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4 - THROUGH THE DARK

"Oh, merda Harry...più veloce...muoviti, cazzo...muoviti..."

"Oh, Louis, sei così stretto...sei fantastico...".

Un urlo strozzato. Il respiro irregolare. Le coperte completamente umide, per aver raccolto le gocce di sudore, e non solo. Ma Harry era lì, con lui. Avevano fatto l'amore. Ancora una volta.

Louis si svegliò completamente sudato quella mattina. Il fatto di aver fatto un sogno erotico non era il problema principale, perché non era il primo che faceva e non sarebbe stato l'ultimo. Il problema era, tuttavia, il fatto di aver sognato di star facendo l'amore con Harry. L'amore, capite?

Il sudore gli imperlava la fronte e il petto ben rasato, e non era solo colpa del clima ancora caldo della fine dell'estate. Si rigirò ancora qualche volta nel letto, cercando di calmare l'affanno e togliendosi di dosso quelle lenzuola fastidiose, che avevano assorbito tutto il suo calore. Notò un rigonfiamento potente tra le gambe.

"Oh, merda", pensò. Insomma, non avrebbe mai creduto che Harry gli potesse fare quell'effetto anche solo sognandolo. Si portò i pollici verso l'elastico dei boxer e se li calò, liberando quell'erezione pulsante che si scontrò contro il suo stomaco magnificamente scolpito. La punta era già umida, mentre accoglieva qualche goccia di liquido preseminale. Rivolse lo sguardo verso il soffitto e ripensò a quella maledetta nottata. Che poi, tanto maledetta non fu. Non gli era mai capitato di pensare così assiduamente a uno dei ragazzi che l'avevano scopato durante le vacanze, eppure sembrava che il pensiero del riccio non se ne voleva andare dalla sua mente, ormai torbida della sua immagine.

Riusciva a vedere perfettamente davanti ai suoi occhi quel suo petto scolpito e magicamente adornato da quei tatuaggi eccitanti. Delle rondini, delle raffigurazioni nautiche, dei disegni insignificanti agli occhi ma non all'anima. Vedeva le sue braccia toniche e forti che gli tenevano le anche mentre lui si calava sulla sua asta per prenderla tutta al suo interno. Vedeva le dita lunghe ed affusolate che l'avevano violato pensando che penetrandolo così, a secco, gli avrebbe fatto magari del male. Pensava a quegli occhi verdi meravigliosi e grandi, che assomigliavano a quelli di un cucciolo, ma che erano stati messi sul viso di un adone di quelle proporzioni, e nei quali ti ci potevi tuffare senza paura di annegare o di non toccare. Pensò al quel culo fantastico, piccolo ma formato. Quando poi i suoi pensieri si concentrarono sul sesso di Harry, un brivido di estasi gli attraversò tutto il corpo, facendogli venire la pelle d'oca. Quel pene così grosso e lungo, che l'aveva penetrato a fondo, continuando a toccare quel suo dannato fascio di nervi enormemente sensibile e facendolo arrivare al culmine dell'eccitazione migliore della sua vita. Quel pensiero bastò a fargli portare la mano sul suo membro, passando il palmo lentamente sulla lunghezza e sfiorando sensualmente la vena gonfia sotto di esso. Quel movimento gli provocò un altro mezzo spasmo e un gemito strozzato. Non ebbe bisogno di collegarsi al suo sito preferito per eccitarsi, era già completamente andato. Prese a massaggiarsi su e giù il pene, indugiando dei movimenti circolari verso la punta, avvolgendola con la pelle, mentre si immaginava la faccia di Harry che, tra le sue gambe divaricate, glielo prendeva in bocca e glielo succhiava. Gemeva tenendosi il labbro inferiore fra i denti, per non farsi sentire da Liam e Zayn, che sicuramente erano già svegli, fino a che non venne sulla sua stessa mano e sull'addome, esalando un sospiro di sollievo e di soddisfazione, ma respirando affannosamente. Ecco, la migliore sega che si fosse mai fatto. Passò il dito all'interno di una goccia di sperma, raccogliendone un po', osservandolo. Ci vedeva l'amore anche lì dentro.

Si alzò dal letto ancora tremante, strofinandosi gli occhi per svegliarsi completamente. Guardò in avanti e il muro pieno di fotografie, che aveva appeso per dare un po' di colore a quella camera, gli parve sfuocato. Se li strofinò di nuovo, ma la visuale fu la stessa. Spostò lo sguardo verso l'armadio, ma niente, ancora tutto uguale. Che cazzo gli stava succedendo, perché il suo stramaledettissimo occhio destro sembrava non funzionasse? Un formicolio gli attraversò tutto il corpo, sostando per qualche minuto nelle gambe e nel petto, appena sotto i capezzoli. Pensò che forse la motivazione più consona fu quell'orgasmo fantastico che si era appena procurato con l'aiuto del suo pensiero costante per Harry, ma poi ricollegò l'episodio dell'occhio. No, non poteva c'entrare, seppure non fosse un mistero che l'immagine divina del riccio gli provocava dei problemi visuali non indifferenti. Si alzò lentamente barcollando e a momenti svenne, rivoltando gli occhi al contrario. Non perse fortunatamente conoscenza, così si risedette per riprendere almeno un po' di fiato, poiché lo spavento che ebbe di rimetterci i sensi fu enorme. Il cuore gli batteva forte nel petto e, appoggiando un gomito sul ginocchio, si prese il viso tra le mani. Sicuramente era stato il caldo, pensò. Non riusciva a sopportarlo, preferiva di gran lunga climi miti come l'autunno o la primavera. E visto l'odio che provava verso di esso, probabilmente il karma aveva deciso di riversarsi su di lui facendogli venire un vero e proprio malore.

Cercò di calmarsi ancora qualche minuto, massaggiandosi le gambe per far cessare quel formicolio fastidioso, e riprovò a rialzarsi. Nulla di strano, se non per quell'occhio appannato che non ne voleva sapere di tornare normale. Si vestì con la sua tenuta da casa e raggiunse gli altri in cucina, che già stavano facendo colazione.

"Ben alzata, principessa!", disse Zayn, alzandosi dalla sedia e andando ad aprire il frigorifero per prendere altro vaso di marmellata, "Caffè?", disse poi, spostandosi verso il bancone e agguantando una cialda dalla mensola, giocherellando con essa e gli altri oggetti disposti sul tavolo, atteggiandosi da barman esperto.

"Si, grazie...", bofonchiò Louis, continuando a sfregarsi l'occhio. Si sedette vicino ad Liam, che leggeva le notizie in prima pagina del Times, mentre sbocconcellava la sua fetta di pane con burro e zucchero. Drizzò di poco la faccia dal quotidiano per vedere Louis che continuava a trastullarsi quel povero occhio. Lo osservò perplessamente, masticando piano e alzando un sopracciglio per capire che cosa stesse facendo quel pazzo del suo amico. Louis vide che lo stava guardando, "Che c'è?", chiese scontroso come al suo solito. In fondo era mattina. Presto. E per Louis, la mattina non esisteva. O almeno, non iniziava prima di mezzogiorno.

Liam tirò indietro il capo leggermente, come se non si aspettasse una reazione scontrosa come quella e come se successivamente ci fosse rimasto male. Era strano il fatto che, ancora dopo qualche anno, non avesse capito che era meglio starsene zitti e non rivolgergli la parola - se non per chiedere cosa volesse per colazione - almeno per quarantacinque minuti dopo il suono fastidioso della sua sveglia, "Hai intenzione di cavartelo quell'occhio?", no, non l'aveva proprio capito, doveva per forza fronteggiarlo e prenderlo per il culo. Louis sospirò, evitando di rispondere a Liam, e continuò a grattarselo sempre con più forza. Fino a che anche Zayn si stancò di vedere quella scena deplorevole.

"Che cazzo, Tomlinson, smettila! Mi stai innervosendo...", disse appoggiando la tazza sul tavolo con vigore, "Si può sapere che hai?", chiese.

Louis sospirò di nuovo, "Non lo so, mi sono svegliato stamattina con quest'occhio appannato e dei formicolii alle gambe e al petto...mi danno fastidio", rispose il ragazzo. Poi, senza altre parole o risposte, si alzò e uscì dalla cucina, per andare a stravaccarsi sul divano e coccolare la sua gatta, che già lo aveva chiamato un paio di volte con dei miagolii imperativi. Uscendo dalla cucina, non si sa come o perché, inciampò e cadde a terra, ringraziando al cielo c'era il tappeto della sala ad attutire il colpo. Rimase fermo per qualche minuto, poi si rigirò su se stesso, non aprendo gli occhi ma tenendosi il petto e l'anca. Liam e Zayn si alzarono velocemente dal tavolo avvicinandosi a lui, per aiutarlo a rialzarsi.

"Louis?", lo chiamò Liam. Tremava, tremava forte e si continuava a tenere la gamba, "Louis, parlami, dì qualcosa...", cercò di attrarre la sua attenzione, mentre gli appoggiava la testa sulle sue gambe.

Louis non rispose subito, ma quando lo fece, "Esse...", disse sussurrando piano. Liam e Zayn lo guardarono storto, "Esse? Ma che cazzo dici?", ancora una piccola pausa, "Emme...", sussurrò di nuovo. Poi il ragazzo aprì finalmente gli occhi.

"Louis? Lou, dio, stai bene?", chiese Zayn. Louis si portò la mano ancora alla testa e, dopo essersi ripreso completamente, annuì, ancora un po' frastornato, "Sei sicuro? Non me la racconti giusta...".

"Sto bene, Zayn...sto bene...ma che mi è successo?", disse, cercando di riprendersi, rialzandosi seduto sul tappetto e prendendo in braccio la gatta che gli si era avvicinata per vedere se stesse bene. Zayn e Liam si guardarono in faccia, non riuscendo a mascherare la loro preoccupazione. Sì, di solito avrebbero riso a crepapelle per una caduta come quella, perché, diciamoci la verità, era un vero e proprio spettacolo vedere Louis che si imbrogliava nei suoi stessi piedi e cadeva rovinosamente a terra. Ma quella volta non c'era niente da ridere. La caduta del loro amico non era stata causata da una svista particolare, o da chissà che cos'altro di divertente. Non appena si alzò e varcò la soglia della cucina cadde accasciandosi a terra, proprio come se fosse svenuto, se avesse perso conoscenza. Zayn annuì a Liam.

"Lou, non ti ricordi cos'è successo?", chiese il moro, appoggiando una mano sul ginocchio dell'amico. Louis lasciò andare la gatta, che tornò sul piedistallo del suo tira graffi per sonnecchiare ancora un po', e annuì di nuovo. Non si ricordava davvero nulla. L'ultima cosa che aveva stampato nella sua testa era lui che si grattava dissennatamente l'occhio appannato, che tra parentesi, lo era ancora.

"Forse sarebbe meglio che andassimo da un dottore, che dici?", domandò Liam, sebbene fosse una richiesta completamente retorica. Non voleva di certo un parere dell'interessato, seppur fosse capace benissimo di intendere e di volere. Lo avrebbe accompagnato lui, ma di sicuro questa volta non avrebbe gradito un rifiuto, "...magari ad un pronto soccorso, eh?", continuò afferrandolo per il braccio e facendolo alzare da terra, per poi farlo sedere comodamente sul divano.

Louis appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si sfregò la faccia, come se fosse disperato. Poi alzò gli occhi e guardò i suoi amici, "Che mi sta succedendo, ragazzi?", chiese, e forse quel giorno era davvero la festa delle domande retoriche, ormai non sapevano più farne altre. Liam si sedette davanti a lui incrociando le gambe e fece accomodare dietro di lui il moro, che gli cinse la vita, in un completo segno di affetto involontario.

"Dai, vestiti, che ti accompagno io in ospedale...", propose Liam, facendosi a sua volta strada verso la camera per prepararsi.

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Mentre digitava l'ennesima mail indirizzata ai fornitori dietro la cassa e lottava con le pile di fatture per cercare di riordinarle cronologicamente secondo il tipo, il suono robotico del sensore piantato in alto sulla porta continuava a farsi sentire. Harry si riteneva fortunato a lavorare in una libreria così famosa e così fornita, anche se la maggior parte della gente entrava e dava solo un'occhiata veloce. Pochi erano quelli che si immergevano completamente nelle trame dei libri, cercando magari di estrapolarne qualcosa dalla raffigurazione sulla copertina o dalla breve trama stampata sul retro, per poi comprarli e continuare la loro immersione comodamente a casa loro. Se li immaginava, i suoi clienti più abituali - o almeno, quelli con un po' più d'acume - seduti su un divano morbido a leggere sotto la luce soffusa di un abat-jour, magari con una tazza di the fumante o con il profumo di un incenso acceso che si diffondeva per tutta la stanza.

Purtroppo sapeva che la maggioranza delle persone che entravano, lo facevano per svago o per comprare cazzate senza neanche metterci un po' di buon senso. Ma in fondo, non capivano cosa fosse realmente una libreria. Non capivano cosa volesse dire inalare il profumo di carta misto a inchiostro delle pagine di quei tesori. Non capivano perché fosse così speciale viversi il libro e lui, di rimando, non tollerava quelli che lo sfogliavano così, giusto per far vedere che avevano tentato di leggerlo. Bisognava immedesimarsi coi personaggi, bisognava capire ogni loro sfaccettatura, anche quelle più nascoste o quelle che non venivano citate. Era fermamente convinto del fatto che, ogni lettore, quando iniziava a leggere un'opera, avrebbe iniziato a leggere di se stesso, perché l'opera è uno strumento che permette di discernere quello che, senza libro, non avrebbe sicuramente visto in se stesso. E quindi, solo così il libro sarebbe stato veramente vissuto. Sapeva anche che, per ogni storia degna di essere letta, c'era una miriade di carta straccia a contornarlo. Ed Harry se ne era accorto da solo di quanta ce ne fosse in giro, pur se gli autori la facevano passare come best seller della letteratura mondiale.

Alzò lo sguardo dal computer per dare un'occhiata tra gli scaffali, per anche solo scorgere qualcuno che avesse tutte quelle qualità e rimanerne soddisfatto, ma tutto quello che vide fu un gruppo di adolescenti infoiati, appena usciti da scuola, che, ridendo come dei cretini, sfogliavano un libro a figure che illustrava donne nude. Harry non poté che rabbrividire, non solo per il fatto che stessero guardando delle donne, ma anche perché quel libro era una raccolta delle più belle fotografie di artisti famosi e bravi nel loro lavoro. Un altro esempio di come la gente non capisce un cazzo dell'arte.

"Guardali come sbavano appena vedono un triangolo peloso...", disse Harry a Niall, indicandogli col viso il gruppo di teenager idioti. Il biondo alzò il capo, diede un'occhiata e ridacchiò.

"Eh dai, Harry, non essere sempre così severo...magari la vedranno solo in foto, lasciagliela godere fino a che possono...", continuò a ridacchiare come un idiota. Harry scosse il capo, divertito dalla battuta di Niall, e in fondo, dovette dargli ragione. Non poteva aspettarsi niente da capre simili, per cui, finché non avrebbero toccato altri argomenti che lo avrebbero fatto inorridire, poteva anche chiudere un occhio. Cominciò a formarsi una coda non indifferente alla cassa, tutti i clienti avevano scelto i loro acquisti, così i due ragazzi si divisero la gente e cominciarono a battere scontrini in due casse differenti.

"Tu non mi hai ancora raccontato tutto di quel ragazzo, comunque...", provò ad iniziare Niall, mentre cercava di battere al pc un codice a barre che non ne voleva sapere di essere letto da quell'aggeggio tecnologico. Harry fece un sospiro profondo, e tutti i suoi pensieri si indirizzarono a quella notte. Aveva incontrato Louis per caso, abbordandolo come aveva fatto con gli altri, e poi scoprendo che invece non aveva niente a che vedere con le sue vecchie conquiste. Non gli sembrava nemmeno di esserselo scopato, gli sembrò di aver vissuto ogni momento di quel sesso meraviglioso alla piattaforma. Ma non poteva, no, non doveva pensarci in quei termini. Primo, perché non l'avrebbe mai più rivisto. Secondo, perché doveva continuare sulla sua linea di usare i ragazzi per il sesso, e non pensare nemmeno un minuto di innamorarsene o riaprire un'altra volta il suo cuore al vero amore. No, zero. Non era fatto per quelle cose così melliflue e diabetiche. Sesso, orgasmo, saluti. Così sarebbe dovuto andare, sempre e comunque.

"Che ti devo raccontare, Niall? Ci siamo divertiti, punto...", rispose. Salutò cortesemente la cliente che arrivò alla cassa, prima di sbarrare gli occhi e rabbrividire per il libro che aveva scelto di comprare. Cinquanta sfumature di nero. Di nero. Quindi voleva dire che aveva già letto il primo di quella saga. Oddio, saga, non esageriamo. Si fece pagare e affabilmente risalutò la signora, che uscì. La guardò sfoggiare un sorrisetto soddisfatto mentre si incamminava lungo il viale e scosse il capo, amareggiato, "Oscar Wilde si sta rivoltando nella tomba", disse poi. Niall lo guardò sorridendo e scuotendo il capo a sua volta, di nuovo.

"Riccio, ascolta me, tu sei troppo romantico e fissato con 'sta storia dei libri per farmi credere che con quello ti sei solo divertito...c'è di sicuro qualcos'altro dietro...ma non indagherò oltre...", disse il biondo, continuando a batter scontrini.

Harry lo guardò stranito, e per un attimo pensò che avesse ragione. Per un attimo, soltanto, "Non dire cazzate, biondo...", tornò sui suoi passi. Che ancora non aveva capito fossero falsi.

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"Signor Tomlinson?", l'infermiera del triage al pronto soccorso lo chiamò. Era seduto, a testa china, su quelle sedie della sala d'aspetto da ormai due ore. E non aveva capito nulla di quello che gli avevano fatto, delle visite alle quali lo avevano sottoposto, o della quantità industriale di sangue che gli avevano prelevato. La prima dottoressa gli aveva semplicemente fatto una prova per cercare di capire la causa di quel suo appannamento improvviso all'occhio destro. Poi, era stato catapultato nello studio dell'oculista e sottoposto ad una visita agli occhi, con qualsiasi macchinario possibile e mettendogli negli occhi delle gocce di quel liquido odioso che dilata le pupille.

Alzò il capo, "Sono io", rispose sussurrando, come se non volesse far sentire a nessuno il suo nome.

"Prego di seguirmi in questa stanza...il neurologo la sta aspettando...", disse l'infermiera e si avviò verso la suddetta sala, aspettandolo fuori la porta. Louis sbarrò gli occhi. Cosa c'entrava il neurologo con lui, non aveva mica un problema al sistema nervoso. Si girò verso Liam, che stava seduto di fianco a lui, e gli rivolse uno sguardo preoccupato. Liam annuì soltanto, per rassicurarlo in qualche modo, sebbene nemmeno lui avesse capito perché stava per fare una visita con quel tipo di specialista. Louis lasciò il giubbotto e gli effetti personali al suo amico e s'incamminò verso la sala, entrando come se non volesse disturbare.

"Entri, Tomlinson...si accomodi...", disse il dottore. Un omone alto, slanciato, con un paio di occhiali dalla montatura spessa, ma in qualche modo affascinante, stava seduto dietro la grande scrivania. Il camice bianco aperto quasi gli arrivava alle ginocchia, per il peso degli oggetti che stavano dentro le sue tasche. Penne, graffette, biglietti da visita, fonendoscopio e chi più ne ha più ne metta.

Louis lo osservò dubbiosamente, ma senza dire niente, si sedette sulla sedia davanti alla scrivania, "No! Non qui, sul lettino...", quasi urlò e fece saltare il ragazzo dalla sedia. Si alzò ed eseguì gli ordini del medico, "Allora...signor Tomlinson...", disse mentre gli esaminava gli occhi di nuovo con una piletta, "che cosa è successo precisamente?". Louis raccontò al medico di tutto quello che era capitato quella mattina, di come si fosse alzato con l'occhio appannato, di come avesse sentito quell'intorpidimento lungo tutto il corpo e di come avesse perso conoscenza senza ricordarsi di quello che successe poco prima.

"Umm...molto bene...", disse il medico, facendo finta di accarezzarsi la barba lunga, come quella di Gandalf, che però non aveva, "Vorrei avere la barba lunga quando penso...".

Louis scosse la testa, ma con chi stava avendo a che fare? Voglia di ridere non ne aveva, e non stava aiutando a sdrammatizzare la situazione. Poi il medico continuò, "Vede, Tomlinson, lei ha sviluppato una forma di neurite ottica retro bulbare...per riprendere a vedere ed eliminare quel disturbo, ha bisogno di cinque giorni di ricovero in Day Hospital, ovvero significa andare e tornare tutti i giorni...tuttavia...", disse facendo una pausa ed alimentando la curiosità di Louis, che lo interruppe.

"Tuttavia...?", chiese disperatamente, non voleva che lasciasse le frasi a metà.

"Tuttavia, preferirei che si ricoverasse per qualche settimana...avrei la necessità di sottoporla ad altri esami clinici di vario genere, per cui sarebbe un'idea di gran lunga più plausibile...lei lavora?", spiegò il medico.

Louis scosse il capo per negare, "Bene, allora se non le dispiace mandare il suo amico a prendere la roba che le servirà per la sua permanenza, io la farei ricoverare immediatamente...", disse, finendo di compilare il foglio di ricovero scrivendo parole incomprensibili al genere umano, aprendo poi la porta per far uscire Louis e andare da Liam a spiegargli la situazione. L'amico sbarrò gli occhi, "Come ti devono ricoverare? Che cosa è successo, Louis?", chiese l'amico.

"Non lo so, Lì...puoi farmi un favore?", chiese Louis.

Liam aveva già capito, "Sì, vado io a prenderti tutto...poi tornerò con Zayn...dio, si dispiacerà un casino...".

Louis cercò di buttarla sul ridere, "Beh, almeno potete scopare tranquillamente, facendo ogni rumore che volete...", ridacchiò, prendendolo in giro.

Liam accusò il colpo, ma sorrise beffardamente, "Tomlinson, sai che tanto scopiamo lo stesso anche con te in casa...al massimo potrò urlare un po' di più...dovrei fartelo provare, qualche volta quando starai meglio...".

Louis sospirò affranto, "Non ci tengo...oh, ma sono contento per voi eh?", poi ridacchiò di nuovo e gli diede una pacca sulla spalla, "Grazie, amico".

"Signor Tomlinson, si può accomodare su questa carrozzina che la porto nella camera del suo reparto?", chiese l'infermiera, apparsa magicamente dietro di loro.

Louis la guardò scettico, "No grazie, vengo a piedi, non sono moribondo...", ed ecco che sfoderò la sua insolenza solita. Non era nemmeno capace di non esserlo senza sforzarsi. Forse quelle settimane in ospedale l'avrebbero cambiato in qualche modo. Sperava solo di non sognare Harry, ancora. O avrebbe dovuto combattere con tutte le forze di cui era provvisto per non chiudersi a chiave nel bagno ed alleviare gli effetti che quel riccio meraviglioso gli avrebbe creato incondizionatamente.


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