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Una partita a maccagur

«Domani pomeriggio andrò alle Meline con il barone» sussurrò all'orecchio di Adana.

«Cosa? Ma è così sconveniente, lui è un barone» bisbigliò affinché i suoi sentissero quel loro discorso.

«È figlio di contadini, soltanto che la sorte gli ha fatto un bel regalo».

«Ma andrete da soli?».

«No» le mentì.

Conoscendo sua sorella, sarebbe andata a dire tutto al loro padre per evitare che commettesse qualche sciocchezza. Lei voleva giocarsi la carta della seduzione col barone, non essendo di nobili origini, forse sarebbe riuscita a entrare nelle sue grazie, diventare la sua amante le avrebbe garantito un bel po' di agiatezza.

«Comunque sta' attenta, sai che alla gente piace chiacchierare».

«Lo so, non temere».

Spense la candela e si misero a dormire.

Talia guardava con disprezzo la candela che continuava a bruciare imperterrita, quasi a schernirla per ciò che le era capitato.

Gli uomini lasciarono stare le ricerche di Gordo quando ormai era buio, adesso cominciavano a preoccuparsi anche loro per questa sua strana sparizione. Di sicuro non poteva essere scappato, non si era mai indebitato con nessuno e non aveva commesso alcun reato. Le ricerche sarebbero riprese l'indomani dopo la funzione.

Se anche solo sospettassero cosa si nasconde per davvero dietro la sparizione di mio marito pensava tra sé,. Così si ritrovò a chiedersi se fra gli uomini che avevano partecipato alle ricerche ci potessero essere i membri di quella loro setta. Doveva scoprire chi erano i dodici, di sicuro uno dei membri era Otto e domani sarebbe passata da lui per capire la verità.

Soffiò sulla fiamma senza successo, si umettò le dita e pigiò lo stoppino, ma servì solo a bruciarsi, la fiamma non voleva saperne di spegnersi, piena di rabbia la maledisse, maledisse il culto e tutti gli stolti che ne facevano parte. Andò a dormire, adesso toccava a lei occuparsi del forno. Una volta nel letto vuoto si lasciò andare al pianto, era vedova, il suo Gordo non l'avrebbe mai più abbracciata per addormentarsi.

«Vuoi dirmi cos'hai visto?».

«Nulla che ti riguardi»

Astore la afferrò per un braccio e se la tirò appresso sul retro della locanda.

«Non mentire, voglio soltanto capire se c'è una soluzione».

Gloria si liberò dalla sua stretta e gli diede le spalle. Il retro della locanda era illuminato da una lanterna appesa al lato della porta e dalla falce della luna al suo secondo quarto.

Anche se non lo dava a vedere era rimasta molto scossa dalla visione, ciò che la portava a tormentarsi a quel modo, era il dolore che aveva provato alla sua morte. Non voleva passarci per davvero: se poteva evitarlo, lo avrebbe fatto, anche se ciò significava non vivere tutto quello che c'era stato prima. Così decise di raccontargli una mezza verità.

«Ho visto la prima notte, i loro volti le conosco tutte» si poggiò contro il muro, la visione di tutte quelle ragazze pronte al sacrificio l'avrebbe tormentata a lungo. «Quando diventerò una maga di primo livello» l'immenso potere che tuonava dentro il suo essere e la faceva sentire invincibile «Buteo, la distruzione di tutto» si morse le labbra.

«Tutto qui?» Gloria accennò un sì. Lui non le credeva doveva farla parlare :«Ho visto la tua morte» fra le sue braccia, a causa sua.

Gloria si girò di scatto :«Non può essere» disse con un filo di voce, lui sarebbe morto nella sua visione, tutto questo non aveva senso. Così comprese che forse era meglio dirglielo e cercare di capire, non voleva morire. «Io ho visto la tua di morte».

Astore cercò di trovare una spiegazione, rimase in silenzio perso nei suoi pensieri, non si accorse che Gloria gli stringeva la mano. Alla fine capì.

«Sei stata tu a cambiare il possibile futuro. Hai parlato con la veggente prima di me, hai visto ciò che sarebbe accaduto e allo stesso tempo, hai inconsciamente deciso che avresti fatto qualcosa di diverso, per evitare un qualche accadimento» era l'unica spiegazione logica «In questo modo hai influenzato il corso degli eventi fino a cambiarli, così io ho visto un futuro diverso dal tuo».

Gloria lo guardava smarrita, si pentiva di essere andata da quella Takita, che diamine le era saltato in mente? Era meglio non saperle certe cose.

«Riesci a comprendere ciò che ti ho detto?».

«Si».

«Posso chiederti cosa hai voluto cambiare?».

Gloria arrossì, fortunatamente in quella penombra non se ne sarebbe accorto.

«Non voglio soffrire, tutto qui, è ironico però che ciò mi porterà a morire».

«Non è detto, può darsi che adesso che lo sappiamo riusciremo a cambiare ancora il futuro e nessuno di noi dovrà morire».

«Il resto secondo te cambierà? La distruzione, tutte quelle morti».

«Credo di no, erano presenti in entrambi i futuri, per sapere qualcosa di più dovremmo tornare da quella veggente».

«No grazie, credo che non andrò mai più da qualcuno come lei per il resto della mia vita». Sorrise appena «Secondo te dovremmo dirlo a Buteo?».

«No, per il momento teniamocelo per noi».

C'erano alcune cose che aveva omesso di dirle, prima di tutto doveva capire se i primi avvenimenti sarebbero coincisi con la sua visione, poi avrebbe cercato di cambiare qualcosa. Takita gli aveva chiesto di Buteo, ma lui non voleva che fosse invischiato oltre in quella faccenda. La causa di ogni male sembrava essere lui, trovare una soluzione sarebbe stato difficile, doveva provarci per lei, non meritava di passare tutte quelle brutte esperienze. Buteo voleva plasmarla a sua immagine e somiglianza anche se ciò avrebbe portato il caos ovunque, non voleva che un peso simile fosse scaricato sulle spalle di Gloria.

Si ritrovò così senza neanche accorgersene a stringerla, lei diversamente dal solito invece di dare in escandescenza lo lasciò fare.

Gloria era combattuta fra la possibilità di scappare via, oppure lasciarsi trasportare dagli eventi e provare per davvero quelle emozioni che per un attimo le avevano inebriato i sensi durante la visione. Ripensò alle sue parole che, anche un minimo cambiamento, aveva il potere di alterare il futuro, cercò di ricordare nella sua visione come tutto era iniziato e decise di provare a mutare quello per primo. Almeno così immaginava che sarebbe riuscita a evitare la sua morte e forse anche quella di Astore.

«Resta con me questa notte» sussurrò.

Astore fu percorso da un brivido, tutto per lui iniziò a quel modo, con quella semplice proposta, adesso gli spettava il compito di decidere se cambiare il corso degli eventi e salvarla oppure lasciare che tutto avvenisse e fare finta di nulla pur di averla accanto, sentirla sua, sentirsi amato come non gli capitava da tropo tempo.

Astore rimase sul retro della locanda, si avvicinò al basso muretto che delimitava il terreno e si perse a osservare le onde, ascoltando il loro infrangersi perpetuo contro a scogliera. Il profumo della salsedine gli inebriava i sensi.

Ripensò a quando fu lui a divenire un mago. Fu Buteo a trovarlo, lo stava cercando da tempo. Lui aveva la capacità di sentire chi possedeva il potere nascosto dentro di sé.

I suoi discorsi sulla magia, sulla libertà che concedeva, la forza, le mille avventure, non gli ci volle molto a convincere il ragazzino di un tempo.

Divenne il suo allievo, l'unico dopo tanto tempo e ciò lo rendeva fiero, si sentiva importante.

Più i mesi passavano, maggiore diveniva la sua ammirazione, i mesi si tramutarono in anni e gli anni in decenni. Maturando, il suo modo di vedere l'uomo che lo aveva addestrato, allevato quasi come un figlio, cambiò. Iniziò a vedere nel suo modo di agire, non il desiderio di insegnare, di liberare la magia dentro di lui, ma più un piano ben studiato.

Stava muovendo le sue pedine con meticolosa attenzione, ogni sua scelta, ogni luogo visitato, ogni persona uccisa o divenuta sua alleata. Tutto era ben studiato ma contro chi stava giocando quella partita che sembrava senza fine?

Adesso si era aggiunta quella ragazza e la prima notte si stava avvicinando.

Diospasin sarebbe stata come il ripiano del maccagur , lui era il suo campione, lei sarebbe divenuta la regina, tutti gli altri pezzi erano già presenti?

Sarebbero stati tutti sacrificabili, pur di far vincere Buteo?

Si voltò e alzò lo sguardo alla finestra della loro camera, iniziava a odiare l'uomo che aveva sempre ammirato, o meglio a temerlo.

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