Sorelle
«Mier sbrigati, non voglio prenderle ancora per colpa tua» disse stizzita Adana.
Le due giovani erano sorelle, lavorare tutto il giorno nei campi aveva reso la loro pelle ancora più scura, tanto che sembravano originarie del continente meridionale; i loro capelli lisci e corvini li portavano sempre intrecciati attorno la nuca, gli occhi castani sembravano due mandorle. I loro caratteri erano agli opposti. Adana era ubbidiente, timorata e lavoratrice instancabile. Mier invece era pigra in ogni cosa, il suo desiderio più grande era quello di trovarsi un uomo con i soldi, così da potersi permettere una cameriera e condurre una vita da gran signora.
Arrivate al ponte di Calino Adana si fermò, fece tre volte il segno di invocazione e detti i dovuti scongiuri passò, Mier invece era già dall'altra parte, che teneva ferma con una mano la cesta che portava sul capo.
«Sei peggio di una vecchia comare» schernì la sorella trovandola ridicola.
Mier era sprezzante, a quelle favolette di magare e cesarazz non credeva minimamente, dicendo che servivano solo a mettere paura alle sciocche come lei, affinché rincasassero presto.
«Ride pure, quando ti accadrà qualcosa dirai che aveva ragione tua sorella».
«Cosa mi dovrebbe capitare, verranno a tirarmi i piedi la notte?».
«Non scherzare su certe cose» Adana era tremendamente superstiziosa. Solo per pochi secondi lasciò cadere lo sguardo di sotto e vide una cosa insolita per quel periodo dell'anno, una fitta nebbiolina aleggiava su e giù per la gola, rabbrividendo corse dalla sorella.
Giunsero alla loro casa, situata nella parte vecchia, composta da un'unica grande stanza al piano inferiore, dove c'era il focolare, la larga e vecchia tavola con attorno le sedie impagliate e due bauli appoggiati alle pareti. La ripida scala sul fondo portava nella soffitta, divisa in due parti da una parete di canne, dove vi erano i letti. Le due sorelle dormivano assieme.
«Tata buona sera, mamma»
Diedero un bacio prima al padre e successivamente alla madre, che stava mettendo lo stufato nei piatti. Le ragazze si misero accanto al fuoco, aspettando che loro padre si sedesse per primo a tavola.
Il padre era un uomo duro, ruvido nei modi, ripeteva sempre alle figlie che non dovevano portare vergogna alla famiglia, che lui "il cappello davanti la faccia" non se lo voleva mettere. Quando non lavorava, passava il tempo alla cantina di Pepino a giocare alle carte e ubriacarsi.
La loro madre era una donna pacata, che cercava sempre di sedare le liti frequenti tra le due sorelle e calmare il marito quando era arrabbiato per qualcosa. Vestiva sempre di nero, anche il fazzoletto con cui si copriva il capo e la biancheria erano neri. Portava ancora il lutto per il padre morto tre anni prima.
La famiglia cenò in silenzio, una volta finite le faccende le sorelle andarono a letto, la madre rimase ancora un po' d'avanti al fuoco a rammendare una camicia.
«Teris, andiamo anche noi a dormire, finirai domani».
La donna poggiò la camicia nella cesta, spense il fuoco e si raddrizzò la schiena.
«Vitar, non scordarti domani di parlare con padre Alir».
L'uomo avrebbe dovuto chiedere al don se avesse potuto prendere in affitto un piccolo pezzo di terra situato al limitare del paese, rimasto incustodito da quando la vecchia mezzadra era morta. Il pezzo di terra interessava ad altri, sia per la vicinanza, che per il fatto che vi era una sorgente che l'attraversava e avere l'acqua nel terreno era una grande comodità, specialmente per lui che non aveva un animale da soma con cui trasportare botti o altro.
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