Scelte
«Lui ha deciso così, voi sapete fin troppo bene che potete solo obbedire» gli disse acida Grusia.
«In fin dei conti dovreste esserne felice, ti sei evitato un viaggio inutile».
La donna rimase a scrutarlo severa, come a volersi assicurare che non avrebbe più ripreso l'argomento o provato a fare qualcosa che avrebbe potuto interferire con i loro piani.
Andros si versò ancora da bere e si chinò sui talloni di fronte al camino acceso, quel giorno per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva gelare, forse si era preso un qualche malanno e presto sarebbe morto, il pensiero gli strappò un sorriso, sarebbe stato bello finirla a quel modo.
La morte, comunemente le persone la temevano invece a lui sembrava la soluzione migliore, era troppo codardo per tentare il suicidio, temeva che lui potesse catturare la sua anima dannata e farla patire in eterno.
Grusia se ne andò.
Andros si mise a roteare il bicchiere e osservare il vino rubino che lasciava la sua leggera patina sul vetro a ogni sua piccola onda. I suoi ricordi tornarono allo sbarco sull'isola di Tranonto, sentiva le voci ovattate degli altri soldati assieme a lui sulla barca, il fragore delle onde che spinte dal vento s'infrangevano sulla spiaggia sassosa, i tonfi dei soldati che si buttavano in acqua giunti in prossimità della riva per portare in secca la barca, gli schizzi gelidi sul viso e il bruciore agli occhi, la salsedine che ricopriva tutto.
In quanti erano sbarcati quel giorno? Quante barche e navi erano state centrate dalle cannonate prima ancora di giungere a destinazione, quante vite erano state spezzate senza dar loro la possibilità di difendersi o di scappare in salvo?
Rivide i volti dei suoi commilitoni morti, i loro corpi straziati, alcuni di loro li conosceva da quando si era arruolato, con altri invece trascorse appena il tempo dello sbarco, le loro morti gli pesavano tutte allo stesso modo.
Per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a evitare un'altra guerra? Sapeva fin troppo bene che Oros era un uomo fin troppo ambizioso per rinunciare a conquistare gli altri regni, forse neanche la magia sarebbe riuscita a scemare quella sua sete di conquista, sorrise al pensiero che almeno qualcuno avrebbe potuto vincere su quel gruppo di demoni.
Svuotò il bicchiere e avvicinò la bottiglia per versarsene dell'altro, gli tornò in mente l'appuntamento, se si fosse ubriacato come il solito avrebbe dormito per gran parte del pomeriggio, gettò il bicchiere nel camino, osservando i cocci scintillare mentre frullavano tra le lingue di fuoco, si scolò la bottiglia, ne prese un'altra e si gettò sul divano, deciso a non schiodarsi di lì.
Ogni interesse verso la vita sembrava abbandonarlo giorno dopo giorno, lasciando il posto a un'apatia che lo portava a somigliare a un morto, il lontano ricordo di un uomo pieno di vita capace di affrontare qualsiasi difficoltà.
Afrel era intento a entrare dell'altra legna quando Gloria entrò in cucina. L'uomo, in un misto di senso di colpa e orgoglio, era deciso a non cedere neanche di un passo sulla decisione presa, quindi non salutò la figlia.
Gloria invece a causa della visione della sera prima, trascorse tutta la notte a pensare sul da farsi. Quando vide la distruzione di ogni cosa, capì che sarebbe stata la fine anche per lui, poteva restare con le mani in mano e fare finte di niente? Non poteva evitare la prima notte, da quella dipendeva la sua possibilità di divenire una maga, ma suo padre poteva salvarlo, anche se era ingiusto che aiutasse soltanto lui. Forse avrebbe potuto dare l'allarme a tutta la cittadinanza, ma chi l'avrebbe creduta? Parrebbero solo le parole di una pazza.
Ciò che le mostrò la visione era talmente inverosimile, da sembrare quasi che non si potesse mai avverare.
Gloria abbracciò il padre, Afrel dopo un attimo di esitazione la strinse a sua volta, sapeva che Gloria era cocciuta anche più di lui, quel gesto le era costato parecchio.
Nella mente della giovane continuavano a ripresentarsi quelle terribili immagini, ma anche la sensazione di onnipotenza scaturita in lei una volta ottenuta quella magia. E se aiutando il padre non fosse riuscita a ottenere quel potere? Aveva visto come anche il più piccolo cambiamento potesse condizionare il futuro e lei voleva quel potere, doveva ottenerlo in ogni modo, a ogni costo. Voleva essere, doveva diventare la maga più potente, più simile a una dea che a un essere umano.
Gloria si staccò da lui e lo baciò :«Grazie papà».
«E di cosa?».
«Per avermi data allo straniero» sorrise.
Soddisfatta salì da Buteo per le sue lezioni di magia.
Afrel si grattò la testa, non riusciva davvero a capire il modo di ragionare della figlia, ma soltanto lei le era rimasta e avrebbe fatto qualunque cosa pur di vederla felice.
Gloria cominciò a pensare all'altro suo problema. La prima notte
L'immagine si ripresentò così vere nella sua mente che un brivido la scosse tutta. Distruzione, morte, il buio, per cosa poi? Il potere, il desiderio che scatenava tutte le guerre.
Aprì la porta senza bussare talmente era presa da quei suoi pensieri, prese posto al tavolo, poggiò i gomiti e mise il mento sulle dita intrecciate lasciando vagare lo sguardo oltre la finestra. Poi un pensiero più sciocco irruppe tra i suoi pensieri, a cercar di cancellare il peso della colpa per ciò che sarebbe avvenuto.
Astore, quegli attimi di felicità passati assieme, che tuttavia non si sarebbero mai avverati, ma pensare a quei ricordi mai vissuti la faceva stare bene per un po'. Non era mai stata così coinvolta con un ragazzo e lui l'avrebbe fatta sentire unica, speciale. Un tipo di amore maturo, non come quello che sognavano le sue amiche, fatto di sorrisi, sguardi, matrimonio e figli. Era tutto più potente, carnale, vivo. Quando però si ricordava che tutto ciò non avrebbe mai potuto realizzarsi, si rattristava e per evitare di sentirsi debole, cercava di trasformare quelle emozioni in astio.
Persa in quei suoi pensieri non si accorse dell'uomo che si era avvicinato.
Buteo la osservava intrigato da quel suo strano comportamento, si mise dietro di lei e poggiò la mano sulla sua spalla, scuotendola per ridestarla da quel suo sogno a occhi aperti.
Gloria alzò lo sguardo, d'improvviso si alzò e gettandogli le braccia attorno al collo lo baciò, se avesse scelto lui, cosa sarebbe accaduto? Lui sembrava aver bisogno di lei, non era riuscita a capire il perché da quelle visioni, ma sapeva di essere importante.
Buteo in un primo momento contraccambiò, la ragione ebbe la meglio, non doveva farlo o tutti i suoi piani sarebbero andati in malora. Così la allontanò bruscamente.
«Sono qui come vostro insegnante, se volete divertirvi andate a lavorare al bordello».
Gloria divenne rossa in volto, come osava dirle quelle cose, con che credeva di avere a che fare? Lo schiaffeggiò, lui non reagì.
«Siediti, abbiamo cose più importanti da fare, le scenate dovete evitarle, rammenti ciò che ti ho detto?» Le disse in modo severo.
Gloria ubbidì come una bimba sgridata dal padre, per un attimo pensò che forse avrebbe potuto parlare con lui almeno su di una parte delle visioni ma Astore di sicuro non gli aveva detto nulla, così evitò di combinare qualche guaio, aprì il libro e cominciò con la lettura.
In quei giorni le stava soltanto insegnando a leggere correttamente utilizzando dei vecchi libri di storia, poiché vi sarebbero stati alcuni incantesimi pericolosi da leggere a voce alta. Dopo all'incirca un'ora passata a leggere con lui che la riprendeva ogni tanto, oppure che le spiegava il significato di alcune parole le chiuse il libro. Gloria rimase a fissare la copertina a spettando che dicesse qualcosa.
«Abbiamo finito?» chiese in fine per rompere quel silenzio imbarazzante.
«Per il momento, oggi pomeriggio dovremmo andare in un luogo tranquillo, vorrei provare con alcuni incantesimi base».
«Davvero?» sorrise entusiasta, era così felice che lo avrebbe abbracciato, ma si trattenne. Finalmente un passo avanti, cominciava a credere che avrebbe continuato a leggere in eterno.
«Sì, adesso potete andare, mi farò trovare di sotto per le due, mi raccomando siate puntuale».
«Statene certo».
Appena si voltò per uscire entrò Astore. Rimasero a guardarsi per un tempo indefinito, ma poi il pensiero di ciò che si era prefissata di ottenere la ridestò, scosse la testa, abbassò lo sguardo e oltrepassò l'uomo salutandola a mala pena.
«Salve».
Astore non le rispose, l'aveva sorpreso raggiante come non mai, quel suo repentino cambiamento d'umore appena l'aveva visto lo rattristò, ma non poteva darlo a vedere, non con lui presente.
«Avete finito presto oggi» disse atono all'amico.
«Sì, vorrei farle fare alcune cose nel pomeriggio» lo informò intanto che rimetteva a posto i libri appena usati.
L'uomo si era fatto recapitare una libreria, se avesse continuato a riempire di mobili quella soffitta, ben presto non ci sarebbe stato più spazio per loro.
Aveva persino sistemato il suo letto dall'altro capo della soffitta, ritagliandosi la sua camera, dividendo gli ambienti con delle pesanti tende in velluto blu. Arredandola in modo sontuoso, con mobili di pregio e tappeti finemente annodati dai disegni geometrici e un paio di quadri.
Astore aveva sempre immaginato che Buteo, con quei suoi modi affettati, e la ricercatezza del lusso quando stava a lungo in un luogo, fosse stato membro di una qualche famiglia nobile. Tuttavia, non lo aveva mai visto invischiarsi nelle loro attività: nessun ricevimento, ballo, o qualsiasi altra cosa organizzata dall'alta società. Lui tuttavia continuava a credere che tutte quelle cose, in un passato molto lontano, avessero fatto parte della sua vita.
Più Astore pensava a queste cose, maggiore diveniva la sua diffidenza verso l'uomo che lo aveva cresciuto. Decise così che era giunto il momento di capire chi fosse in realtà colui che aveva sempre ammirato.
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