Talia
Talia a passo deciso, si stringeva nello scialle che le copriva il capo chino, proseguiva cercando di ignorare gli sguardi e i sussurri delle persone che la riconoscevano. Non la ferivano il loro chiacchiericcio o le dicerie che si sarebbero venute a creare, adesso il suo unico desiderio era saperne di più su quella setta e il loro dio, capire se avrebbe potuto far qualcosa per fermarli.
Sì, era da sola, ma la rabbia, la disperazione che covava dentro, se non le avesse fatte sfogare in qualche modo sentiva che l'avrebbero portata alla pazzia, così decise di impiegare quelle energie per stanare i vari membri, poi avrebbe cercato di capire cosa sarebbe stato meglio fare.
Non voleva che qualcun altro passasse ciò che stava vivendo lei, che un altro bambino restasse orfano. Se ripensava alla sua piccola, ignara di tutto che ancora sperava nel ritorno del padre, immaginando il dono che le avrebbe portato, si morse il labbro e ricacciò le lacrime indietro, non doveva lasciarsi sopraffare dallo sconforto, ma essere forte, per Carola, per il suo Gordo.
Finalmente giunse alla casa di Lilaki.
Il suo appartamento si trovava in uno dei vecchi palazzi signorili. Quando a Diospasin non vi fu più una famiglia nobile di spicco, le altre più abbienti, costituite per lo più da commercianti e proprietari terrieri, decisero di trasferirsi nelle altre città. Dove la vita sociale e i salotti erano frequentati da gente di spicco, come funzionari politici, o nobili interessati al commercio con cui poter stringere accordi, spesso anche matrimoniali.
Adesso quegli sfarzosi palazzi, che si affacciavano sulla via principale, erano stati suddivisi in appartamenti, i nuovi inquilini pagavano l'affitto ai vecchi proprietari, che tuttavia non curavano minimamente i loro immobili.
Le inferriate di ferro battuto, stavano arrugginendo, gli infissi di legno, dov'erano ancora presenti, erano mal messi e cigolanti. Le decorazioni esterne, quali capitelli, statue, bassorilievi, si stavano lentamente frantumando, lasciando il posto a crepe e macchie di umidità, gli intonaci dai colori accesi erano adesso sbiaditi e in molte parti aveva ceduto, lasciando a vista le pietre e i mattoni con cui erano stati costruiti i palazzi.
Talia oltrepassò l'arco, l'alto portone a due ante, con intarsi di foglie e volti, era lasciato aperto, si ritrovò così nel cortile interno, si diresse alla scala sulla destra e salì fino al terzo piano.
Incrociò un paio di donne sulle scale, ma la ignorarono in quella zona della città non era molto nota e ciò la rasserenò.
Bussò, ad aprire fu proprio la giovane, che nel vederla a casa sua si stupì, non era solita farle visita, tranne che nelle ricorrenze per porgere gli auguri alla famiglia.
Lilaki la studiò, fissandola negli occhi come a cercar di capire cosa realmente l'avesse spinta fino a casa sua, immaginava che fino al ritrovamento di Gordo non si sarebbe mossa da casa.
Il suo sguardo s'indurì, si affacciò nel corridoio a controllare che non vi fosse nessuno a curiosare e le disse :«Entra».
La precedette, dirigendosi nel salottino spoglio, il ricordo del lusso appartenuto a quella casa rimaneva negli affreschi che decoravano il soffitto e le alte porte a due ante ricche di decorazioni un tempo rivestite di foglie d'oro.
Adesso a occupare la stanza vi era un tavolo, delle sedie impagliate, una vetrinetta piena di bicchieri, bottiglie di liquori e qualche ninnolo e per finire il braciere in rame, il grande camino di marmo ospitava i sacchi pieni di carbone.
«Siediti» le disse intanto che prendeva due piccoli bicchieri e la bottiglia dal liquido ambrato in cui erano inseriti dei rametti per donare all'alcool il tipico profumo fiorito.
Una volta riempiti i bicchieri si accomodò di fronte a Talia, la quale senza giri di parole le chiese
«Sei da sola?».
«Sì».
«La tua candela dov'è?».
Lilaki si rigirò il liquore in bocca, ingoiò e guardandola negli occhi disse :«In camera mia».
«Perché lo fate?».
Lilaki rise :«Perché, Gordo cosa ti ha raccontato?» Poi sgranò gli occhi, comprendendo finalmente del perché di quella sua visita «La sua candela si è accesa». Ciò la fece fremere, un misto di paura e eccitazione, presto sarebbe toccato a lei.
Chinò il capo e strinse le mani in grembo :«Sì, e non sapere che ne è stato di lui mi sta facendo impazzire».
«Cosa ti ha detto di noi?» Roteò il bicchiere osservando il liquido ondeggiare.
«Nulla, non voleva che m'immischiassi in questa storia».
«Come hai capito che io ne faccio parte?».
«Una moglie capisce la differenza tra malelingue e realtà».
Rise :«La gente non ha mai nulla di meglio da fare» si alzò tolse il bicchiere a Talia, per farle capire che la sua visita era finita.
«Posso dirti soltanto una cosa, ascolta il consiglio di Gordo e non venire mai più a casa mia» il suo tono duro non ammetteva repliche.
Talia si alzò, la osservò cercando di capire se continuare a insistere o lasciar stare :«Addio allora» uscì senza aspettare che lei la accompagnasse alla porta.
Lilaki una volta sola iniziò a tremare, se lui avesse sospettato un qualche tradimento da parte sua, non l'avrebbe semplicemente sacrificata al loro dio. Afferrò una dei liquori a caso nella vetrinetta e bevve direttamente dalla bottiglia, lasciando che la sua gola, lo stomaco, il suo volto e la sua mente andassero in fiamme.
Talia quasi scappò da quella casa, improvvisamente si sentiva la mente pesante, sopraffatta, violata. Non sapeva come spiegarsi quella sensazione, si poggiò contro il muro, la testa le girava, si sentiva mancare. La gente che si ritrovava a passare sul marciapiede la guardava per proseguire come se avessero visto uno scarafaggio.
Il battito accelerò, si portò le mani alla gola, come a cercare di sciogliere un cappio invisibile, chiuse gli occhi :«Gordo, aiutami tu» sussurrò.
«Signora tutto bene?» La voce di un uomo, la afferrò per il braccio, le cinse la vita e la accompagnò fino a una panchina arrugginita sotto un albero spoglio.
«Nulla di grave, un semplice capogiro» si voltò a guardare l'uomo. Alto, occhi e capelli scuri, affascinante, ben vestito, le sembrava di averlo già visto da qualche parte, probabilmente al forno o durante qualche funzione.
«Grazie, siete stato davvero gentile».
«Si figuri, prestare aiuto è il minimo che si possa fare verso qualcuno in difficoltà».
«Sembra che pochi la pensino in questo modo» con un cenno indicò la gente che passava.
«Purtroppo i tempi stanno cambiando» sorrise appena «Che maleducato, non mi sono nemmeno presentato, Armavir De Lor» chinò appena il capo.
«Talia di Caar» le tornò alla mente chi fosse quell'uomo «Voi lavorate al castello».
«Sì, vi sentite meglio adesso?».
Accennò un si :«grazie».
«Permettete che vi accompagni».
Talia si alzò, in quella zona della città non era conosciuta, ma se l'avessero vista tornare a casa con quell'uomo le pettegole delle vicine l'avrebbero diffamata, iniziando a dire che si era trovata un altro uomo appena il marito era scappato. Alla gente piaceva troppo fantasticare sulla vita degli altri.
«Non si preoccupi e grazie ancora» e si avviò.
Armavir rimase seduto, alzò lo sguardo in direzione dell'appartamento in cui, sotto forma di ombra era penetrato, ascoltando una conversazione molto interessante. Avrebbe dovuto tenere d'occhio la giovane e anche la signora, sarebbe potuta tornargli utile per capire qualcosa su questa setta presente in città e non farsi scoprire da questo loro dio.
Una volta al castello avrebbe dovuto informare il suo signore, quella novità non gli sarebbe piaciuta per niente.
A quanto sembrava qualcun altro si era accorto della forza presente a Diospasin ed entrarne in possesso sarebbe diventato alquanto complicato.
«Mia cara Talia, presto diventeremo buoni amici» un sorriso compiaciuto comparve sul suo volto, dal discorso che le aveva sentito fare già sapeva quale argomento toccare con lei per conquistarne se non la fiducia almeno del riconoscimento.
Talia, ripresa la bambina dalla nonna, si chiuse in casa.
Carola era insolitamente taciturna, ciò le parve strano perché ogni volta le raccontava tutto ciò che le accadeva, aggiungendo spesso e volentieri fantasiosi particolari.
Carola, appeso lo scialle, andò dritta nella sua cameretta, Talia la seguì, sentiva che qualcosa non andava.
Aprì piano la porta, sua figlia era distesa sul letto, col faccino nascosto dal cuscino che stringeva con tutte le sue forze, le spalle sussultavano, scosse dai singhiozzi.
«Piccola, cos'è accaduto, perché piangi?» Si sdraiò di fianco la bimba stringendola a sé, lei tuttavia non voleva saperne di lasciare il cuscino e non rispose alla madre.
«Qualche bambino è stato dispettoso?».
Scosse il capo in segno di diniego.
«Sei stata sgridata?»
Ancora no.
«Tesoro, sai che puoi dire tutto a mamma».
Carola si voltò leggermente con gli occhi arrossati dal pianto, cercò quelli della madre e tra i singhiozzi le confidò :«Hanno detto che papà non tornerà più».
Talia la strinse ancor più forte :«Chi è stato ha dirtelo?».
«Una signora è venuta dalla nonna, io ero sul pianerottolo, diceva che papà è scappato, che ci ha lasciate sole».
«Piccola mia, papà non ti abbandonerebbe mai, ti vuole troppo bene».
Carola la guardò seria, come a capire se le sue parole fossero la verità, poi aggiunse :«Anche alcuni bambini me l'hanno detto».
«I bambini?».
«Sì, hanno sentito i loro genitori dire che papà è un codardo, che è scappato perché ha sbagliato con qualcuno».
Talia le baciò la fronte :«Non devi credere a quello che racconta la gente, a loro piace dire cattiverie».
«Perché?» il suo pianto lentamente si stava placando.
«A volte lo fa per cattiveria, altre per stupidità, ma alla mamma devi credere» la prese per il mento, fissandola dritta negli occhi «Devi credere a ciò che ti dice mamma, papà ti vuole bene, e qualsiasi cosa accada te ne vorrà sempre».
La strinse al petto e iniziò a cantarle una nenia, cullandola dolcemente finché si addormentò.
Facendo attenzione a non svegliarla si alzò e andò a controllare la candela.
Ardeva, la sua fiammella si agitava, ma la cera non accennava a consumarsi, iniziò a provare un tale odio, nei confronti della setta e di quel loro dio privo di pietà, della gente che invece di stare accanto alle persone in difficoltà sputava veleno. Avrebbe voluto urlare fino a perdere la voce, spaccare tutto fino a sentirsi stremata, piangere fino a non aver più lacrime, ma non poteva fare nulla di tutto ciò. Doveva essere forte, nascondere le sue emozioni e reagire nonostante tutto, andare avanti per amore di Carola e di Gordo che non avrebbe mai voluto vederla a quel modo.
"Perché l'hai fatto, cosa ti aveva promesso per convincerti a separarti da noi?".
Si lasciò andare sulla sedia acanto al focolare e mise il viso tra le mani, attanagliata dall'impotenza e lo sconforto che cercavano di portarla all'abbandono più totale.
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