Sospetti
I giorni divennero settimane, il nuovo padrone ancora non si era visto camminare fra i vicoli che si aggrovigliavano intorno alla città.
Un fatto insolito però avvenne, a cui nessuno degli abitanti diede troppa importanza. All'arrivo del barone altre creature presero dimora sulla rupe, i corvi. Giorno dopo giorno diventavano sempre più numerosi, il loro gracchiare risuonava fra le rocce e i sue mille anfratti.
La gente sembrava non aver dato peso all'insolita coincidenza, tranne la vecchia Pupe, che abitava in una casa sotto una sporgenza della rupe. La mattina quando usciva, alzava lo sguardo e contava gli uccellacci, tenendo il conto formando tanti piccoli nodi ad un laccio appeso dietro la porta d'ingresso, ripetendo ogni volta fra sé e sé, che era un brutto segno.
Il vecchio custode e la moglie erano stati cacciati, adesso per guadagnarsi da vivere dovevano svolgere i più svariati lavori, ma l'età e la poca pratica non li aiutavano così preferirono trasferirsi dalla sorella di lei, sperando di trovare un po' di fortuna.
La servitù del barone era composta da due donne ed un uomo. Grusia e Mona, si potevano incontrare al mercato che si teneva due volte al mese, non si intrattenevano a parlare con nessuno e avevano sempre un'espressione seria, qualche donna talvolta aveva provato ad attaccare discorso, le due rispondevano a monosillabi e si allontanavano rapidamente.
L'uomo si chiamava Armavir, affascinante, garbato, frequentava le varie trattorie, prediligendo la bisca che si trovava sotto il bordello, scommetteva su tutto. Gli piaceva chiacchierare, anche se alle domande sul suo padrone o il suo lavoro, rispondeva sempre in modo vago.
Ulgro il calzolaio, aveva paura dell'uomo, raccontò che una sera mentre rincasava, lo vide per come era davvero, non riuscì bene a spiegare la creatura, di una cosa era sicuro, non si trattava di un essere umano. Gli altri uomini lo prendevano in giro, poiché spesso e volentieri tornava a casa ubriaco, lui però continuava ad esserne certo, tanto che ne aveva parlato persino con don Alir, anche lui non diede importanza alla cosa, conoscendo il suo vizio del bere; gli raccomandò solo di portarsi sempre dietro un'immagine di Uneshil e che se gli fosse ricapitato di incontrarlo da solo di recitare alcune preghiere.
Ulgro fece come gli disse anche quando non erano soli, come quella sera alla trattoria, si mise a sfregare l'immagine che portava in tasca e pregare sottovoce. Armavir stava giocando assieme ad altri due alle carte col morto e gli dava le spalle, Ulgro tuttavia sentiva sempre il suo sguardo su di se.
Entrò Alir, si levò il cappello e disse :«Buona sera a tutti».
«Buona sera a voi».
«E salute don Alir» Risposero gli uomini presenti.
Alir andò a sedersi al suo solito tavolo, ad aspettare che gli portassero ciò che avevano preparato, il religioso non aveva una domestica.
Una donna del paese, giovane ma vedova, si era offerta di lavorare per lui. Quando gli giunsero le prime chiacchiere su di loro, decise che era meglio stare da solo così da evitare inutili guai. La donna per la vergogna non voleva più uscire di casa, don Alir dispiaciuto, sapendo che non aveva fatto nulla di male per meritarsi tanta cattiveria, riuscì a convincerla a recarsi al convento di Coensa, dove sua sorella aveva preso i voti l'anno prima. Una volta lì avrebbe potuto cercare di rifarsi un vita decente.
Ciò non calmò i pettegolezzi che al contrario aumentarono, la gente iniziò a pensare che fosse andata via perché incinta. Il poveruomo faceva finta di non essere a conoscenza delle malelingue, anche se quando per strada incrociava qualcuno, questi lo guardavano maliziosi e sorridevano sornioni, iniziando a spettegolare sottovoce appena si allontanava. Alir alzava gli occhi al cielo, diceva alcune giaculatorie e andava a meditare in solitudine.
Ulgro gli si mise di fronte :«Padre Alir, posso farvi compagnia?».
«Sedetevi pure».
Ulgro non aveva fame, voleva soltanto stare accanto a un religioso, perché si sentiva più al sicuro. Appena Alir si mise a pregare prima di mangiare, Armavir se ne andò senza volere neppure la rivincita. Per il povero Ulgro quella fu la conferma che non era un uomo qualunque e che sarebbe dovuto stare davvero attento.
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