgore sinistro lampeggiò sullo specchio nero delle sue pupille. Gli sarebbe bastato il minimo movimento del polso,per porre fine a quell'insulto vivente all'unica vera fede. «Prova a ripetere una tale bestemmia, eretico, e ti giuro che Satana sarà oltremodo contento di riaverti nel suo inferno!»

Nestor provò a balbettare una replica, ma una voce ben più allarmata della sua lo precedette di qualche secondo.

«Armand!» Era Veronique: contravvenendo agli ordini del cardinale, si era avvicinata alla calca, la cappa turchese fra i cupi mantelli dei moschettieri del re. «Armand, ma che stai...»

Richelieu allontanò di scatto la lama dal collo del vecchio e la ripose nel fodero con uno schiocco. «Principessa, vi avevo detto di rimanere lontana.»

«Sono gli uomini che hai salvato?» domandò Veronique, muovendo un passo verso i due catari. Scrutò in viso Nathanaël per qualche secondo, per poi rivolgere la sua attenzione alla figura emaciata del vecchio. «Eravate prigioniero dei cattivi, signore?»

Sospirando, Richelieu chinò il capo verso il tenente. «Dubois, riportate la principessa al padiglione.»

«No!» gridò Veronique. «Io voglio rimanere qui con te!»

«Questa non è né la situazione né il luogo più adatto ad una principessa reale, Veronique» ribatté Richelieu. «Vi prego di obbedirmi, perla vostra sicurezza.» E accigliato ruotò gli occhi verso Nestor, ancora intento a fissare quella fragile creaturina che gli si era fermata davanti.

«Padre» sussurrò Nathanaël con la voce arrochita dal freddo. «Lei è...»

«Lei è Sua Grazia la principessa Veronique di Borbone, delfina di Francia» s'intromise il cardinale, scoccandogli un'occhiata glaciale. «Distogli lo sguardo, eretico, prima che mi venga voglia di ridurti come tuo padre.»

Nathanaël obbedì riluttante, poco prima di venire issato a forza dai moschettieri sopra i gradini del camminamento e scomparire dietro le assi della barriera.

«S-State commettendo un enorme peccato...» Nestor tese le braccia macilente verso il figlio, come per trattenerlo a sé. «Tutti voi!»

Richelieu non si diede la pena di rispondere. Avvicinatosi alla piccola, le strinse il braccio con la mano guantata e la costrinse a voltare le spalle al cataro. «Ritornate da vostro padre, Veronique» le bisbigliò. «Non permetterò mai che questa sozzura scismatica possa lordare la vostra purezza.»

Veronique cercò ancora di girare la testa, ma la muraglia di cappelli e armature si era già da tempo richiusa alle sue spalle. «Armand, ma che cosa stai dicendo?» sussurrò senza fiato. «Io non capisco...»

«Non è necessario che voi lo facciate, principessa» ribatté il cardinale, procedendo fino alla scalinata. «Siete ancora troppo piccola per interessarvi a simili faccende.»

«È stato Dio a mandarci da voi, cardinale!» continuava a sbraitare Nestor, dibattendosi fra le spingarde e i mantelli dei moschettieri. «È stata la sua volontà...!»

Richelieu sollevò Veronique consegnandola alle mani di Saint-Bonnet, provvidenzialmente accorso ad assistere alla scena.

Il vento era saturo delle urla affrante di Nestor Renárd: «Suo figlio ci protegge, cardinale! È stato lui a dirci di venire qui!»

Ignorando la sua voce, Richelieu avvicinò la bocca all'orecchio del capitano della Guardia. «Nessuna deviazione, sono stato chiaro? Nemmeno se proverà a mordervi la mano.»

Veronique aveva già iniziato a dibattersi fra le braccia dell'ufficiale come una lepre presa in trappola. «Armand! Armand, digli di lasciarmi andare!»

«Come desiderate, Eminenza.» Saint-Bonnet si apprestò a trascinare con sé la principessa oltre l'imboccatura dell'approdo, del tutto insensibile alle sue proteste infantili.

«Dio è dalla nostra parte...!»

Richelieu si voltò lentamente verso la fonte di quel fastidioso rumore. Il suo cuore si era come appiattito sotto lo spesso strato di cuoio della casacca militare.

«Dio è il nostro paladino!» Nestor era ancora là, stretto nella morsa,gli occhi sbarrati nella direzione del cardinale. «Dio ha ascoltatole nostre preghiere!» gridava instancabile. «Dio ci protegge!»

Richelieu mosse un passo, poi un altro, e poi un altro ancora, fino a bloccarsi di fronte all'eretico. Si vide riflesso nella sua unica sclera iniettate di sangue, e richiuse spontaneamente le dita sull'elsa. Scorse sé stesso sollevare il fodero e puntarlo contro la tempia di Nestor, mentre Dubois distoglieva addolorato lo sguardo. Una sentenza di cinque semplici parole, prima di udire il tonfo del metallo contro il cranio del vecchio: «Dio non protegge gli eretici.» 

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